Kamchatka Trek – di Elena Grobberio

E’ dai tempi di Risiko sapevo che prima o poi avrei messo piede in questa terra remota.

Ne parlo così bene a Valeria e Roberta che anche loro non vedono l’ora di prender parte a questo viaggio.

Il coordinatore manca ma, esprimo la mie intenzione al carissimo e valoroso Massimo che non si lascia scappare l’occasione di accompagnarci così il viaggio prende forma e si crea in un batter d’occhio.

9 baldi giovani alla scoperta di questo luogo dal nome quasi impronunciabile

Kamchatka, una penisola selvaggia e sconfinata nell’estremo Est della Siberia, un luogo affascinante e scarsamente popolato dall’uomo, una terra di orsi e di vulcani.

Le montagne della Kamchatka si affacciano all’Oceano Pacifico con più di cento vulcani “attivi”. E’ una penisola grande come l’Italia ma abitata da appena 300 mila persone.

Si trova nell’estremo oriente della Russia, è lunga più di 1.200 chilometri e larga 500 nel suo punto di massima estensione.

E’ una regione bellissima: è formata da una grande vallata, intersecata da decine di fiumi, piena di geyser e circondata da una corona di più di 300 vulcani di cui 25 sono ancora attivi.


I suoi fiumi sono così ricchi di salmone, che «camminare sull’acqua non sembra così impossibile».

Le sue foreste sono piene di orsi giganti, pecore delle Montagne Rocciose e falchi, e sulle coste ci sono moltissimi granchi giganti.

Parte della sua bellezza deriva anche dal suo isolamento.

Per arrivare a Mosca dalla Kamchatka serve un volo aereo di nove ore.

I trecentomila abitanti sono tutti concentrati in tre città nel sud della penisola, mentre il resto dei paesi sono sparsi per la regione, spesso a giorni di viaggio l’uno dall’altro.

Un’unica strada di circa 500 km taglia in due questo lembo di terra dunque per esplorarla è necessario il camion 6×6 messo a disposizione dall’agenzia.

Già dal primo giorno di viaggio intuisco che qui ci lascerò il cuore.

BAIA DI AVACHA

Usciamo con un cabinato dalla Baia di Avacha (situata davanti alla capitale Petropavlovsk) per raggiungere il mare aperto.

Lungo il percorso immaginiamo di vedere dal mare i vulcani che dominano il paesaggio perché ahimè, il tempo è pessimo oggi.

In breve cominciamo a respirare l’atmosfera e la natura dell’Oceano, circondati da migliaia di uccelli marini tra cui pulcinelle di mare, urie, cormorani.

Ora però ci attende un potente e gigante camion 6×6 che, con l’autista Andrej ci condurrà alla scoperta del Paese.

VULCANO MUTNOVSKY
(2323 mt)

Il primo campo lo piantiamo ai piedi del Vulcano Mutnovsky dove arriviamo passando enormi cumuli di neve.

Stupenda la scenografia che mi trovo davanti, questo luogo è da fine del mondo!

Sotto di noi il ghiacciaio e davanti la vetta del Vulcano il quale fumo incornicia uno sconfinato cielo azzurro. Poesia pura.

L’ascesa al vulcano sarà lenta per ammirare appieno ogni scorcio.

Una volta arrivati in vetta mi lascio riscaldare dalle tante fumarole che si alzano al cielo e vengo inebriata da soffioni e forte odore di zolfo che si espande tutt’intorno.

Durante la discesa guardo sconcertata i tipici Giapponesi pieni di soldi, arrivati fino al punto “ics” con la motoslitta ed ora giacciono comodamente seduti su poltroncine, intenti a comandare i droni che vengono sapientemente diretti verso la cima del Vulcano così da poter poi guardare con i loro occhi ciò che le loro game non gli hanno permesso di andare a vedere. Mah….

Distolgo subito sguardo e pensiero da questi moderni viaggiatori, la cascata che scende a valle e si infrange sul ghiacciaio sottostante richiama la mia attenzione ed io mi lascio stupire da tanta grandiosità.

VULCANO GORELY (1.829 mt)

L’ascesa al Vulcano Gorely avverrà con il classico “Kamchatka weather” ovvero, nebbiolina e pioggerella tanto che una volta arrivati in vetta dovremo “lavorare di fantasia” per vedere il turchino lago che ricopre il vasto cratere.

Non ci resta che scendere giù di corsa in valle per poi procedere con il camion attraverso cumuli di neve e sterpaglia fino a trovare il posto giusto per allestire il prossimo campo.

Io e la Vale ci siamo incantate un attimo ed ora i nostri amici hanno già montato le tende mentre noi vaghiamo in mezzo ai bagnati arbusti per cercare il posto perfetto per sistemare la nostra bella “casetta” ma qui è tutta una gobba, mi sa che stasera si dormirà male. Noi però ci facciamo una risata, tanto riusciamo a dormire anche sui sassi.

VULCANO AVACHINSKY
(2.741 mt)

Sistemati in un comodo alloggio, alle pendici del Vulcano Avachinsky ci godiamo l’atmosfera nel giorno che precede la festa più importante del Paese dove si festeggiano i tanti vulcani presenti in questa penisola.

Gli abitanti accorrono da tanti angoli del Paese per bere, in primis, mangiare e poi risalire il mitico Vulcano.

Noi non vediamo l’ora ed il giorno precedente ci scaldiamo le gambe risalendo una vetta nelle vicinanze.

All’alba siamo pronti per l’ascensione più spettacolare del viaggio, che ci porterà sulla vetta del Vulcano Avachinsky.

Alle 7 parte la corsa di skyrunning, il parterre pullula di sportivi più o meno in forma.

Sasha, la nostra guida ci procura i pettorali con i numeri dunque, una volta indossati non ci resta che partire.

Gli atleti che puntano alla vittoria volano verso la cima e noi procediamo talmente spediti (?) che Sasha di tanto in tanto ci esorta ad uno stop.

Io sono quella che maggiormente vengo redarguita in quanto detesto le soste forzate. Io non mi fermerei mai mentre lui ha evidentemente necessità di fermarsi. Vecchio lupo… eh eh eh

Dice di non aver mai trovato un gruppo così veloce. Io mi adeguo agli ordini impartiti.

Scalpito ad ogni sosta e non freno il mio andare se non dopo aver sentito l’eco della sua voce che grida: Elena, stoop!

Di fianco a noi appare l’imponente Vulcano Korijakskij. E’ così bello che mi par di esser davanti all’Everest.

Risaliamo il sentiero sassoso in mezzo ad una moltitudine di ragazzi, signori e bambini che avanzano più o meno allegramente.

Ci sono superdonne truccatissime con jeans attillati e scarpette alquanto inadeguate, uomini con mimetiche ed anfibi. C’è di tutto e di più.

Alcune signorine vengono letteralmente trascinate per mano da uomini alcuni moolto carini ed io e la Vale ci “facciamo gli occhi”.

Taluni salgono a suon di musica portando in spalla grandi radio.

In mezzo a questo pour pot-pourri di gente saliamo allegri consapevoli della maestosità del paesaggio che ci circonda.

Ultimo tratto ripido da percorre tenendosi stretti ad una corda ed eccoci arrivati, in men che non si dica.

La gioia di esser quassù è immensa e ci abbracciamo felici. Sul pettorale viene scritto il tempo impiegato.

Guardo il viso di Sasha percepisco che è fiero di noi, meno male, se solo non fosse che ci obbligava a degli stop forzati, vedevi tu come li sistemavamo sti Russi, ah ah ah.

Il cratere sommitale di lave color rosso fuoco, tappato da ossidiana nera e fumante ci rapisce e noi ci perdiamo dentro a questi fumi, circondati da una moltitudine di gente che onora nei modi più disparati questo bellissimo momento.

LAGO KURIL

Un volo in elicottero di 300 km ci permette di sorvolare questo incantato paese per raggiungere all’estremo sud a circa un migliaio di chilometri dal Giappone il Lago Kuril, un lago caldera.

Ogni anno, da Luglio a Settembre, è teatro della risalita dei salmoni “red” rigonfi di uova che dall’oceano nuotano fino alle sorgenti dei piccoli torrenti affluenti al lago dove essi sono nati.

Qui decine di Orsi Bruni popolano le foreste adiacenti le rive del lago e dei torrenti richiamati da un’enorme quantità di pesce.
Cibo in abbondanza ricchissimo di grasso, utile riserva calorica per il prossimo rigido letargo invernale.

Va in scena così uno dei più affascinanti spettacoli che la Natura ci regala. Kobalan (così si chiama l’orso nel linguaggio locale) è l’attore protagonista di questa storia ambientata in un mondo perduto ed irraggiungibile dove il tempo è scandito soltanto dai ritmi costanti e ripetitivi di quel meraviglioso ecosistema Patrimonio dell’Umanita

Prendiamo la barca e costeggiamo le spiagge di questo lago caldera e mi commuovo alla vista di questi grossi orsi a caccia di pesce.

Spesso e volentieri sono costretta a fotografare la faccia demoralizzata di questi enormi orsi dovuta alla mancata presa del salmone ma, rimbomba ancora nelle mie orecchie il forte crack che rompe il silenzio ogniqualvolta l’orso riesce a sbranare il povero pesce che comunque è grande e coloratissimo.

Saranno dolori poi quando l’elicottero, durante il volo di rientro ci fa fermare in un lago dove avrò modo di indossare il mitico costumino rosso brillante per immergermi nelle ustionanti acque di almeno 45°.

Ma, siamo impazziti? Fuori subito da qui, altrimenti mi sciolgo.

A bordo del potente camion, nostro intrepido autista Andrej ci condurrà ora al Nord in un lunghissimo viaggio lungo l’unica strada in terra battuta e ghiaia che attraversa la Kamchatka da sud a nord per oltre 600 chilometri.

E’ una strada che non ha congiunzioni con altre strade verso la Siberia (la Kamchatka è di fatto isolata dal reso della Russia e non è raggiungibile via terra).

Andrej ci guida con maestria attraversando ruscelli e zone paludose con estrema facilità e disinvoltura. Ed il viaggio prosegue tra un rigenerante bagno in una sorgente calda ed un lauto pranzo a Milkhovo (un villaggio di 8900 abitanti a 300 chilometri a nord di Petropavlovsk).

La strada attraversa una fitta foresta di betulle nel centro della Kamchatka, tagliando in due la valle formata tra la catena di vulcani presente ad est ed i monti presenti ad ovest.

Dopo aver attraversato l’immensa foresta talvolta schiacciata da fiumi di lava a seguito di massicce eruzioni di Vulcani e, non prima di esserci fermati a tagliar legna per il fuoco della sera, il camion inizia ad avanzare su un suolo lavico dove la vegetazione sparisce gradualmente.

Raggiungiamo infine il luogo dove verrà eretto il campo base, luogo di partenza per i prossimi trekking.

La zona è chiamata “foresta morta”.
Qui svettano esili fusti di migliaia di alberi che sono stati uccisi all’istante dalla nube ardente, ad oltre 1000 gradi centigradi, lasciando solo scheletrici tronchi

In molti casi, quel che emerge al suolo è soltanto la parte superiore dell’albero morto in quanto, a seguito dell’eruzione, si sono depositati al suolo ceneri e detriti, dello spessore che può raggiungere i sei metri.

Risaliamo oggi fin sulla bocca di un cratere, camminando su materiale vulcanico contenente varie sostanze che trasformano il suolo in un mosaico coloratissimo.

Arrivati sulla sommità, al suolo sono presenti piccole fessure da dove fuoriesce un leggero flusso di aria calda. Qui, si rischia di fondere gli scarponi, attenzione.

VULCANO TOKBACHIK (3.682 m)

Finalmente, dopo un giorno di mega trekking su un fiume di lava ancora fumante, è arrivato il giorno del Vulcano Tolbachik.

Partiamo che il tempo è pessimo ma io sono molto fiduciosa ed infondo sicurezza al gruppo che si lascia entusiasmare nonostante la pioggerella ed il cielo interamente coperto.

Camminiamo silenziosi tutti in fila, intorno a noi il bianco assoluto ma dopo alcune ore fortunatamente il cielo si pulisce e la vista spazia tra il ghiaccio misto e detriti vulcanici di varia natura.

Davanti a noi svetta l’imponente cima del Vulcano che noi ammiriamo a bocca aperta ma, meglio procedere, ne abbiamo ancora di strada da fare.

Dopo alcune ore raggiungiamo finalmente quota 2.850 mt da dove si apre davanti ai miei occhi una vista spettacolare, il cratere del vulcano Tolbachik con un diametro medio di oltre un chilometro e mezzo ed una profondità di 500 metri.
Al suo interno “cola” il ghiacciaio Shmidt.

Saliamo ancora un centinaio di metri fino ai bordi del cratere, il cielo è azzurrissimo e davanti a me la vista sul coloratissimo cratere è mozzafiato

Il panorama dal Vulcano è grandioso e spazia su diversi grandi vulcani presenti intorno.

Scende ora il sipario di questo sorprendente viaggio che mi ha permesso di apprezzare questo stupendo angolo di paradiso ancora selvaggio, lontano da tutto e da tutti.

Gruppo top il nostro che non si è affatto lasciare scoraggiare in nessun momento, nemmeno quando in mezzo alla foresta siamo stati assaliti da miliardi di zanzare che, se rimanevamo ancora un po’ là ci avrebbero mangiati vivi, ah ah ah.

Torno in Italia con gli scarponi consumati ma le mie gambe non si sarebbero fermate davanti a nessun Vulcano.

Con la fantasia che mi contraddice danzo da una vetta all’altra e non mi importa del meteo, ogni condizione è buona per il mio animo avventuroso e corro libera e senza meta in questa lussureggiante e selvaggia terra.

Forse l’orso riuscirebbe a fermarmi ma io credo che se lo incontrassi gli farei l’occhiolino e diventeremo amici, eh sì!

Grazie mitico gruppo di Avventure e grazie Kamchatka per tutto ciò che è stato!

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Cross Borneo – Itinerario

Il Cross Borneo si divide in 3 fasi:

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Alla fine del trek nella giungla – Tanjung Lokang

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Da Balikpapan a Tiong Ohang

Balikpapan – Samarinda

Durata del tragitto, 3/4 ore. Interessanti scorci lungo la strada

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Mahakham River

Purtroppo non avevo molti giorni a disposizione, solo 18 giorni compresi i voli, quindi sono andata direttamente a Tiong Ohang, visitando solo di sfuggita lo splendido Mahakam River.

Ho preso una long boat fino a Tering e una spead boat da Tering a Long Bagun. Ho avuto modo di conoscere ed intrattenermi con la gente del luogo. Durata totale 2 giorni (3 se li fate tutti in long boat)

Da Long Bagun a Tiong Ohang sono 5/6 ore di speed boat fra le rapide. Parte solo dopo aver raccimolato minimo 20.000.000 IDR. Noi eravamo in 32 là sopra… Mi chiedo ancora adesso come abbiamo fatto a starci!!! A seconda delle condizioni del fiume, potrebbero farvi scendere prima delle rapide e farvi risalire a monte. Questa cautela è data anche dal fatto che sono morti una turista tedesca, la sua guida e 3 locali a causa di una falsa manovra della barca. QUINDI, SCENDETE SE NECESSARIO!

Da Tiong Ohang all´inizio del trek

La vostra guida organizzerá una canoa motorizzata che con 3 ore di navigazione vi porterà direttamente all´inizio del trek nell´ora più calda della giornata. Il paesaggio è molto belle e ovviamente anche qui ci sono delle splendide rapide

Cross Borneo trek day by day:

Indicativamente si cammina ogni giorno dalle 7:00 alle 14:30/15:00, quindi dalle 7 alle 8 ore compresa la pausa per il pranzo e le innumerevoli pause per recuperare fiato e forze.

L´andatura media è di 1km/h, quindi i km percorsi alla fine non sono tantissimi, anche se 1km nella foresta pluviale può essere anche come 10 nel nostro bosco… per capire meglio, si veda il giorno 5.

Lungo il percorso tutto è scivoloso, dalle rocce dei fiumi fino, al muschio verde che ricopre le pietre e i tronchi, fino alle radici e al fango che si trova ovunque. Inoltre ci sono rami e alberi completamente divelti, riversi sul percorso, diventando alla fine parte integrante del tragitto.

Bisogna sempre fare estrema attenzione prima di sposare un piede, che l´altro sia ben saldo (per quanto possibile sia) e che le radici, i tronchi e gli alberi a cui ci si aggrappa, siano ben ancorati.

La corrente dei fiumi, soprattutto dopo una notte di piogge, può essere spaventosamente forte, quindi aggrappatevi a liane o ai portatori (se riescono a stare in piedi) e cercate anche qui, quando possibile, la sabbiolina che fa più presa.

Però si viene ripagati da una natura incontaminata, da vivere con tutti i sensi, all’interno della quale ci si sente vivi, liberi e un tutt’uno con essa. Indescrivibilmente magica, da far accapponare la pelle e far piangere dalla felicità di essere in questo luogo in cui il tempo non solo sembra che si sia fermato, ma che addirittura non esista!

Lo rifarei domani!

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  1. MUARA HUBUNG – ATIKOP HILL – MUARA SAITE – poco impegnativo

L´inizio è già interessante… Una ripida salita, di fango, resa meno scivolosa da radici sparse qui e là. Poi si continua fra la foresta secondaria per arrivare al fiume dove si campeggerà sotto il classico tendone blu

2. MUARA SAITE – SUNGAI BEKANA – ARINGE – poco impegnativo

Si snoda per la foresta addentrandosi sempre di più. È per lo più pianeggiante, il percorso è abbastanza segnato e non presenta difficoltà estreme. Unico passaggio che richiede attenzione è la parete di rocce scivolose prima della lapide del ragazzo olandese morto in questo punto.

3. ARINGE – MULLER RANGE – impegnativo

Si parte per la salita ai monti Müller, per campeggiare vicino al confine fra ovest e est. La salita è molto impegnativa, in alcuni punti dovrete letteralmente arrampicarvi facendo uso delle radici o qualunque altra cosa troviate a vostra disposizione. In circa 2km, salirete di 600m… senza contare i sali e scendi vari…

Per parafrasare i nostri commenti, è come trovarsi sulla parete nord dell´Eiger, cosparsa di fango e radici, in cui gli alberi sono attaccati con lo sputo e sfidano la forza di gravità.

Quando arriverete in cima, troverete sicuramente la splendida e immancabile nebbiolina tipica della foresta pluviale. Le sanguisughe abbondano, ma gli scorci e la vegetazione indescrivibilmente bella.

4. MULLER RANGE – SUNGAI SABANG – Molto impegnativo

La discesa risulta essere più breve della salita, ma nel primo pezzo comunque impegnativa. Si iniziano a guadare fiumi con corrente di intensità via via più elevata, ci sono pezzi in cui ci si deve arrampicare o scendere con uso di liane o corde.

5. SUNGAI SABANG – BUNGAN LEA – estremo

Questi sono stati i 3km più lunghi, intensi e pericolosi di tutta la mia vita. Il fiume era in piena e lo abbiamo attraversato penso attorno alle 50 volte, attraversando frane e cercando alla bell´e meglio l´equilibrio e un sentiero nemmeno abbozzato sulle sponde scoscese che si gettavano nel fiume dalla corrente torrenziale.

Tronchi e rami ovunque, smottamenti, terreno che cedeva, rocce, sali e scendi continui e alle volte estremi, liane, corde, radici a cui aggrapparsi, il tutto scivolosissimo; tutto questo perché la corrente non ci ha consentito di utilizzare il percorso naturale… il fiume!

Un´avventura degna di questo nome, ma molto molto bella e intensa, seppur estremamente pericolosa.

6. BUNGAN LEA – BRAKAN – Molto impegnativo

Simile al giorno precedente, ma meno intenso, grazie al fatto che non ha più piovuto e che quindi abbiamo potuto utilizzare per lo piú il percorso originale. Alcune frane e alcuni tronchi lungo il tragitto. Brakan è un villaggio di minatori nel quale potrete comprare alcuni generi di conforto, quali sigarette, zucchero, riso.

7. BRAKAN – SUNGAI BULIT – DATAH OPET – poco impegnativo

Trekking semplice rispetto agli altri giorni e abbastanza pianeggiante, su foglie, fango e tronchi. Anche qui ci sono alcune difficoltà, ma dopo tutto l’allenamento dei giorni precedenti, è stata quasi una passeggiata.

Abbiamo visto la prima grotta.

Ci siamo accampati poco prima della salita dell’ultimo giorno.

8. DATAH OPET – BURU HONGKANE – TANJUNG LOKANG VILLAGE, impegnativo

La salita è davvero impegnativa, ma non come quella dei Müller. Si snoda tutta a fianco a grotte splendide, ma visitabili solo con un permesso speciale governativo, visto che la gente del luogo vive sui nidi di rondine raccolti in queste grotte.

In cima c´è una grotta immensa, splendida, dove ci sono tumulate anche delle persone.

Nella discesa abbiamo trovato un groviglio di tronchi e rami molto impegnativo, per poi uscire su una foresta di felci e arrivare a Tanjung Lokang.

Da Tanjung Lokang a Pontianak

Da Tanjung Lokang a Putussibau

Tanjung Lokang è una “strada” se cosí la possiamo chiamare, con case di legno da una parte e la riva che scende verso il fiume dall´altra. Non penso sia più lungo di 700m… Da qui l´unico mezzo per raggiungere Putussibau, è prendere una canoa motorizzata, passare numerose rapide e godersi il panorama per 7/8 ore, a seconda della difficoltà delle rapide e della corrente. Il paese è noto per cercare di “pelare” i turisti sul prezzo della barca… essendo l´unico mezzo e dovendo voi prendere un aereo… All´ingresso dell’unica Longhouse per turisti, troverete affissi i prezzi concordati, 6.500.000 IDR per la barca totale (massimo 10pax). Indicativamente vi può anche non interessare, ma siate sicuri di averla compresa nel prezzo.

Putussibau – Pontianak

Noi abbiamo preso un volo della Garuda. La durata approssimativa è di 45 minuti; dall’alto si capisce chiaramente lo stato avanzato della deforestazione

Falling in love with… Putussibau!!!

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These were the best 3 days ever spent in an unknown town during a trip!

Don’t trust the few sentences in the lonely Planet book “This lively river town is the last stop for airlines and long-distance buses, as well as the last chance for an ATM, before launching into the wilderness”.

Usually the people will spend just one night because they need to wait until the morning after to catch a bus or a flight to proceed further…

BIG MISTAKE!!! Putussibau could be even better than New York or Rome, but you need to be as lucky as us. Just to know… I’ve done almost 700 shots!!!

It means…

  1. After arriving completely dirty and stinky as you even do not accept from the Cross Borneo trek and dreaming about a shower, good food and a cold soft drink, visiting and talking with the Dayak people of Tanjung Lokang, you should eat as fast as possible a terrible rise with something, remain with the same stinky, dirty and wet things, just to catch the speed boat that would leave in 1 hour…
  2. You have already booked your flight to Pontianak, then Jakarta, then Singapur: they have the same Booking reference, so should be done together… So no way to change your flights with a previous one or to split it, just to visit Pontianak…
  3. You have more than 2 days. We spent 3 nights and 2,5 days in total…

But let’s proceed step by step…

27 April 2017

My friend (Dominus Trium Subigarium, DST) and I arrived in Putussibau around 19:30 after 5:30 hours of navigation on a motorized canoe. I do say that the first impact was not the best ever… Just trying to find the place where we need to get down, the canoe left us in a field, with the water to our ankles, in front of us a dark road and at the end a wooden gate!

Anyhow the hotel was more than perfect and the satè ayam (chopstick of chicken with peanut sauce) more than delicious.

28 April 2017

After doing breakfast at 8:00, we’ve done breakfast with Datu at 9:00, then drove to the airport and then to the Garuda main office in Putussibau, trying to change our flight… No way, even if the lady of Garuda tried even after and Datu tried with the office in Samarinda.

Then we visit the market… And I started to understand that this little city is a special one! People are smiling and stopping us just to have a picture with us or just to ask us where are we from… Everybody! Gorgeous!!!

The market is an explosion of curiosity, mixed with fruit, fish, vegetables and much much more almost never seen. But the best part, even here, is that the people are really happy to explain you everything.

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After a little break inside the hotel, trying not to burn during the hottest hour of the day, we start again our discovery of this great city.

After a walk, we found a wooden bridge that drove us just on the other side of the bridge and we discover a complete new village, where we met Alina and Surya, that showed and told us everything about this part of Putussibau where basically all the people are in some way their relatives.

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Then she invited us to her home the day after! And for sure we accept it!

Last but not least, our massage was the best one ever… even if I was feeling totally destroyed right after it!

29 April 2017

Alina told us that she is leaving in front of the police station and we were walking just where Datu yesterday told us that the police office is… We didn’t find it, but one of the guys of the police of the Governor, after having some picture with us, helped us with his car to find Alina. Putussibau is so amazing!

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After a while we found the house, it was in front of the police station…

Alina’s family is really kind and great! we visit the house, really beautiful, in wood.

They offered us everything to eat, really delicious, her mum went also to the market to take it and Alina explained us everything, then we started to share pictures about our house, friends. Facebook and Instagram is really useful in these cases! Then we start to take pictures, almost selfie, in each and every position. Alina’s mum is a tennis champion,her father too. They were just coming back from Pontianak from a match that they won!

I do really cannot explain how incredible was visiting Alina’s family; I was basically feeling to visit some old friends.

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Unfortunately, time was running and just after coming back to the hotel, we decided to visit the church close to the AmanSentosa (our hotel). There were almost 20 people that were painting their face and while we were visiting the church, one of girl those girls told us that was the preparation for the mass of this evening. Then she told us that if we have like to join them, she could bring us with her at 16:00.

Putussibau was gorgeous before, and again and again!

The mass was celebrated inside a gym; the girls, and almost another 100 people wore odd costume and dance to the rhythm the chore, two singers and musicians are playing.

Then spent the last few hours drinking in front of the river.

30 April 2017

yesterday we discovered another great spot of the market in Putussibau and we visited. Again, we spent the most of the time smiling, being part of tons of picture and discovering unknown food.

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Time to leave, but the people of this little but great village will be always in my mind.

A great thanks to Alina, Surya and all their fantastic family!!!

PLEASE VISIT PUTUSSIBAU, KAPUAS HULU!!!

Cross Borneo Trek… manca poco!!!

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Tra poco si parte!!! Primo volo verso il cuore del Kalimantan, il Borneo indonesiano.

Non sarà un viaggio comodo, sicuramente, ma ci permetterà di entrare in stretto contatto con la foresta primitiva e con popolazioni di Dayak non abituate al turismo.

Siamo 2 viaggiatori in tutto, io e un amico che viaggia in incognito e che da qui in avanti chiamerò Dominus Trium Subligarium o DTS; man mano che procederemo nel viaggio, anche le sole 3 mutande che si è voluto portare per ridurre il peso al minimo, prenderanno vita e avranno un nome e, se sopravvivranno, scriveranno anche un articolo…

In loco, per la precisione a Balikpapan, incontreremo Datu Bambang e per il trekking si uniranno 3 portatori. In totale quindi saremo 9, 6 umani e 3 mutante viventi.

Il nostro viaggio, conosciuto da quei pochi che ne hanno sentito parlare come Cross Borneo, è una grande avventura a stretto contatto con la foresta pluviale incontaminata, in una delle isole piú selvagge della terra. È un viaggio impegnativo, che segue la Old Dayak Punan Route, percorso seguito anche da Georg Muller nel 1825 e dall´esploratore tedesco Anthony Schwaner fra il 1843 e il 1848, attraversando il Kalimantan da est a ovest, per strade, terreni accidentati, fango, montagne ripide, fiumi, torrenti, rapide, all´interno della foresta primaria.

Inizieremo la nostra avventura a Balikpapan e ripartiremo da Putussibau. Questo il nostro itinerario di massima:

ITINERARIO:

13/04/17 Francoforte – Singapore
14/04/17 Singapore
15/04/17 Singapore – Jakarta – Balikpapan – Samarinda
16/04/17 Samarinda – LONG BAGUN (3 giorni in barca)
17/04/17 barca
18/04/17 ARRIVO IN LONG BAGUN
19/04/17 LONG BANGUN – TIONG OHANG
20/04/17 TIONG OHANG – MUARA HUBUNG – ATIKOP HILL – MUARA SAITE
21/04/17 MUARA SAITE – SUNGAI BEKANA – ARINGE
22/04/17 ARINGE – MULLER RANGE
23/04/17 MULLER RANGE – SUNGAI SABANG
24/04/17 SUNGAI SABANG – BUNGAN LEA
25/04/17 BUNGAN LEA – BRAKAN
26/04/17 BRAKAN – SUNGAI BULIT – DATAH OPET
27/04/17 DATAH OPET – BURU HONGKANE – TANJUNG LOKANG VILLAGE
28/04/17 TANJUNG LOKANG VILLAGE
29/04/17 TANJUNG LOKANG – NANGA LAMPUNG – KAPUAS RIVER – PUTUSSIBAU
30/04/17 PUTUSSIBAU – PONTIANAK – JAKARTA – Singapore
01/05/17 Singapore – Francoforte
02/05/17 Francoforte

Irian Jaya: diario di viaggio

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31.07.2010 – Sabato – 1° giorno

Italia – Francoforte – Abu Dhabi

Arrivati ad Abu Dhabi, con tutte quelle ore di attesa, decidiamo di farci il giro di questa cittadina.

Sarà il caldo opprimente all’uscita dall’aeroporto, ma ancora una volta incorro nell’errore di chiedere al tassista “il centro”… Dopo circa mezz’ora di taxi, siamo al centro commerciale più importante di Abu Dhabi, facciamo una breve passeggiata costeggiando il lungo mare, poi distrutti da quell’afa umida ed opprimente, decidiamo di andarci ad ibernare all’interno del Centro commerciale, per cenare a base di hamburger gigante.

Sarà il caldo, sarà che è notte, sarà che è da troppo che siamo in aereo e che la nostra destinazione è totalmente diversa, ma direi che Abu Dhabi non mi ha esaltata…

Riuniamo il gruppo solo verso la mezzanotte ora locale, dove incontriamo per la prima volta Giulio, il “nonno” del gruppo… Non lo conosciamo e facciamo subito il “toto Giulio”, avvicinandoci alle persone che sembrano avere circa 70 anni e chiamando con nonchalance “Giulio?”

Alla fine eccolo arrivare! E’ un bel signore, col volto simpaticissimo che inizia subito a raccontarci mille aneddoti, fra cui la sua tentata fuga in Egitto a 8 anni, per una prima vacanza avventurosa! Che bello! Il gruppo si è finalmente formato e adesso non ci rimane che entrare nel 3° aereo, quello che ci porterà in Indonesia, primo scalo, Jakarta.

Sempre più vicini alla meta!

01.08.2010 – Domenica – 2° giorno

Abu Dhabi – Jakarta – Jayapura

Quando arriviamo a Jakarta, dobbiamo fare davvero tantissime cose. Anzitutto prendere il visto, che paghiamo in dollari perché decisamente conveniente, poi dobbiamo fare le fotocopie, aprire la cassa, cambiare tutti i soldi e prendere i biglietti della Trigana da Jakarta!

Poiché è domenica e poiché devo cambiare 14.000 €, per paura di non trovarli, visto anche che Jakarta è l’ultima frontiera per cambiare gli euro, mi ero messa d’accordo con Mahjum della Kakadu Travel.

Appuntamento da KFC; con tanto di poliziotto, Mahjum mi cambia tutto a 11400 IDR per 1 €, poi mi da i biglietti della Trigana.

Rientrati, facciamo il check in, ceniamo e poi di nuovo sul volo.

Ci impiegheremo ben 6h40’ per arrivare a Jayapura…

Ormai il concetto di spazio e tempo non esiste più!

02.08.2010 – Lunedì – 3° giorno

Jayapura – Wamena

E finalmente ci siamo, dopo aver fatto una breve sosta a Makassar, stiamo sorvolando l’ex Irian Jaya. Sotto di noi uno spettacolo incredibile, una foresta fittissima, interrotta a tratti solo da fiumi secolari che serpeggiano con le loro numerose anse.

Poi Jayapura, un paradiso, con le sue colline di velluto verde e il lago…

All’aeroporto incontro finalmente il tanto agognato Andreas, che ci consiglia di tenere lo zaino più pesante come bagaglio a mano, per evitare di pagare la sovrattassa.

L’aeroporto di Jayapura mi sembra davvero fuori dal mondo…

Dopo il check in, inizia l’attesa, poi, dopo solo 45 minuti di volo, atterriamo a Wamena.

Ora Jayapura mi sembra una metropoli; l’aeroporto di Wamena sì che è davvero fuori dal tempo; l’arrivo bagagli è un tavolaccio di legno.

Incontrato Herman, usciamo e ci dirigiamo all’albergo; ancora con addosso il nostro fare occidentale, salutiamo, un poco titubanti, il primo Dani con Koteka… Forse pensiamo che sia lì per i turisti… Lui invece, che ha passato una buona mezz’ora nel vedere l’uccello di ferro atterrare e ad osservare noi pallidi turisti occidentali, che viaggiamo portandoci la casa, ci da la mano, ci regala uno splendido sorriso sdentato e poi, contento, procede per la sua strada…

L’albergo è davvero “impegnativo”, ma ha un letto e questo basta e avanza!

Lascio il gruppo a sistemarsi, ci diamo un appuntamento alle 17 per discutere meglio l’itinerario, poi io vado a fare le fotocopie e mentre Herman procurerà il Surat Jalan, io andrò a cercare di confermare l’aereo charter della Susi Air per Kosarek, incontrando le prime difficoltà: “aereo in manutenzione fino al 16, piloti in vacanza fino al 16 agosto, non ti preoccupare, il 18 ti verremmo sicuramente a prendere, o io o quelli della MAF…”

Definito che prima del festival faremo una capatina dagli Asmat e dopo il festival, aereo permettendo, andremo dagli Yali, decidiamo di chiudere la serata in bellezza, al Blanbangan, ristorante in cui diventeremo degli habitué…

03.08.2010 – Martedì – 4° giorno

Wamena – Dekai – Logpon – Burbis

Devo essere alle 7:00 in aeroporto, area biglietteria Trigana Air.

E qui inizia l’avventura! Un nuvolo di persone sono assembrate in quella che più che una biglietteria di una compagnia aerea, sembra un chioschetto che vende biglietti del pullman…

Tutti mi guardano con occhi sgranati, spingono, ma mi sorridono e cercano di aiutarmi. Io a gesti mi faccio capire e con il dito indico la prenotazione riportata a mano su un quadernone. L’addetto alla biglietteria allora inizia manualmente a scrivere i miei 12 biglietti. Poi pago, andiamo all’interno a fare il check in, mitico! Ovviamente tutto in manuale con peso dei bagagli tramite una stadera! E poi inizia l’attesa, che inganneremo facendo un giro per la città, scorrazzando nella pista di atterraggio e prendendo bevande al bar.

L’aereo, infatti, dovrebbe partire in un’ora compresa fra le 10 e le 11, in realtà parte alle 12.

In 20 minuti siamo a Dekai, nemmeno il tempo di alzarsi in quota per passare le montagne, che stiamo già atterrando.

A Dekai non c’è nulla, solo una leggera pioggia e due pick up che ci porteranno a Logpon, il porto di partenza della nostra magnifica “crociera” fra Brazza e Siretsi!

Prima di arrivare al porto ci fermiamo a farci timbrare i permessi, paghiamo il primo poliziotto, poi, prima di ripartire, affettiamo un salame per saziare il nostro languore.

Dopo una scorta di frutta e acqua siamo al porto, il cellulare già non prende più e iniziamo a fantasticare su quale potrebbe essere la nostra barchetta… Tutti di cuore speriamo che non sia il cargo attraccato alla riva.

E infatti Sam, il proprietario della barca, ci accontenta! Sulla riva, molto più in basso, talmente in basso che non l’abbiamo nemmeno vista, giace una canoa lunga circa 12 metri, con un piccolo motore… Eccola! E’ lei… Direi che fa tanto avventura!

Sotto gli occhi increduli e incuriositi dei locali, carichiamo i nostri bagagli e iniziamo così la prima parte dell’avventura.

I sediolini sono ricavati da due assi tagliate col macete, non comodi, ma si sa, siamo in mezzo al nulla e questa sembra una nave da crociera!

L’ambiente è splendido, piante mai viste, un verde reso ancora più abbagliante dalla luce intensa che c’è in questa parte del mondo.

Poi, dopo circa 2 ore e mezzo di navigazione, inizia a calare il buio, la giungla sembra che si animi di qualunque rumore, sopra di noi pipistrelli giganti sorvolano l’area e le lucciole, illuminano alcuni alberi come addobbi natalizi.

Non ho mai assistito al vociare di una natura così incontaminata, resto affascinata, incredula che solo 1 giorno fa, ad assordarmi era il trambusto del traffico di Jakarta, la capitale di questo Paese!!!

Dovremmo navigare ancora 4 ore e io dovrò tagliare una bottiglia di acqua per fare la pipì, perché accostare alla riva con il buio non è certo sicuro, prima di fermarci a Burbis, dove passeremo la notte.

Herman contratta un luogo coperto in cui mettere le nostre tende, poi vorrebbe farci solo un te!!! Ovviamente noi abbiamo fame e anche se lui non ha pensato alla nostra cena (come avrebbe dovuto…), decidiamo di fare una spaghettata per assopire la nostra fame.

Nel mentre, ridiscuto l’itinerario, perché le 6h30’ di navigazione di oggi non mi lasciano tranquilla… E infatti, dopo aver fatto mille domande, per cercare di capire davvero quante sono le ore di navigazione che ci aspettano domani (secondo lui oggi dovevano essercene solo 4!!!), decidiamo di non arrivare a Kaimo, ma di fermarci al villaggio prima, a Fos ed evitare così ben 16 ore di navigazione l’ultimo giorno!!!

Capisco che il tempo e lo spazio sono relativi in Irian Jaya e che forse l’avventura sul fiume, non è tanto mestiere di Herman, che sembra più ferrato sulla valle del Baliem…

Comunque sia, oggi è stato splendido e domani dormiremo dagli Asmat, più di così cosa vogliamo?

04.08.2010 – Mercoledì – 5° giorno

Burbis – Suator – Fos

Partenza alle 8:30, per rifermarci a Suator, dove avremmo dovuto dormire ieri sera.

Qui lasciamo un altro obolo alla polizia per i permessi, poi facciamo con Tinius un minimo di spesa. Suator è il primo paese “Asmat”. Diciamo che a vederlo così, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quanto mi ero immaginata da piccola e in tutti questi anni di letture…

Case di legno e di lamiera, bimbi con la pancia gonfia che fumano già a 3 anni, le passerelle per evitare il fango, un ospedale e tanti negozietti gestiti da indonesiani.

E’ vero, siamo nella upper part del territorio Asmat e questa è una cittadina con posto di polizia, ma è un villaggio davvero asettico, brutto, dal quale tutti vogliamo scappare…

Continuiamo la nostra navigazione dopo aver fatto rifornimento di cibo, man mano il fiume si fa sempre più ampio, diviso in alcuni punti da grandi isolotti.

Poi, poco prima del tramonto, arriviamo a Fos.

Herman scende dalla canoa e va subito dal capo villaggio a chiedere il permesso di scendere e di poter usare la casa degli uomini come bivacco. Io lo seguo e tutti gli abitanti, che si erano assembrati sulla riva del fiume a vederci arrivare, ci scortano all’interno della casa degli uomini.

Mi profondo in sorrisi, stringo la mano ad un anziano signore rinsecchito, ma con uno sguardo iper fiero. Sono di fronte ad un vero capo Asmat e il suo alone di maestosa importanza mi fa capire che sto vivendo qualcosa di unico.

Anche se ormai gli Asmat sono tutti coperti da magliette sgualcite e pantaloncini bucati, la fierezza del loro sguardo annulla questi abiti, è come se li cancellasse; mi fa capire che anche se i missionari hanno cercato di “domarli” e di renderli degli agnellini, la fierezza dell’appartenenza al gruppo non può essere cancellata, secoli di storia sono nei cromosomi di questi fieri guerrieri, il loro sguardo trasuda in ogni attimo la storia che hanno vissuto e che hanno scritto, i loro gesti sono figli di quei riti che hanno fatto riecheggiare il nome dei loro antenati in tutto il mondo.

Sono nella loro terra, luogo selvaggio e difficile, in cui solo 30 anni fa avrei avuto tutt’altra accoglienza.

Il capo villaggio ci da il suo assenso; stasera dormiremo all’interno della casa degli uomini, in fondo, con le nostre tende, per creare il giusto distacco che ci viene richiesto.

La casa degli uomini, quasi non ci credo, mi sembra di vivere un sogno… Mi guardo attorno, sono all’interno della struttura più importante della comunità Asmat, una struttura in cui, fino a pochi anni prima, sarebbe entrata solo la mia testa, alla quale avrebbero procurato un buco con un’ascia e dalla quale avrebbero bevuto il mio cervello solo gli uomini, gli unici che potevano entrarvi!

Il corpo sarebbe stato smembrato in piccoli pezzi, al di fuori di tale struttura e sarebbe stato mangiato dal resto del villaggio…

E così sarebbe successo agli altri 9 partecipanti…

Lasciamo i nostri bagagli all’interno di tale struttura ed usciamo con Herman a visitare il villaggio.

Gli Asmat non ci sorridono, ci seguono, ci scrutano, cercano di capire cosa siamo e che cosa vogliamo nella loro terra; ci seguono e non si vergognano a farlo, sicuri, perché sono a casa loro.

Devono prendere contatto con lo straniero, devono accettarlo e lo fanno seguendolo, in ogni dove, sempre, con insistenza.

Dopo aver ottenuto il permesso, entriamo in una casa privata. Il caldo è opprimente e un uomo sta cuocendo una palla che sembra cemento sopra un focolare primitivo.

E’ sago, il famosissimo sago… Ce lo fa assaggiare; caldo è talmente colloso che non si riesce a trovarlo buono, appena tiepido è mangiabile da risultare quasi buono.

Mi danno anche una larva di sago, ma sembra morta e non vorrei prendermi una dissenteria fulminante perché mangio carne non fresca, quindi salto, mi sa che la assaggerò la prossima volta J

Lo scorrere del tempo sembra diverso, il luogo irreale, non mi sento come spesso può accadere quando si vivono delle situazioni incredibili, “all’interno di un documentario”, ma mi sembra di essere sospesa nello spazio e nel tempo, in un limbo, in una dimensione in cui sto vivendo la storia dei miei antenati…

Al tramonto torniamo alla casa degli uomini, montiamo le tende, ceniamo a base di noodle (davvero buoni, bravo Tinius!) e poi assistiamo alla cerimonia dei tamburi, che abbiamo precedentemente contrattato.

Nella casa, lunga 30 metri, è raccolto tutto il villaggio; i canti tribali e il rumore del tamburo sembrano impossessarsi della comunità, ballano, gridano, sembrano in trans, sembrano un solo essere, una vera tribù… Che esperienza!

Poi Herman, traducendo forse la curiosità di qualche bimbo (o la sua…), ci chiede di cantare una canzone italiana.

Ci guardano, le braccia conserte, gli occhi fissi, sgranati, ci stanno ancora studiando, non ci hanno ancora accettati…

♫ “La brum del mmm ha un pppst nella mmm” ♫

Ed ecco che iniziano a ridere, ci chiedono il bis, ci fanno il verso… Amicizia è stata fatta! Da questo momento in avanti, nel continuare a seguire ogni nostro passo, ci sorrideranno, quasi come se ci avessero accolti nel loro microcosmo, come parte integrane di esso!

05.08.2010 – Giovedì – 6° giorno

Fos – Karmbis

Ci svegliamo all’interno della casa degli uomini, ovviamente anche a quest’ora, buona parte del paese sta con gli occhi sbarrati e qualche timido sorriso a scrutarci. Facciamo colazione e poi assistiamo Alessandro, che con l’aiuto di suo padre, sta girando delle immagini per fare un documentario che servirà per la sua tesi e, forse, passerà anche sul canale nazionale.

Il capo villaggio si è “vestito” all’antica maniera, ma ha tenuto il cappellino e per renderlo un poco più “Asmat”, ci ha infilato due piume. Alessandro gli mette il microfono, poi, accanto a questo signore dallo sguardo fiero, si inginocchi la moglie.

Inizia l’intervista, Herman traduce le domande in indonesiano ed un altro signore le rivolge al capo villaggio in lingua Asmat.

Subito capiamo che qualcosa non va nel verso giusto, o almeno in quello sperato… Herman non traduce correttamente le nostre domande e il più delle volte, è lui a dare una risposta, senza nemmeno chiedere al capo tribù…

“Come hanno accettato i vestiti occidentali?” ed Herman risponde “Hanno visto le magliette, gli sono piaciute e subito le hanno indossate” […]

E quasi tutte le altre risposte hanno un discutibile gusto cattolico…

E’ praticamente impossibile parlare del cannibalismo, dei simboli che erano all’interno della cultura Asmat; anche le leggende vengono stravolte in una chiave cattolica…

Nel mentre i giovani del villaggio si stanno preparando per la cerimonia delle barche che avviene poco dopo nel fiume, di fronte alla casa degli uomini.

Tale rappresentazione è molto interessante, ma forse per un refuso dell’intervista, mi lascia l’amaro in bocca… Questi giovani stanno simulando un rito cancellato per sempre, alle volte ridono, non si prendono sul serio; sono movenze e gestualità che hanno imparato dai loro genitori, ma solo per accontentare quegli sporadici turisti che si spingono in queste aree remote. Il capo villaggio rimane con altri anziani all’intermo della casa degli uomini, non assiste a questa rappresentazione. Ormai l’arte della guerra non appartiene più al popolo Asmat, questi giovani non hanno dovuto osservare per 3 giorni e 3 notti il teschio di un grande nemico per passare all’età adulta rinchiusi all’interno della Casa degli uomini, forse non conoscono nemmeno più il significato del loro nome.

E’ vero, la fierezza è nel loro sguardo, nelle loro movenze, nella loro anima, ma quel che sono stati, sta ormai sbiadendo con le nuove generazioni.

Forse, alla fine, è proprio vero, “Asmat, uccidere per essere”… Ora, a poco a poco, si stanno perdendo, sbiadendosi, tramandandosi riti, che non significano più nulla, se non rappresentazioni semiserie per turisti danarosi…

Foto di gruppo, poi rientriamo a cospetto del capo villaggio e degli anziani per pagare.

Il conto è su un pezzo di cartone; conto i soldi di fronte a lui; lui li guarda, ma non li tocca, non li conta. Poi faccio per uscire, ma Herman ci ferma e ci fa assistere mentre li fa pregare!!!

Penso che nei miei occhi rimarrà per sempre impresso lo sguardo del capo Asmat; uno sguardo di altissimo disprezzo, solo alcune parole di preghiera sbiascicate, gli occhi di un leone in gabbia, profondi, che intensamente gridano “Andatevene dalla mia terra…”

Riprendiamo la navigazione, con amarezza, con sconforto.

Ho rispetto di Herman, perché lui è un missionario che crede veramente in quello che fa e so che la preghiera è stata per lui come un gesto che sanciva la continuazione di un processo di salvezza per questi popoli primitivi. Ma per me lui rappresenta l’annientamento di queste culture millenarie e forse anche l’arroganza di tutti coloro che pensano di possedere la civiltà e la salvezza solo perché credono in un solo Dio e non temono la Natura, solo perché si mettono degli abiti anziché andare in giro nudi.

Gli Asmat, fino a trent’anni fa erano cannibali e vivevano sotto un alone di terrore, per le altre tribù e nei confronti della Natura che rispettavano. Erano in completa simbiosi con essa e il loro territorio era incontaminato. Oggi sono solo l’ombra di quel che erano, le case degli uomini distrutte, sporcizia ovunque, bimbi con la pancia gonfia e le loro tradizioni, tramandate ormai solo a scopo di lucro.

Una cultura millenaria, incredibilmente complessa, con tradizioni, riti e miti che hanno fatto parlare e discutere tutto il mondo, distrutta in nome di Dio…

06.08.2010 – Venerdì – 7° giorno

Karmbis – Papiti

Ieri sera ci siamo accampati all’interno della scuola di Karmbis, un altro paese Asmat, ormai completamente “civilizzato”. All’interno di essa, nuvoli di persone che ci guardavano mentre piantavamo le tende. Di fronte, lato finestra, le donne che allattavano i bambini, come se stessero vedendo la televisione.

Abbiamo fatto conoscenza con il pazzo del villaggio… Poi ci siamo assopiti.

Oggi siamo di nuovo di partenza, di nuovo col sedere sulla canoa a motore, spediti verso Logpon, dove dovremmo arrivare questa sera.

Elena si contorce dal dolore, perché ieri sera è scivolata in uno di quei piccoli passaggi fra una casa e la passerella. Oggi ha un livido che sembra una terza chiappa! Anche Alberto non è messo benissimo. A Fos, all’interno della casa della gentilissima signora che ci ha offerto la toilette per tutta la nostra permanenza, sono cedute sotto i suoi piedi delle assi ormai marce… E lui adesso ha lividi ed escoriazioni… Per non contare i raffreddori…

Mamma che bollettino di guerra già al settimo giorno!!!

La navigazione è interminabile, il paesaggio sempre meraviglioso, ma dopo 2 ore di navigazione in notturna, con il fiume che si fa sempre più tortuoso e stretto, decidiamo di fermarci (Herman ci spiegherà solo 4 giorni dopo che all’interno del fiume, ci sono i coccodrilli, che anche se sono piccoli, 6 metri contro i 12 del mare, sono molto pericolosi!!!)

La casa che ci viene data come bivacco è davvero brutta, sembra poter cedere da un momento all’altro ed inoltre, illuminati dalla frontale, vediamo tantissimi occhietti che ci scrutano… Sono dei bei ragnazzi cosparsi ogni dove.

Immergendomi di nuovo nel fango fino al polpaccio, questa volta a piedi nudi, vado a chiedere aiuto ad Herman, che ci manda i bimbi del villaggio, che in quattro e quattr’otto “de-aracnizzano” la capanna che ad onor di gloria verrà subito soprannominata “Casa dei ragni”.

Anche stasera Tinius ci manda a letto senza cena (poco male, fame non ce l’abbiamo), ma Herman mi allarma… Domattina dobbiamo essere a Dekai entro le 8:30 a prendere i biglietti, sennò perdiamo la prenotazione!!!

Il bello di Herman è che è sempre chiaro e dice tutte le cose che servono al momento giusto…

Poco male, domattina partenza alle 5!

07.08.2010 – Sabato – 8° giorno

Papiti – Logpon – Dekai – Wamena

Partiamo appunto alle 5 del mattino, lasciandoci la splendida casa dei ragni e gli Asmat alle spalle e piano piano vediamo albeggiare, poi pioggia e freddo, ma in 2 ore siamo a Dekai.

Lì troviamo un solo pick up e subito saliamo e poco dopo le 8 siamo a Dekai, all’aeroporto.

Velocemente faccio i biglietti, poi inizia l’attesa. Mamma se sono sporca e mamma se la mia faccia è ustionata! In alcuni punti la pelle viene via alla grande!

Finalmente alle 13:20 partiamo per Wamena e alle 14 siamo già in hotel.

Chiedo ad Herman di organizzare un’auto per il giorno dopo, per andare al Salt lake, vedere la mummia e poi pernottare a Wosilimo, paesino vicino al Festival.

Gli chiedo inoltre di iniziare ad organizzarsi per il trek degli Yali; poi, dopo aver pranzato, continuo la mia ricerca, aiutata da Yannuar, per garantire il volo di ritorno per il 18.

Dopo qualche ora, Yannuar mi dice di non disperare, che anche se il suo aereo è in manutenzione fino al 16, i piloti in vacanza fino al 16, sicuramente o lui la AMA ci verranno a recuperare… Visto che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, mi do un appuntamento telefonico per l’indomani, in maniera tale che la sera del 9, al ritorno dal festival, prima di partire per il trek, possa saldargli il servizio.

08.08.2010 – Domenica – 9° giorno

Wamena – Kurulu – Salt lake – Wosilimo

L’appuntamento è per le 8:30, ma partiremo solo alle 9:30 perché Herman non ha organizzato l’auto…

Prima tappa il mercato di Gibama, folcloristico e come ogni cosa in Irian Jaya, non turistico. Oltre a frutta e verdura, si vendono maiali, couscous, borse, collane, betel e poi ci sono i classici negozietti di indonesiani

Dopo aver fatto la scorta di frutta ripartiamo per Kurulu, dove iniziamo un breve trek verso il lago salato (sarebbe forse meglio chiamarla la pozza salata).

Assoldiamo un uomo e tre donne Dani che ci faranno vedere come estraggono il sale da questa pozza utilizzando le foglie di banana.

Il trekking è semplice, leggermente scivoloso, ma a fronte di 8 giorni di inattività, il fiatone si fa sentire… Beh, iniziamo l’allenamento!

Giulio è troppo affaticato ed utilizzando la scusa di un ginocchio dolorante, decide di tornare indietro… E per lo Yali trek che farà???

La parte del lago di fronte a destra è sacra e non deve essere assolutamente calpestata.

Cogliamo l’occasione per qualche fotografia e un veloce pranzo e poi scendiamo.

Herman ci fa presente che nel villaggio vicino alla mummia si sta tendendo il funerale di una donna morta a seguito di un incidente stradale il giorno prima; chiede se vogliamo assistervi. Dopo vedremo la mummia centenaria di Kurulu.

Con il dovuto rispetto assistiamo ad una cerimonia. E’ un’esperienza davvero unica, indescrivibile dove si riesce a capire il reale significato del concetto che sta dietro al termine tribù.

In un villaggio tipico Dani di fronte all’ingresso ci si trova normalmente una capanna più grossa delle altre; questa è la casa degli uomini, la casa in cui stanno gli uomini in età adulta, dormono e decidono di fatti importanti sulla vita del villaggio; qui di fronte sono riuniti e seduti viso rivolto al rogo che ha visto morire 5/6 maiali grandi, tutti gli uomini in età adulta della tribù. La maggior parte è seduta, poi ci sono i membri più importanti che tagliano e distribuiscono pezzi di maiale a chi sta intorno. Noi veniamo fatti accomodare in quest’area. L’atmosfera è mesta, il silenzio è interrotto da pochi fragili rumori propri del mangiare.

Alla destra di tale casa, c’è una capanna molto lunga, ma più bassa; questa è la cucina, dove si passa la maggior parte della vita quotidiana. Questo è il regno delle donne. Qui di fronte vengono appese le interiora e alcune parti dei maiali che vengono conservate per la famiglia del defunto. Di fronte a tale case ci sono sedute le donne; all’interno la defunta con la figlia e le parenti più strette. Qui l’atmosfera è ancora più mesta, quasi lugubre; qui il silenzio viene rotto da piccoli mugugni molto più simili al pianto sommesso.

Di fronte a tale casa ci sono alcune case più piccole, in questo caso 3, che sono le case delle donne, le case in cui i bimbi e le donne vanno a dormire. All’interno di tale casa l’uomo si accoppia con la donna per procreare. Di fronte a tali case, i bimbi, e alcune donne con neonati. Mestizia, ma anche bimbi che mangiano le verdure cotte con il maiale.

Tradizione dei Dani recita che quando muore un parente stretto, la donna è solita farsi tagliare con un’ascia di pietra alcune falangi per sottolineare maggiormente il dolore della perdita. molte donne infatti sono prive di numerose falangi.

Solo dopo che il marito è entrato all’interno del villaggio e ha salutato prevalentemente le persone importanti, si inizia la costruzione della pira, in centro al villaggio, armonicamente fra i tre gruppi. A pira terminata arriva una suorina, che poco c’entra davvero con tutto questo, che benedice la pira con acqua santa, poi, con un sorriso, si accomoda in una delle capanne aperte più vicine alla casa degli uomini e, servita dal capo villaggio, mangia anch’essa con gusto il maiale.

E’ il momento che esca il feretro: il villaggio inizia a gemere e piangere all’unisono sempre più forte, intensificando fino a quando esce il corpo, seguito dalla figlia, che in straziante dolore, trattenuta dalle parenti strette, cade riversa sul terreno.

Tutta la tribù è ora un solo essere, una grande persona che piange e che con infinita empatia partecipa al dolore dei parenti più stretti.

Mi pervade la pelle d’oca, gli occhi di ogni persona sono come spersi, all’interno delle fiamme che a poco a poco cremano il corpo di una donna che fino a ieri era parte integrante della comunità. Come la falange, ora questa donna non c’è più, si è staccata da questa grande comunità, il pathos è estremo, indescrivibile, indimenticabile.

Mi sento di richiamare il gruppo, di uscire dal villaggio, per lasciare che nessuno interferisca con questo momento solo loro.

Nessuno parla, pochi hanno fatto fotografie.

Intenso, inenarrabile, unico.

09.08.2010 – Lunedì – 10° giorno

Wosilimo – Festival Baliem – Wamena

Ieri sera ci siamo accampati in un piccolo villaggio nelle immediate vicinanze di dove si tiene il festival del Baliem ed oggi, puntuali come degli orologi svizzeri, alle 8:30 siamo già all’interno della grande arena.

Herman mi spiega che, se vogliamo partire domani, lui e Tinius non potranno stare con noi oggi, perché devono organizzare tutto per il trekking degli Yali. Mi sottolinea inoltre che nutre dei seri dubbi che alcuni di noi possano portare a termine tale trek. Chiedo delle delucidazioni ed insisto, perché dell’esperienza di Herman mi fido e non voglio correre inutili rischi, ma lui divaga, dicendomi che se gli firmo il foglio di scarico di responsabilità per lui è ok…

Gli chiedo ancora una volta di non essere vago, ma di dirmi chi e perché nello specifico, ma mugugna solo qualcosa, poi mi dice di non preoccuparmi, sicuramente riusciremmo tutti… Sottolineo che vorrei comunque riaffrontare questo discorso prima di partire, con tutto il gruppo; poi mi faccio ancora confermare che organizzerà tutto per partire l’indomani; unico problema, gli confermerò di avere il volo di ritorno alle 15:00.

Prima che arrivino i ministri indonesiani (circa alle 11 del mattino) e si dia inizio al Festival del Baliem, secondo me, ma anche secondo i miei compagni di viaggio, è il momento più bello. Camion pieni zeppi di gente tutti vestiti tradizionalmente secondo il costume del proprio villaggio arrivano e gridano contro chi ha già preso posto all’interno dell’arena.

Prima che abbia inizio il Festival, le persone si raggruppano, cantano, danzano, si preparano simulando attacchi e dipingendosi il corpo, aggiustandosi i vestiti…

In questo momento si possono vedere pressoché tutte le etnie della valle del Baliem.

All’arrivo del ministro, l’atmosfera inizia a farsi decisamente più fasulla, inizia la cerimonia di apertura con danze tipiche di Bali (!!!) di fronte a queste persone nude con lance, frecce e archi, tutti schierati.

Il Festival del Baliem è nato sotto volere del governo indonesiano affinché i vari popoli si conoscessero ed entrassero in contatto fra di loro. E’ quindi un poco “finto”…

Alla fine della danza, si da il via alle competizioni tramite l’uccisione di un maiale con arco e frecce, ovviamente l’onore è dato al ministro

Una voce indonesiana e un’altra inglese descrivono minuziosamente le battaglie che vengono simulate nell’arena, le gare dei maialini che devono seguire le proprie “mamme”, danze e canti.

E’ tardi e quindi ci sono anche alcuni turisti che si riversano (ahimè) nell’arena per fotografare meglio… Verso le 17 decidiamo di fare ritorno a Wamena.

E in hotel esce fuori il vero problema di Herman… Stiamo per pagare il volo con la Susi Air, ma (e va bene che gliel’ho chiesto prima di pagare), viene fuori che non ha organizzato un bel niente, perché siamo troppi e non ci vuole portare, poi si ricrede, dice che con lo scarico di responsabilità ci porta lo stesso, ma l’11, non il 10, ormai non c’è più tempo. Anche se vorrei ucciderlo, cerco con calma di convincerlo, gli chiedo come posso aiutarlo per organizzare questa sera, per mantenere la partenza di domani. So infatti che già siamo tirati come tempo, se perdiamo un giorno, il trekking diventa solo una sfacchinata e null’altro!!!

Perdo solo 2 ore del mio tempo, e in queste due ore, non mi aiuta nemmeno a trovare delle alternative, devo essere io a proporgliele.

Poi, prima di congedarlo, riunione di gruppo, dove decidiamo che l’indomani, visto che a Wamena si deve stare e che Herman non muove un dito per aiutarci, la mattina presto, io avrei provato a cercare un volo per l’11 per il territorio degli Yali.

Congediamo Herman, chiedendogli di organizzare per l’11 tutto, pronti per partire: appuntamento domattina alle 10:00 per confermargli l’itinerario.

10.08.2010 – Martedì – 11° giorno

Wamena

Giornata intensa, tutta trascorsa a Wamena e devo dire, all’insegna della vera avventura!

La mattina presto, con Gianni e Francesca vado a farmi un giro in aeroporto per cercare il volo. Prima provo a chiamare la AMA, ma non mi prendono nemmeno in considerazione. E’ abbastanza evidente, anche se non me lo dice esplicitamente, che Yanto, il manager, vende voli solo alle guide locali. Allora andiamo alla MAF; qui almeno parlano al pilota, ma nulla da fare, i voli vengono schedulati con una settimana di anticipo… In sincerità, visto il posto, che sembra più un granaio che la sede di una compagnia aerea, ne sono quasi rincuorata!

Ora, se faccio mente locale, le relazioni citano 3 compagnie che fanno voli charter, la MAF e la AMA, appunto e la Susi Air, che però ha tutti gli aerei in manutenzione e i piloti in vacanza…

Prima di gettare la spugna, mi viene in mente di provare ad andare al box delle compagnie aeree all’interno dell’aeroporto. L’Avia star è chiusa, la Merpati ci guarda come se gli avessimo raccontato di aver visto Dio e poi l’ultima speranza, un’ufficietto di fronte, senza nessuna insegna, che sembra più uno sgabuzzino. La ragazza, chiamando un altro signore al telefono, ci da una speranza. Eccolo arrivare, tiene in mano un librone rilegato a spirale, all’interno la spiegazione di tutte le piste, le manovre e i kg massimi ammessi per atterraggio e decollo per ogni singola striscia di atterraggio esistente in West Papua. Non mi vergogno a dire di essermi esaltata quando ho visto questo manuale!!! Il ragazzo prende in mano il cellulare, qualche parola in indonesiano e poi ci chiede di seguirlo. Saliamo in macchina e lui ci porta all’interno della pista (avremmo fatto 300 metri, non di più) a parlare con il pilota, il mitico Merkurius!

L’aereo è bellissimo, sinceramente non mi sarei aspettata tanto dalla Premi Air, il nome del pilota tutto un programma, quel libro, meglio di avere di fronte un libro miniato del XI secolo; ora, se ci da disponibilità per domani e ci fa un prezzo decente, penso di poter annoverare questa giornata fra una delle più belle 😀

E volete che Merkurius ci dica di no? Merkurius, proprio come il dio alato dell’antica Grecia, può tutto. Domani è disponibile a portarci ad Anggruk, primo volo alle 6 del mattino, per consentirgli di fare due andate nella stessa giornata, tempo permettendo (se ci sono nuvole basse come oggi non si parte, ovviamente), restrizione di 1000 kg, ma sarà più preciso in seguito. Il costo è un poco meno interessante… 44.000.000 IDR…

Gli diamo appuntamento telefonico nel giro di un’ora, torniamo in hotel a fare colazione e momento di sintesi col gruppo; poi giornata libera!

A questo punto dobbiamo decidere se rimanere nella valle del Baliem e spingerci ai margini della giungla o visitare la zona degli Yali con l’aiuto di Merkurius.

Fra le due opzioni ballano 640 euro a testa, ma c’è la possibilità che il tempo si mantenga nuvoloso per più di un giorno, facendoci saltare tutte le coincidenze fra voli interni e internazionali; come capogruppo sono costretta a sottolineare, che nel caso, la riprotezione è tutta a carico del partecipante e che visti questi due forti aspetti negativi, ho bisogno non della maggioranza del gruppo, ma della totalità di adesioni.

Scegliamo per rimanere nella valle dei Dani.

Forse avremmo dovuto rischiare, ma ogni zona dell’Irian, ve lo assicuro, vale la pena di essere visitata e in questo caso, a mio avviso, è stata la scelta migliore, perché abbiamo vissuto i giorni rimanenti con spensieratezza e perché, sempre a mio avviso, non può esistere visita agli Yali se non si parte a piedi da Wamena e non si scavalcano le montagne in mezzo alla giungla.

11.08.2010 – Mercoledì – 12° giorno

Wamena – Sogokmo – Kurima – Hitugi

Dislivello salita: 600 metri

Dislivello discesa: 250 mt

Tempo di percorrenza: 5h15m

Note: Semplice; si passa fra villaggi in parte fra le coltivazioni di batate

E finalmente si parte. Fa sempre un bell’effetto, uscire dall’albergo ed incontrare gli occhi di 21 nuovi amici, i nostri portatori, compagni di trekking ineguagliabili, persone senza il cui aiuto, nulla sarebbe stato così indimenticabile.

Fra loro c’è anche oggi e per i giorni a seguire, Nus, l’uomo delle uova, un piccolo uomo di etnia Yali che è stato con noi anche gli scorsi due giorni.

Poi c’è una parte della famiglia di Tinius, il nostro cuoco e molti altri. L’incontro e i primi giorni sono sempre particolari. Siamo due gruppi che si incontrano, si scrutano e che piano a piano entreranno in simbiosi.

Il gruppo dei nostri portatori scelto da Herman è metà di etnia Yali e metà di etnia Lani, quelli dell’est.

Dopo un’ora di auto siamo di fronte all’inizio della nostra camminata. Herman distribuisce i pesi, li fa pregare (come al solito e come sempre nei giorni a venire) e poi via che si parte.

Camminiamo per un’oretta scarsa sull’asfalto fino a Kurima, dove lasciamo una copia dei permessi. Questa parte va fatta a piedi perché il ponte è caduto e solo le moto possono passare.

Poi primo ponte di assi di legno e tiranti di ferro molleggiato e poi iniziamo a salire fra campi di batate, villaggi Dani e maiali. Il sole è alto, fa caldo, ma è sopportabile; oggi dobbiamo rompere il fiato dopo così tanti giorni di inattività.

Il paesaggio è splendido, il percorso ben tracciato. Per 3 giorni percorreremo una parte del percorso che ci avrebbe portato ad Anggruk, nella valle degli Yali; tale sentiero è per la maggior parte tracciato in quanto gli Yali lo percorrono spesso per andare a Wamena a vendere e a fare compere. E’ una via antica e decisamente carica di fascino.

Per il percorso avremo infatti modo di incontrare alcuni Yali che compiono questo viaggio a piedi nudi, con pochi noodle all’interno di una borsa come unico sostentamento.

La nostra tappa è Hitugi, dove arriviamo verso le 5 di sera. Il villaggio in cui accamperemo è un misto fra costruzioni tradizionali, in cui vivono i Dani e strutture di tipo occidentale in metallo, fra cui una scuola e una chiesa, in cui vivono per lo più i missionari. Questa notte ci accamperemo all’interno di una “guesthouse”, una semplice casa di missionari, al cui interno, in uno spazio di poco più di 25 mq, sono riusciti a ricavare ben 4 stanze!!! Utilizzeremo la prima, quella all’ingresso, per mettere i bagagli.

Al nostro arrivo veniamo accolti da numerosissimi bimbi che assieme alle donne ci vengono incontro per darci il benvenuto. I bimbi saranno la magia di ogni villaggio, con loro correremo, scherzeremo, giocheremo, canteremo e ci emozioneremo.

I loro occhi, così vivi ed intesi, gioiosi, brillanti di curiosità. I loro occhi accompagneranno ogni mio ricordo, emozionandomi e commuovendomi sempre.

Le fotografie si sprecano e anche i filmati; la curiosità dei bambini nel vedersi ritratti in questi strani macchinari che vedono di rado è l’appagamento migliore dopo questa scarpinata di poco più di 5 ore.

In testa, tutte le donne, comunque siano abbigliate, indossano una borsa fatta di corde naturali che tessono in ogni momento del giorno. Questa borsa è come un’estensione del loro corpo. All’interno possono mettere le batate o il taro o altri tuberi che raccolgono nei campi, le foglie che usano come cibo, e addirittura i maiali, che come i bimbi, in questo modo stanno a contatto con la mamma fino all’età in cui riusciranno poi a seguirla. E’ una borsa di svezzamento ed è uno strumento fondamentale della vita dei Dani.

Poi ci “docciamo” sotto un rigolo d’acqua che esce da una piccola cisterna di raccolta di acqua; dopodiché, seduti all’interno di una capanna, su panche di legno, ci gustiamo un’ottima cena. Domani si fa un poco più dura!

12.08.2010 – Giovedì – 13° giorno

Hitugi – Yuarima – Yogosem

Dislivello salita: 810 metri

Dislivello discesa: 480 mt

Tempo di percorrenza: 5h30m

Note: Moderatamente faticoso, sentiero molto soleggiato e caldo, con alcuni punti esposti; si passa fra villaggi in parte fra le coltivazioni di batate e fra la foresta.

Oggi si fa un poco più dura, forse per il caldo, forse per il dislivello maggiore. Il paesaggio però è mozzafiato. La valle del Mughi fa da congiunzione a montagne ricche di vegetazione, alte più di 3000 metri.

Scendiamo a valle fino ad incontrare il fiume; prima del ponte troviamo un piccolo villaggio e qui una chiesa. Entriamo e poiché si sta celebrando una funzione, Herman coglie l’occasione di prendere la chitarra e di cantare una canzone; in questa veste i Dani sono proprio “diversi”, strani, come se non si appartenessero più, sembrano l’ombra di loro stessi o forse sono proprio un altro popolo. Il senso di comunità comunque si continua ad avvertire.

Colgo l’occasione di chiedere ad Herman (anche se so che la risposta sarà un “poco” di parte), come hanno introdotto il concetto di Dio in questa comunità con miti e credenze ancestrali, in cui la Natura e tutto quello che la caratterizza è trasformata in spirito. Herman semplicemente ci spiega che Dio gli è stato venduto anch’esso come uno spirito, un’entità simile a quelle che veneravano e che temevano, ma più potente, uno spirito al di sopra tutti gli altri. Un concetto semplice, abbastanza infantile, ma di sicuro effetto; probabilmente, con il passare dei decenni, Dio assumerà le connotazioni tipiche della teologia occidentale.

Il ponte che ci porta al di là del fiume è davvero singolare; è fatto di tronchi grandi e piccoli, accatastati e tenuti su da delle specie di liane. Chiamarlo ponte è fargli un complimento!

Poi una ripida salita ci porta al bellissimo villaggio di Yuarima.

Abbiamo modo di apprezzare tutta la valle sottostante e gli orticelli che vengono fatti tutt’attorno a ciascuna capanna, dandogli una parvenza di un giardino di abbellimento. Su per il crinale, donne intente ad estrarre batate, per il villaggio qualche donna vestita con il tipico gonnellino di erba secca o di fibra e due o tre uomini con l’astuccio penico.

E’ talmente naturale la loro simbiosi con la natura che la differenza con quanto visto meno di un’ora fa è così forte che mi viene spontaneo chiedermi se sia effettivamente giusto aver colonizzato questa terra, imponendo il nostro vivere comune: costruzioni di alluminio, vestiti occidentali che sfilacciandosi danno più l’aria di straccioni agli importanti capi tribù, la plastica e il cibo preconfezionato…

Impossibile però dare un giudizio, impossibile davvero; stiamo assistendo alla transizione fra l’era antica e quella moderna, avvenuta qui in un pugno di decenni; queste popolazioni stanno vivendo e passando, ovviamente violentemente, dall’età della pietra in cui vivevano fino a prima, all’era informatica, stanno passando dalle guerre con arco, frecce e lance fatte per bisogni primari, alle guerre per egemonia economica, da una società basata su un forte concetto di gruppo, dove l’individuo singolo non ha ragione di esistere, ad una in cui l’individualismo e il bene del singolo, prevale sul bene comune. Noi ci abbiamo messo 3 milioni di anni, di “evoluzione”, passando attraverso guerre che via via sono evolute fino ad arrivare all’utilizzo di ben due bombe atomiche, di armi batteriologiche, siamo passati, attraverso scoperte scientifiche che hanno simbioticamente fatto nascere pensieri filosofici; loro sono hanno fatto questo salto in meno di mezzo secolo, si sono “fumati” praticamente tutta l’evoluzione dell’uomo, come se la totalità della società presente sulla terra dell’uomo di Neanderthal, fosse stata scaraventata nella nostra epoca…

Effettivamente impossibile non vederne i contrasti, effettivamente impossibile evitare pensieri e giudizi, effettivamente impossibile darne…

Il sentiero continua a salire e solo verso le 16:00 arriveremo a Yogosem. Stessa struttura, il villaggio tradizionale dove vivono i Dani è vicino a costruzioni di alluminio o di legno in stile occidentale. In questo villaggio c’è anche una pista di atterraggio, abbozzata, con ghiaietta, in salita, che termina contro una montagna… Direi che non bisogna soffrire di cuore per atterrare con un aereo charter nei villaggi dell’Irian Jaya!

13.08.2010 – Venerdì – 14° giorno

Yogosem – Kiroma – Mulibahaik

Dislivello salita: 340 metri

Dislivello discesa: 250 mt

Tempo di percorrenza: 5h

Note: Molto impegnativo. Si struttura in mezzo alla giungla, con passaggi su tronchi umidi, terreno fangoso, radici e ponti appena abbozzati. Nel percorso si incontrano piccole capanne usate dagli Yali nel percorso per Wamena.

Oggi ci spingeremo fino ai bordi della giungla, a 2600 metri di quota, e ci accamperemo nei pressi del fiume Mughi. Giulio ha deciso di non venire e rimarrà con il suo amico a Yogosem, coccolato da tutto il villaggio…

Incontriamo un primo abbozzo di giungla dopo poco più di 1h e 30 di cammino. Una ripida salita con dei tronchi, ci porta ad uno spiazzo naturale, in cui la natura infesta se stessa, cibandosi della marcescenza, in un’atmosfera umida e piovosa, decisamente magica e indimenticabile.

Poi si continua a camminare in piano su dei tronchi abbattuti, ma resi scivolosi dai muschi e dall’intensa umidità della zona fino ad arrivare a Kiroma, dove ci fermiamo per una mezz’oretta per una pausa. Anche a Kiroma c’è una chiesa, ma è un paesino davvero splendido, racchiuso com’è fra la giungla.

Qui le capanne sono miste, alcune sono tipiche dell’etnia Dani, tetto in paglia, altre sono tipiche Yali, con il tetto in corteccia di tronchi. Herman ci spiega che questo è l’ultimo villaggio stanziale prima di Anggruk. Questo villaggio è già al di fuori della valle del Baliem ed è punto di collegamento fra le due etnie in cui essi vivono pacificamente.

Poi scendiamo fino al Mughi e qui, con la pioggia e con l’inizio della vera giungla, inizia l’Avventura… I ponti alle volte sono dei semplici tronchi appoggiati, alcune volte sono in bilico, altre volte sono un poco più costruiti, ma sempre traballanti e poco sicuri alla vista. L’acqua del fiume Mughi ha un colore rossastro e scorre impetuosa. Passiamo il fiume ben tre volte, per cercare di seguire un sentiero molte volte inesistente perché franato; il guado con i sandali e l’aiuto dei portatori mi fa entrare in questa fredda acqua di montagna, poi risalgo sulla pietraia, poi mi arrampico come una capra, aggrappandomi a tutto quello che mi sembra potermi dare un minimo appoggio. I bastoncini da trekking sono fondamentali.

Poi entriamo nella giungla arborea, magica, splendida, inenarrabile. Tronchi spezzati, ovunque alberi, piante, natura, vegetazione, fango, melma fino ai polpacci e un odore intenso, forte, come non ho sentito mai. Sono avvolta, abbracciata dalla natura, devo fare attenzione ad ogni singolo passo per non essere da lei inghiottita: mi sento bene, libera, commossa, emozionata, trascinata, eccitata, appagata; mi sento vivere…

Quando arriviamo al campo, i nostri portatori ci aiutano a montare le tende all’esterno per la notte. Machete alla mano, ci pareggiano l’erba, distribuendola omogeneamente, preparandoci così un bivacco di tutto rispetto, forse il migliore della vacanza.

Poi, assieme ad Elena, Francesca, Gianni e Simone, ci addentriamo ancor di più.

Il buio della giungla ci avvolge e del fumo ci guida fino ad un bivacco di foglie e rami in cui una famiglia Yali in rotta per Wamena, passerà la notte. L’incontro è magico; la donna si copre con il tipico “ombrello” di banano, ci sorride, ci da la mano e fermi, gli uni di fronte all’altra, rimaniamo a guardarci, con intensità, comunicandoci in questa maniera così cerica e così primitiva, che siamo lieti di fare reciproca conoscenza.

All’interno della capanna di fianco al nostro campo, in cui dormiranno i portatori, è stato acceso il fuoco; all’interno, l’umidità fa stagnare solidamente il fumo che solo parzialmente riesce a farsi largo e ad uscire all’esterno. Lasciamo qui i nostri vestiti ad asciugare.

E dopo cena, la giungla si impossessa dei nostri portatori, riportandoli alle loro origini. Vengono accesi due fuochi, uno all’esterno, territorio Yali e uno all’interno, territorio Lani; poi iniziano i canti di sfida.

All’interno della capanna, con il calore del fuoco, i Lani si svestono, Tinius, il nostro cuoco diventa il capo di questa piccola tribù e batte il tempo utilizzando un barattolo semivuoto di zucchero, Pizi e Laus si dimenano in danze ancestrali.

Una notte indimenticabile.

Ripensandoci, forse è proprio questa giornata che mi ha fatto capire che io in Irian Jaya ci dovrò tornare, a breve e quando ci tornerò, dovrò assolutamente fare questa impegnativa, ma sicuramente indimenticabile traversata da Wamena ad Anggruk.

14.08.2010 – Sabato – 15° giorno

Mulibahaik – Yogosem

Dislivello salita: 250 metri

Dislivello discesa: 340 mt

Tempo di percorrenza: 4h15m

Note: Molto impegnativo. Si struttura in mezzo alla giungla, con passaggi su tronchi umidi, terreno fangoso, radici e ponti appena abbozzati. Nel percorso si incontrano piccole capanne usate dagli Yali nel percorso per Wamena

Il percorso di ritorno è decisamente più semplice. Quando arriviamo, troviamo Giulio ad aspettarci, rilassato e riposato con tutti quei bei massaggi che ogni giorno Laus gli fa!

Anche a Yogosem c’è una ragazza albina; ne vedremo molti. I bambini sono il nostro toccasana, ci sfidiamo con le canzoni, accompagnati da una scordatissima chitarra suonata da Alberto, poi cantiamo assieme “Fra Martino Campanaro”, loro in indonesiano, noi in italiano, balliamo, cantiamo.

La sera, i nostri portatori, assieme ad Herman e Tinius, festeggiano con fiori e patate fritte e uno splendido “happy birthday”, il compleanno di Giulio e Maurizio.

Stasera è anche il momento della foto di Pizi con Francesca, che ieri sera è rimasta affascinata dal suo canto e ballo all’interno della capanna.

15.08.2010 – Domenica – 16° giorno

Yogosem – Yuarima – Saikama

Dislivello salita: 400 metri

Dislivello discesa: 700 mt

Tempo di percorrenza: 4h30m

Note: Percorso molto difficile, in costa, scivoloso. Il sentiero in alcuni punti è largo al massimo 15 cm, tutto coperto da erba, a ridosso di strapiombo. Ci si deve tenere spesso all’erba.

Oggi iniziamo la via del ritorno sull’altra parte della vallata del Mughi.

Il percorso fino a Saikama sarà molto impegnativo, scivoloso, in alcuni punti, il sentiero è completamente coperto da ciuffi d’erba rivoltati e la sua larghezza è al massimo di 15 cm!!! A destra la montagna, a sinistra lo strapiombo.

Davvero impegnativo per Alberto, che oltre a non riuscire a dormire da quando siamo partiti per il trekking, soffre anche di pressione alta e di vertigini, accentuate dall’assunzione di Lariam… Oggi Pizi, il portatore “dedicato” ad Alberto, incitato dai suoi compagni dopo la fotografia di ieri sera con Francesca, continua a intonare canti, sorridere, ballare ogni qual volta ci si ferma. Che ridere la sera quando Alberto ci racconta che ad un certo punto, Pizi si è avventurato lungo il dirupo e lui, non capendo che stava solo raccogliendo un fiore, l’ha seguito!!! J

Subito dopo una breve discesa troviamo Saikama.

Il villaggio è forse il più bello, gli abitanti sono poco abituati ai turisti stanziali e quindi ci si avvicinano con maggiore curiosità.

La tenda di Elena, piantata all’esterno e aperta lasciando vedere quanto c’è all’interno, diventa argomento di discussione dei due vecchi del villaggio; prima ci girano attorno con nonchalance, poi iniziano a scrutarla con le mani incrociate sul sedere, poi iniziano ad indicare e a discutere animatamente.

Attorno a me tantissimi bambini che vogliono vedere le fotografie, intorno alla macchina fotografica di Alessandro, montata sul cavalletto e con scatti sequenziali impostati, un capannello di gente, che rimarrà incuriosita a cercare di capire come funziona l’oggetto misterioso.

Il villaggetto vicino che visitiamo è splendido; qui compriamo astucci penici, alcuni archi e frecce di legno di alloro.

Questi oggetti, come molti altri che sino a trent’anni fa erano considerati fra i più preziosi beni di importazione, come conchiglie, piume, fibre o asce di pietra, hanno perso quasi ovunque la loro funzione tradizionale e, cadendo ormai in disuso a partire dal 1958, con l’importazione dei primi utensili di acciaio e con la proibizione nel 1963 da parte dei militari indonesiani della pratica della guerra, non rappresentano più oggetto di scambio per maiali e sale o “prezzo della sposa”, ma sono ormai diventati meri oggetti da vendere ai turisti.

Tinius oggi sta male, è caldissimo, ha un attacco di malaria, malattia che gli è stata diagnosticata circa due anni fa e che dovrebbe aver contratto nella zona di Dekai in cui lavora raccogliendo e vendendo sabbia. Il Lariam è un medicinale internazionale ed Herman lo conosce, gliene diamo quindi 5 compresse.

Ed è così che Herman ci racconta come ognuno di questi ragazzi che ci accompagnano in questo trek, non essendo il turismo in West Papua tale da garantirne il sostentamento, hanno tutti un “altro” lavoro. C’è chi fa il guidatore di risciò, chi coltiva, chi raccoglie sabbia come Tinius, chi lavora nelle costruzioni…

16.08.2010 – Lunedì – 17° giorno

Saikama – Sesep – Sokosimo

Dislivello salita: 20 metri

Dislivello discesa: 400 mt

Tempo di percorrenza: 1h30m

Note: Semplice, ma scivoloso in alcuni tratti. Scorci naturalisticamente interessanti

Oggi scendiamo fino a Sokosimo, siamo al di sotto dei 2000 metri e il caldo ritorna a farsi sentire.

Sokosimo è un grazioso villaggio sulle sponde del Mughi. Poiché arriviamo dopo solo 1h30 di cammino tutto in discesa, cogliamo l’occasione per lavarci all’interno del fiume. L’acqua è fredda, ma questa immersione all’interno della natura è un vero toccasana.

Dopo questo bagno di gruppo, c’è chi rimane al campo, spendendo la giornata con i locali, giocando a pallavolo, scambiandosi gesti e sguardi e chi invece va a visitare il villaggio sopra Sokosimo, dove domani assisteremo alla festa per l’uccisione del maiale.

Proprio questa visita, domani mattina sarà al centro di un’animata discussione.

Un vecchio uomo, malandato, con piaghe sulle natiche ed un tumore sulla spalla, sostiene di non essere riuscito a dormire per tutta la notte perché qualcuno del nostro gruppo gli ha toccato la spalla (l’altra, quella sana). Sostiene che la spalla, tutta la notte gli ha fatto male, non lasciandolo così riposare.

Tutto il villaggio è riunito e non ci lasceranno andare fino a quando non si capirà chi è stato a toccarlo. L’uomo ha paura che questa persona gli abbia preso lo spirito, debilitandolo. Qualcuno sostiene che sia solo una messa in scena dell’uomo per poterci spillare dei soldi, ma gli occhi dell’anziano sono espliciti: ha paura, è terrorizzato, preoccupato. Quando ci mettiamo in cerchio tutti e l’uomo ci scruta per dire chi lo ha toccato, allora tutti capiscono che il fatto è reale, l’uomo non sta mentendo e allora viene a tutti spontanea una domanda “ma una volta che lo ha riconosciuto, a questo, cosa capita???”

Nulla, non capiterà nulla, l’uomo sarà così rincuorato e sotto consiglio di Herman gli darò un unguento da spalmargli sulla spalla dolente.

E qui viene il bello… Che si da ad un vecchio signore malandato, che veste solo col koteka ed una berretta e che ha vissuto tutta la vita spalmandosi la pelle di grasso di maiale e fuliggine? Pomata di Voltaren, Amuchina, o altre pomate sinceramente ho paura a dargliele e se avesse allergie? Allora tiro fuori un campioncino di crema dell’Erbolario “Giorno e Notte” e lo spirito è così ritrovato.

Herman ride sulla cosa, io rimango ancora una volta a pensare… Quest’uomo, il suo terrore per un solo nostro tocco, che abbiamo la pelle così diversa dalla sua… Chissà quale sarà stato il loro stato d’animo poco più di mezzo secolo fa, quando sono stati avvicinati dai primi bianchi… Un avvicinamento di due mondi così diversi, non potrà che concludersi con la scomparsa di quello più debole, il loro.

17.08.2010 – Martedì – 18° giorno

Sokosimo – Kurima (vicinanze)

Dislivello salita: 50 metri

Dislivello discesa: 400 mt

Tempo di percorrenza: 2h

Note: Semplice, ma scivoloso in alcuni tratti. Scorci naturalisticamente interessanti

Oggi assisteremo (sotto pagamento) alla cerimonia del maiale; anche se sembra “poco reale” il dover pagare per assiste a qualcosa di tradizionale, vi assicuro che la popolazione non finge, in quanto tale festa è ancora nei loro usi comuni.

Il fatto di pagare, serve solo “a far capitare” l’evento nel momento in cui possiamo assistervi.

Tali feste, chiamate in lingua locale ebe akho sono decise dal più importante leader di un’alleanza con scadenza periodica, circa ogni 4/5 anni dalla nascita del maiale che viene sacrificato dandovi così origine.

Durante l’ebe akho si commemorano le persone morte negli ultimi anni, si celebrano riti di iniziazione dei giovani e matrimoni. Si pagano tributi, si scambiano beni assolvendo i debiti cumulati nel tempo. Si rinsaldano i rapporti di amicizia e di alleanza che portano certi gruppi a riunirsi in specie di confederazioni, si riconfermano il prestigio e il potere politico dei capi villaggio.

Molti antropologi hanno dato significati diversi al sacrificio dei maiali che da origine a tali feste. C’è chi sostiene che sia per un motivo di abbattere il consumo concorrenziale da parte dei maiali delle batate, alimento principale degli indigeni, c’è chi sostiene che vengono celebrate solo dopo la completa maturità del maiale, fatto sta che, in ogni caso, è evidente che il maiale sia parte integrante ed importantissima del nucleo tribale di un villaggio Dani.

I maiali selvatici, una volta catturati o appena nati, vengono infatti affidati ad una donna che ha con loro un rapporto che potremmo dire materno.

Il maiale viene portato ovunque, a stretto contatto con la donna, all’interno della borsa portata sulla testa. Questo fino a quando il maiale non sente la donna come la sua protettrice, per cui la seguirà sempre ovunque.

Il maiale viene allattato al seno della donna e viene coccolato; la sua esistenza termina proprio con il sacrificio; viene concesso alla “mamma” del maiale di non partecipare al banchetto che ne segue.

Durante questa cerimonia i cibi vengono cotti al vapore, avvolti in strati di foglie in grandi forni scavati nel terreno.

Prima viene allestita una pira in cui vengono poste le pietre prese con dei bastoni con l’estremità simile ad una pinza vengono messe a scaldare.

Una volta che le pietre si sono arroventate, viene preso il maiale, che viene innalzato da due uomini che lo prendono uno per le gambe anteriori e il muso e l’altro per le gambe posteriori. Un altro uomo afferra l’arco e con una freccia colpisce al cuore il maiale. La bestia, svincolata dalle prese, fa alcuni passi, poi si accascia e muore.

Al maiale vengono asportate le orecchie e la coda con un affilato bisturi naturale; tali estremità, avvolte poi in foglie di banano, verranno consegnate alla persona che l’ha accudito.

A questo punto, viene acceso il fuoco tramite una corda di rotan srotolata dal ventre dei tre uomini, proprio come abbiamo letto sui libri di storia dell’uomo di Neanderthal; il maiale viene così privato del crine.

Poi viene adagiato su un letto di foglie e viene preparato per la cottura. Tale preparazione consiste nello svuotamento completo dalle interiora, alcune, come la vescica, vengono alle volte consegnate ad alcune famiglie importanti del villaggio, altre, vengono cotte con il maiale stesso.

Il tutto, prima dell’avvento del coltello, era fatto utilizzando il bisturi naturale e le asce di pietra.

A questo punto in una gran concitazione, viene allestito il forno. Sul fondo viene messa della paglia secca, poi pietre, poi foglie, poi pietre, poi ancora foglie, tuberi, foglie, tuberi, pietre, ancora foglie, tuberi e foglie e poi il maiale che viene di nuovo coperto con foglie di batata verdi.

In questo nuraghe vegetale, assicurato ed ultimato con corde di rotan e rami di banano, cuocerà per circa un’ora e mezza il maiale.

Al termine, sempre con la stessa concitazione, il tutto verrà aperto e consumato a terra.

Ottimo, davvero delizioso!

18.08.2010 – Mercoledì – 19° giorno

Kurima – Sogokmo – Wamena

Dislivello salita: 150 metri

Dislivello discesa: 50 mt

Tempo di percorrenza: 1h30m

Note: Semplice, unica difficoltà è la discesa della pietraia letto di un affluente del Baliem e il passaggio su un ponte pericolante.

Siamo ormai sulla via del ritorno e il nostro viaggio sta per volgere al termine. Arriveremo a Wamena attorno alle 11 del mattino.

Salutiamo i nostri fidati compagni di viaggio, i nostri preziosissimi portatori e diamo loro una mancia.

Grazie ragazzi, ci avete regalato delle emozioni davvero ineguagliabili ed un viaggio indimenticabile; non vi scorderemo mai!

Mentre Herman organizza l’escursione al lago Habbema per il giorno successivo, alcuni di noi decidono di andare a fare gli ultimi acquisti, altri girano la città e i suoi folcloristici mercati.

Io faccio entrambe le cose, dopo aver confermato i voli all’aeroporto.

All’esterno dell’hotel Pilamo vengo avvicinata da un signore che mi vorrebbe vendere un souvenir davvero tipico… Una collana di mandibole di couscous!!! Già la collana fatta con denti di couscous è impegnativa, sebbene un oggetto splendido e raffinato, diciamo che questa con le mandibole è decisamente impegnativa e, anche se di sicuro “effetto”, decido di rimandare l’acquisto alla prossima volta J

19.08.2010 – Giovedì – 20° giorno

Wamena – Lake Habbema – Wamena

L’escursione al lago Habbema è davvero suggestiva. Il lago è posto a 3650 metri di altitudine e sulle sue rive crescono delle piante endemiche.

In tale luogo hanno anche il loro habitat naturale migliaia di tipi di orchidee.

Ultima cena al mitico Blanbangan a base di grossi gamberoni di fiume fritti col burro e poi in camera per chiudere le valigie: domani si lascia la valle del Baliem

20.08.2010 – Venerdì – 21° giorno

Wamena – Jayapura – Base G – Museo – Sentani

L’aereo parte presto, con solo 30 minuti di ritardo.

Salutiamo Herman ed entriamo per l’ultima volta sugli aerei della mitica linea Trigana Air. Mi siedo vicino a Maurizio ed assieme chiudiamo la cassa.

Arrivati a Sentani, lo schiaffo con la modernità è talmente evidente da lasciarci tramortiti…

Le auto, un semaforo, l’asfalto liscio, le case… E’ un altro mondo; a tre quarti d’ora di volo, la differenza è tale, da sembrare di essere in un altro stato… E siamo sulla stessa isola!

La sistemazione allo Yougwa è splendida, piccolo alberghetto in riva al lago Sentani, in cui il rumore dell’acqua ci culla e ci fa rilassare.

Decidiamo di visitare Jayapura, ma dopo solo 1 ora decidiamo di fuggire a Base G, la spiaggia diventata famosa grazie al colonnello Mac Arthur; è sporca, ma davvero splendida.

Verso sera, prima di cenare, andiamo a visitare il Museo, dove si trovano numerose testimonianze dell’antica grandezza della cultura Asmat.

Poi, dopo una cena a base di pesce sulle rive del lago Sentani, salutiamo Simone, Maurizio, Alberto, Alessandro e Claudio che domani tornano in Italia. Noi spenderemo ancora una settimana di vacanza a Giava.

Con Jayapura si chiudono queste tre settimane così intense della mia vita, ricche di emozioni e di contrasti, che mi hanno fatto riflettere su cose che nella nostra modernità si danno ormai per scontate.

Ora non mi rimane che coltivare il ricordo di ogni attimo, la metabolizzazione di tale tempo e un’esperienza che auguro a molti di poter vivere e che spero di avervi trasmesso anche solo in parte!

E il silenzio viene interrotto dal rumore della natura, un assordante vociare di cicale e chissà quali altri misteriosi animali. Al loro suono si uniscono i canti di sfida dei nostri portatori, emessi da corpi nudi e madidi di sudore. Ed è così che vengo a conoscenza di un uomo ormai dimenticato che vive in simbiosi con la natura in cui si fondono il canto e le movenze di questi antichi guerrieri…

India del nord in mezzi pubblici

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27.07.2005 – Mercoledì – 1° giorno

Italia – Frankfurt – Delhi

L’incontro è all’aeroporto di Frankfurt, dove apprendiamo la notizia che Mumbai è allagata causa piogge. Il volo prima del nostro, quello delle 14, è stato annullato ed una lunga fila di persone cerca un posto nel nostro aereo, per questo, a mala pena riesco ad imbarcare i quattro partecipanti arrivati da Roma con solo un’ora di anticipo (se vogliamo, meglio così, visto che due viaggeranno in business).

Ovviamente partiamo in ritardo, l’aereo è stipatissimo. C’è chi viene in India per cercare “l’illuminazione”, chi l’ha scelta perché ci voleva andare già da bambino, chi vorrebbe andare da Sai Baba e anche chi l’ha scelta perché costa poco… Del resto il mondo è bello perché è vario! Definiamo l’itinerario ipotetico, tutti (tranne una coppia in viaggio di nozze) orientati per i mezzi pubblici, poi ci godiamo l’aperitivo, la cena e la colazione, intrattenuti incuriositi dai film di Bollywood.

 

28.07.2005 – Giovedì – 2° giorno

Delhi

Atterriamo la mattina presto direttamente a Delhi, anziché fare scalo a Mumbai, in quanto il monsone ha devastato la città e l’aeroporto è stato chiuso.

Espletiamo le formalità del controllo passaporto e della compilazione della imbarcation card e ci mettiamo ad aspettare fiduciosi il nostro bagaglio scaricato “a mano” sui nastri trasportatori.

Ovviamente, con il casino dell’overbooking, dell’aereo dirottato e delle persone del volo precedente cancellato, tre dei nostri bagagli non arrivano.

Compilate la denuncia di smarrimento, fatevi aiutare dal corrispondente locale e non disperate, prima o poi arrivano e almeno avete una scusa per esservi rifatti un guardaroba molto freak!

Usciamo davvero tardi dall’aeroporto, il pulmino del corrispondente ci porta in albergo.

Quando siamo scesi dal pulmino, ho avuto seriamente paura che qualche partecipante si volesse far rispedire in Italia. Siamo arrivati nella via più trafficata di New Delhi all’ora di punta con un caldo infernale, in un tourbillon di odori e frastuono; il primo impatto con l’India non poteva che essere un’alterazione mentale.

Ci laviamo e subito io vengo accompagnata dal corrispondente, mentre il gruppo inizia il giro di Delhi. Io vedrò solo la stazione e Mr. Chandra con suo fratello, il gruppo vedrà il Qutb Minar, i Lodi Gardens, la tomba di Humayun, il Forte Rosso e un Connaugh Place, purtroppo chiuso.

Delhi è molto bella, incarna l’essenza dell’India, non si può vedere così di fretta e con pochissime ore di sonno. Forse conviene andare in albero, riposarsi un poco e poi uscire verso sera vedendo quel poco che si riesce… Almeno ve lo godete!

Cena in un ristorantino nei pressi dell’albergo

 

29.07.2005 – Venerdì – 3° giorno

Delhi – Amritsar – Wagah – Amritsar

La mattina presto entriamo in stazione. Anche qui l’impatto è forte, oserei dire devastante. Anche se non mi è stato detto, le loro facce si sono rilassate solo una volta arrivati in treno. Pranziamo in treno, gustando un’ignota polpettina e nel pomeriggio siamo ad Amritsar. Mi organizzo per raggiungere il confine in taxi (300 Rs) e verso il tramonto siamo a Wagah, ci immergiamo nella folla che si dirige verso la frontiera. Aspettiamo che aprano i cancelli per correre a prendere i posti migliori, e dopo pochi istanti diventiamo il più interessante intrattenimento. La maggior parte delle persone in India parla inglese e vi inonderà di domande!

Corriamo a prendere i posti migliori ed inizia lo spettacolo. Gente che canta, musica assordante che investe le nostre orecchie, persone che ballano, ragazzi di tutte le età che corrono con la bandiera dell’India sventolandola energicamente in faccia al cancello del confine pakistano, tutto questo condito da una voce al microfono che incita gli animi “Industan Indaman, Paras Pataki” e che viene chiassosamente coperta dal tifo urlante degli spettatori. Il numero totale degli spettatori è incredibile, si aggirerà attorno alle 3000 persone, tutte stipate in un palco di cemento appositamente costruito. La manifestazione del cambio della guardia, che consiste in parate da entrambi i confini di guardie in divisa è davvero divertente, ma ciò che condisce il tutto rendendolo uno spettacolo unico nel suo genere e davvero impedibile è l’entusiasmo e la partecipazione della gente.

Le emozioni in India non finiscono mai, e la sera ci rechiamo al tempio d’oro per assistere alla cerimonia che viene fatta ogni sera verso le 22:30 per portare su un baldacchino il Guru Granth Sahib, il libro sacro custodito in un panno rosa, dall’Hari Mandir, il tempio d’oro al centro della vasca del nettare dell’immortalità, all’Akal Takht, il parlamento dei sikh, dove vi riposerà tutta la notte. La cerimonia è accompagnata da canti e preghiere, da migliaia di sikh con molto trasporto, tutto davvero molto emozionante.

Accompagnati da un gentilissimo signore, dopo aver lasciato un’offerta, ceniamo alla mensa del tempio, chapati e dhal (ricordatevi di non toccare mai il cibo con la mano sinistra!). L’atmosfera è davvero unica e anche se il pasto è umile, i sewa, volontari del tempio, ve ne offriranno fino a volontà.

 

30.07.2005 – Sabato – 4° giorno

Amritsar – Delhi

Ci ritroviamo al tempio d’oro. Il fascino di questo edificio risiede nella pace che si avverte non appena varcata la soglia. Ci si dimentica dell’assordante traffico, quasi come se non fosse mai esistito e ci si immerge in un’atmosfera magica, dove molte persone saranno incuriosite dalla vostra presenza e, facendovi mille domande, sempre con la massima discrezione, per ultimo, vi chiederanno di potersi fare una fotografia ricordo di questa unico e straordinario incontro. L’Hari Mandir, che si raggiunge percorrendo un ponte chiamato Pakarma, è costituito da due piani e fu costruito alla fine del XVI secolo, distrutto nel 1761 e ricostruito nel 1764. La sua cupola fu rivestita di lamine d’oro a partire dal 1803. Il mandir presenta caratteristiche dell’arte indù e musulmana e la sua cupola rappresenta un fiore di loto rovesciato, simboleggiando il coinvolgimento dei Sikh nei problemi del mondo. Dopo aver percorso il ponte, prima di entrare nel tempio, i pellegrini offrono agli inservienti del soffice e dolce prasad, che poi essi ridistribuiscono a tutti i visitatori che escono.

Usciti dal tempio, entriamo in un negozio di abiti e ci facciamo fare un punjabi, con le perline, da usare nelle serate di “gala”!!!

Visitiamo il parco Jallianwala Bagh, pieno di fiori e alberi in commemorazione dei 2000 indiani uccisi e feriti indiscriminatamente dal fuoco inglese in uno degli avvenimenti principali per la lotta per l’indipendenza. Il 13 aprile del 1919 il generale Dyer si presentò in Jallianwala Bagh insieme a 150 soldati durante una manifestazione politica a cui partecipavano 25000 indiani; il generale ordinò alla folla di disperdersi, cosa impossibile visto che il luogo, circondato da mura, aveva come unica uscita il luogo dove si erano schierati i soldati. Senza altri preavvisi, venne aperto il fuoco; in pochi minuti ci furono 337 morti e 1500 feriti, alcuni dei quali vennero freddati mentre cercavano di scappare scavalcando il muro. Gli inglesi non solo non giudicarono colpevole il generale, ma lo acclamarono eroe. Sono tutt’oggi conservati un tratto di muro con i fori dei proiettili e il pozzo nel quale si gettarono alcune persone per sfuggire alla carneficina.

In questo parco abbiamo trovato un giovane “cantante” come amava definirsi lui e un gruppo di suoi amici. Abbiamo chiacchierato, scherzato e parlato allegramente, iniziando a mischiare un poco delle due nostre culture così incredibilmente diverse.

Verso sera abbiamo preso il treno notturno per Delhi.

 

31.07.2005 – Domenica – 5° giorno

Delhi – Jaipur

Arriviamo la mattina presto a Delhi. Accompagnata da due energici partecipanti, vado a portare i primi due “ingombranti” acquisti del viaggio, un sitar e un tabla, a Mr. Chandra. Dopodiché cerchiamo di perderci per gustare Delhi. Andiamo alla tomba di Ghandi, vedendo di sfuggita, per il tragitto, il Jantar Mantar di Delhi e Connaught Place. Qui troviamo le persone che pregano il Mahtma, con serio trasporto. Vederli mi ha emozionato davvero. Prendiamo il classico tuk tuk e ci facciamo portare alla Jama Masjid, la “moschea del Venerdì”. Questa moschea, costruita a partire dal 1645 da Shan Jahan, sorge al centro del vecchio quartiere musulmano di Chandni Chowk. La moschea si erge su una altura, a cui si accede tramite delle gradinate in arenaria rossa, ha tre grandi portali, tre cupole a cipolla, come del resto tutte le moschee consacrate al culto, quattro torri angolari e di minareti alti ben 40 metri. Degli 11 archi caratterizzanti la moschea, quello centrale occupa una grande volta a forma di mihrab in corrispondenza della direzione della Mecca. Dalla vetta del minareto sud si gode una magnifica vista di Old Delhi.

Purtroppo non c’è tempo per goderci una frenetica passeggiata per i vicoli del quartiere della Luna, Chandni Chowk e già con la voglia di ritornare in India per potersi godere un poco di più l’eterna capitale, saliamo sul treno, rivivendo tutte le nostre contrastanti emozioni nella breve mezz’ora passata alla stazione di Delhi.

Arriviamo a notte fonda alla stazione di Jaipur, il nostro treno ha fatto un’ora e mezza di ritardo; tre Ambassador ci accompagnano al nostro albergo, dove ci hanno preparato una calorosa accoglienza nel bellissimo giardino. Come sempre doccia, una gustosissima e luculliana cena e poi il meritato riposo.

 

01.08.2005 – Lunedì – 6° giorno

Jaipur – Fort Amber – Agra

Vista la crisi esistenziale avuta da un partecipante sul treno, mentre io mi stavo godendo indisturbata una sana partita a scala quaranta con i miei nuovi amici indiani, tutto il gruppo ha preferito appoggiarsi al turisticissimo trasporto delle tre auto private di Alì, che ci farà anche da guida, ma che vi sconsiglio vivamente. Abbiamo passato una giornata alla “Gita delle Padelle”, solo che invece del pentolame, abbiamo comprato tappeti…

La fondazione di Jaipur, detta città del Maharaja Jai, risale ai primi anni del secolo XVII, anno del crescente potere di Jai Singh II. Iniziamo con una visita della dimora del Maharaja, il City Palace, vasto complesso suddiviso in una serie di cortili, giardini ed edifici. Il palazzo è una fusione di stile moghul ed elementi tipici del Rajasthan, è costituito dal Mubarak Maha, il palazzo del benvenuto, il Maharaja Sawai Masingh, al cui interno è esposta una sfarzosissima collezione di costumi reali e splendidi scialli, il Diwam-i-Am, la sala delle udienze pubbliche, dove oggi sono esposti manoscritti in sanscrito e in persiano, il Diwam-i-Khas, sala delle udienze private ed infine la splendida porta del pavone, Peacock Gate, nel cortile del Chandra Mahal.

Da appassionato astronomo quale era, Jai Singh fece costruire ben cinque osservatori, di cui il più completo di tutti i più sofisticati strumenti astronomici è proprio il Jantar Mantar di Jaipur. Sempre ammesso che non abbiate nel vostro gruppo un appassionato di astronomia o che non prendiate una guida, questo splendido parco vi sembrerà solo un curioso museo di arte contemporanea meravigliosamente conservato.

Per evitare di farci sentire poco “turisti”, non appena terminata la visita, Alì regala a tutti i partecipanti una collana di fiori, dopodiché partiamo per Royal Gaitor, dove si trovano i cenotafi della famiglia reale. Una veloce visita e poi il “Gruppo Vacanze Piemonte” continua la sua “gita” verso Fort Amber, l’altra capitale dello stato di Jaipur. Ciò che vediamo oggi, costruito in una meravigliosa altura dominate la valle circostante, fu costruita a partire dal 1591 dal Man Singh I. Per raggiungere il forte, tutti i partecipanti utilizzano una schiera di coloratissimi elefanti, spinti dai loro guidatori mahaut. Il palazzo è splendido e vale davvero la pena di perdersi nella sua visita, in solitaria, per poter ammirare lo splendido palazzo del piacere, lo Shish Mahal, rivestito di specchi e pregevoli stucchi e il labirintico complesso di stanze, cortili e vicoli.

Dopo un risposante (pure troppo) pranzo, vediamo velocemente la facciata del palazzo dei venti, l’Hawa Mahal, perché Alì ci costringe ad andare al negozio di tappeti. Alcuni partecipanti compreranno, ma alla fine ci staccheremo stremati da questo incessante e pedante autista, per poter perderci, con tutta tranquillità nelle affollatissime vie del bazar.

Jaipur è una città davvero turistica, dove faranno di tutto per “impapocchiarvi”, tanto per usare il termine del compratore del gruppo. Vale davvero la pena di essere visitata, ma in libertà, con i mezzi pubblici, magari sacrificando qualcosa, tanto per cercare di gustare quell’India che tanto ci attira al nostro ritorno, ma che purtroppo viene sacrificata al turismo di massa.

Dopo aver cenato andiamo in stazione per il treno più notturno di tutto il viaggio: partenza alle 2:00!

 

02.08.2005 – Martedì – 7° giorno

Agra – Mathura – Vrindavan – Mathura – Agra

Arriviamo la mattina presto alla stazione di Agra Cantt. Per evitare di farmi affibbiare il nome di Fuhrer, abbandono l’idea , sostenuta fortissimamente prima che anche il più instancabile partecipante mi tradisse per il sacro cuscino, di ripartire subito alla volta di Mathura. Quindi ci facciamo portare all’albergo. Verso mezzogiorno visitiamo l’imponente Lal Qila, una delle meraviglie dell’arte Moghul. La cittadella fu edificata da Akbar a partire dal 1565 sulle fondamenta del vecchio forte della dinastia Lodi e fu ampliata e modificata dai suoi successori. La maggior parte degli edifici che vediamo oggi furono costruiti nel XVII secolo durante il regno di Shan Jahan. L’atmosfera è davvero magica, al suo interno ci sono meravigliosi giardini nei quali perdersi all’ombra delle piante o godersi la rinfrancante ombra dei freschi interni del palazzo. All’interno di questo maestoso e magico complesso si intravede la Moti Masjid, la moschea della perla, considerata la più bella moschea dell’India, ma purtroppo chiusa al pubblico.

Nel pomeriggio prendiamo un simpaticissimo treno senza classe dove incontriamo una singolare ragazza tedesca, che vive da 12 anni in India. I suoi occhi hanno una luce particolare, magica, si intravede una pace mistica, ma anche la tristezza dell’India, la tristezza di chi compartecipa alle difficoltà di questa meravigliosa terra, di chi continua ad incontrare i bambini paria sul treno, di chi ha avuto il coraggio di affrontare una scelta dura, e di cercare di comprendere davvero lo spirito e l’anima di questa terra. L’incontro con Dasi è una delle esperienze migliori che mi siano capitate in tutta la mia vita, mi ha regalato un poco del suo vissuto, cercando di spiegarmi questa poliedrica cultura, difficile da comprendere, perché si può capire solo vivendola, assaggiandola, soffrendo assieme a loro.

Arrivati a Mathura accompagniamo Dasi a Vrindavan. Non credete alla Lonely che vi dice che ci vogliono solo 25 minuti, noi ce ne abbiamo impiegati ben 60 in un tuk tuk sul quale eravamo ben in 18, ma che andava davvero spedito. Abbiamo avuto solo un assaggio di questa sacra città dove si ritiene che Krishna si sia abbandonato ai propri passatempi di adolescente. Qui tutto si basa sul culto di Krishna, si canta, si danza, ci sono puja ovunque, 24 ore su 24. In questo irreale viaggio che è Vrindavan, sembra che il tempo e lo spazio si siano mischiati, in un caotico ordine prestabilito, ma incomprensibile ed inarrivabile, dove il pacifico ed entropico brulicare di uomini, senza una meta, ma che sanno dove stanno andando, crea un vortice tale da farti fluttuare sopra i tuoi pensieri come uno spettatore assente, ma partecipe. Come è ben descritto nella guida Polaris “visitare Vrindavan significa buttarsi alle spalle il mondo razionale e immergersi in un’esperienza spirituale che cerca dentro e trova connessioni con la divinità”. Vrindavan è un trascendente terreno, un’immanente divinità ed un infinito presente privo di tempo. E’ per tutto questo che merita davvero una giornata intera, e non poche rapide ore.

 

03.08.2005 – Mercoledì – 8° giorno

Agra – Taj Mahal – Sikandra – Fatehpur Sikri – Agra

Seguita da tre energici partecipanti, sveglia alle cinque per vedere l’alba al Taj Mahal, momento in cui questa meravigliosa perla scaturita dall’immenso dolore dell’imperatore Shan Jahan per la perdita dell’amatissima seconda moglie Mumtaz Mahal, si colora di blu. Le intenzioni che l’imperatore volle esprimere nel costruire questa incredibile tomba sono sinteticamente racchiuse dalla sura del corano intarsiata nell’arco centrale della Dawaza, l’accesso principale: “Un palazzo di perle fra i giardini e i canali/ dove i pii e i beati possano vivere per sempre”. L’edificio è stato iniziato nel 1631, anno in cui Mumtaz Mahal morì di parto e fu ultimato solo nel 1653, alla sua realizzazione parteciparono ben 20000 persone e ad alcuni vennero amputate le mani affinché non potessero ricostruire cotanta bellezza. Isa Kahn, un architetto di Shiraz, è considerato il principale artefice dell’edificio.

Dopo esserci goduti una delle sette meraviglie del mondo, ci facciamo portare da un tuk tuk a Sikandra, al mausoleo di Akbar che avviò la sua costruzione, mescolandovi motivi ornamentali ed elementi architettonici islamici, hindu, buddisti, jainisti e cristiani, sulla falsariga del modernissimo pensiero filosofico che egli aveva sviluppato.

Nel pomeriggio ci dedichiamo alla città abbandonata di Fatehpur Sikri, la città ideale fatta costruire dall’imperatore Akbar, per goderci la spettacolare policromia dell’arenaria rossa investita dal sole al tramonto. La città è completamente intatta e l’atmosfera rarefatta, alle volte quasi surreale, crea la sensazione di sentire ancora il brusio e vedere ancora le ombre della mondanità che vi regnava oltre quattro secoli fa.

All’interno della splendida Jama Masjid, risalente al 1572, che si dice costruita su un modello della Mecca, gli opprimenti venditori di chincaglierie e “turisticherie” ci fanno purtroppo ricadere in quella bruttissima sensazione di Jaipur, rovinandoci la magica atmosfera vissuta durate tutta la giornata. La moschea è davvero bella, ma non si riesce ad apprezzare appieno.

 

04.08.2005 –Giovedì – 9° giorno

Agra – Gwalior – Jhansi – Orchha

Solo quattro partecipanti, per la precisione gli unici che non avevano problemi di salute, si sono potuti godere lo spettacolare forte di Gwalior con le sue meravigliose sculture jainiste. Assieme agli altri 8 partecipanti ho raggiunto Orchha, l’antica capitale dei Bendala, nel primo pomeriggio e ci siamo ritrovati tutti assieme per un giro “in centro” verso le 16:30.

Dovete sapere che durante la stagione umida la città di Orchha ospita, soprattutto in centro città attirati dalla luce delle lampade, dei simpaticissimi insettini volanti che emanano l’odore inconfondibile dei loro cugini più prossimi, le blatte! Verso le 19 hanno organizzato un rave in ognuna delle nostre caldissime camere, pasteggiando indisturbate sulle nostre lenzuola, sui nostri vestiti e all’interno dei nostri zaini; ovunque, per farla breve… Sebbene il proprietario ci abbia assicurato che la festa non si sarebbe prolungata oltre le 22, abbiamo deciso di cambiare albergo e, abbracciando la filosofia che il nome della città evoca ad un ascoltatore italiano, abbiamo dormito nell’appartamento del Maharaja in un’ala del Jehangir Mahal in 13!!!

 

05.08.2005 – Venerdì – 10° giorno

Orchha – Khajuraho

La città di Orchha si staglia lungo il fiume sacro Betwa ed ospita meravigliosi Palazzi del XVII su di un’isola fortificata e stupendi templi risalenti al XVI secolo. Sebbene lo scopo della tappa ad Orchha è la visita di queste grandiose opere, la mia curiosità è stata più attirata dall’atmosfera semplice e pacifica che si respira in questo piccolo villaggio. La gente ha una luce particolare, distensiva e anche quando cerca di vendere, mai opprimente. Durante la visita dei palazzi, nei quali ci si perde per le strette scalinate che portano fino alla cima, abbiamo incontrato dei curiosi e simpatici indigeni. Il loro interesse si è scatenato non appena hanno visto lo schermo di una macchina fotografica digitale. Subito un mare di persone ci hanno circondato, cercando di farsi fotografare, per poi rivedersi. Sono questi i momenti magici ed indescrivibili che si vivono in India, del tutto inaspettati, mentre si visitano luoghi minuziosamente descritti dalle migliori guide oggi in commercio. Sono questi i momenti in cui bisognerebbe essere armati della classica polaroid per regalare una piccola parte di felicità a chi, con il proprio sorriso ed ingenuo stupore. ci riempie il cuore di gioia.

Lasciamo la serena bellezza di Orchha e i suoi armoniosi abitanti per raggiungere in macchina Khajuraho.

E finalmente eccolo, il monsone! Il cielo si fa scuro scuro, degli enormi nuvoloni neri ci stringono, non lasciandoci via d’uscita e istantaneamente tutta l’acqua che cade in un fortissimo temporale occidentale, lì cade in un secondo, batte sui vetri della macchina, sembra quasi che spacchi il parabrezza; il tergicristallo non riesce a pulire, la macchina, senza aria condizionata, si fa subito caldissima, quasi insopportabile ed irrespirabile per l’elevato tasso di umidità e i nostri bagagli sul tetto… fortunatamente non si bagneranno! La strada si riempie d’acqua, c’è chi si ripara, chi continua come se niente fosse, chi mistifica la linfa vitale che cade dal cielo!

Arriviamo a Khajuraho, prendiamo possesso delle camere, doccia e cena. Poi un’intensa chiacchierata a bordo piscina.

 

06.08.2005 –Sabato – 11° giorno

Khajuraho

Ieri sera abbiamo conosciuto Pappu e suo cugino, che ci perseguiteranno per tutta la nostra permanenza a Khajuraho, li troveremo ovunque, per la strada, subito all’uscita dall’albergo, per la città, sempre fastidiosamente petulanti.

Khajuraho è un piccolo villaggio del nord del Madhya Pradesh è divenuto noto nel 1838, quando alcuni archeologi inglesi scoprirono uno dei più grandi capolavori dell’architettura induista medievale, nascosto da una fitta vegetazione impenetrabile

Il soggetto delle sculture dei templi fatti costruire dalla dinastia dei Candela nel X secolo, è per lo più erotico, ma riassume al suo interno le regole della società induista che era regolata da tre diversi aspetti tra loro strutturati in modo armonico, il dharma, ovvero le regole comportamentali della religione e della filosofia induista, l’artha, collegato ai doveri verso la società e il kama, comprendente i piaceri del sesso.

Ma Khajuraho non è solo una splendida rappresentazione del Kamasutra, è anche da vivere, nel suo piccolo villaggio dove coesistono le caste, perdendosi per le sue case al ritorno dalla lunga passeggiata che porta alla Jain Enclosure. La strada che porta dalla turistica città ricca di negozietti al villaggio è ricca di tempietti dove la gente del luogo si reca a pregare. Nel villaggio abbiamo visitato una scuola che insegna indistintamente a tutte le caste e anche ai paria, e che cerca di evitare la distinzione fra studenti e studenti, mettendo a tutti la divisa. Abbiamo lasciato un’offerta.

Vi prego, non comprate nulla da Pappu o dai suoi parenti, sono davvero cari e dopo avermi accompagnato con l’ombrello in pieno monsone per discutere di “affari” nel suo negozio, una volta capito che non eravamo da spennare, mi ha fatto andare via da sola, senza accompagnatore. E’ davvero un opportunista della peggior specie.

 

07.08.2005 – Domenica – 12° giorno

Khajuraho – Satna

Abbiamo fatto un giro per la città, alcuni in cerca di qualche vantaggioso acquisto e poi via, alla vota di una nuova avventura: il bus pubblico!

L’esperienza è davvero divertente, ma comoda sicuramente no. Il bus è puntualissimo, parte dalla stazione dei bus di Khajuraho e si fa tutti i paesini, caricando tutte le persone che vogliono salire. Ci sono uomini ovunque, nel passaggio, attaccati al bus, sull’uscita, che intanto è aperta per l’estremo caldo, dato che l’aria condizionata ovviamente non c’è. Arriviamo a Satna immersi in un bagno di sudore, ma carichi della nuova eccitante esperienza e a piedi, per quanto mi riguarda dopo essere stata investita da un risciò a pedali, raggiungiamo la stazione.

Il nostro treno è stato soppresso a causa degli allagamenti ancora presenti nella zona di Mumbai, stazione di origine del treno, ma al suo posto è stato creato un treno ad hoc, con ben 5 ore e mezzo di ritardo. La stazione diventerà il nostro bivacco. Penso che nei primi giorni di viaggio nessuno si sarebbe sognato di sdraiarsi a terra per riposarsi un poco nella noia dell’attesa. Mi avventuro nella bolgia cittadina per cercare un telefono e trovo uno dei migliori roti di tutta la vacanza, croccantissimo, cotto al momento. Per ammazzare il tempo creiamo una bisca clandestina di scala quaranta alla quale si uniscono anche Shivu, Singh e Prakash, tre nostri nuovi amici indiani.

Il treno prima del nostro è diretto a Delhi, per una manifestazione politica, la stazione brulica di gente eccitata, che suona, che canta, che urla, che balla, che guarda esterrefatta i propri compaesani. E quando arriva questo treno, i passeggeri sembrano le locuste in mezzo al campo, il treno viene letteralmente assaltato, c’è chi si appende, chi tenta di aprire porte che cercano inutilmente di rimanere chiuse. Dentro gli scompartimenti un carnaio irrazionale, gente ammassata ogni dove, che ancora oggi mi chiedo come facesse a respirare…

Ma la vera avventura inizia una volta saliti sul nostro treno; le prenotazioni che abbiamo non sono più valide, o meglio, sono ancora valide, ma le ferrovie indiane hanno pensato bene di vendere una seconda volta i biglietti e quindi io, come il resto del gruppo, mi troverò a dividere il mio cuscino con dei profumatissimi piedi indiani… Il bello di un viaggio con trasporti pubblici è anche questo, il contatto con la gente…

 

08.08.2005 – Lunedì – 13° giorno

Satna – Varanasi

E finalmente alle 10 di mattina arriviamo a Varanasi, dove ci sta aspettando il pazientissimo Prakash, figlio del bramino Pandit Gopal, mitico “corrispondente” di Avventure. Finalmente faccio il mio primo giro in sella ad una moto indiana, fino a 2 km dall’albergo, che essendo in centro ed essendo lunedì, alcune strade sono chiuse al pubblico per le feste poiché agosto è il mese di Shiva. Meglio, raggiungeremo l’Alka a piedi per le viuzze della città.

Sono nuovamente a Varanasi, ho la pelle d’oca, penso che se venissi mille volte in India, mille volte vorrei passare a Varanasi. Varanasi si sente, Varanasi si vive nei suoi vicoli stretti e popolati dalla sacralità delle mucche, dai loro preziosi escrementi, dai banchi che vendono qualunque cosa. Varanasi è la sintesi religiosa dell’India, di quell’India magica e sacra, ricca di intense emozioni, difficile da spiegare a chi non c’è stato, nemmeno con le sbiadite fotografie, comunque esse siano fatte. Varanasi è forte, è triste, infinitamente triste, infinitamente povera, ma estremamente carica della felicità degli induisti. Varanasi è il luogo sacro da cui tutto ha origine e a cui tutto torna; dove i fedeli indù si ricongiungono al divino, dove è possibile espiare i peccati del karma, dove si scioglie il nodo della vita e si aprono le porte del moksha, la liberazione dal ciclo infinito delle reincarnazioni, che condanna a rinascere nel mondo dell’illusione terrena, nel mondo di maya. Dopo Varanasi nulla resta uguale; la mucca che pascola indisturbata per la banchina del binario 5 della stazione di Varanasi diventa anche la nostra mondanità, qualcosa di quel mondo entra in ciascuno di noi, lasciandogli qualcosa di speciale, qualcosa di magicamente diverso. Si vaga per la città dapprima incuriositi, poi come se fosse la propria linfa vitale, la città a cui tutti torniamo, in un costante e palpabile dualismo tra la vita e la morte (o se vogliamo tra la morte e la rinascita), tra la distruzione e la creazione. Tutto a Varanasi è nudo, anche la morte è qualcosa che si può sentire con i comuni sensi, la si può vedere, toccare, odorare, gustare nel fumo del ghat, prima che tocchi le sacre acque della Ganga per vivere nel tutto, nel nulla assoluto. Nulla è come Varanasi e nulla può descriverla meglio che viverci.

Una partecipante si perde nelle parole di un santone intento nella lettura del mantra, viviamo il Durga temple, il tempio della musica, accompagnati dal bravissimo Prakash e poi ci godiamo un meraviglioso concerto di musica di tabla e sitar, di tabla e flauto al Sur Sarita The Music School.

Splendida Varanasi

 

09.08.2005 – Martedì – 14° giorno

Varanasi – Sarnath – Varanasi

Sveglia di buon ora con partenza alle 05:30 per la “crociera” sulla madre Ganga. La luce di Varanasi è indescrivibile, ed è illuminata dalla sacralità delle abluzioni mattutine.

Magica Varanasi.

Si potrebbero spendere mille parole per cercare di descrivere tutto quello che si vede in quelle due ore, ma anche in questo caso non si riuscirebbe, perché non si usano solo gli occhi per vedere, è un tumulto vorticoso di sensazioni e distaccamento mistico dagli altri per immergersi, per piccoli ma intensi istanti, nel tutto, avvolti dalla madre Ganga, in una continua rinascita, in una continua trasformazione. In questi pochi attimi si è tutt’uno con il mondo, ma si è anche in quella solitudine armoniosa del ricongiungimento con il tutto. Sono solo pochi attimi, incommensurabili, sempre vividi, indimenticabilmente trascendenti.

Varanasi, la città senza tempo.

Ci perdiamo per i ghat, per le viuzze, ci godiamo una distensiva e rinfrancante lezione di yoga, per poi raggiungere Sarnath, signore dei cervi.

La leggenda narra che in una vita precedente il Budda fosse un cervo e vivesse in questa foresta; a Sarnath pronunciò il suo primo sermone esponendo ai suoi cinque discepoli il dharma, la dottrina delle quattro nobili verità e dell’ottuplice sentiero che porta al dissolvimento della sofferenza e conduce al Nirvana, all’illuminazione.

Il posto evoca sacralità e misticismo, come se il vento, sfiorando gli alberi tutt’attorno, cantasse in un perpetuo e silenzioso soffio, la dottrina del dharma.

Verso le sette di sera ritorniamo a Varanasi per assistere alla Puja, la preghiera della sera, al Dasaswamedh Ghat, le cui scalinate brulicano di gente, che con pacifica sacralità prendono parte alla preghiera. Alla fine e durante tutto il corso della preghiera vengono accesi dei lumini di buon auspicio e posati nelle spesse acque della Madre. Il tutto è avvolto dal mistero del soprasensibile nulla assoluto, in sospeso fra la terrena fragilità dell’uomo, fatto di carne e la porta verso l’assoluto.

Dopo questa fortissima emozione, compriamo 2 kg di dolci, che non assaggeremo mai e che vorrei avere qui in questo momento, e, armati di una bottiglia di acqua ciascuno, andiamo a cena a casa di Pandit. Mi ha davvero riempito il cuore di emozione e felicità, la tenerezza con cui Niwas ha coccolato la sua mucca sacra Ganga.

 

10.08.2005 – Mercoledì – 15° giorno

Varanasi – Kolkata

Con il tempo che ci resta, visitiamo il Nepali temple e il tempio d’oro, perdendoci ancora nel dedalo di vicoli e stradine, cercando di godere la città fino all’ultimo, non ancora pronti per il distacco, ma è ora di andare, il nostro tempo, per il momento, è finito.

Vorrei rimanere ancora, ma so che se anche restassi per anni, non appena dovessi ripartire, Varanasi sarebbe lì, a chiamarmi, con la sua voce impercettibile, ma sempre presente, con il suo eterno fascino e con il brusio della Madre Ganga, la porta verso il paradiso.

Siamo alla stazione di Varanasi, inspiegabile nel suo genere, aspettiamo il treno che ci porterà a Kolkata, e la malinconia ci avvolge, come se lasciassimo una parte di noi nella città eterna.

Inspiegabile Varanasi.

 

11.08.2005 – Giovedì – 16° giorno

Kolkata – Bhubaneswar

Arriviamo a Kolkata al mattino verso le 9:00, lasciamo i bagagli al deposito della stazione, dove si possono lasciare solo con un biglietto di transito, e mi reco alla Swosti Travel per cercare di organizzare il pernottamento nelle famiglie ed un’escursione al Sunerbans Wildlife Sanctuary, ma inutilmente, purtroppo non mi rimane tanto tempo e corro velocemente alla stazione.

Nel primo pomeriggio prendiamo il treno che ci porterà in Orissa, dove arriveremo verso le 21, attesi da un interessante e fascinoso uomo di mezza età, l’antropologo Shrikant Mishra, che ci ha prenotato l’albergo e la cena.

 

12.08.2005 – Venerdì – 17° giorno

Bhubaneswar – Chilka Lake – Ragayada

Partiamo alle 6:30, dopo aver conosciuto Malaica, una coordinatrice di Avventure, in India per mettere a punto un nuovo itinerario etno – socio-culturale a stretto contatto con le tribù locali. Il suo viaggio propone la conoscenza di queste popolazioni e delle ONG che le aiutano, per poter dipingere un quadro completo della situazione socio-politica di questa realtà all’interno dello stato Indiano.

Sulla strada ci fermiamo ad apprezzare il Durga Temple, anche aiutati dalle esaustive spiegazioni di Mr. Shrikant. La vegetazione è rigogliosa e dopo qualche ora raggiungiamo la laguna, il Chilka Lake, dove faremo un’abbondante colazione, perdendo il nostro sguardo nel più grande lago salmastro dell’Asia.

La vegetazione si fa sempre più intricata, in una miscellanea incredibile di piante sconosciute, come le verdure che ci vengono servite per pranzo, di insetti nuovi, che si uniscono alle instancabili mosche e agli animali purtroppo solo percepibili.

Visitiamo il nostro primo villaggio della tribù dei Kondhs, di sfuggita, senza ancora comprendere davvero l’intensità del contatto, forse senza riuscire a viverlo. Le parole di Shrikant ci raccontano di un mondo fiabesco, immaginato solo nella nostra infanzia, dove ci sono popolazioni che praticano ancora sacrifici di sangue di bufalo, lontano ricordo di quelli umani. In lontananza scorgiamo una pala molto particolare, da cui si estrae l’alcool, è la pianta della tribù, nessuno deve toccarla.

Fra le tribù, l’etnia dei Kondhs è quella più numerosa; essi fanno parte del ceppo dei Proto Australoidi; la vicinanza con centri urbani sviluppati ha purtroppo già contaminato la cultura di queste etnie, che un tempo utilizzavano ancora il baratto. Per una descrizione più accurata delle tribù e delle loro particolarità inserisco al fondo l’articolo di Gian Carlo Banfi scritto in collaborazione con l’antropologo Shrikant Mishra.

Arriviamo a Ragayada solo in tarda serata, giusto il tempo per una doccia veloce ed una cena sempre troppo copiosa.

 

13.08.2005 – Sabato – 18° giorno

Ragayada – Tribù – Jeypore

Oggi e la giornata seguente sono quelle ricche di forti emozioni, di mille domande sulla correttezza della nostra visita, sulla paura della contaminazione, sulle riflessioni in riguardo alle scelte discutibili dello stato indiano nel confronto di queste popolazioni. Senza Srikant, questa visita sarebbe stata un inconcepibile “safari”, che non ci avrebbe lasciato così tante domande.

Sveglia alle 5:30 e partenza alle 6:00, per raggiungere i Dongria Kondhs, che vivono nei pressi di Bisamkatak sulla catena delle colline Niyamgiri. Scendendo dal pullman raggiungiamo subito il primo villaggio nel quale quest’anno si è tenuto il sacrificio principale di sangue alla madre terra rappresentata da un totem con due seni e poli decorati. Qui tutti i clan si sono riuniti, attorno al recinto di canne di bambù creato per l’evento, così come per l’evento è stata costruita la casa dove si è tenuto il sacrificio, quella tutta decorata con triangoli colorati. Esiste un concilio di clan che si riunisce ogni anno per decidere in quale villaggio si farà il sacrificio.

Proseguiamo a piedi in mezzo alla fitta vegetazione della campagna circostante per raggiungere il secondo grande villaggio. Prima di giungere al confine ideale, troviamo una lingua di cemento; Srikant ci spiega che in occasione del grande censimento che ha coinvolto tutta l’India, il governo, per far vedere che teneva alle etnie locali, ha cercato di portare alcuni aspetti della “civilizzazione” a queste popolazioni. Il governo però non vuole comprenderle fino in fondo, vuole solo scaricarsi la coscienza e ha fornito loro il telefono, quantomeno inutile, visto che non lo sanno nemmeno usare, i pannelli solari, sempre più inutili ed infine questa strada cementata, che oltre a non servire, in quanto queste popolazioni utilizzano strade secondarie in mezzo alla foresta per andare da un posto ad un altro, creano danni in quando non danno la possibilità al terreno di assorbire il monsone. Ciò che servirebbe a queste popolazioni sono delle cure mediche, aiutandoli con medicinali e non lasciandoli morire di malaria o di meningite o solo per una gamba spezzata. In questo villaggio non avrei mai voluto vedere gli occhi di una madre rassegnati, in attesa della morte di lei e del suo bambino, una morte evitabile, un decesso che sarebbe arrivato entro la settimana, per la malaria. Tutti i fiumi di parole che vengono sprecati dalle associazioni governative in libri sui diritti di queste etnie, non sono riusciti a raccogliere nemmeno un soldo per dar loro un poco di clorochina. Arriveremo a Jeypore e compreremo i farmaci per questa donna, ma ne abbiamo salvata solo una, gli altri?

Scendendo, grazie alla presenza di Malaica, ci fermiamo in visita ad una scuola, sovvenzionata dal governo, ma gestita da personale non governativo. I bambini sono di tutte le età e provengono delle tribù. Tutti indossano una divisa per evitare che ci siano distinzioni di casta. Torniamo piccoli, ci divertiamo a cercare di comunicare con loro, a rispecchiare i loro visini incuriositi, a giocare con loro.

Procediamo nella lunga strada verso Jeypore e ci fermiamo lungo la strada in un villaggio di Desia Kondhs. La denutrizione è visibile nella ventre gonfio dei bambini, certi impauriti, altri straniti, altri davvero incuriositi e felici; giochiamo con loro, in un sottile stato di felicità misto a sconforto.

 

14.08.2005 –Domenica – 19° giorno

Jeypore – Bondas’ Market – Jeypore – Ragayada

Oggi partiamo alle 6:30, per raggiungere il mercato. Qui troviamo le donne delle tribù Bondas, probabilmente le più primitive, che scendono dalle remote colline in cui vivono per vendere il frutto del loro sudore. Queste donne sono splendide, minute, hanno gambe sottili e ben tornite e il corpo è ben visibile dai loro abiti succinti costituiti da semplici collane di perline, da bracciali ed ornamenti vari e dai ringa, minuscoli gonnellini di stoffa tessuti da loro stesse al telaio; al collo portano larghi e grossi collari in bronzo e alluminio e per raggiungere il mercato indossano anche una corta mantellina. La testa rasata fa risaltare gli stupendi lineamenti del loro incisivo viso e viene anch’essa ornata di coloratissime perline.

I frutti che vendono sono solo un vivace sfondo a questo splendido mondo, dove si gusta la quotidianità; cerchiamo di dialogare, con semplici gesti, intensi sguardi ricchi di curiosità e stupore; è l’India tribale che si mischia con il grigio occidente, per lasciare ancora una volta il segno indelebile del suo passaggio.

Ed eccolo di nuovo, il monsone, ci sorprende, mentre estasiati guardiamo quel brulicare incessante di trattative; mi lascio inondare il corpo di quella rinfrescante parentesi, alzo la testa al cielo e copiosamente bevo, come se fossi tornata alle origini, sento il mio corpo inzupparsi farsi un tutt’uno con la Natura, la sensazione è quella di quando ero bambina.

Verso pomeriggio, sulla strada per tornare a Ragayada, visitiamo un villaggio pieno zeppo di bambini, ed ecco nuovamente la magia dell’India. Siamo di colpo assaliti da un’orda di meravigliosi bimbi curiosissimi e simpaticissimi che si continuano a far fare fotografie, ridendo, scherzando, incuriositi per lo strano marchingegno. Passiamo delle ore stupende, davvero magiche, respiriamo la loro ingenua curiosità, giocando e dialogando, con pochi gesti, con la rara magia de loro genitori.

 

15.08.2005 – Lunedì – 20° giorno

Ragayada – Konark

Ed ecco che dobbiamo ripartire, lasciando questo mondo magico, per tornare all’India “civile”, per ritornare al nostro amatissimo treno.

Le 12 ore di bus sono davvero tante, davvero pesanti, anche perché le strade sono incredibilmente dissestate, ma nel tragitto abbiamo modo di ripercorrere con la mente, perdendo il nostro sguardo nel verdeggiante orizzonte, quelle magiche emozioni che ci ha regalato quel fugace contatto con persone così differenti.

Arriviamo a Konark a notte fonda, accompagnati da Shivu, il gentilissimo aiutante di Srikant.

Una cena di compleanno ci ricorda che fra pochi giorni il viaggio sarà terminato.

 

16.08.2005 – Martedì – 21° giorno

Konark – Puri – Kolkata

Oggi ci svegliamo con più calma, per andare al mare.

Ed eccolo, l’oceano indiano del golfo del Bengala, con le sue enormi onde bianche e spumeggianti, con il suo intenso sapore, con una spiaggia che si perde fino a sbiadire nell’infinito e i cammelli, attorniati da gente che beve il rinfrescante nettare del cocco ancora verde.

Ci immergiamo e subito una folla prettamente maschile si avvicina; l’esperienza di tutte le ragazze del gruppo può riassumersi in “modella per un giorno”!!!

Dopo questa simpatica parentesi ed una doccia, visitiamo il tempio del sole di Konark… sotto un rinfrescante monsone!

Il magnifico tempio del sole, fatto costruire dal re Narasimhadeva nel tredicesimo secolo, è il culmine dell’architettura dei templi dell’Orissa ed uno dei più sbalorditivi monumenti religiosi al mondo. L’intero tempio è stato disegnato sotto la forma di un colossale carro, che porta il dio del sole, Surya, attraverso i cieli. Il poeta Rabindranath Tagore scrisse di Konark “qui il linguaggio della pietra supera il linguaggio umano”, ed è vero, come tutte le sensazioni in India, anche questo incredibile capolavoro non è descrivibile con le semplici parole umane.

Lasciamo Konark e raggiungiamo Puri, costeggiando l’oceano e le bianche spiagge.

Puri è uno dei quattro dham, i luoghi di pellegrinaggio hindu più sacri dell’India. Secondo i buddisti, Puti è il luogo in cui fu nascosto il dente di Budda trafugato a Kandy, Sri Lanka.

Il luogo principale è il grande Jagannath Mandir, al cui interno non si fa nessuna distinzione di casta, ma al quale si accede solo se si è hindu. All’interno, nel jagomohan, o sala riunione, centrale vi sono le statue di Jagannath, Signore dell’universo ed incarnazione di Vishnu di suo fratello Balbhandra e della sorella Subhadra, All’esterno del tempio vi sono numerosissime bancarelle che ne vendono le ricostruzioni. Più che dei sembrano una rivisitazione indiana dei personaggi di South Park, tutti e tre inghirlandati e con i grossi occhioni. Per poter ammirare almeno dall’alto il tempio siamo entrati in una splendida biblioteca e abbiamo lasciato una donazione obbligatoria.

Il buio della sera ci dice che è venuta l’ora di salire sul nostro ultimo treno…

 

17.08.2005 – Mercoledì – 22° giorno

Kolkata

Arriviamo alla stazione di mattina presto, scendiamo dal nostro ultimo treno, con tutti le sue “comodità”, indimenticabile compagno di viaggio. Proprio ora lo dobbiamo salutare, quando iniziavamo a goderne la vitalità.

All’esterno grandi file di taxi gialli e sullo sfondo, l’imponente modernità dell’Howra Bridge.

Entriamo in Kolkata ed una volta in albergo iniziamo a perderci in questa modernissima città indiana, che lega la sua storia all’arrivo degli inglesi.

Non una mucca, pochi tuk tuk, tanti taxi gialli; forse è l’anticamera dell’occidente…

Prendiamo la metropolitana per raggiungere Kalighat, da cui deriva il nome della città; la sua atmosfera è pesante, cupa, si respira ancora l’anima degli animali sacrificati la mattina alla dea Kali. E’ uno dei luoghi sacri più importanti dell’India per i seguaci della dea Kali, ma non evoca certamente sacralità.

Giriamo l’angolo per visitare l’Hospital for the Dying Destituite di Madre Teresa. L’ospedale non presenta delle porte di ingresso, si accede direttamente in un salone dove i malati vengono accuditi, coccolati, nutriti, e curati, per quello che ancora si riesce a fare, da ragazzi come noi, volontari, che dedicano la loro vita ad alleviare dalle sofferenze questa povera gente. Non sono riuscita a resistere, sono scappata subito a fare un’offerta alla Madre Superiora e poi sono uscita, annegata in un disarmante silenzio, il cuore spezzato per l’inutilità della mia condizione di fronte a tutto questo, singhiozzando in silenzio, non riuscendo a comprendere perché tutto questo debba esistere, perché devono ancora esserci persone che muoiono di fame, di stenti, di miseria, di povertà, nell’assurdo sconforto di non essere capace di regalare loro anche solo un semplice sorriso, di fronte alla contraddizione fra il consumismo più bieco e la povertà più assoluta. Negli occhi di questa gente, in fin di vita, tanta serenità e la contentezza di poter essere accompagnata al paradiso da persone davvero incredibili.

 

18.08.2005 – Giovedì – 23° giorno

Kolkata

Oggi visitiamo la casa madre di Madre Teresa, a cui lasciamo offerte e poi andiamo a lasciare i vestitini, i pastelli, i giocattoli e le medicine all’Orfanotrofio.

I bimbi sono bellissimi, giochiamo con loro, anche se è difficile, alcuni sono vittime di malformazioni, altri sono denutriti, altri, come Jaja, hanno la tristezza nel cuore, una tristezza che nasce dall’amara certezza di non poter avere l’amore di un genitore, perché sei davvero troppo grande, nella fredda certezza che quei signori che adesso ti coccolano, ti fanno giocare, ti parlano incuriositi, prima o poi se ne andranno e ti lasceranno con la tua solitudine, con quella scatola di amore, con cui ogni bambino dovrebbe crescere e convivere, terribilmente vuota, di un vuoto incolmabile e insopportabile.

Mille pensieri ci annebbiano la vista, in una Kolkata così moderna, ma così contrastante, dove la ricchezza e la povertà viaggiano davvero a stretto contatto, dove la sporcizia delimita il territorio della miseria, dei paria, delle persone davvero misere.

Camminiamo per la città, ripercorrendo l’Howra Bridge, per la zona del Bara Bazar, visitiamo la Nakhoda Masjid, vediamo il Marble Palace fino a perderci nella casa di Rabindranath Tagore, oggi dedicata allo studio delle arti, della musica, del teatro e della pittura, assistendo magicamente ad una lezione di danza.

Ma le emozioni non sono finite, la sera decidiamo di andare al cinema, di vedere uno di quei colossal di Bollywood, Mandal Pandey, di ambientazione storica.

 

19.08.2005 – Venerdì – 24° giorno

Kolkata – Delhi

Abbiamo una mattinata per gustare ancora un poco d’India, prima che gli aerei ci portino a destinazione.

Ci svegliamo di buon ora e ci facciamo accompagnare da un taxi all’Howrah Bridge, sulla destra notiamo la stazione… il ponte, eretto nel 1943 con un progetto avveniristico che consiste in una sola arcata ampia circa 650 metri, è il più affollato al mondo e lo si sente vibrare sotto i propri piedi. Poco più avanti al di sotto, si staglia il meraviglioso e coloratissimo mercato dei fiori, dove l’India conosciuta nel nostro viaggio, diventa ancora più incredibile, in una commistione di avveniristica modernità e di tradizioni religiose. Lo spettacolo è magnifico e non bastano le poche ore che gli dedichiamo. Saltiamo su di un taxi per correre a vedere il Great Banjan Tree, entrato nel guinness dei primati come pianta più grande al modo, nel rilassante ed estesissimo Botanic Garden. Questo albero ha più di 240 anni, il ramo più alto misura 24,5 m, con una circonferenza di 420 m!

Purtroppo dobbiamo salutare Kolkata, per arrivare all’aeroporto di Delhi, con la sua folle burocrazia e qui salutare l’India.

20.08.2005 – Sabato – 25° giorno

Delhi – Frankfurt – Italia

A Frankfurt Matteo vaga disperato, con la tristezza nel cuore, per aver terminato un così grande viaggio. Tutti noi sappiamo che non potremmo che raccontare una piccola parte di quell’incredibile esperienza che è l’India, purtroppo sempre banalizzandola.

Ciò che sicuramente non dimenticheremo mai è la gente, con i loro sorrisi, la loro invadenza, la curiosità, la tristezza, la povertà e la ricchezza, con i loro sputi catarrosi, con il loro cibo gustato e offertoci in treno, con lo sconforto, con la rassegnazione, con la felicità, con tutto ciò che è India.

Ciò che sappiamo anche è che questa esperienza ha legato indissolubilmente delle persone che prima non si conoscevano, con il legame dell’India, con la consapevolezza che comunque noi fossimo, una parte di noi è rimasta là, ed una parte di noi, è diventata India, quella parte che rivive quell’esperienza anche qui, a Torino, in Italia, quell’esperienza che ci ha donato la possibilità di vedere un poco oltre alle cose, di sentirle, di apprezzarle.

Una piccola parte di questo paese vivrà sempre con noi, in contrasto ed armonia con la nostra anima, lasciandoci di questo viaggio un ricordo davvero unico ed indelebile.

 

 

Ferdinand de Lanoye disse: “Vi sono mille porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne”

Continue reading “India del nord in mezzi pubblici”

India del sud in mezzi pubblici

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24.12.2006 – Domenica – 1° giorno

Italia – Chennai

Sono davvero eccitata, in fibrillazione; è la prima volta che parto con un gruppo per una prima assoluta e per di più da me proposta e sognata!

Ci incontriamo all’aeroporto di Francoforte e dopo aver fatto le carte d’imbarco direttamente al gate e nominato il cassiere, iniziamo subito a scambiarci mille idee e mille pensieri di come speriamo che sia questo incredibile viaggio in India.

L’aereo parte ovviamente con ritardo, sia mai che l’Air India sia puntuale, varie ore di volo, diversi spuntini, cene e tentativi di dormire e siamo a Mumbai, catapultati in un altro mondo.

Prendiamo le nostre carte d’imbarco dall’incaricato che ci attende e ci accalchiamo nella fila per accedere ai gate nazionali.

Il nostro aereo dovrebbe partire a minuti, ma c’è troppa coda. Dopo un quarto d’ora un incaricato ci permette di passare avanti e prendiamo il nostro volo.

Non temete, dovesse mai capitare anche a voi, a terra non vi lasciano; l’Air India aspetta i suoi passeggeri, a costo di ritardare i voli come fa usualmente!

 

25.12.2006 – Lunedì – 2° giorno

CHENNAI – KANCHIPURAM – TIRUKKALUKKUM – MAMALLAPURAM

Due ore di volo e siamo a Chennai. Prendiamo i bagagli, compiliamo la carta di smarrimento per uno scatolone di aiuti che non è arrivato a destinazione, salutiamo il signore della missione ed usciamo, ad assaporare la prima impressione di India.

E’ mattina presto, sono le 6 e il cielo è ancora scuro; gli indiani sono ammassati all’uscita e attendono i loro cari; il nostro pulmino, parcheggiato più avanti ci sta aspettando.

E’ un senso di smarrimento quello che ti pervade non appena arrivi, ti trovi in questo clima idilliaco, dimenticandoti quasi dell’inverno rigido che hai lasciato da poche ore, cerchi di immergerti in quello che è il traffico, il sorriso e lo stupore della gente, tantissima, che c’è per la strada a quell’ora, ma non ci riesci; sul pulmino, come da un documentario vedi il paesaggio circostante che scorre veloce, con le palme e quelle capanne ai bordi della strada, abitate da gente davvero povera…

Poi la stanchezza ha il sopravvento, forse anche lo stordimento che si prova nel vedere così tanta povertà, ti aiuta a chiudere gli occhi, come a cercare riparo.

In un’oretta (71 km) siamo a Kanchipuram, una delle sette città sacre dell’India; essa ha la particolarità di essere dedicata a Shiva e Vishnu.

Dei 200 templi rimasti (un tempo ne vantava addirittura 1000!) sparsi in vari luoghi della città, visitiamo il tempio Kailasanatha, il tempio più antico, dedicato a Shiva, Il tempio Sri Ekambaranathar, dedicato a Shiva e uno dei templi più grandi della città, il tempio Devarajaswami, il Vaikunta Perumal e il Kamakshi Amman.

L’atmosfera è di intensa sacralità, i colonnati all’interno dei templi sono scuri e le poche sillabe di preghiera che continuano a ripetersi come una litania fanno di questi templi, luoghi di intensa spiritualità, quasi palpabile.

Ancora tre quarti d’ora di bus (51 km) e siamo alle pendici della collina delle aquile sacre, dove sorge il tempio di Vedagirishvara; purtroppo Silvana si sente male, Sergio, Dorina, Federico e Nicoletta non se la sentono di salire e a noi altri non resta che desistere e andare spediti verso Mamallapuram; ci arriviamo in un quarto d’ora (14 km).

Distrutta, arrivo alla reception del Sea Breeze e sorpresa! Le camere non ci sono… Sistemo Silvana e Nicoletta e in due orette tutti gli altri, te sulla spiaggia, giretto per la città e appuntamento alle tre per vedere le belle sculture in pietra di questa incredibile cittadina.

Iniziamo con lo Shore Temple, situato in una posizione divina e romanticamente deliziosa, rovinato dal mare, dal vento e dallo tsunami, così tragicamente noto, e proseguiamo verso Beach Road fino all’Arunia’s Penace, scalando la collina, con gli occhi pieni dalle meraviglie in pietra disseminate ogni dove.

Purtroppo il sole sta calando e non ci resta che goderci il tramonto, certi che purtroppo non potremo vedere le Five Rathas, a un quarto d’ora di cammino dall’ultimo tempio del promontorio.

Cena in un localino tipico della città, completamente vegetariano e a nanna!

CONSIGLIO: il riposo è d’obbligo, se il piano voli è simile al nostro. Vi consiglio di vedere lo Shore temple e la collina, di cenare presto e di lasciare per il giorno seguente le Five Rathas.

 

26.12.2006 – Martedì – 3° giorno

MAMALLAPURAM – PONDICHERRY – CHIDABARAM – KUMBAKONAM

Ci svegliamo presto e alle 8 siamo già all’incrocio con la strada principale dove appunto c’è la fermata, il plurimenzionato “BYBUS”.

Attendiamo 5 minuti ed eccolo, la mitica scatoletta arrugginita si sta avvicinando; sbraccio per fermarlo quasi al centro della strada, chiedo conferma e poi saliamo. Ci sistemiamo alla belle e meglio, poi trovo il controllore e faccio i biglietti.

Ci attendono 2h30 di questa meraviglia tecnologica della TATA, 134 km di strada meravigliosamente asfaltata per giungere fino a Pondicherry.

Io trovo sistemazione vicino all’autista, sulla scatola che racchiude motore/cambio, mano a mano anche gli altri trovano un posto a sedere.

Il paesaggio è splendido; poi, una volta entrati a Pondy, chiediamo al bigliettaio, che parla un’inglese perfetto, quale sia la fermata migliore per l’ashram di Aurobindo; scendiamo al BUS STAND e subito proviamo l’ebbrezza di un tuk tuk, ovviamente dopo una lauta colazione con i biscotti e i succhi tipici dell’India e dopo aver chiesto gli orari per Chidabaram.

Lasciamo il bagaglio nella cloack room (una stanzetta 1m x 1m!), per 9Rs a bagaglio

Tolte le scarpe, entriamo in questo caseggiato di un bianco quasi impalpabile; sotto un albero frangipane, delle persone in preghiera e rigorosamente in silenzio meditano sulla samadhi di Aurobindo e di The Mother. L’atmosfera è incredibile, si avverte una pace quasi irreale e dopo aver goduto di questa meravigliosa sensazione usciamo e continuiamo il nostro giro per la città (vedi lonely planet).

Ci fermiamo a fotografare la statua di Gandhi, poi proseguiamo lungo Lal Bahabhur Street, che percorriamo interamente, dopo una ristoratrice tazza di chai, per arrivare, sempre a piedi, alla stazione degli autobus.

Alle 13:00 parte il nostro autobus, ci impiegherà 2 ore per 70 km; all’interno il bigliettaio vuole farci pagare il posto che il nostro bagaglio “ruba”, ma gli resistiamo.

RICORDATEVI: si paga solo il biglietto del passeggero, mai del bagaglio; del resto ci sono persone che sembra che si portino la casa dietro e non pagano una rupia… Meglio lasciare un’offerta alla gente povera piuttosto che farsi fare fessi da un controllore troppo furbo.

Alle 15:30 siamo al BUS STAND di Chidabaram, cerchiamo la cloack room, un retrobottega difficile da scovare (11,7Rs/bagaglio) e poi ci avventuriamo verso il tempio Nataraja.

Dato che come tutti gli altri templi, anche questo chiude dalle 12 alle 16:30, cogliamo l’occasione per pranzare con Dosa e intingoli vari, in un posticino tipico, dove gli avventori ci guardano con stupore.

Nataraja è lo Shiva danzante, quella figura che viene rappresentata dentro ad un cerchio di fuoco, mentre danza con la gamba destra sollevata e la sinistra che schiaccia il demone dell’ignoranza.

Allo Shiva danzante è dedicato appunto il tempio di Chidambaran. Di primo acchito il tempio sembra quasi in ristrutturazione, pali, transenne, cancelli chiusi, poi, all’ingresso, un porticato di colonne intarsiate, fra le quali danza la luce serale, che penetra da un cortile interno. Sulla destra un porticato nel porticato, con colonne intarsiate ad imitazione degli alti Gopuram esterni.

L’aria è piena del fumo che sale dai piccoli vasi pieni di ghee, usato per accendere piccoli stoppini di cotone. Il fumo ritaglia i raggi di luce che qua e là penetrano il buio. Entro nel cortile Non so se posso, di solito è proibito ai non Hindu, ma non ci sono cartelli di divieto, e nessuno mi dice nulla. Mi siedo a guardare; davanti a me le porte d’oro del sacrario aperte e i sacerdoti preparano la cerimonia. I fedeli pregano e fanno offerte. Improvvisamente iniziano a suonare le campane. Dopo un istante campanelli e il canto dei fedeli, un mantra, una preghiera. Ha inizio la puja. Il sacerdote, in piedi davanti a Shiva, accende il fuoco con una torcia e la agita davanti alla statua. I fedeli incalzano, ritmati dal suono frenetico delle campane e dei campanelli.

Il mistero e la magia avvolgono quei gesti antichi, nel segreto, nel buio della cella di quel dio che non si mostra, che ascolta silenzioso e che chiude nel suo cerchio di fuoco l’energia della creazione e la forza della distruzione. Le foto sono proibite. Il mistero non può essere mostrato.

Usciamo dal tempio, ancora intrisi della sacralità sprigionata dalla luce e dalle preghiere, prendiamo i nostri bagagli e saliamo sull’ultimo bus della giornata, che dopo 95 km di curve intense, in 2h30 ci porta al BUS STAND di Kumbakonam. Ci spostiamo in tuk tuk verso l’albergo.

Sono ormai le 20:00, tempo di sistemarci in camera, cena in albergo e poi nanna; domani l’itinerario è intenso!

CONSIGLIO: poiché ci si sposta in mezzi pubblici, vi consiglio di utilizzare Kumbakonam come base per visitare le altre bellezze al suo intorno, dormendoci la notte come abbiamo fatto noi; gli autobus per i villaggi limitrofi partono tutti dal Bus Stand.

 

27.12.2006 – Mercoledì – 4° giorno

KUMBAKONAM – GANGAKONDACHOLAPURAM – DHARASURAM – SWAMIMALAI – THANJAVUR – TIRUCCHIRAPALLI

Ovviamente partenza la mattina presto alle 7:00, abbiamo tantissimo da vedere e il treno per Thanjavur parte alle 14:30.

Il primo bus per Gangakondacholapuram parte alle 7:20 e ci impiega 1h per 35 km. Il tragitto è bellissimo, in mezzo ai campi e davvero poco battuto dai turisti, tanto che sia i signori sopra il bus, sia gli abitanti del minuscolo centro, sono stupiti alla nostra vista. Mi sembra quasi di essere all’interno del film “non ci resta che piangere” e di essere capitati a Frittole!!!

Il Tempio di Brihadishwara è ciò che rimane della capitale del regno della dinastia Chola. Ci godiamo la pace che si avverte in questo minuscolo centro abitato e quasi con la stessa curiosità chiediamo dove sia la fermata… Ovviamente è lungo la strada, basta alzare la mano! Dopo 15 minuti, di chiacchiere a gesti, risaliamo sul bus che ci riporterà a Kumbakonam, dalla quale prenderemo un altro autobus, che in 15 minuti (6 km), ci porterà a Dharasuram.

Qui ci aspetta lo spettacolare tempio di Airavateshvara, eretto dal re chola Rajaraja. Il tempio è completamente dipinto e l’atmosfera di sacralità s’infonde in ogni dove. Ci rimaniamo 1 ora. Questo tempio è dedicato a Shiva; la leggenda narra che Airavata, l’elefante bianco di Indra, il dio dei cieli, adorò qui Shiva, dopo aver recuperato il suo colore perduto.

Torniamo a Kumbakonam, ci ristoriamo in un ristorantino tipico della città questa volta accompagnando il riso con un poco di pollo e poi, con l’aiuto dell’autobus, andiamo alla stazione, per 30 minuti di treno, 35 km, fino a Thanjavur, dove arriviamo alle 15:10.

Lasciamo il bagaglio nella cloack room della stazione e non appena usciti prendiamo il bus fino al magnifico Brihadishvara temple, in granito, il più bell’esempio di architettura chola, dichiarato patrimonio dell’Unesco. Ci rimaniamo un’oretta, camminando in lungo e in largo per il tempio, godendoci le ore di sole più belle, quando la luce indora le sculture del grande gopuram.

Purtroppo dobbiamo affrettarci a prendere un tuk tuk per andare a visitare il Royal Palace, carino, ma nulla di incredibile; degne di nota solo il dipinto murale all’ingresso di Saraswati Mahal.

CONSIGLIO: se avete poco tempo come noi, forse conviene di più rilassarsi e godersi la sacralità e la bellezza dei giochi di luce del colonnato, vagando qua e là nel tempio Brihadishvara temple piuttosto che andare a vedere il Royal Palace.

Vaghiamo nei pressi della stazione, cercando di ammazzare l’ultima mezz’oretta mangiandoci un poco di dolciumi indiani, strepitosi quelli con l’argento sopra e sulla banchina del treno banchettiamo, sempre accompagnati dagli sguardi attoniti dei passanti.

Il treno arriva in perfetto orario, alle 19:10. Arriveremo alle 20:30 a Trichy, dove, dopo un chilometro di strada a piedi, ci aspetterà la tanto agognata cenetta nel dehor dell’albergo e il meritato riposo.

 

28.12.2006 –Giovedì – 5° giorno

TIRUCCHIRAPALLI – AMMANDAPAN – SRIRANGAM – MADURAI

Alle 7:30 siamo già al Bus Stand per prendere il mitico numero uno e andare a visitare il meraviglioso tempio dell’Ammandapan. A soli 6 km dalla stazione degli autobus, ad un solo quarto d’ora sorge il meraviglioso tempio di Sri Ranganathaswamy.

L’atmosfera è ancora una volta piena di sacralità, l’odore dei fiori, dati agli dei come offerte, pervade l’aria, intrisa di incensi e profumi di oli bruciati. Tutt’attorno un brulicare di pellegrini che pregano, con gli occhi pieni di pace e noi, increduli, di fronte alla manifestazione del divino.

Usciamo solo dopo due ore dal tempio, ancora increduli, e sotto il sole cocente ci avventuriamo verso la via di fronte al tempio, lunga circa 1.5 km, al termine della quale ci sono le vasche dove si fanno le abluzioni e ci si rinfresca un poco; tutto il resto è una coloratissima quotidianità che si staglia sotto i nostri occhi.

Prendiamo il mitico bus numero 1, quello che già ci ha portato fino a qui, proprio al di fuori delle vasche e dopo il quarto d’ora canonico siamo ai piedi del Rock Fort.

Prendiamo un chai ristoratore prima di avventurarci su per i 434 gradini che ci condurranno fino alla sommità, poi, dopo esserci dati appuntamento a questo ristorantino, iniziamo ad immergerci nella vitalità del mercatino che dipinge tutta la via fino all’entrata del Rock fort.

La salita avviene completamente scalzi, come normalmente succede in ogni luogo di culto; l’ascesa è faticosa, ma ne vale davvero la pena.

Una volta in cima, a parte l’antenna che deturpa un poco la sacralità del luogo, entrati nel tempietto, con una meravigliosa brezza che rinfresca l’aria, si può avere un’idea di Trichy e della grandezza dell’ammandapan, visibile anche da qui, in tutto il suo splendore e la sua grandezza.

Alle 14:15 siamo alla stazione, il nostro treno parte alla volta di Madurai, dove arriverà alle 17:30.

Prendiamo un tuk tuk, che da Madurai JN ci porterà fino al centro, dove prenderemo possesso delle nostre fantastiche camere all’ostello della gioventù.

Cena ovviamente vegetariana e poi nanna, dopo aver posato lo sguardo sul tempio di Sri Meenakshi illuminato dalla luna.

 

29.12.2006 – Venerdì – 6° giorno

MADURAI – THIRUVANANTHAPURAM

Dopo una notte pressoché insonne, causa la mia insistente tosse e la paura di svegliare qualcuno, dopo esserci concessi una lauta colazione, iniziamo la visita della città.

Alle 8:00 siamo già sotto lo spettacolare tempio Sri Meenakshi, accompagnati da una guida che ci spiegherà moltissimo degli usi e costumi religiosi dell’India del Sud e dei suoi coloratissimi templi.

Dal 1967 il tempio di Sri Meenakshi viene ridipinto ogni 5 anni grazie alle offerte per la ristrutturazione lasciate delle persone abbienti.

Come in ogni tempio del Tamil Nadu, ciò che ci colpisce di più e ciò che rende questi templi diversi uno dall’altro è la vitalità che si avverte all’interno; ogni tempio è vivo, è brulicante di pellegrini che compiono offerte, si pentono o chiedono al dio di dar loro figli, denaro, un lavoro…

Il tempio trasuda la vita delle persone dell’India e si potrebbe davvero stare una giornata intera a guardare fissi un punto, una statua votiva di Ganesh, non annoiandosi mai, assaporando di volta in volta una storia diversa.

E sebbene sia frequentatissimo, sebbene all’esterno ci sia il frastuono dei clacson della frenetica vita cittadina, all’interno è l’oasi di pace.

Ci vorremmo stare di più, forse meriterebbe davvero l’intera giornata anziché le sole due ore e mezza che gli abbiamo dedicato…

Ci spostiamo a piedi poco oltre, verso il palazzo di Tirumalai Nayak, un palazzo indo-saraceno costruito nel 1636. Oggi rimane ben poco, solo l’ingresso, la sala principale e la sala da ballo; merita di essere visitato, ma non ci siamo rimasti più di 30 minuti.

Continuiamo per il museo di Gandhi; all’interno vengono raccontati con dei dipinti i momenti salienti del mahatma; alla fine del percorso, il sari insanguinato del maestro, con il sangue, memoria indelebile di ciò che è stato.

Pomeriggio libero per riposi/acquisti e verso le 17 ci ritroviamo per visitare l’ospedale di S.Mary Leuca. Saremmo dovuti andare prima, ci avrebbero accompagnato a visitare il lebbrosario e le scuole dei bimbi orfani di cui si prendono cura.

Sono molto gentili e ci offrono tutto ciò che hanno, i dolci, le caramelline.

Ritornati ceniamo e poi andiamo in stazione ad attendere il nostro primo treno notturno, in partenza alle 23:15.

CONSIGLIO: La notte in treno fa davvero freddo, portatevi il sacco a pelo

 

30.12.2006 –Sabato – 7° giorno

THIRUVANANTHAPURAM – VARKALA – KOLLAM

Verso le 7:30 siamo a Trivandrum, usciamo dal treno abbastanza sfatti, cerchiamo subito un bagno e poi usciamo, in cerca della meritata colazione.

All’uscita, proprio all’angolo con la stazione degli autobus, c’è una strana struttura rossa che sembra un’autorimessa,c on la scritta in alto “Indian Coffee House”

Diciamo che entrando, avrete già la netta sensazione di aver cambiato stato, di essere passati dal Tamil Nadu, terra di miti e leggende al verdissimo e più ricco Kerala, ma vi assicuro che la viuzza all’interno che va su a chiocciola merita davvero di essere visitata; inoltre potrete fare un’ottima colazione.

Lascio i mie fidi compagni di viaggio a gustarsi la colazione e vado a cercare un poco di informazioni alla stazione dell’autobus e del treno; qui decideremo di proseguire fino a Mangalore con treno notturno, puntando poi con il bus verso Hassan, anziché fare tappa a Trissur e poi da qui andare in bus verso Mysore.

Dopo aver fatto colazione ci incamminiamo lungo MG Road, verso i templi della città.

Le strade sono più grandi e davvero ben tenute, le macchine che si vedono circolare sono di gran lunga di lusso se paragonate a quelle che anche solo ieri sera vedevamo sfrecciare per le strade.

Il primo tempio che troviamo è quello di Ganapathy, dove lo schiacciamento rituale delle noci di cocco, cattura la nostra curiosità, in questo luogo magico, dove il profumo dell’incenso inebria le nostre radici, in una strada quasi priva di traffico; vi consiglio di visitarlo la mattina presto.

Proseguiamo sino al tempio di Sri Padmanabhaswamy, con il suo interessante gopuram; sinceramente, arrivando dal Tamil Nadu, ciò che mi ha colpito di più di questo tempio, sono gli incedibili venditori di fiori e il mercato attraversato lungo MG Road, inoltre i bus di fedeli che ci continuavano a sorridere e tendere la mano.

Poco più avanti c’è la tanto citata CVN Kalari Sangham; siamo arrivati troppo tardi, quindi nona abbiamo potuto assistere agli allenamenti; da fuori la scuola è abbastanza bruttina. Vedete se riuscirete ad essere più fortunati!

Il Puthe Maliga Palace Museum merita davvero di essere visitato; con il biglietto d’ingresso e poco meno di un’ora di visita, sarete accompagnati da una guida che vi spiegherà abbastanza velocemente ciò che state vedendo; ma mi raccomando, non dimenticate di perdervi nella pace della natura dei suoi giardini.

Verso le 12 siamo in stazione, io vado a fare i biglietti, mentre il gruppo si ristora nel ristorantino non vegetariano della stazione.

Partiamo alle 12:55 e poco dopo mezzora siamo a Varkala. Il paesaggio che si gode dal finestrino lungo il breve tragitto è meraviglioso, palme, verdure e lagune a perdita d’occhio, davvero un toccasana per le nostre membra stanche!

Arrivati a destinazione, una brutta sorpresa: questa è l’unica stazione (sarà perché è in manutenzione???) a non avere una cloack room… E noi mica possiamo scendere in spiaggia con il bagaglio???

Chiedo al primo passante dove posso trovare un alberghetto dove posare i bagagli e dopo aver sondato i primi due visibili, ne trovo uno sul retro che cortesemente ci affitta una stanza per qualche ora.

Carichi, saliamo sul bus che ci porterà alla spiaggia.

L’India è particolare anche in spiaggia; noi subito ci mettiamo in costume, c’è chi prende il sole, chi fa subito un bagno e chi si lava sotto il fresco rigagnolo che arriva dalla montagna.

Le donne indiana sono rigorosamente in sari.

Poco dopo andiamo alla ricerca di un massaggio ayurvedico, ma solo Ida ed Enrico riusciranno a farlo, noi altri siamo rapiti dall’insegna “king prawn” che spadroneggia al Mamma Chompo’s.

Peccato non aver trovato da dormire a Varkala… Alle 18:50 parte il nostro treno verso Kollam, dove arriveremo e troveremo due brutte sorprese… In città p tutto chiuso: hanno ucciso Saddam Hussein e gli indiani per protesta hanno chiuso tutti gli esercizi per andare a manifestare; il nostro albergatore ci consiglia di cenare velocemente e poi rientrare subito in albergo.

Ok, ok… Ma l’albergo??? Quello vogliamo chiamarlo albergo? Le stanze sono a 3000°C , per non parlare degli amici insetti che dividono la stanza con noi! Federico ha un materasso aggiuntivo in una camera che già in tre sarebbe proibitiva, ma visto che non c’è posto da nessun altra parte ci si arrangia… Tuttavia, anche se solitamente utilizziamo tutta la gentilezza, non possiamo fare a meno di sottolineare all’albergatore che, ok dormire a terra, ma che almeno il cellofan dal materasso lo vorremmo togliere!

Per evitare suicidi collettivi, mi vedo costretta a cercare un buon ristorante e dopo una lauta e deliziosa cena, al gelo dell’aria condizionata, andiamo in camera mia per vedere cosa ci può proporre un uomo della Aries (??? Riusciamo a vederli!!!) per capodanno.

Non so per chi ci abbia presi, sicuramente non per quegli scannati di Avventure, visto che ci offre il pernottamento in House Boat per la modica cifra di 6000Rs a testa… Ovviamente TLF… Lo congediamo sottolineandogli gentilmente che 6000Rs sono quanto più o meno abbiamo stimato di spendere in metà viaggio e poi ci addormentiamo assieme a tanti amici con le ali e numerose zampe.

Domani è un altro giorno, il dio dei coordinatori mi assisterà!

 

31.12.2006 – Domenica – 8° giorno

KOLLAM – ALAPPUZHA

E’ l’ultimo giorno dell’anno; sono le 7:30 e sono al molo a vedere se riesco a trovare ancora a buon prezzo una kettuvallam (house boat)… Ma è impossibile!

Per evitare di farsi spennare come i classici turisti e visto che anche il gruppo non ci tiene poi così tanto, desisto; andremo a dormire in un bell’alberghetto a 300 Rs sul lungo molo di Alapuzzha, ripiegando in una sontuosa cena, spiaggia e festa del paese, come continuano a dirci tutti!

Saliamo sulla barca e ci godiamo la crociera nelle backwaters, ben dieci ore di dolce far nulla, dalle 8:30 alle 18:30, mentre l’acqua ci culla piano piano e il verde delle palme e dei gigli marini la fanno da padrone.

Il paesaggio è davvero meraviglioso, mozzafiato; è un’India lenta e lontana dai clamori, fra i villaggi dove la vita scorre lenta come le acque delle backwaters su cui si affacciano; passiamo vicino all’ashram di Amrithapuri, un grattacielo di cemento che stona in maniera davvero incredibile con l’armonia della natura tutt’attorno.

Ci fermiamo a pranzo, solo vegetariano e poi di nuovo a farsi cullare dalla quiete di questo pezzo di paradiso, accompagnati dalle mille paperelle che costeggiano i canali in perfetta fila indiana.

Vi consiglio vivamente la crociera nelle backwaters, è un modo come un altro per spezzare il viaggio e renderlo più leggero e rilassante; … prima della botta finale!

Ci godiamo le luci del tramonto che colorano tutto di rosa, le palme di cui ormai si intravede solo la siluette, alcuni pescatori in lontananza che raccolgono le reti e l’acqua, che come uno specchio riflette la meraviglia della natura.

Sono ormai le 19:00 quando prendiamo possesso delle nostre camere; usciamo subito per comprarci qualche abito tipico indiano per poter essere “presentabili” in questa ultima notte dell’anno.

Io ho comprato un meraviglioso sari in seta che mi ha anche permesso di conoscere la vicina di casa del nostro alberghetto, forse il migliore della vacanza.

La signora mi ha accolto a casa sua come un’amica di sempre e mi ha vestita, coprendomi di mille complimenti, per gli occhi, il colore dei capelli e lo splendido sari.

Foto di gruppo e poi via, a cena, con i ragazzi in doti, che ad ogni angolo della strada rischiano di trovarsi in mutande (… e va bene che Federico ha deciso poi all’ultimo di mettersele!!!)

Insomma, abbiamo fatto ridere tutti con i doti! E chiunque ci ha aiutato a riaggiustarli…

Corriamo in camera, brindisi con rhum e poi via in spiaggia.

Aldo decide che deve farsi il bagno nudo e quasi non fa in tempo a ritornare che siamo avvicinati da una guardia; gli chiediamo della festa, ma ahimè, la festa è stata bloccata a causa dei subbugli per la mote di Saddam Hussein, e anche a noi conviene tornare indietro, ci dice il poliziotto.

CONSIGLIO: Abbiamo visto ormeggiate delle kettuvallam ai bordi dei canali di Alappuzha; anche se vi consiglio vivamente di passare il capodanno in spiaggia, attorniati da mille indiani come abbiamo fatto noi, nel qual caso affittaste una house boat, contrattate prima dove verrete ormeggiati per la notte, evitando il canale di Alaphuzza, che puzza ed è la cosa meno romantica che vi possa capitare!

 

01.01.2007 – Lunedì – 9° giorno

ALAPPUZHA – KOTTAYAM – ERNAKULAM – KOCHI

Alle 9:30 parte la nostra barca pubblica; il molo dista solo pochi passi dall’albergo e dopo aver fatto una lauta colazione siamo di nuovo sul dolce dondolare delle onde che ci accompagna in tutto il tragitto. Il trasporto pubblico ha il fascino delle fermate intermedie, davvero tante, ma dove si riesce davvero a carpire la vita di queste popolazioni.

Alle 10:30 ci si ferma per uno spuntino e poi si continua; nei canali più grandi i pescatori continuano a pescare pesce abbondante, le donne fanno il bucato e la quotidianità si staglia di fronte ai vostri occhi.

Poi il canale si fa via via più stretto, vi sembra quasi di essere all’interno delle case a bordo canale, le fronte si aprono, spostate dall’imbarcazione e poi si arriva a Kottayam, alle 12:15.

Abbiamo dovuto fare un poco di parole con un signore che si era appiccicato a noi e voleva a tutti i costi che prendessimo dei tuk tuk per andare alla stazione; dopo un quarto d’ora di parole e due bus mandati via dal figuro, siamo riusciti a prendere l’autobus che ci ha portati in stazione.

Da dove vi lascia il bus alla stazione i sarà 1,5 km, e una strada da attraversare; non desistete, chiedete e guardate i binari, la stazione, anche se sembra dimessa, è proprio lì!

Vado a fare i biglietti e poi non ci resta che aspettare le 14:20, pranzando al ristorantino della stazione… Almeno per il gruppo è così, visto che io mi dovrò fare una coda interminabile di un’ora, mangiando un panino che gentilmente mi è stato portato da Nicoletta; e va bene che non mi è successo come al signore dopo di me che gli hanno chiuso lo sportello non appena era il suo turno!!!

Alle 15:30 siamo a Ernakulam; ci dobbiamo fare ben 2 km a piedi prima di arrivare alla strada principale dove attendere il bus che ci porterà a Fort Cochin.

Il percorso è molto e solo dopo un buon venti minuti scenderemo di fronte alle reti da pesca giapponesi, in un’improvvisata Bus Stand.

Ci ristoriamo subito con un caffè e con Sergio e Marco vado a cercare alloggio, aiutata da un ragazzo davvero gentile, che vuole solo avere delle informazioni sull’Italia.

Troveremo in tre luoghi differenti, ma tutti davvero puliti e degli di nota.

Appuntamento alle 20, per andare sul lungo mare a scegliere il pesce da farsi cucinare.

La cosa è davvero divertente, oltre che molto conveniente; inoltre ci da modo di gustare del pesce davvero buono e fresco.

CONSIGLIO: Il pesce va preso quando si mangia, non come un altro gruppo che lo ha comprato la mattina per mangiarlo la sera in albergo! E lo sfizio è farselo cucinare in uno dei tanti ristorantino che c’è sul lungo mare, seguendo la preparazione, cercando di evitare quanto più le spezie che annullerebbero il gusto del pesce.

Dopo cena prendiamo il bus ed andiamo a veder un film di Bollywood. Il film sarebbe anche simpatico e divertente, se ad Ida non avessero rubato lo zaino.

Panico! Dentro lo zaino non ci sono soldi, ma i biglietti aerei, il passaporto e le sue fotocopie! Chiamiamo la polizia che subito arriva e dopo poche domande e qualche giro strano dei proprietari del cinema, che hanno capito che non c’è nulla per cui valga la pena rischiare, lo zaino salta fuori!

Pericolo scampato e ritorno in camionetta!!!

 

02.01.2007 – Martedì – 10° giorno

KOCHI – ERNAKULAM – MANGALORE

Sveglia alle 8:30 e inizio con il giro della città di Kochi; vediamo le reti da pesca giapponese e gli infaticabili lavoratori che sudano per attivarle, la chiesa di San Francesco, nota come la più antica chiesa che hanno fondato gli Europei in India, la basilica di Santa Cruz, con il tabernacolo illuminato da mille colori mutanti verso l’esterno, che sembra quasi la ruota della fortuna di Mike Buongiorno e per finire con il lungo mare, il cimitero olandese.

Se devo essere sincera, vi devo dire che fino a quando non abbiamo deciso di prendere il bus e di andare a visitare il palazzo di Mattancherry, mi sono davvero chiesta perché ci si ferma a Kochi, rispondendomi che i gamberoni gustati la sera prima erano già un buon motivo…

Il palazzo di Mattancherry (chiedete alla stazione degli autobus quale sia quello diretto, poi vi dovrete fare due passi a piedi) è stato costruito dai Portoghesi nel 1555 e fu donato al raja di Cochin, Veera Kerala Varma in segno di amicizia.

Ciò che colpisce di questo meraviglioso palazzo sono i suoi stupefacenti dipinti murali effettuati con la tecnica detta “affresco a secco”, dove il colore viene applicato direttamente sull’intonaco già asciutto e non su quello fresco come vorrebbe la tecnica tradizionale.

Tali dipinti trattano scene del Ramayana e del Mahabharata e leggende dei Purana legate a Shiva, Vishnu, Krishna, Kumara e Durga; di incredibile bellezza il parto di Rama e la scena al pianterreno dove viene ritratto il simpatico Krishna che con le sei mani e i due piedi avvia i preliminari dell’atto sessuale con otto gioconde pastorelle.

Vediamo di sfuggita la sinagoga e poi ci diamo appuntamento alle 18:00 per il Kathakali; il resto della giornata è libero.

Io colgo l’occasione per divorare altro pesce prima di un massaggio ayurvedico.

Durante la rappresentazione del Kathakali incontriamo il gruppo di Luciana Messina con il quale facciamo subito amicizia; poi di nuovo bus, dopo esserci rinfrescati, cena alla stazione e treno.

Mezz’ora prima della partenza mi reco all’ufficio informazioni di Ernakulam per vedere se la mia WL ha avuto fortuna… PANICO!!! Abbiamo solo un posto confermato, gli altri sono sguarniti.

Anche se non si ha nemmeno diritto a viaggiare in queste condizioni rimarrebbe solo infatti la richiesta di rimborso biglietto, decidiamo di tentare la sorte e di salire lo stesso; tanto anche il ragazzo dell’ufficio informazioni ci ha fatto intendere che il controllore sarà magnanimo…

Sarà che non è la nostra giornata fortunata, ma passeremo la notte a dormire a terra alla belle meglio, tranne Aldo che opterà per la sua amaca fra due latrine!

Poi, piano piano, verso mattina, i posti si liberano e riusciamo a fare qualche ora di sonno!

CONSIGLIO: Decidete a priori se fare questa tratta; in tal caso, vi consiglio di prenotare con almeno una settimana di anticipo; purtroppo tale periodo è vacanza anche per gli indiani che si spostano in lungo e largo per il loro incredibile paese.

 

03.01.2007 – Mercoledì – 11° giorno

MANGALORE – HASSAN – CHANNARAYAPATNA – SRAVABENAGOLA

Arriviamo distrutti dopo una notte che non auguro a nessuno in un posto che tutto ha tranne il fascino dei paesaggi e della sacralità dei luoghi.

Siamo subito bersagliati dai tuk tuk. Distrutti decidiamo di utilizzare questa comodità e in pochi minuti siamo alla stazione della KSRTC, distante un 5 km dalla stazione dei treni.

Siamo fortunati, anche se il bus che sta partendo non ha posto per noi, entro 10 minuti ne parte un altro; abbiamo giusto il tempo di fare colazione, prendendo dei biscotti, succhi di frutta e acqua.

Ed inizia l’avventura, è proprio il caso di dirlo!!! Il manto stradale è inesistente, ai bordi ci sono delle donne che con uno scalpellino sbriciolano degli enormi sassi fino a renderli ghiaia per poter poi ricostruire alla bell’e meglio la strada.

I bus fanno a gara per sorpassarsi e la polvere che si alza ci rende completamente marroni a fine giornata.

Le buche sono voragini e dove c’è una parvenza di asfalto, esso è costruito da ghiaia sbriciolata a mano e una specie di collante che dopo 10 passate non c’è più…

Per il resto, il paesaggio è meraviglioso, passando per i ghati in una verdeggiante foresta montana.

Il viaggio, o meno, la tortura, con noi che cerchiamo di dormire anche quando battiamo la testa in ogni dove, cioè sempre, dura ben 8 ore e alle 16:00 siamo ad Hassan.

Poiché Hassan non offre nulla di particolare, anche se distrutti, decidiamo di prendere altri due bus che ci porteranno a Sravabenagola.

Lascio il gruppo a ristorarsi nell’unico bar della strada principale e con Sergio vado a cercare alloggio per la notte, tentando prima nella vasta scelta che ci offre lo stato… Penso di non aver visto nulla di così sporco, poco accogliente e così dismesso come queste… Non ci resta che andare all’hotel raghu, sperando in bene!

L’alberghetto è in classico stile avventure, piacevole, soprattutto perchè il ristorantino, oltre ad essere l’unico della città a poter essere chiamato in questo modo, è davvero buono.

Prima di andare a nanna, cerchiamo di fare un giro della città, ma già dopo 5 minuti abbiamo finito!

 

04.01.2007 – Giovedì – 12° giorno

SRAVABENAGOLA – CHANNARAYAPATNA – HASSAN – HALEBID – BELUR – MYSORE

Alle 6:00 del mattino stimo già salendo la Vindhyagiri Hill, con la felpa, ma rigorosamente scalzi. Vicino a noi i jainisti, completamente nudi salgono accompagnati solo da un ventaglio di piume di pavone.

Dopo pochi minuti siamo al cospetto della gigantesca statua di Gomateshvara; c’è appena stato la cerimonia del Maham Mastakabhisheka e dietro alla statua troneggiano le impalcature per aiutare i fedeli a ungere completamente la statua con latte di cocco, yogurt, ghee, banane, jaggery ed essenza di sandalo.

Dedicate almeno due ore e perdetevi seguendo il vostro istinto in questo meraviglioso posto così pieno di pace e di silenzio.

Scendiamo e saliamo il Chandragiri Hill, per visitare i templi rimanenti; l’atmosfera è più da sito archeologico, visto che non ci sono pellegrini che vengono a portare offerte a questo monte, ma la vista è tuttavia piacevole.

Vi consiglio di dedicare almeno 4 ore alla visita del complesso di Sravabenagola nella sua completezza, non dimenticando di fare anche una semplice passeggiata nel paese.

Riprendiamo il bus al bus stand e con tappa Hassan, prendiamo subito un altro mezzo fino ad Halebid.

La stazione degli autobus di Halebid è proprio di fronte al parco del sito. All’interno un bar vi terrà il bagaglio per poche rupie.

Halebid fu capitale del regno degli Hoysala nel XII secolo e il suo tempio più grande, il tempio di Hoysaleswara è di quel periodo, del 1121. Ciò che impressiona di questa meraviglia architettonica è la ricchezza di particolari e la precisione con cui sono stati realizzati.

Belur è simile , se non più bella, con il suo Tempio di Channekeshava.

Dedicate almeno un’ora ad ognuno dei siti, e vi consiglio inoltre vivamente di utilizzare il preziosissimo aiuto delle guide del Survey Archeology of India.

Prima di ripartire alla volta di Mysore, avendo ben 45 minuti di attesa, decidiamo di fare uno spuntino nella “doseria” forse più buona di tutta l’India del Sud.

Con la pancia piena, affrontiamo il lungo tragitto fino a Mysore, dove ceneremo all’interno del nostro bell’albergo prima di andare a dormire, sognando ancora la magnificenza e lo splendore delle costruzioni degli Hoysala.

 

05.01.2007 – Venerdì – 13° giorno

SRAVABENAGOLA – CHANNARAYAPATNA – HASSAN – HALEBID – BELUR – MYSORE

Oggi ce la prendiamo con calma, abbiamo la giornata libera; Mysore si riesce a vedere molto bene anche con i mezzi locali, in solitaria.

Tutti d’accordo, io, Marco, Federico Nicoletta, Aldo e Silvana decidiamo di utilizzare un tuk tuk per andare fino a Somnathpur.

Vi assicuro, è un’esperienza indimenticabile, da non perdere assolutamente che consiglio vivamente a tutti.

La strada è per buona parte sconnessa, e anche se si salta un poco, si ha modo di rilassarsi dai ritmi alle volte un poco frenetici, gustandosi il susseguirsi della vita quotidiana che si scorge ai bordi delle strade.

Potrete ammirare paesini che non avreste nemmeno visto, incrociare gli sguardi stupiti dei passanti, la mamma che pettina la figlia, il ragazzo che vi saluta sorridendo, chi trasporta fieno grazie al carretto tirato dai buoi; davvero un viaggio nel viaggio, che all’interno di un itinerario così intendo deve assolutamente essere previsto.

Somnathpur, con il magnifico tempio di Keshava merita davvero una visita; anch’esso è eredità degli Hoysala, ma oltre ad essere ancor più ricco dei suoi cucini Halebid e Belur, esso è l’unico che sia stato terminato.

Il tempio sorge all’interno di un cortile circondato da mura e si potrebbe davvero perdere l’intera giornata, ma Mysore è meravigliosa e vale la pena di essere visitata; dopo un’oretta, sempre con calma, ritorniamo ai nostri tuk tuk, per l’ora e un quarto di ritorno… e pensate che non solo 35 km!!!

A mysore non dovete assolutamente perdere il mercato ortofrutticolo, vicino all’hotel Vishak, il palazzo, almeno da fuori e una visita alle Chamundi hill nelle ore del tramonto.

Io e Nicoletta siamo arrivate in tuk tuk e siamo state inserite nella marea di folla che stava entrano al tempio per la preghiera. Non so cosa sia successo realmente, è stato tutto così veloce e non so nemmeno se potessimo o meno stare lì, ma il trasporto è stato davvero incredibile e per la prima volta forse ho realmente compreso che cosa significasse per un indiano la preghiera, la devozione, le offerte e tutto ciò che ruota attorno ai loro vivacissimi templi.

Ieri sera era il mio compleanno, ma visto la stanchezza dei ragazzi, abbiamo preferito festeggiarlo oggi; decido di offrire una cena al Lalita Mahal Palace Hotel.

Ragazzi che posto! E’ addirittura più bello del palazzo di Mysore! Se non ci andate a cenare, davvero squisito il buffet pieno di leccornie, merita almeno la pena di essere visitato.

Dopo questo gran cenone, satolli, torniamo a letto.

 

06.01.2007 – Sabato – 14° giorno

MYSORE – SRIRANGAPATNAM – BANGALORE – HOSPET

Alla stazione degli autobus salutiamo Enrico, Ida e Marco, che prendono il bus diretto per Bangalore; la sera prenderanno l’aereo alla volta di Mumbai, dove il loro viaggio terminerà l’8 con il volo di rientro verso l’Italia.

Con un poco di tristezza prendiamo il nostro sgangherato bus fino a Srirangapatnam, che vi consiglio solo per il particolare paesino, ma che non vale davvero la pena come sito archeologico, a detta di tutti i partecipanti rimasti. Nel villaggeto troviamo l’incantatore di serpenti, il venditore di amuleti, la scolaresca che animatamente dimostra, la signora con il covone di fieno che si improvvisa guida e gli scalpellini che hanno fatto della loro arte un lavoro.

Questo paesino è davvero variegato, ma se non avete tempo, potete tranquillamente saltarne la visita, tranquilli, non perderete molto!

Torniamo al bus stand e attendiamo, solo 15 minuti, il bus che ci porterà fino a B’lore.

Troviamo subito posto un poco sparsi e io faccio la conoscenza di Prabha, una signora davvero gentile che mi coccolerà per tutto il tragitto, tenendomi la mano, raccontandomi della sua famiglia, della sua vita e dell’India nella sua quotidianità, imboccandomi addirittura con il cibo che mi ha gentilmente comprato ad una delle tante fermate!

A B’lore la saluto e poi la vedo svanire nella folla… Meravigliosa India!

Bangalore, meglio conosciuta dai suoi abitanti come B’lore, è una grande metropoli indiana che riassume tutto il contrasto di una società che ha avuto il boom economico troppo precocemente, senza passare per le varie fasi dello sviluppo. In poche parole, vicino alle macchine di lusso, che sfrecciano velocemente per le strade della metropoli, ci sono i ragazzi che cercano di vendere qualunque cosa, per poter sfamarsi. C’è tutto ciò che di brutto abbiamo nelle società occidentali, l’indifferenza per il prossimo, la frenesia di arrivare (ma dove?) ma qui portata agli eccessi, lo sguardo spento, grigio, non curioso… Forse qui il “progresso” sembra peggiore che a casa, non perché lo sia davvero, ma perché rappresenta una parentesi, come una finestra spazio temporale, uno squarcio, in una società così differente da quanto visto e vissuto fino a quel momento.

Bangalore, se vogliamo descriverla con un solo aggettivo, è sconvolgente.

Non vedo l’ora di salire infatti in quel treno notturno, chiudere gli occhi e sperare di risvegliarmi nell’India di ieri.

 

07.01.2007 –Domenica – 15° giorno

HOSPET – HAMPI

Arriviamo con un piccolo ritardo di due ore, che ci ha permesso di svegliarci con tranquillità, prendere un chai garam e mangiare qualche biscotto avanzato dalla sera prima, godendoci lo spettacolo naturale che si staglia di fronte a noi.

Il paesaggio è completamente diverso da quanto abbiamo visto finora; tutt’attorno ci sono enormi massi rotondi dai quali spuntano i verdi fasci di foglie dei bananeti.

Appena arrivati, ci spostiamo all’albergo, posiamo le valigie, mentre io sono già fuori a contrattare due tuk tuk per l’intera giornata

Si rivelerà la scelta giusta, la migliore, che ci fa davvero gustare la meraviglia di questo incredibile sito.

Alla fine strappiamo 500 Rs per tuk tuk e partiamo.

Vijanagar, “la città della vittoria”, è l’ex capitale di uno dei più importanti imperi hindu, è uno dei più affascinanti siti storici del sud dell’India. Anche il contesto paesaggistico è di notevole impatto, colline cosparse di grossi macigni e formazioni rocciose. Un viaggiatore portoghese dell’epoca l’ha definita vasta quanto l’antica Roma. L’area archeologica è molto vasta quindi richiede 1 o 2 giorni per la visita; e li merita davvero. Visitandola, ho avuto come l’impressione che anche standoci una vita, non sarei mai riuscita a vederla tutta.

Ci dirigiamo subito nel Centro Regio visitando in sequenza: Tempio sotterraneo di Virupaksha, quindi il Recinto di Renana con il Lotus Mahal e le stalle degli elefanti, Il tempio di Hazara, Hundred columned hall audience, Mahavanami Platform, cisterna con gradini e grande cisterna, Queen’s bath.

Da qui lasciamo il Centro Regio e ritorniamo ad Hampi passando per il Centro Sacro: Krishna, statua di Ganesh, la collina di Hemakuta Hill (templi giainisti) da questa collina si gode una bella vista sul sottostante Hampi Bazar e sul tempio di Virupaksha.

Si scende quindi nella parte bassa fino a Hampi Bazar per la visita del tempio Virupaksha con il suo grande gopuram alto 50 m superato il quale entrando nel cortile si raggiunge il secondo gopuram e quindi si raggiunge il tempio dedicato a Virupaksha. Nel cortile oltre a diverse famiglie di scimmie, anche un elefante legato ad una colonna.

Lasciato il tempio percorriamo tutto il lungo viale di Hampi Bazar per raggiungere il lato opposto dove in un tempio c’è una grande statua di Nandi il toro di Shiva e volendo continuare il sentiero conduce fino al tempio di Achyutaraya ai piedi della collina di Ma tanga, anche se il tempio è in uno stato di abbandono.

Ci fermiamo in un ristorantino tipico che Dadapeer ci consiglia: davvero buono, anche se forse “un poco troppo tipico”…

Con la pancia piena, ci spostiamo poi verso Anegondi, che rappresenta il primo insediamento da cui prese vita Vijayanagar.

I templi rimasti sono in cattive condizioni e non sono molto vicini da raggiungere.

In tuk tuk si arriva fino alle rive del fiume Tungabhadra, qui si attraversa il fiume utilizzando le caratteristiche barchette tonde in vimini (corale) (10 Rs pax ogni traversata), arrivati all’altra sponda, a piedi visitiamo i piccoli templi circostanti e quindi proseguendo su strada sterrata in ’20 a piedi (o noleggiando delle bici) si raggiunge il tempio di Durga che è posto su una collina, il tempio non è per nulla interessante, ma è bello il paesaggio per raggiungere il tempio e la vista sul fiume con le rovine di Hampi in lontananza. Quest’escursione si potrebbe anche saltare, dedicando più tempo ad Hampi

Verso l’ora del tramonto, sebbene sicuri di aver dimenticato qualcosa, ci dirigiamo verso il tempio di Vittala, il complesso più bello di tutta Hampi. All’interno del cortile il bel Carro del Sole.

La luce è perfetta e le sculture che dipingono il tempio, risplendono di quella meravigliosa luce arancione.

Questa giornata coi rimarrà nel cuore, forse ricordando Hampi come il più bel posto dell’India del Sud.

 

08.01.2007 – Lunedì – 16° giorno

HAMPI – HOSPET – GADAG – BADAMI

Dopo una lauta colazione, andiamo in stazione e alle 8:00 sono già a fare la fila per il biglietto.

Volevamo prendere il treno delle 8:45, il 7227, ma visto che il 6592 ha ben 1h45 di ritardo, alle 8:30 decidiamo di prender questo…

Poco male, arriveremo prima a Gadag.

Il treno è pieno di ragazzi che vanno a finire la propria vacanza a Goa. Come sono puliti loro…

Arrivati a Gadag, lascio i ragazzi sulla banchina e vado in biglietteria a chiedere a che ora arriva il treno per Badami, per capire se mi conviene prendere il treno o il bus.

Dopo un’interminabile fila, decido di fare il biglietto e alle 10:30 ecco il nostro treno.

Poche carrozze per molta gente (tutta l’India forse?). Anche in questo casino, Aldo riesce a tirare fuori il suo pannello solare per caricarsi i cellulare. Ovviamente, da quel momento penso che tutto il treno si sia spostato vicino a noi; i ragazzi ci facevano le fotografie e ci facevano sentire le loro musiche melodiche, un poliziotto aiutava Aldo nella sua impresa, Nicoletta impressionava su pellicola i momenti; insomma, in un viaggio in India in treno, non vi sentirete mai soli e soprattutto non vi annoierete mai!

Arriviamo a Badami alle 12:30, prendiamo un tuk tuk solo per arrivare fino in centro città (ci saranno circa 5-6 km), andiamo subito in albergo, dove lasciamo i bagagli in albergo e subito decidiamo di andare a vedere le grotte.

Ci avventuriamo a piedi in questo strano paese, dove sembra che stiano allevando i maialini selvatici, visto che si trovano ovunque e tantissimi… Ovviamente, ce ne sono di più nelle fogne che si nutrono e sguazzano. Federico dopo questo finirà la vacanza da vegetariano!

Badami, famosa per i suoi templi costruiti all’interno delle grotte, da sola merita almeno mezza giornata di visita a piedi.

Iniziamo con le 4 splendide grotte costruite in Ranamandala Hill, dedicate a varie divinità (VI-VII°), la n° 1 è la più antica. Le grotte sono vicine e si raggiungono salendo per un sentiero con gradini che conducono in sequenza alle 4 grotte. L’area è abitata da diverse famiglie di scimmie.

Dall’alto delle grotte si gode un paesaggio a tutto tondo molto suggestivo su tutta Badami e sulla grande bacino artificiale.

Diverse scolaresche diventano i nostri migliori estimatori, facendosi immortalare più e più volte, quasi più attratti da noi che dalla meravigli che l’uomo ha saputo scavare in questo incredibile sito.

Tornando alla base, si passa per la Moschea, e quindi il tempio Yellama per raggiungere il bacino artificiale della cisterna di Agastyatirtha, in cui le donne lavano i panni.

Costeggiando la cisterna e raggiungiamo il Museo, che rigorosamente saltiamo, non sentendoci nemmeno in colpa, visto che Ida è partita.

Da qui i templi di Bhutanatha (1 e 2) il tempio che giace proprio sulle rive della cisterna ha un aspetto molto suggestivo. Proseguendo lungo il sentiero alle sue spalle si raggiunge la grotta naturale.

Ritornati verso il Museo si prende il sentiero che sale sulla falesia passando fra una stretta gola molto bella, passando per il tempio di Shivalaya inferiore e ancora più su fino al tempio di Shivalaya superiore, da qui il paesaggio circostante è davvero mozzafiato, soprattutto se ci andate al tramonto.

Scendendo si attraversa il villaggio di Badami, con le sue tipiche case bianche e belle decorazioni agresti, la gente è ospitale e vi invita nelle case, i bimbi che sono a scuola escono e ci circondano, facendosi fotografare per vedersi poi negli schermi delle nostre digitali.

Ed è proprio in questi momenti, quando vedo lo stupore e la felicità di questi bimbi di fronte alla fotografia digitale, che mi viene in mente che a soli 800 km, un solo giorno di viaggio in treno, c’è B’lore, con la sua tecnologia, con la sua frenetica vita, dove il digitale è di casa e questi bimbi non avrebbero di che stupirsi… Cosa ha in comune questa India con quella che oggi sto vivendo e che mi trasmette tutta questa positività? Quale di queste due realtà è quella vera, se mai una delle sue non lo sia? Quale è giusta?

Con mille pensieri che ospitano la mia mente, contrastanti come del resto lo è tutta l’India, ci avventuriamo nei colori del caratteristico mercato, davvero suggestivo, da non perdere.

Poi, per finire in bellezza, ci facciamo accompagnare alla festa del paese, dove continuo a stupirmi e a stupire, e dove vorrei davvero perdermi per sempre

Badami per me è il più bel villaggio dell’India del Sud, un paesino davvero sporco, ma dove mi sono davvero emozionata e dal quale mi è dispiaciuto davvero andarmene… Un giorno ci vorrei tornare, ma forse non lo farò, perché la paura che la distanza da B’lore non sia rimasta sempre la stessa, prenderà il sopravvento

 

09.01.2007 – Martedì – 17° giorno

BADAMI – PATTADAKAL – AIHOLE – MAHAKUTA – BADAMI – BAGALKOT – BIJAPUR

Alle 8:00 siamo già alla stazione degli autobus, con la pancia bella piena di una sana colazione in albergo. Sembra strano, ma nel meraviglioso triangolo d’oro, non troveremo nemmeno un turista e potremmo godere appieno nuovamente di quella pace che ci accompagna spesso facendoci godere appieno le meraviglie scultoree dell’India del Sud.

Partiamo alle 8:30 per Pattadakal (almeno un’ora di visita), e in poco più di 45 minuti arriviamo a destinazione. Il sito, dichiarato patrimonio dell’Unesco nel 1987 costituisce il nucleo più importante per l’evoluzione del tempio indiano nel Deccan. Divenuta capitale politica e religiosa dei Chalukya nel sec. VII, Pattadakal sviluppò nei suoi monumenti lo stile affermatosi e definitosi a Badami, precedente capitale Chalukya. Tuttavia, pur svolgendosi qui le incoronazioni e i riti religiosi ed ufficiali, non si ebbe mai un vero e proprio sviluppo cittadino, che rimase confinato a Badami. Pattadakal fu dunque esclusivamente un vero e proprio centro di culto dinastico.

Il sito è in manutenzione, gli operai stanno curando il giardino e la passerella di cemento fra un tempio e l’altro.

Uscendo, attendiamo il bus che ci porterà ad Aihole (almeno un’ora di visita). Spostatevi verso la strada principale ed aspettate, sennò sappiate che per lo stesso prezzo dell’autobus, cioè 105 Rs (15Rs x 7 pax), vi porterà fino a sotto il complesso di Aihole in poco meno di tre quarti d’ora.

Noi decidiamo di andare con il mega tuk tuk e decideremo anche di tenerlo per il ritorno.

Aihole e’ la prima delle capitali del regno Chalukya; qui l’architettura dei suoi templi indù e’ alle origini , evolvendosi dall’embrionale tempio di Lad Khan, al tempio di Durga (VII Secolo) ornato di splendide sculture specialmente quelle che adornano i pilastri con raffigurazioni di Shiva, Vishnu, Durga e Narasimha, per concludere fino al più recente tempio Jainista di Meguti.

In un’ora abbondante siamo a Mahakuta; a differenza dei precedenti templi che non sono più in uso, è invece ancora utilizzato per il culto nonostante la sua antichità (risale al VI° secolo).

Il tempio è molto suggestivo, all’interno c’è una cisterna dove alcuni fedeli si concedono un bagno rinfrescante, mentre intorno diversi guru e asceti sono intenti nelle loro preghiere. Merita davvero una visita.

Da Mahakuta si potrebbe rientrare a piedi a Badami seguendo un sentiero che scavalca una collina e arriva ai templi di Bhutanatha (sono 4-5 km); occorrono 1h30’/2h: non lo abbiamo fatto perché erano già le 13:00 e dovevamo prendere ancora il bus per Bijapur.

In 15 minuti siamo a Badami, al nostro albergo che sta proprio di fronte alla stazione degli autobus.

Subito una brutta sorpresa: quanto mi avevano detto ieri sera non era del tutto vero. Sappiate che l’unico bus diretto per Bijapur parte alle 16:00, tutti gli altri cambiano a Bagalkot; poco male, visto che non appena entrati al bus stand, nemmeno il tempo di scendere dal bus, siamo già su quello che va a Bijapur via Kolkar, il più veloce.

In totale quindi ci metteremo solo 3h15, 1h fino a Bagalkot e le rimanenti fino a destinazione.

Il bus stand di Bijapur è modernissimo e sembra più la stazione di Bangalore che una semplice stazione degli autobus che abbiamo imparato a conoscere fino ad oggi.

Chiedo gli orari degli autobus per Aurangabad e subito decidiamo di utilizzare un mezzo privato. Lo so, avremmo potuto anche prendere un bus fino a Sholapur, tanto un passaggio fino ad Aurangabad lo avremmo trovato sicuramente, ma sinceramente ho già chiesto tanto al mio gruppo e ieri sera li ho visti davvero stanchi e non convinti dell’ultima avventura che sfiorava le 12-13 ore, quindi ho preferito proporre il mezzo privato, per poter gustare meglio la meraviglia che ci siamo lasciati per la fine: le grotte di Ellora.

 

10.01.2007 – Mercoledì – 18° giorno

BIJAPUR – ELLORA

Bijapur è una cittadina moderna senza nessun interesse, se non fosse per il Golgumbaz, il Mausoleo e i resti della Cittadella.

Alle 8:00 stiamo già camminando per la strada e poiché il nostro albergo è a due passi dal mausoleo Golgumbaz, decidiamo che questa sarà la nostra prima meta.

Il Golgumbaz è stato costruito ne 1659, ed è famosa per la sua cupola enorme, la 3° al mondo; intorno alla base della cupola, sopra il salone corre una galleria conosciuta come la “galleria dei sussurri”, al cui interno l’acustica si ripete ben 10 volte; orde di pazzi continuano a gridare e fischiare facendo pensare più ad un manicomio che ad una tomba reale…

Il Mausoleo Ibrahim Roza è considerato uno dei più belli edifici musulmani dell’India; qui è tutto ricerca di eleganza e delicatezza e l’arte mussulmana di questa cittadina ha la sua massima espressione.

Proseguiamo a piedi per la Cittadella, con i suoi bei palazzi antichi anche se ormai in rovina fra cui spicca il Gagan Mahal che sembra un palcoscenico teatrale e poco distante il Sat Manzil, un edificio antico alto sette piani, al primo piano c’è la sede degli uffici governativi.

Finiamo con il vedere la Jumma Masjid, costruita nel 1580, armoniosa moschea.

La zona del centro con i mercati, è un tugurio di bancarelle, di verdure, spezie, vacche e maiali che razzolano fra la gente. E’ interessante farci un giro, ma non perdete molto tempo.

Prendiamo un dosa a testa e una bottiglia d’acqua e saliamo nella nostra Qualis, guidata da Mohamed, il nostro bravissimo autista, che ci condurrà brillantemente fino a Ellora, dopo ben 9h30 di viaggio ed un solo caffè come pausa.

La strada è abbastanza monotona, il paesaggio piatto, interrotto a tratti da centri industriali e villaggetti. Ai bordi della strada continui cartelli di avvisi di prestare attenzione vista l’elevata pericolosità della strada e l’elevato numero di incidenti.

Arriveremo stanchi, al bellissimo hotel Kailash, lasceremo 300 Rs si mancia al nostro bravissimo autista, che non si fermerà con noi a cena, visto che deve tornare indietro subito e poi, dopo una buonissima cena, ci ritireremo nei nostri cottage in mezzo al verde, per un meritato risposo.

Avremmo potuto anche prendere un bus fino a Sholapur, tanto un bus per Aurangabad lo avremmo trovato sicuramente, ma sinceramente ho già chiesto tanto al mio gruppo, ieri sera li ho visti davvero stanchi e non convinti dell’ultima avventura, quindi ho preferito proporre il mezzo privato, per poter gustare meglio la meraviglia che ci siamo lasciati per la fine: le grotte di Ellora.

 

11.01.2007 – Giovedì – 19° giorno

ELLORA – AURANGABAD – MUMBAI

Ad Ellora merita davvero la pena di visitare le grotte con una guida esperta, che vi racconterà molto dell’India, della sua storia e dell’architettura di questo meraviglioso posto.

Potete decidere di fare mezza o una giornata intera con la guida, ma per quest’ultima opzione vi conviene contattarli prima; io vi consiglio l’intera giornata.

La nostra guida (vedi paragrafo corrispondenti e guide) è stata la migliore che io abbia mai trovato in giro per il mondo, parla un inglese ottimo e comprensibile, è di una gentilezza e tranquillità disarmante, scherzando alle volte, ma sempre con molta discrezione.

Ellora dovrebbe essere sempre visitata assieme ad Ajanta, e questo è anche il mio consiglio.

Ellora ospita le cave buddiste più celebri dell’India, madri di tutte le cave buddiste dell’Asia.

In realtà soltanto dodici delle cave di Ellora sono buddiste: diciassette sono brahma e cinque sono jain. Quelle buddiste (le più meridionali del gruppo, quelle numerate da 1 a 12) datano dal 350 al 750 dopo Cristo. Quelle brahma dal 600 al 700 e quelle jain (le più settentrionali, ovvero la numero 31 e successive) dal 700 al 1200. Ellora é sempre stata un po’ la cugina povera di Ajanta. La fama di Ajanta é in realtà dovuta agli affreschi (per la verità molto sbiaditi) che abbelliscono le mura delle sue cave.

Architetturalmente, le cave di Ellora sono molto più graziose e ariose.

Normalmente la visita inizia dal Kailasa, la struttura imponente che si staglia dietro la biglietteria. Il colore scuro della roccia vulcanica conferisce al tempio un aspetto truce Risalente al 750, più che di una cava si tratta di una buca, di un colossale pozzo dentro la montagna, alto più di trenta metri, lungo più di novanta e largo più di cinquanta. Gli montano la guardia due giganteschi elefanti di pietra, dietro i quali si apre il santuario del bue (otto metri quadrati, due piani) che porta al tempio vero e proprio, un parallelepipedo di cinquanta metri per trentacinque che si eleva per 32 metri. La decorazione più interessante é rappresentata dai mostri e dagli elefanti scolpiti sulle pareti esterne del tempio. Il tempio é collocato nel mezzo del “pozzo”. Il “cortile” che lo circonda é a sua volta chiuso da una galleria, scavata nella roccia e sorretta da due file di colonne. Lungo l’intera galleria sono disposti bassirilievo di figure mitologiche indù. Il piano superiore ospita un altro corridoio con diverse sale, alcune delle quali contengono sculture rappresentanti altre leggende religiose. Le cave buddiste hanno un aspetto molto modesto, ma coprono l’intero spettro delle antiche cerimonie buddiste. La quinta, e più grande, é una sala comune, con lunghe panche di pietra. La decima (28m x 14m x 11m) é una cappella dal tetto a forma di costole al centro della quale siede un Buddha colossale . Tanto le colonne portanti quanto le cappelle laterali sono scolpite in maniera armoniosa. La dodicesima ha tre piani, collegati da scalinate e verande, e ospita diverse statue di Buddha e di divinità indù. Nell’oscurità le figure di pietra sembrano fantasmi rimasti a vagare nella polvere millenarie. L’armonia semplice e pura delle cave buddiste cede il posto alla complessa e intricata geometria induista nella cava 14, una delle più ricche di raffigurazioni mitologiche. Il piano della cava é completamente diverso da quello delle prime dodici. La numero 29 assomiglia alla celebre cava di Elephanta, nella Baia di Bombay. A chi ha davvero poco tempo, conviene concentrare la visita sulle cave numero 10, 12, 14, 15 e 32, oltre naturalmente al Kailasa.

La visita è stata interrotta solo da un buonissimo pranzo al Milan con tanto di gelato all’hotel.

Prima di prendere l’autobus per Aurangabad, ci distendiamo una mezz’oretta sul prato, io chiudo la cassa trasporti. Poi prendiamo l’ultimo bus di trasporto pubblico, che ci porterà all’ultimo treno notturno.

L’avventura sta per volgere al termine.

Il bus stand di Aurangabad dista circa 5 km dalla stazione, circa 25 Rs a tuk tuk; arriviamo di sera, forse la stanchezza, ma per la prima volta non mi sento sicura e a mio agio, con tutti questi strani occhi puntati. Lasciamo il bagaglio nella cloack room e andiamo a cena.

Prenderemo il bagaglio con la paura che il signore non torni e il treno arrivi, poi saliremo in uno dei peggiori treni della vacanza, patendo il freddo tutta la notte e svegliandoci a Mumbai.

 

12.01.2007 – Venerdì – 20° giorno

MUMBAI – ELEPHANTA – MUMBAI

Il treno arriva alla stazione di Victoria Terminus, oggi chiamata Chatrapati Shivaji Terminus, dategli almeno un’occhiata, è uno splendido edificio di fattura neogotica; all’esterno orde di taxi sono pronti a portarvi da qualunque parte della città. Richiedete con insistenza il tassametro e poi guardate la tabellina di conversione. I tassisti tendono a fare i furbi con i turisti ed è meglio lasciare qualcosa in beneficenza, piuttosto che farsi prendere per il naso da personaggi che già guadagnano molto on questi sotterfugi.

Oggi e domani lascerò giornata libera, affinché tutti possano riprendere i propri ritmi e si possano riposare.

Assieme a Nicoletta si decide di posare subito il bagaglio e di andare subito a visitare le grotte di Elephanta.

Ci dirigiamo quindi al molo sotto Gate of India e saliamo sulla barchetta che costa meno; arrivare sarà un’avventura, visto che per un ora, durante quindi tutto il tragitto, ci sarà un ragazzo che con una pompa manuale cercherà di portar fuori l’acqua che continua ad entrare in questo piccolo Titanic.

Nel 1987, le grotte di Elephanta sono state dichiarate patrimonio dell’Unesco; peso più o meno da quel tempo, orde di turisti hanno iniziato ad investire l’isola, che poco a poco si è trasformata in un centro commerciale a cielo aperto. Le gradinate che portano in cima alla montagna, dove si ha accesso al sito sono sotto le fresche fronde degli alberi, un toccasana per la vista e per il caldo assurdo, se non fosse per la continuità dei tendoni in plastica che salgono non lasciando un centimetro libero.

Peccato, davvero un grande peccato.

Dedicate almeno un’ora e mezza alla visita dell’isola, prendendovela con calma, gustando la bellezza di queste grotte e lo splendido paesaggio circostante.

L’attrazione principale di Elephanta è il tempio – caverna dedicato a Shiva, ricavato in un blocco di basalto sporgente da un alto promontorio (VII secolo). Si crede che a costruirlo siano stati i signori appartenenti alla dinastia Rashtrakuta, che dominava il Deccan, ma è probabile che si trattasse in origine di un sito buddista. Oltre l’entrata centrale a Nord vi troverete una semplice sala buia, ma imponente, con le colonne alte dai 5 ai 6 m, poi eccola, la meraviglia, un’enorme, 6 m, spettacolare figura di Shiva Mahesvara, Signore dell’universo, rappresentazione della trimurti scolpita nella pietra al centro della parete di fondo, domina sulle diverse opere, veri capolavori, che illustrano i vari aspetti del dio.

Torniamo verso Mumbai, e ci diamo allo shopping ed a un poco di riposo.

 

13.01.2007 – Sabato – 21° giorno

MUMBAI

Mumbai è una città completamente occidentale, dovrei dire britannica, forse, per descriverla a pieno. Ad un primo fugace sguardo sembra che dell’India sia rimasto ben poco, ma un poco come a B’lore, anche qui convivono quei contrasti di cui abbiamo fatto tesoro.

Questa città ha molte opere importanti, ma un poco deturpate da quell’atmosfera che qui non si riesce a respirare, o meglio è davvero difficile trovare.

Se volete, potete contrattare circa 400 – 500 Rs per un giro di 4-6 ore attorno alla città, con un autista privato, macchina con aria condizionata, che vi farà anche da guida, molto superficiale e che vi farà vedere le principali bellezze di Mumbai.

Sappiate comunque che ciò che merita almeno una fugace visita, a parte la casa di Gandhi, sono il Gateway of India, una specie di arco di trionfo costruito nel 1869, in onore di Sir Henry Bartle e Edward Frere. Si trova nel cuore di Mumbai, nella zona di Colaba, all’incrocio di cinque strade. In cima alla fontana viene raffigurata “Flora”, la dea romana dei fiori.

Ad uno sguardo da lì, il Taj Mahal Hotel, grandioso albergo da osservare sia da fuori che all’interno; sempre in zona, il Fishing Colony, quartiere dei pescatori nella penisola di Colaba)

Spostandosi nella zona di Fort, non potete dare almeno un’occhiata alla Flora fountain; poi spostatevi in Zona fra la Chowpatty Beach e la Beach Candy, dove troverete il Mani Bhavan: Casa – museo di Mahatma Ghandi. Nella zona di Beach Candy, merita sicuramente la Moschea di Haji Alì, moschea bianca costruita al termine di una passerella sul Mar Arabico, il tempio indu di Mahalaxmi.

Ed infine perdetevi nella zona dei mercati: Crawford Market (Mahatma Phule Market), mercato della frutta e verdura, molto bello l’edificio e i bassorilievi, Kalbadevi e Bhuleshwar Market (Jyotiba Phule Market) , interessante da non perdere Chor Bazaar, vicino a Bhendi Bazaar, antiquariato e poi il mercato delle spezie di Mirchi Galli, strette viuzze pullulanti di gente.

Fra i mercati anche una piccola Moschea Jama Masjid e il Tempio di Madhavbaug con vacche sacre.

E alla fine della giornata, godetevi il tramonto sulla baia, sul lungomare di Chowpatty Beach

Stanotte non dormiremo, ma aspetteremo le 2 per andare in aeroporto (circa 45 minuti in taxi).

 

14.01.2007 – Domenica – 22° giorno

MUMBAI – ITALIA

Arriviamo con ampio margine, ma lo consiglio a tutti, visto che questi voli sono sempre in overbooking e quasi sempre addirittura appena aperto il check in.

L’aeroporto non ha molto da offrire, oltre ad un punto internet e un bar. Chiudiamo la cassa, spendiamo le ultime rupie e dopo una partenza in ritardo di 2h30, un’altra ora di ritardo accumulata nello scalo ad Ahmedabad, alle 16:45 ora inglese, riusciamo a scendere dall’aereo: siamo a Londra.

Ovviamente i nostri voli per Roma e Milano sono già partiti, quindi non ci resta che andare all’help desk dell’Air India e farci spostare il volo.

CONSIGLIO: Non prendete i bagagli, passate i controlli e state sempre al terminal 3. Fatevi rilasciare il nuovo biglietto (applicano uno sticker adesivo sul vostro); nell’eventualità di altri voli di connessione, fatevi rilasciare una ricevuta come conferma della prenotazione e fatevi dare il nominativo della persona con cui avete trattato.

Alle 23:00 la nostra avventura finisce, ma i ricordi di questo magnifico viaggio rimarranno sempre con noi, trasformandoci di giorno in giorno, ed una parte di India vivrà sempre con noi.

 

 

 

Il viaggio non è la meta, ma il percorso.

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Namibia

 

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09.08.2009 – Domenica – 1° giorno

Italia – Londra – Johannesburg

Sono Partita dall’Africa australe, per la precisione da Maun, con un piccolo volo da 19 posti della Air Namibia.

La mattina ho fatto un giro per Maun, poi ho atteso l’aereo per 4 ore di ritardo e infine ho dormito al Puccini, in un bel letto, dopo 6 giorni di tenda!

 

10.08.2009 – Lunedì – 2° giorno

Johannesburg – Windhoek

Sposto tutta la mia roba al Roof of Africa, poi mi faccio un giro per i dintorni a piedi ed in fine giunge l’ora di prendere il taxi per l’aeroporto.

L’aereo è puntuale; dopo poco più di 45 minuti il mio gruppo è tutto unito!

A Pietro sono stati rubati i cellulari a Johannesburg… li aveva sbadatamente lasciati negli zaini che ha imbarcato. Provvederà a fare denuncia presso la polizia dell’aeroporto, ma ovviamente dei cellulari non saprà più nulla!

Raccolgo i soldi della cassa comune, Freda si offre di fare la cassiera (la migliore che io abbia mai avuto, davvero!) e ci dividiamo in tre gruppetti.

Io vado alla Europe Car con i miei 6 guidatori, un gruppo sta a vedere i bagagli, Freda ed altri sono a cambiare i soldi che avevo prenotato la sera prima.

Le pratiche sono lunghe e noiose, vengono fotocopiate patenti e passaporti, poi, prendiamo tutti gli altri ed usciamo nel piazzale per verificare le auto.

Le prime due sono praticamente nuove, è quindi molto semplice verificare che non ci sono problemi. Eventuali graffi sulla vernice del cassone non vengono segnati e non vi verranno addebitati comunque.

Alle 16, dato che l’altra auto non ci è ancora stata portata (anche questa è nuova e devono addirittura ancora targarla), poiché ho appuntamento con Selma alle 16:30, decidiamo di andare in città con un’auto. Gli altri ci raggiungeranno in seguito.

Lascio il mio cellulare namibiano, la mappa per raggiungere il Roof of Africa, e la check list per l’altra auto, poi partiamo.

Al Roof, dopo poco arriva Selma; sembra stanchissima e scocciatissima… Sbrighiamo tutte le formalità e poco dopo arrivano anche le altre due auto.

Sono le 17… Velocemente ci dividiamo nelle stanze e poi, assieme a Gianni ed altri 5 vado al Camping Hire, lasciando che Carmine ed altre 4 donzelle, con lista alla mano, vadano a fare la spesa…

Ovviamente ci perdiamo… quindi telefoniamo a Frauke Muller che ci da ottime informazioni e ci viene ad aspettare. In poco meno di 20 minuti abbiamo verificato tutto, pagato, lasciato la caparra e caricato sull’auto tutto il materiale.

Torniamo al Roof, ma degli spesaioli non v’è traccia… Inizio ad aver paura… Ma cosa stanno comprando? Forse ho sbagliato a dirgli che se vedevano che nella lista c’era troppo, o TROPPO POCO, di aggiungere o togliere…

Alle 19:30 sono di ritorno… La nostra enorme Toyota Hilux è completamente piena di buste, ce ne sono ovunque, tutto il bagagliaio, poi sui sedili posteriore e anteriori…

Prendiamo qualche scatolone che troviamo fuori dal Roof of Africa e iniziamo a mettere a posto la spesa, avendo cura di suddividere fra Colazione, pranzo e cena… poi trasbordiamo l’acqua nell’auto adibita a bagagli…

Alle 21 abbiamo le gambe sotto il tavolo e mangeremo un’ottima bistecca di orice alla Joe’s beer house.

Domani si parte per la grande avventura!

 

11.08.2009 – Martedì – 3° giorno

Windhoek – Sesriem

Oggi partiamo di buon ora, la strada è tanta ed è meglio arrivare prima del tramonto per montare il primo campo.

Alle 7:30 abbiamo già pagato, fatto colazione e siamo pronti per partire. Troviamo subito la B2 che ci porta verso sud, fuori da Windhoek e dopo poco più di un’ora e mezza di strada, arrivati a Rehoboth, iniziamo la nostra avventura sullo sterrato.

I paesaggi sono splendidi, il giallo del grano è così forte da far male agli occhi, il cielo è di un azzurro splendido e le alture si stagliano sull’orizzonte quasi fossero disegnate!

Verso le 13 ci fermiamo a fare uno spuntino a base di tonno, fagioli e pane in mezzo al letto del rinsecchito Kam river. Attorno a noi ci sono degli splendidi alberi faretra e numerosissimi nidi degli uccelli tessitori.

Poi riprendiamo la strada. Arrivati quasi al bivio con Solitaire, Paolo buca la prima ruota della vacanza… Scendiamo tutti, infiliamo i guanti di lavoro e in poco meno di 5 minuti siamo di nuovo sulla nostra pista.

Alle 16 siamo a Sesriem.

Paghiamo l’ingresso, il campo e poi ci andiamo a sistemare nella nostra piazzola, all’ombra di un bellissimo albero secolare.

Decidiamo di lasciare tutto per domani e ci concentriamo sulla prima cena, che devo dire, risulterà ottima come sempre! Brava Maria Cristina, brava Gianfranca!

Finiamo la serata al bar, scherzando e ridendo, per poi buttarci sulla terra ad ammirare le stelle, che qui nel deserto sembrano ancora più vicine.

Splendida la Namibia!

 

12.08.2009 – Mercoledì – 4° giorno

Sesriem – Soussusvlei – Dead vlei – Duna 45 – Sesriem Canyon – Sesriem

Oggi ci svegliamo prestissimo, dobbiamo cercare di vincere il tempo e vedere l’alba alla duna 45…

Alle 5:45 i cancelli aprono (verificate perché l’apertura e la chiusura sono definite stagionalmente) e ci vogliono almeno 30 minuti se non di più per arrivare alla Duna 45…

Ovviamente piccolo imprevisto, Carmine si insabbia al campeggio (!!! Si, avete letto bene!!!) e quindi perdiamo almeno 10 minuti, tant’è che non riusciamo ad essere i primi della lunga fila, ma i dodicesimi e in più fa un freddo bestiale, ci sono 5°C!!!

Il cancello apre in ritardo e il signore che verifica le targhe è solo, si fa luce con una piccola torcia ed è davvero lentissimo… Intanto sta albeggiando…

Non appena oltrepassato i cancelli, continuiamo a percorrere la bella strada asfaltata lungo il deserto del Namib.

Il paesaggio è splendido, le dune del Namib, il deserto più antico al mondo ci avvolgono e ci coccolano con il loro arancione così intenso…

Quando arriviamo alla Duna 45, una piccola delusione, sinceramente mi assale… Tanti piccoli puntini macchiano la sua splendida silhouette; sono tantissime altre persone che hanno avuto la nostra stessa idea!

Decidiamo, vista anche l’ora, che conviene proseguire per Soussusvlei e goderci l’alba, si con il sole già sorto, ma in solitudine!

E abbiamo fatto la scelta giusta.

Percorriamo gli ultimi 5 km di pista sabbiosa, poi parcheggiamo e ci avventuriamo sulla duna.

Soussusvlei è un posto magico. Dalla cima si gode uno splendido paesaggio di buona parte delle dune del Namib. Sotto di noi, il bianco del fango lasciato dalla stagione delle piogge ed ormai essiccato. Davvero mozzafiato.

C’è chi si rotola fra le dune, chi scala la parte più alta, io mi fermo a godere del silenzio, interrotto solo dal rumore del vento. Stiamo qui due orette, poi, non appena vediamo che stanno arrivando altre auto, rotolandoci nella sabbia, scendiamo a fare la meritata colazione.

Poi ci aspetta Dead vlei e una fotografia alla splendida duna 45.

Consiglio: Il deserto del Namib è uno dei posti più belli della Namibia, non perdetevelo per nulla al mondo e godetevelo per un’intera giornata, lasciando che sia la calura e decidere che è venuto il tempo per una pausa!

Tornati al campo verso le 14, decidiamo di farci qualcosa di caldo come pranzo e poi di andare ad esplorare il Sesriem Canyon.

Non bisogna uscire dal campeggio, ma prendere la strada che trovare sulla sinistra opposta alla reception.

Il Canyon certo non può competere con le splendide dune del Namib, ma va comunque visitato.

Arrivata l’ora del tramonto, decidiamo di non andare alla duna 45, sicuramente ancora infestata da tutti quei puntini, ma di salire l’altura di fronte al canyon e di goderci il tramonto da lì.

Splendido, davvero!

Torniamo al campo e la nostra Maria Cristina ci allieta la cena con il “friggione” a base di cipolle, passata di pomodoro, corn meat e piselli. Una cena davvero deliziosa.

Poi solita puntatina al bar a base di Amarula.

Stasera si uniscono a noi 3 ragazzi di Riccione, simpaticissimi, che troveremo ancora nel nostro itinere, e che viaggiano in solitaria con un’improbabile Yaris 3 volumi!

In questi momenti di conoscenza, si può godere fino in fondo del piacere dei racconti altrui.

Poi di nuovo nanna in tenda. Bellissimo, anche se Sesriem sarà il posto più freddo in assoluto.

 

13.08.2009 – Giovedì – 5° giorno

Sesriem – Solitaire – Troprico del Capricorno – Duna 7 – Swakopmund – Weltwitchia drive – Swakopmund

Anche oggi dobbiamo partire presto, la strada è lunga e le cose da fare sono molte!

Lasciamo le rosse dune del deserto del Namib, senza fare colazione, perché tappa fondamentale lungo il tragitto è la mitica pasticceria dove possiamo gustare la torta di mele migliore di tutta la Namibia!

Il posto è tutto adornato di vecchie pompe di benzina, una macchina vecchia e altre cose molto interessanti.

In pasticceria un grosso omone con i baffi e tutto rosso, con il cappello da cuoco, ci serve delle grosse fette di una squisitissima torta di mele appena sfornata. La fetta è talmente grossa che non riuscirò a fare pranzo! E ancora adesso mi chiedo come Pietro abbia potuto mangiarsene due!!!

Dopo questa prelibata sosta, continuiamo per meno di una 50 di km, fermandoci per fare la classica fotografia con il cartello del Tropico del Capricorno. Poi ci fermiamo ancora al Kuiseb Pass, dove si gode un ottimo panorama.

Continuiamo lungo la C14, in un paesaggio davvero monotono e desertico, fino a quando lo splendore della duna 7 non ci fa capire che Swakopmund è alle porte.

Ci sistemiamo nei nostri chalet, poi mi faccio accompagnare da Roberto in centro, per fare i permessi per Sandwich Harbour e per Weltwitchia drive. Già che ci siamo, compriamo anche il regalo di gruppo a Freda che tra pochi giorni compierà gli anni; una bellissima maschera namibiana.

Chi è rimasto negli chalet ha preparato caffè e degli ottimi panini.

Al nostro arrivo, verso le 14, sono tutti pronti per partire alla scoperta della mitica pianta millenaria.

Gianni e Maria Cristina hanno addirittura rinunciato al volo sul Namib, Roberto decide di non fare un giro per Swakopmund per fare shopping ed unirsi a noi per vedere la pianta…

E qui mi sono garantita le battute di tutto il gruppo per tutti i secoli a venire.

Percorriamo una cinquantina di km in mezzo a splendidi paesaggi lunari, scendiamo in uno incantevole canyon. Sono tutti esaltati, c’è chi ha preso il grandangolo per poterla fotografare a pieno. Capisco che forse tutti i miei compagni di viaggio (ad eccezione ovviamente di Carmine e Giulia che conoscono ogni forma di vita namibiana) non sanno di cosa si tratta… Pietro e Stefano pensano addirittura di trovarsi di fronte al Sequoia Park, Gianni e Cristina credono che siano gli alberi faretra! Nessuno ha capito che la Weltwichia, soprannominata poi da Paolo, Vulva Vulgaris, non è nient’altro che una pianta a due sole foglie che con il tempo si allungano, si sfilacciano e si arrotolano su se stesse, verde, senza fiori… Bruttina, se devo proprio essere sincera! Lo sguardo e le battute scherzose di tutti sono chiare. Vabbè… Il coordinatore non può sempre prenderci sui gusti del gruppo e poi ‘sta pianta ha ben 1500 anni!!! Stasera ostriche, così mi faccio perdonare!

Tornati verso Swakopmund, il sole che si getta verso l’orizzonte, illuminando una lingua tutta contorta di asfalto ci regala un magico tramonto.

Dopo una bella doccia calda, ci incamminiamo a piedi verso il ristorante costeggiando l’oceano.

E finiamo la serata con una bella scorpacciata di ostriche innaffiate da un ottimo vino sudafricano!

 

14.08.2009 – Venerdì – 6° giorno

Sesriem – Walvis Bay – Sandwich Harbour – Swakopmund

Ed ecco che arriva la giornata dell’imprevisto!

Di comune accordo abbiamo deciso di partire molto presto, alle 7:30, per avere il tempo di vedere Sandwich Harbour, fare un giro a Swakopmund (richiesto per lo più da chi vuole fare degli acquisti, io ne farei anche a meno…) e di arrivare ad una buona ora allo Spitzkoppe.

Arrivati a Walvis Bay, ci fermiamo sulla’ansa verso Pelican Point per godere della vista di splendidi fenicotteri rosa che stanno facendo colazione in riva al mare.

La marea, che si è ritirata, ha lasciato sul bagnasciuga delle meduse che sono ormai rinsecchite.

Proseguiamo verso la pista sabbiosa. Gianni si sta divertendo come un pazzo, Giulia e Paolo un poco meno, visto che si sono insabbiati già ben tre volte!

Percorro con Gianni il bagnasciuga avanti e indietro e lasciamo che l’oceano sia il nostro compagno di viaggio, poi andiamo verso le altre due auto che si sono fermate: i nostri driver non se la sentono di proseguire, visto tutte le volte che ci siamo impantanati!

Beh, poco male, riusciremo a vedere meglio Swakopmund! Decidiamo quindi di ritornare indietro; la pista è poco segnata, la sabbia un poco umida, attorno a noi solo il rumore del vento. Percorriamo vari km, in mezzo a questo paesaggio incredibile, surreale, angosciante quasi, ma al tempo stesso così seducente e straordinario. Ci divertiamo per le dune, ci troviamo immersi nell’erba più alta, veniamo shakerati per bene, su e giù, poi tutti assieme decidiamo di tornare. Gianni prende la via fra le dune e vorrebbe scenderne addirittura una, ma meglio non rischiare…

E arrivati sull’amico asfalto, la macchina di Giulia non va avanti… Problema alla frizione.

Vi siete mai chiesti perché quando si è in vacanza con persone che pochi giorni prima erano tutte sconosciute, d’improvviso, quando ci sono dei problemi alla macchina, tutti diventano provetti meccanici? Beh, anche stavolta è così e io anche questa volta non me lo spiegare!

Telefono alla Europe Car che mi da il numero dell’agenzia a noi più vicina, quella di Walvis Bay a Pelican Point.

Ci dicono di trainare l’auto fino all’ufficio, Una volta arrivati, la signora della reception, senza nemmeno verificare l’auto , asserisce che è colpa nostra che non sappiamo guidare; il meccanico che arriva ci spiega addirittura quale è la 3 e quale la 1 marcia, poi prende l’auto e dopo solo 1 ora, ci dice che la frizione è bruciata!

Noi chiediamo alla signora di poter visionare la frizione, ma la signora, con tranquillità ci dice che l’auto non è ancora stata smontata, che la diagnosi è stata fatta solo con “il naso”; vista la puzza, che c’era, era ovvio che fosse bruciata.

Ok, capiamo che possiamo fare tutte le questioni del mondo (e ne abbiamo fatte tante, soprattutto per avere l’auto sostitutiva la sera stessa e un’auto per questa giornata), ma tanto la frizione è a carico nostro.

Con malincuore paghiamo, mi faccio dare il cellulare della signora, lascio il mio numero a lei e ci diamo appuntamento per la sera.

Poi facciamo un giro per la città; io colgo anche l’occasione per fare un grande bucato.

La sera, verso le 21, abbiamo già verificato la nostra nuova auto e stiamo di nuovo seduti al ristorante per l’ennesima scorpacciata di ostriche e vino.

Domani è un altro giorno, si riparte!

 

15.08.2009 – Sabato – 7° giorno

Swakopmund – Cape Cross – Skeleton Coast – Palmwag – Aba Huab

Ripartiamo verso le 8 con la nostra nuova auto. Roberto la guiderà per tutto il giorno e non si accorgerà, fino a quando non rimarremo senza carburamte, che l’auto in realtà va a benzina…

Alle 10:30 siamo a Cape Cross: il tanfo non è così forte come descritto nelle precedenti relazioni, lo spettacolo però vale qualunque biglietto.

Troviamo di fronte a noi una grande distesa di otarie, c’è chi allatta, c’è chi lotta per la conquista del territorio, chi si tuffa in mare alla ricerca di pesce…

Le otarie di Cape Cross infatti, possono contare su abbondanti risorse di cibo, grazie ai pesci trasportati dalla corrente del Benguela; ogni anno consumano oltre un milione di tonnellate di pesce (più del consumo nazionale complessivo di Namibia e Sudafrica). Per contenere la popolazione della colonia, le autorità namibiane consentono la caccia all’otaria in alcuni periodi dell’anno.

Risaliti sull’auto, arriviamo ai tetri cancelli della Skeleton Coast, a Ugab Gate.

Facciamo il permesso e poi ci avventuriamo in questa landa desolata.

I colori sono splendidi, avvistiamo l’unico relitto, poi continuiamo, fino al bivio con Torra Bay. Pranziamo e decidiamo di andare direttamente a Twyfelfontein.

Usciamo quindi dallo Springbok Wasser Gate e andiamo verso Bersig.

Abbiamo appena lasciato la Skeleton Coast e ci stiamo dirigendo verso l’Aba Huab Camp, il paesaggio attorno a noi è splendido. Una luce arancione si accende nel quadro strumenti: “Siamo senza benzina!” Accostiamo nella strada per Palmwag e lasciamo andare i nostri compagni di viaggio, con tanto di tanica, a fare rifornimento. Nel mentre un carretto trainato da due asini e con tre ragazzi, rallenta e poi accosta. “Problem?” ci chiedono. Noi spieghiamo… Loro: “ok, ma fate attenzione! Nella zona gira un elefante con una zanna sola: è pericoloso perché è stato allontanato dal gruppo” Sorridono, e se ne vanno. Roberto sospira, mette le mani sui fianchi, sospira di nuovo, poi asserisce: “Bene, l’elefante è grosso, se c’è, lo vediamo!” non attende risposta, entra in auto, rovista fra le sue cose, apre il baule, tira giù il suo bagaglio rosso e se ne esce con un binocolo e inizia a scandagliare la zona. Una, due, tre volte… Bello essere in mezzo alla natura! Ovviamente dell’elefante nessuna traccia. Ormai è diventato leggenda!

Fermiamo così una guida, Isaac, che ha appena finito di lavorare, per farci aiutare a fare rifornimento; lui ha un tubicino.

Va bene che ha pazienza! Arrivano i nostri compagni con una tanica di diesel, Isaac ci blocca, dice “io sento che questa macchina è a benzina”. Tira fuori la sua tanica di benzina e CI SALVA!

Ci dice inoltre che vicino al campeggio c’è una pompa di benzina!

Arriveremo al campeggio solo ad ora tarda, in pochi minuti monteremo il campo e poi pasteggeremo con una splendida pasta e vino in cartone.

Dopo tanti km e tante avventure, domani ci godremo un poco di relax.

 

16.08.2009 – Domenica – 8° giorno

Twyfelfontein – Organ Pipes – Burnt Mountain – Petrified forest – Palmwag

Oggi ce la prendiamo con comodo, ci svegliamo verso le 8:30, facciamo colazione, smontiamo il campo, poi andiamo a fare rifornimento alla vicina “stazione” e poi ci dirigiamo verso Twyfelfontein.

Per la strada incontriamo un uomo barbuto che procede a piedi, con in spalla tutta la sua casa; probabilmente un viaggiatore che è in giro da anni.

Alle 10:00 stiamo visitando il sito di Twyfelfontein con la guida obbligatoria, che ci fa gustare al meglio la stiria di questo incredibile posto.

I Damara che un tempo vivevano in questa zona la denominarono Uri-Ais o “fontana saltante” dalla sua sorgente di acqua fresca. Nel 1947 il nome e’ stato cambiato in Twyfelfontein – che significa “fontana dubbiosa” – dal primo colono bianco, che riteneva che la sorgente fosse troppo debole per rappresentare un valido supporto per la natura circostante. Nel 1952 la zona e’ stata dichiarata monumento nazionale per i suoi oltre 2500 graffiti e pitture rupestri risalenti a circa 6000 anni fa. La maggior parte dei graffiti rappresenta animali e le loro orme, con rare rappresentazioni di uomini rispetto alle migliaia di immagini presenti. La più famosa è la rappresentazione dello sciamano, sottoforma di uomo leone.

Visitiamo poi le Organ Pipes, colonne di basalto che assomigliano a delle canne d’organo, situate in una piccola gola. Queste rocce dalla forma particolare furono formate 120 milioni di anni fa, quando la dolerite, raffreddandosi, si suddivise in colonne alte sino a 5 metri.

Poco lontano da queste formazioni c’è la montagna bruciata che in effetti sembra sia stata devastata dalle fiamme. E’ una distesa di scorie vulcaniche dove nulla è stato risparmiato dal fuoco. In questo paesaggio sinistro e desolato non cresce praticamente nulla. “Arrostita” da un antico inferno, non sembra particolarmente attraente durante il giorno, ma all’alba ed al tramonto sembra che il basalto e l’argilla che la compongono prendano fuoco ed i colori sono davvero spettacolari; noi purtroppo non possiamo aspettare così tanto, così, dopo esserci avventurati in una breve passeggiata, proseguiamo fino alla foresta pietrificata, dove, prima di entrare, ci riposiamo con la consueta pausa pranzo.

Anche qui disponiamo di una guida obbligatoria, che ci fa finalmente vedere la pianta di euforbia, la pianta velenosa da bruciare.

La Petrified Forest è un veld aperto cosparso da tronchi lunghi fino a 30 metri, con una circonferenza che raggiunge i sei metri, che si calcola risalgano a 260 milioni di anni fa. Dal momento che non vi sono né radici né rami, si ritiene che questi tronchi siano arrivati qua in seguito ad una gigantesca alluvione

Poi, visto che sono già le 15:30, procediamo verso Palmwag.

Nella strada ci fermiamo ad aiutare un pullmino di italiano che ha bucato e che ha rotto il crick, così anche questa volta dovremmo montare il campo con il buio.

Anche se abbiamo uno spazio cucina tutto per noi, dato che domattina partiremo alle 6:00, decidiamo che stasera ci meritiamo una buona cena al ristorante del camping.

 

17.08.2009 – Lunedì – 9° giorno

Palmwag – Sesfontein – Opuwo – Epupa Falls

Oggi giornata di trasferimento.

Alle 6:00 siamo già in auto pronti per partire. La strada che porta fino a Opuwo è tenuta davvero male e rischia di essere la più pericolosa del viaggio, con tutte quegli avvallamenti e quelle buche. Bisogna fare davvero attenzione!

Da Opuwo a Epupa Falls invece, la situazione migliora.

Siamo ad Opuwo, la capitale del Kaokoland, estrema regione di nord-ovest ai confini con l’Angola, una zona arida e semidesertica, ondulata da rilievi e solcata da poche strade e qualche pista in cattivo stato. Ci siamo fermati per rifornirci di generi alimentari, per fare rifornimento e per cambiare qualche soldino. Siamo in territorio himba, le popolazioni del nord della Namibia, che vestono ancora con pelli di capra; le donne, bellissime, girano vestite solo di una minigonna di pelle e di splendidi ornamenti che adornano il collo, i polsi e le caviglie: veri e propri gioielli tribali, raffinati ed eleganti, realizzati per lo più in cuoio tempestato di decorazioni in ferro e osso. I monili più preziosi restano comunque le conchiglie che arrivano da paesi molto lontani. Lo splendido seno nudo è ritratto in fotografie che hanno fatto il giro del mondo, è normalmente adornato di gioielli che decretano lo stato sociale della ragazza, alle caviglie degli ornamenti metallici, sul capo differenti orpelli che decretano lo stato di sviluppo della ragazza. E poi un corpo, sottile, longilineo, meraviglioso ed armonioso, tutto arancione, cosparso di burro, cenere e ocra rossa, profumato da erbe aromatiche, così come i capelli che sono lunghi e divisi in splendide treccine cilindriche tenute assieme con gli stessi unguenti usati per il corpo… Ad Opuwo, nella stessa città, al supermercato il contrasto è evidente e si traduce in una miscellanea di etnie; per la città vagano i namibiani che vestono con i vestiti occidentali, le seminude donne himba e le loro antenate dirette, le donnone Herero, grosse mamy che hanno lunghi vestiti a fiori, che disegnano un importante sedere. Sul capo il classico cappello che li contraddistingue. Posiamo le nostre cose sul rullo del supermarket, Freda paga alla cassiera, tira fuori il libro cassa e segna l’uscita, precisa come un orologio svizzero e creando a sua volta buona parte di quella curiosità che noi abbiamo avuto nei confronti di queste etnie.

Poi ripartiamo; lungo la strada che ci porterà fino al paradiso terrestre, ci sono belle ragazze himba che cercano di fermare i turisti.

Piantiamo le tende come al solito una sull’altra; lasciamo i nostri abiti alla mamy lavandaia e poi una meritata doccia; l’acqua è scaldata a legna.

Poi andiamo al bar sopra le cascate, una specie di palafitta in legno e ci godiamo il rumore e il lento scorrere del fiume con una birra gelata in mano. Un poco di relax ci vuole anche, che ne dite?

Poi una cenetta e nanna, pronti per domani!

 

18.08.2009 – Martedì – 10° giorno

Epupa Falls – Himba – Epupa Falls

Questo per me è il giorno più bello di tutto il viaggio.

Derek, la nostra guida himba, fratello mancato di Bob Marley, che saluta con il pugno al suono di “Strong!”, arriva puntuale all’appuntamento. Ci porterà a visitare due villaggi himba e ci racconterà usi e costumi di questa incredibile popolazione.

Nel primo villaggio faccio un incontro speciale, che ricorderò per la vita: quella bimba himba, lei che mi guarda con incredulità, gli occhioni neri mi scrutano con gioia, ma anche con curiosità.
Si chiede perché il colore della mia pelle non sia arancione, non sia simile al suo… Mi prende la mano, la gira, mette il suo palmo sul mio e poi la sfrega forte forte per vedere se “stingo”, poi mi guarda con ancor più stupore e decide di ripetere il gesto, ma nulla, quel bianco non se ne va… e allora si toglie un pezzo di mela dalla bocca e me la offre. Io l’accetto. Ci guardiamo, ci sorridiamo, ci diamo la mano e capiamo che i gesti, alle volte, valgono più di mille parole! e così iniziamo a giocare e a scambiarci mille sorrisi.

Gli Himba vivono in spianate di terra, in case fatte di fango, con qualche capra e con le tradizioni che la colonizzazione turistica non è riuscita ancora a cancellare.

L’incontro con una popolazione così primitiva è davvero emozionante, ma sapere che a causa dl turismo stesso, questa popolazione piano piano scomparirà, lascia sicuramente l’amaro in bocca e tanti spunti di riflessione sugli impatti del nostro passaggio. Anche per questo non ho voluto proporre al mio gruppo di dormire nei villaggi di questa popolazione.

Torniamo al campeggio e ci dividiamo; io mi godo un poco di relax al bar.

Poi decidiamo che è venuta l’ora di una piccola camminata per vedere lo spettacolo sulle cascate. Le “acque che cadono”, è questo il loro significato Herero, sono formate dal fiume Kunene che si apre a ventaglio e si getta a valle attraverso una serie di canali paralleli, occupando una zona larga 500 metri e scendendo complessivamente di 60 metri in un tratto di 1,5 Km. Il salto più alto (37 metri) è quello dove il fiume precipita in un crepaccio buio e stretto, circondato sovente dall’arcobaleno. Lo spettacolo è entusiasmante, a dir poco indescrivibile.

Proviamo a immortalare vari momenti con le nostre fotografie, ma con scarsi risultati. Non possiamo infatti imprimere il forte profumo dell’acqua che cadendo si ossigena, la bruma che lentamente ci bagna, il rumore della natura, il continuo scorrere delle acque, che lasciano che questo spettacolo non sia mai lo stesso. Ma soprattutto, non possiamo immortalare quel pizzico di adrenalina che proviamo quando si è sul bordo di un  precipizio di 37m e sotto di noi, solo acqua! Ci resta solamente il ricordo, così emozionante, così incredibilmente vero, da rendere difficile il racconto.

La notte scende, il buio ci avvolge, attorno a noi il fragore delle cascate. Abbiamo festeggiato il compleanno di Freda, la nostra mitica cassiera, con Derek, con i tre Romagnoli ritrovati e con il proprietario del campeggio e la sua compagna. Abbiamo annaffiato il buonissimo salame di cioccolata preparato da Cristina con vino, Amarula e tanto buon umore. Serata incredibile, indimenticabile!

 

19.08.2009 – Mercoledì – 11° giorno

Epupa Falls – Okongwati – Ruacana – Outapi (Ombalantu Baobab Tree Heritage Center) – Olukonda

Oggi grande tappa di trasferimento.

Ieri abbiamo verificato la condizione della D3700 e abbiamo deciso di scendere fino ad Empembe, prendere la D3701, che stanno migliorando e prendere l’ultimo tratto della D3700, godendo così dello splendido paesaggio lungo il Kunene, ma evitando rischi gratuiti.

Per la strada ci fermiamo a fare rifornimento in un’improbabile pompa di rifornimento. E’ all’interno di una casa, e c’è una donnona Herero che gestisce il pieno con un tubo di gomma, un bidone di plastica e un grosso bidone di latta per “aiutare il rifornimento”.

Lì vicino c’è anche un piccolo ospedale al quale potete lasciare qualche medicinale e una scuola.

Poi continuiamo verso Empembe. Ripresa la D3700, ci fermiamo lungo le sponde del Kunene per ammirare delle splendide scimmie.

Lungo il Kunene la strada ci regala degli scorci meravigliosi; viaggiamo immersi nella vegetazione, ogni tanto gli alberi si aprono verso il fiume. Incontriamo un albero pieno di scimmie, diversi villaggi himba probabilmente ancora poco inquinati dal turismo e ci concediamo una pausa pranzo all’ombra di un albero, gustando pane, fagioli e tonno, un poco di sardine e l’immancabile carne in scatola, la Corn Meat, mentre il nostro sguardo si perde in quelle acque che lambiscono due paesi che un tempo erano in guerra…

Poi riprendiamo ‘asfalto, che lasceremo solo più all’interno dell’Etosha.

Arriviamo al punto più alto e di fronte a noi lo scempio. Vediamo la gola dove una volta dovevano scendere le meravigliose Ruacana Falls, ora completamente prosciugata!

Ci fermiamo a Outapi per fare rifornimento e cogliamo l’occasione per visitare il grandissimo albero di Baobab al cui interno hanno addirittura costruito una chiesa!

Inizia ad essere tardi, ci rendiamo conto che non possiamo fare ancora 120 km fino all’Etosha dove tra l’altro, per questa notte non abbiamo nessuna prenotazione e quindi non siamo sicuri di trovare posto…

Decidiamo allora di bivaccare nei dintorni, apriamo la LP e ci mettiamo ancora in strada fino a trovare, sperso in mezzo alla campagna, il Nakambale Museum.

Una simpatica signora ci apre il cancello, ci fa vedere delle tende già montate con tanto di letto e ci offre inoltre l’uso della cucina; è strano dormire dentro ad un museo, non credete?

Il posto è sicuramente spartano, ma piacevole, ci sono docce calde, bagni, ovviamente tutti per noi, una cucina, tavoli e panche illuminati da corrente elettrica; cosa chiedere di più?

Montiamo il campo, poi ci sediamo a cena, con delle belle birre fresche che ci hanno portato i ragazzi che lavorano nel museo dalla vicina città.

Stasera stiamo seduti su delle panche con la luce.

Il posto è carino, ma effettivamente c’è ben poco da fare; quindi nanna presto, domattina inizia il game drive!

 

20.08.2009 – Giovedì – 12° giorno

Olukonda – Namutoni

Oggi inizia la nostra grande avventura all’Etosha!Siamo tutti in fibrillazione, ci svegliamo presto, raccogliamo le tende e via sulle nostre auto.

Alle 9:30 siamo ad Anderson Gate; sbrighiamo tutte le formalità, facciamo i permessi e paghiamo per tutti i giorni (3) che staremo nel parco, poi entriamo, procedendo piano piano, per avvistare qualche animale prima di mettere il campo a Namutoni.

E siamo fortunati, vediamo gnu, gazzelle, impala, tantissime zebre, splendidi uccelli, un dik dik, delle orde di faraone, qualche kudu, un facocero e le prime giraffe.

Siamo esaltati! Che bello questo parco, è splendido e sembra essere davvero ricco di fauna!

Ma ci serve una mappa; così ci dirigiamo a Namutoni, montiamo il campo, compriamo 3 mappe al negozietto all’interno del forte e prenotiamo in 10 l’uscita prima dell’alba che pagheremo fuori dalla cassa comune (550 N$).

Poi, dopo un ottimo pranzo, alle 15:15 con due auto usciamo di nuovo a “caccia” di animali; gli altri rimangono ad oziare ai bordi della splendida piscina e ad aspettare qualche animale alla pozza illuminata.

Noi in auto siamo fortunati ancora, primo incontro con l’elefante, una splendida giraffa che beve, qualche orice e sulla via del ritorno, lì, semi nascosto fra i cespugli un meraviglioso rinoceronte bianco, che si ferma ad ascoltarci…

Rientriamo prima della chiusura delle porte e corriamo a godere del tramonto sulla pozza illuminata.

Grande silenzio interrotto solo da numerosissimi uccellini che si rincorrono fra i canneti, poi, quando il sole scende, la silhouette di due giraffe, ci regala l’emozione di un imperdibile tramonto africano.

Cena nell’ottimo buffet di Fort Namutoni, un ultimo sguardo alla pozza e poi nanna, domattina ci si deve svegliare davvero presto!

 

21.08.2009 – Venerdì – 13° giorno

Namutoni – Halali

L’appuntamento è per le 4:45 alla reception. Fa freddissimo e memore dell’esperienza sudafricana, ho consigliato tutti di mettere qualunque cosa calda avessero in valigia.

L’uscita non è molto proficua, ma è sempre molto emozionante.

Al nostro ritorno, una veloce colazione, poi smontiamo il campo e ancora in auto ad avvistare animali, prima di arrivare al prossimo campo.

Decidiamo di visitare qualche pozza segnata sulla mappa, alla ricerca di qualche felino.

Di felini oggi non ne vedremo, ma la pozza con tutti gli animali che fanno a turno per abbeverarci è davvero splendida, da rimanerci anche tutta la giornata. Gianni la definirà l’arca di Noè!

E poi vedremo tantissimi elefanti, con i piccolini, che giocano, che si rinfrescano, che si lavano, che bevono.

La natura è davvero splendida!

Mettiamo il campo, cercando di mandare via le manguste che lo infestano, poi un pranzo caldo, e di nuovo alla scoperta della natura.

Un altro ottimo tramonto alla pozza, un poco più rude, ma avvistiamo ben 18 rinoceronti bianchi!

Poi la cena e poi di nuovo alla pozza.

Potrei rimanere tutta la vita a guardare gli animali che si susseguono con i loro ritmi, liberi di vivere appieno la natura.

 

22.08.2009 – Sabato – 14° giorno

Halali – Okaukuejo

Oggi è la giornata del leone!

Anche oggi, disfiamo il campo, facciamo colazione epoi via verso il prossimo campeggio.

Per la strada ovviamente mille soste a godere dello spettacolo della natura.

Siamo di fronte alla pozza di Salvadora, siamo in attesa che gli animali prendano coraggio per andare ad abbeverarsi (Pietro potrebbe descriverlo come se fossero fermi al Brennero in attesa che il passo apra), la leonessa è nascosta in mezzo al cespuglio e valuta l’avanzare di zebre, gazzelle e gnu. Gli animali sono spaventati, capiscono, forse odorano la presenza del leone, ogni tanto fuggono, poi la sete ha il sopravvento e si riavvicinano. Ecco che uno gnu si avvicina troppo al cespuglio, la leonessa balza all’attacco, lo rincorre, lo gnu scappa, tutti gli animali scappano, la leonessa rimane senza cibo.

Che meraviglia e che giornata!

Arriviamo al camping e come al solito, c’è chi esce per un ultimo sguardo al parco, a caccia di nuove emozioni, chi si rilassa, chi va alla pozza.

Poi una doccia, una buona cena preparata con ciò che rimane della cassa cucina.

A cena, seguiranno poi commenti tipo domenica sportiva sull’attacco della leonessa allo gnu: “secondo me quella leonessa era un poco spompa…” “no, non può cacciare da sola; ma dov’erano gli altri leoni?” Certo che se si fosse accontentata della gazzella, l’avrebbe presa”, “ma non poteva prendere la gazzella, doveva dare da mangiare prima al leone (che non abbiamo visto), poi ai cuccioli (di cui non c’era nemmeno l’ombra), poi a lei cosa sarebbe rimasto???” “Secondo me ha sbagliato l’attimo, doveva aspettare ancora” E Pietro: “Chi va a dargli tutti questi consigli per 50000€?”.

23.08.2009 – Domenica – 15° giorno

Okaukuejo – Okahandja – Windhoek

Anche oggi ci svegliamo di buon ora, smontiamo per l’ultima volta il campo, facciamo colazione con le ultime cose rimaste e poi via, prendiamo la strada che ci riporterà verso Windhoek, verso la fine del nostro viaggio, da dove tutto è iniziato.

Lasciamo l’Etosha verso le 8:30 e proseguiamo lungo la B1, la strada dell’inizio.

A Outjo, sulla strada principale del paese, ancora deserta per l’ora, troviamo 3 ragazze himba che avevano messo su un banchetto di braccialetti,cavigliere, collane ed altri monili tipici himba.

Ci fermiamo, regaliamo loro le poche provviste rimaste della cassa cucina; veniamo ripagati da tre splendidi sorrisi, poi proseguiamo.

A Otjiwarongo ci fermiamo per rimpinguare la colazione e per fare rifornimento di benzina e diesel, poi ripartiamo; ci fermeremo a Okahandja, dove c’è uno splendido mercatino del elgno per fare gli ultimi acquisti.

Io ho preso una splendida maschera del Caprivi, davvero bella.

Regalo una maglia e un paio di pantaloni a due ragazzi e poi di nuovo in auto fino a Windhoek.

Prendiamo posto nelle nostre camere al Puccini guest House, poi ognuno di noi spende la giornata rimasta in libertà.

C’è chi fa un giro per il centro di Windhoek, chi prepara il bagaglio, chi si riposa.

Poi la sera un’altra ottima ed ultima cena al Joe’s Beer house, a parlare di quanto abbiamo vissuto e condiviso e a discutere della meta e di quando fare il raduno.

C’è già nostalgia degli amici appena conosciuti, ma ormai diventati parte del nostro vissuto.

 

24.08.2009 – Lunedì – 16° giorno

Windhoek – Johannesburg

Ci svegliamo di buon ora, facciamo colazione prestissimo e assieme ai 3 driver vado a fare la fila all’autolavaggio… Non appena aprono e vedono le auto, mi dicono che ci vorrà minino 1h30’ per auto… Non ce la faremo mai!

Decidiamo di andare ad un altro autolavaggio e di lavare solo due auto, tanto l’altra che ci avevano portato a Swakopmund ce l’avevano consegnata da lavare…

Mentre Gianni e Paolo lavano le auto, io e altri 4 partecipanti andiamo all’aeroporto; purtroppo il mio volo parte prima…

Dopo aver fatto il check in, consegniamo la prima auto. Tutto ok, non la guardano quasi… Ci addebitano solo pochi N$ per la benzina che abbiamo consumato da Windhoek a qui!

Poi attendiamo gli altri.

Non appena arrivano, cerchiamo di sbrigare le pratiche. Per l’auto di Gianni non ci sono problemi, per quella di Paolo che ha la ruota di scorta usata iniziano i problemi…

In una ruota s’è un piccolo chiodino (max 4 mm)… L’addetto della Europe Car vorrebbe farci pagare l’intero pneumatico perché sostiene che, anzitutto abbiamo utilizzato la ruota di scorta (!!!) e poi il chiodino ha sicuramente bucato la ruota (!!!).

Mentre io continuo a sostenere che la ruota di scorta, visto che è data con l’auto, si può usare e che quindi non dobbiamo pagare nulla per il suo utilizzo, Gianni e Paolo fanno vedere che anche sputando sopra al punto dove si è tolto il chiodino, l’aria non esce!

Dopo varie parole e dopo una bella arrabbiatura a fronte del fatto che dopo aver firmato il foglio che riportava “nessun problema”, il ragazzo voleva scriverci sopra, siamo riusciti a spuntarla e a partire con tranquillità.

Non ci sono stati addebitati ulteriori costi nemmeno al nostro rientro.

Consiglio 1: le auto devono essere lavate il giorno prima

Consiglio 2: conviene andare con largo anticipo all’aeroporto, perché gli addetti della Europe Car giocano moto sul fatto che voi avete poco tempo…

Ultimi saluti a Johannesburg e poi tanta voglia di ritrovarsi, abbiamo già deciso data e luogo del prossimo raduno!

 

25.08.2009 – Martedì – 17° giorno

Johannesburg – Italia

Alle 6 io arrivo a Francoforte, il mio fenomenale gruppo è ancora in volo per Londra.

Questo incredibile viaggio è ormai finito, ma dentro di noi continuerà a vivere e come ogni viaggio, di giorno in giorno ci cambierà, aiutandoci a ricostruire la parte di noi che la nostra quotidianità occidentale cerca sempre di più di cancellare.

 

 

Al di fuori della nostra civiltà, lasciando a casa tutte le nostre comodità e nutrendoci della bellezza che la natura è sempre capace di regalarci, godiamo di quelle sensazioni ormai perdute, ritrovando, nei sorrisi dei nostri compagni di gruppo, ciò che tutti noi in realtà siamo.

 

Uganda, Rwanda e DRC

 

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04.08.2010 – Giovedì – 1° giorno

Milano/Roma – Cairo

Il gruppo si riunisce all’aeroporto del Cairo. Era dal 2005 che non ci tornavo e devo dire che l’hanno rifatto davvero bene!

Abbiamo cenato un classico kebab, poi ci siamo imbarcati in orario verso Kampala in un bellissimo aereo, troppo usato per dare l’idea classica di sicurezza.

05.08.2010 – Venerdì – 2° giorno

Cairo – Entebbe – Kampala – Zhiwa Rhino Sanctuary – Masindi

Entebbe Kampala 40 km 1h
Kampala Zhiwa Rhino Sanctuary 160 km 3h
Zhiwa Rhino Sanctuary Masindi 56 km 2h

Oggi giornata davvero intensa. Arriviamo in orario ad Entebbe e troviamo Ronald ad aspettarci con quello che sarà il nostro pullmino per l’intera avventura.

La strada che collega Entebbe a Kampala a quest’ora è scorrevole e in poco meno di 1 ora siamo in centro al Pope Hotel, dove io devo incontrare Francis.

Prendiamo 3 camere, per lavarci, fare colazione e per prendere gli ultimi accordi sull´itinerario con l´agenzia locale

Consiglio: i dollari vengono controllati uno per uno, sia l’anno in cui sono stati emessi, sia lo stato degli stessi.

Siamo proti per partire e per arrivare fino al primo centro commerciale per trovare una banca, contrattare sul cambio e fare la prima mega spesa. Nei supermarket ugandesi, soprattutto in quelli della capitale, c’è la stessa scelta dei supermarket occidentali.

Poi partiamo verso il nord. Prima tappa: Zhiwa Rhino Sanctuary.

Splendida vegetazione, splendido il centro che ha preso 6 rinoceronti in cattività e li ha a poco a poco riportati allo stato brado. Noi abbiamo visitato la famiglia di Obama; il fatto di arrivare così vicino a questi preistorici animali, a piedi, ha davvero dell’incredibile ed è davvero emozionante.

Vorremmo trattenerci a lungo, ma purtroppo non è possibile, per lasciare in pace gli animali.

Incredibile è che sono sorvegliati a vista da ranger che devono cercare di non farli cadere vittime dei bracconieri.

Verso ora di cena arriviamo a Masindi, piove, come molto spesso capiterà durante il nostro viaggio; ci sistemiamo e poi dopo un’oretta di relax, ceniamo.

Dopo cena, con un piccolo gruppo, visto che ha spiovuto, decidiamo di fare una capatina in città per una birra.

Splendido! Tutto lungo la strada ci sono delle bancarelle che fanno cibo, invitanti spiedini e altre leccornie… Peccato! A saperlo prima sarebbe stata un’ottima variante per una cena sicuramente africana!

Un paio di birre, un poco di conoscenza con locali e poi nanna!

06.08.2010 – Sabato – 3° giorno

Masindi – Murchinson Falls (game drive)

Masindi Gate Murchinson NP 18 km 40’
Gate Murchinson NP Traghetto per game drive 66 km 2h
Traghetto per game drive Top of the Falls camp site 95 km 2h

 Ci alziamo di buon ora per arrivare a prendere il traghetto all’interno del parco alle 9:00 e poter fare il nostro primo game drive.

Siamo al gate alle 6:50 e dobbiamo attendere un poco (il gate apre alle 7:00), perché il ragazzo sta ancora dormendo.

Vediamo giraffe, ippopotami, moltissima avifauna. Il panorama è mozzafiato, un continuo alternarsi di verde, poi di nuovo il giallo della savana che si va a perdere nel blu del fiume, ancora nel verde e nell’azzurro del cielo.

Piccolo pick nik attendendo il traghetto di ritorno, facendo attenzione ai babbuini, poi puntiamo direttamente al nostro campeggio, posizionato proprio vicino a Top of the Falls.

Siamo gli unici il campeggio è proprio in mezzo alla natura, con nulla vicino, ma con tutte le comodità del caso, due toilette, la doccia e una capanna dove rintanarci.

Piantiamo le tende e poi, vista l’ora, andiamo a Top of the Falls ad assistere al meraviglioso impeto della natura.

Percepiamo le cascate con tutti i nostri sensi, ci bagnano, ne sentiamo il profumo, ne avvertiamo il rumore… Incredibile esperienza, difficilmente concentrabile in un singolo scatto fotografico

Tornando al campeggio, iniziamo a preparare la prima cena della vacanza e l’accompagnammo con due buone bottiglie di barbera.

Poi nanna, col sonno interrotto da qualche curioso facocero che annulla le nostre tende.

CONSIGLIO: Il posto per il campeggio è davvero splendido e da non perdere, ma per non distruggersi fisicamente, converrebbe:

  • 1° giorno al termine del game drive andare a dormire al Red Chilli (da prenotare con anticipo perché sempre pieno) in quanto vicino all’imbarco del traghetto che la mattina parte alle 7.
  • 2° giorno: game drive con traghetto alle 7, poi con calma potete smontare le tende e alle 14:00 potete fare il boat cruise fino alla base delle cascate. Lì scendete e salite fino in cima a top of the Falls dove avete fatto venire il bus con le tende.

07.08.2010 – Domenica – 4° giorno

Murchinson falls (game drive) – Boat cruise

Boat cruise andata 2h
Boat cruise ritorno 1h

Oggi sveglia davvero prestissimo, per essere pronti alle 5:00 per partire ed essere in tempo a prendere il traghetto delle 7:00.

Ronald deve pestare sull’acceleratore, ma arriviamo con circa 15 minuti di anticipo e abbiamo tempo di fare una veloce colazione sotto l’albero.

Durante il game drive incontriamo un leone al quale è stata amputata una gamba; la maestosità dell’animale è sempre evidente, ma la pena nel vederlo avanzare così magro e claudicante, verso le gazzelle con disarmante consapevolezza che anche oggi non riuscirà a mangiare se non grazie alla compassione delle leonesse, ci stringe il cuore.

Ritornati piantiamo subito le tende nello spiazzo del Red Chilli Camp. La piazzola è mezza allagata, ma appena attraversata la strada possiamo andarci a ristorare con delle birre, quindi ci laviamo velocemente, poi andiamo a pranzare al Red Chilli bar, in attesa che vengano le 14:00 per la nostra crociera fino alle cascate Murchinson.

Il panorama è splendido, in riva al fiume famiglie di ippopotami che si bagnano.

Le cascate sono imponenti, fragorose, talmente potenti che le sentiamo da lontano e vediamo grumi di schiuma che vi vengono incontro.

La guida ci spiega che la numerosità dei coccodrilli vicino alle cascate è data dal fatto che alcune volte gli animali cadono all’interno delle cascate e quindi, il fiume è pieno di selvaggina morta.

La corrente è fortissima, tanto che per fermarci per ammirare le cascate, dobbiamo rintanarci in un antro coperto da alcune formazioni rocciose.

Al ritorno grandissima sorpresa! Io e Eddy (siamo delle volpi…) abbiamo lasciato la tenda aperta e giustamente è piovuto!!!

Poco male, le tende sono poco allagate e sono agibili…

La sera grande cena alla luce del fuoco e visita di un grande ippopotamo che fa scappare tutti all’interno della capanna!

08.08.2010 – Lunedì – 5° giorno

Murchinson Falls – Hoima – Fort Portal

Red Chilli Camp Murchinson Falls Gate 63 km 1h15’
Murchinson Falls Gate Masindi 18 km 40’
Masindi Hoima 38 km 1h
Hoima Fort Portal 197 km 6h 15’

 Oggi grande tappa di trasferimento e giustamente, per aiutarci a raggiungere la meta velocemente poco dopo Hoima, proprio dove l’asfalto ci lascia per dare spazio ad una bella pista di terra rossa battuta, inizia a piovere! Ma tanto! Ma proprio tanto!

La strada è scivolosissima, sembra sapone e l’acqua dal cielo viene giù a secchiate e non so proprio come Roland possa vedere dal parabrezza che continua ad appannarsi…

Avvicinandoci a Fort Portal, la pioggia continua a scendere e l’idea di dover piantare le tende sotto quest’acqua non è che timoli nessuno… Decido quindi di cercare d contattare il CVK, ma senza possibilità. Nemmeno Francis riesce a contattarlo e anche se a malincuore per non essere riusciti ad avvertirli, decidiamo di fermarci a Fort Portal.

Ordiniamo la cena al ristorante, poi una doccia con calma e nanna.

CONSIGLIO 1: Se la stagione è davvero secca, chiedete informazioni al Red Chilli Camp e raggiungete Fort Portal per la strada che costeggia il Lago Alberto. Anche se molto dissestata, regala dei panorami mozzafiato!

CONSIGLIO 2: Il CVK dista poco meno di 1 ora da Fort Portal ed è un posto davvero meraviglioso in cui passare la notte. Tutto attorno ci sono splendidi villaggi pieni di bambini. Consiglio vivamente di prenotare le Bandas (costano poco più di 10$, poco di più di piantare la tenda)

09.08.2010 – Martedì – 6° giorno

Fort Portal – Buyunguru Crater lakes – Fort Portal – Kasese

Dislivello salita: 250 metri

Dislivello discesa: 250 mt

Tempo di percorrenza: 3h15m

Percorso: 4,93km

Note: Semplice; si passa fra tantissimi villaggi, in un giro ad anello che costeggia i laghetti, fino ad arrivare ad un magnifico panorama a Top of the Falls

Fort Portal Buyunguru Crater Lakes CVK 22 km 50’
Fort Portal Kasese 87 km 1h 40’

Dopo un’ottima colazione, partiamo per i Buyunguru Crater Lakes. Oggi abbiamo un autista aggiuntivo (giusto perché non eravamo abbastanza stretti).

Lubeka è con noi perché Ronald non si sente molto bene e con ogni probabilità dovrà ritornare a Kampala per accertamenti. Infatti, domani ci saluterà.

Dopo un’oretta arriviamo al CVK, un posto splendido, proprio in riva al lago.

Ha piovuto tutta la notte e il tetto in paglia delle bandas è umido; la vegetazione di un verde smeraldo fa da contrasto al blu del lago.

Facciamo subito le nostre scuse al signore alla reception e a sua moglie, che a quanto pare è colei che comanda…

Decidiamo di pranzare da loro dopo che abbiamo terminato il piccolo trek attorno ai laghetti.

Il paesaggio è davvero splendido, come del resto sempre in Uganda, ma quello che fa di questo piccolo trek un’esperienza indimenticabile, è il contatto con la popolazione all’interno dei piccoli villaggi che troviamo per la strada. Una bambina addirittura ci rincorre per farci vedere tutta orgogliosa la sua pagella!

Ritornati al CVK, così contenti e appagati dopo questa splendida passeggiata, pranziamo con un ottimo buffet, facendo attenzione che le scimmie non ci rubino il cibo.

Arrivati a Fort Portal ci fermiamo a fare un poco di speda, poi via verso Kasese, dove i ristoriamo al Ruwenzori international, un albergo che sembra in costruzione ai bordi della città.

Un gruppo parallelo ci racconta di essere distrutto dopo la camminata; ma nessuno desiste e domani mattina tutto il gruppo coeso, si farà il trekking fino al primo stop del tragitto del Ruwenzori.

CONSIGLIO: In cima a Top of the Falls abbiamo incontrato un signore che dirigeva i lavori di costruzione di un centro di ricerca francese. Il posto è raggiungibile solo a piedi, in un’oretta, ma è splendido e vale davvero la pena di passare una notte qui in tenda (chiedete agli abitanti del villaggio o alla scuola subito fuori il CVK). Potreste anche rischiare di arrivare non avendo prenotato il CVK che intanto non è mai pieno e se non piove, avventurarvi qui in cima; ovviamente dovrete portarvi il cibo necessario.

10.08.2010 – Mercoledì – 7° giorno

Kasese – Rwenzori mountain trek – Kasese

Dislivello salita: 1286 metri

Dislivello discesa: 1286 mt

Tempo di percorrenza: 6 ore

Percorso: 9,21 km (andata e ritorno per Nyabitala Hut)

Note: Fattibile (con calma) con un minimo di allenamento: il primo pezzo sale lieve, poi inizia ad essere più ripido. In cima si trova una locanda per prendere il te e la vegetazione fitta si apre, lasciando intravedere alcuni picchi attorno.

Kasese UWA per registrazione 15 km 30’
UWA per registrazione Uwa per partenza trek 11 km 10’

Oggi è la giornata del Ruwenzori. Salutiamo Ronald diamo il benvenuto a Lubega.

Il trekking fino a Nyabata Hut ci terrà impegnati per tutta la giornata; la giungla è splendida, il sentiero dapprima sale lentamente, poi inizia a inerpicarsi, ma è sempre un trekking fattibile.

Pioviggina e la nebbiolina lascia a tratti intravedere i picchi della catena montuosa del Ruwenzori.

Al nostro ritorno un incredibile incontro con un serpentello verde, velenoso, ma davvero splendido.

Poi esausti ci facciamo una doccia e ordiniamo la cena.

11.08.2010 – Giovedì – 8° giorno

Kasese – Equator line – Queen Elisabeth Mweya Sector (game drive)

Kasese Equator line 10 km 30’
Equator Line Queen Elisabeth Gate 40 km 1 h
Queen Elisabeth gate Mweya Camp 20 km 1 h

 Partiamo alle 8:15 e in poco più di 10 minuti siamo al monument che segnala il passaggio dell’equatore. E’ troppo presto e quindi non troviamo i ragazzi con le bancarelle fanno vedere le stranezze derivanti dalla legge di Coriolis (l’acqua che cade nel lavandino in senso inverso ;-))

Poi entriamo al Queen Elisabeth park e andiamo subito in cerca di animali. E siamo fortunati, incontriamo elefanti, karibu, ippopotami, giraffe, ma dei leoni nessuna traccia.

Poi ci portiamo al campo per mettere piantare la tenda.

Chi vorrà, verso le 16 si va di nuovo a fare un giro a “caccia” di avvistamenti.

Pochi altri decidono di prendersela comoda al campo e al nostro ritorno, troviamo un nuovo amico, “Fufi”, un povero e vecchio facocero con una zanna sola che il nonno del gruppo foraggia a suon di pelli di banana e altri avanzi…

Cena splendida, poi nanna con gli amici facoceri e I karibu.

CONSIGLIO: Dal bus unico con i vetri che si aprono solo per metà è un dramma fare un game drive fotografico. Il mio consiglio è o come ho scritto prima chiedere al gruppo (e a Francis in secondo luogo), di darvi quei Vestfalia che si aprono dal tetto oppure andate alla reception del lodge del Mweya e lì potete prenotare un game drive con le classiche jeep scoperte per 40$/pax.

12.08.2010 – Venerdì – 9° giorno

Queen Elisabeth Mweya sector (Game drive) – Boat cruise

Boat cruise Kazinga Channel

Fra lago George e lago Eduard

Andata 2 h
Boat Cruise Ritorno 1h30’

 Alle 6 siamo già in piedi, chi dentro il bus, chi nella jeep scoperta a cercare la fortuna per vedere dei leoni.

Purtroppo arriviamo troppo tardi e tre leoni che hanno appena cacciato un buffalo, si sono nascosti da noi e dal sole proprio dietro un cespuglio… Aspettiamo un poco, ma nulla da fare…

Torniamo al campeggio un poco sconsolati per l’occasione persa.

La mattina, prima di pranzo, al ritorno dal Game drive, mi faccio lasciare al visitor information center per pagare la Boat Cruise (consiglio di confermare al vostro arrivo come abbiamo fatto noi il giorno prima) e poi, costeggiando il la strada che mi porta alle tende, decido di andare con tre ragazzi a prendere un drink alla Tempo Canteen.

Le ragazze stanno cucinando del pane tipo chapatti, davvero ottimo, tutt’attorno a loro gli uccellini fanno a gara per rubare pezzi di cibo, all’esterno, cl panorama mozzafiato del Kazinga channel un poco più in basso, dei facoceri e dei karibù, sono in attesa di qualche cosa da mangiare.

Esaltati, ritorniamo al campeggio con del pane appena fatto e molto unto e proponiamo una cena in questo posto; ovviamente non lo dobbiamo dire due volte!

Alle 15:00, partiamo per la crociera sul Kazinga channel. Davvero strepitosa, all’unisono l’esperienza migliore nei parchi.

A bordo del canale, mandrie di bisonti, ippopotami e elefanti si baganano, poi numerosissimi pellicani, uccelli di ogni specie e poi, la fortuna ci appare: tre leoni sotto un albero a dormire. Davvero emozionate!

Tornando costeggiamo la riva e incontriamo qualche villaggio di pescatori.

La sera, ci portiamo alla Tempo Canteen (noi abbiamo ordinate alle 14:00) per uno dei buffet più buoni della vacanza con uno scorcio davvero mozzafiato.

Al ritorno, un gran bel temporale ci manda tutti a nanna presto.

Splendido dormire col rumore della pioggia 😀

CONSIGLIO: Durante la crociera conviene sedersi sulla parte destra.

13.08.2010 – Sabato – 10° giorno

Queen Elisabeth (Mweya sector) – Ishasha sector (climbing lions game drive)

Queen Elisabeth gate Panoramic point 10 km 30’
Panoramic point Ishasha Sector 100 km 4h30’

 Ci sono solo 100 km che dividono i due settori del queen elisabeth park, ma se inizia a piovere come nemmeno durante i monsoni in India ho mai visto, la strada diventa davvero un inferno e sembra non terminare mai!

Camion quasi ribaltati, fango ovunque, macchine impantanate e situazioni che sembra non si possano sbloccare mai!

Vista la strada e la pioggia incessante non avrei mai creduto di poter arrivare alla meta!

Eppure ce la facciamo, arriviamo al nostro campo e anche se è appena uscito il sole, purtroppo le splendide piazzole in riva al fiume sono tutte completamente allagate.

Decidiamo pertanto che conviene accamparci vicino alle bandas anche se il posto non è splendido.

Visto che l’area non sarebbe dedicata al campeggio, non possiamo usufruire della classica capanna, per paura che possa di nuovo venire a piovere in serata e quindi non riuscire a cucinare e a cenare in tranquillità, decidiamo di prenotare la cena al piccolo ristorantino del camping.

Poi col nostro mezzo ed un ranger, partiamo alla ricerca dei famosi leoni sugli alberi e anche qui veniamo ricompensati di non aver desistito sebbene la strada!

Ne vediamo ben 3! 2 dormono sopra lo stesso albero e un’orda di turisti cerca di fotografarli, l’altra è tutta per noi e ce la godiamo tutta nella sua fierezza!

Poi torniamo, ci rilassiamo e via per un altro buon menù!

Poi, proprio mentre stiamo facendo un poco di baldoria all’esterno del ristorantino, a circa 150 metri dalle nostre tende, un ruggito ci gela il sangue… Tutti assieme ci portiamo verso l’interno della ristorantino e il ranger, col bastone ci fa segno che il leone è giusto acquattato ne cespuglio di fronte!!!

Dopo circa un 30 minuti di tentennamenti, ci decidiamo a raggiungere il campo, ma proprio a metà, mentre avanziamo come chi sta camminando sui carboni ardenti, altri 3 ruggiti, ci fanno correre…

Bellissima avventura africana! Comunque sia, io quella notte ho fatto che dormire in pullmino.

14.08.2010 – Domenica – 11° giorno

Ishasha – Kisoro

Ishasha Kisoro 281 km 7h 15’

 Oggi grandissima tappa di trasferimento, buona parte della quale passata a prendermi in giro per il coraggio dimostrato la sera prima (vuoi dar loro torno???)

I paesaggi sono splendidi, ma piove ancora a dirotto e proprio mentre ci avviciniamo a Kisoro, inizia a piovere ancora più forte…

Dovremmo pernottare al lago Mutanda, con le nostre tende, ma vista la situazione, decidiamo di deviare all’hotel Virunga.

L’hotel è davvero bruttino e le camere piccole e brutte, alcune con bagno in comune, ma meglio che piantare le tende sotto la pioggia.

Dopo aver pagato e consegnato i passaporti e i certificati della febbre gialla a George, chiedo se gentilmente ci lasciano cucinare e utilizzare i tavolo.

La gentilezza in Africa è sempre di quelle che ti lascia a bocca aperta.

La cena è davvero splendida e ci ripaga della fatica e della giornata di trasferimento… e poi domani ci aspettano i Gorilla!

15.08.2010 – Lunedì – 12° giorno

Kisoro – DCR (gorilla track) – Kisoro

Kisoro Confine DCR 16 km 1h
Confine DCR Virunga NP 44 km 2h 30’

Famiglia visitata: Humba

Tempo di andata: 3h00m

Tempo permanenza presso i gorilla:50 minuti

Tempo di ritorno: 1h30m

Note: Emozionante, sebbene faticoso, completamente all’interno della giungla, si avanza a colpi di machete. Pioviggina con sensazioni alternate di caldo e di freddo.

Ecco il giorno che aspettavano tutti Oggi finalmente incontreremo i Gorilla. Ci siamo divisi in tre gruppi, fra chi cammina, chi cammina cammina e chi se la vuole prendere con calma, poi ovviamente il tutto dipende da quanto si sono spostate le famiglie.

Quando arriviamo alla frontiera, dobbiamo solo farci timbrare il visto, George ci separa nei due camion militari e dopo una mezzoretta di attesa, dopo aver fatto salire nel nostro camion Kevin, un ragazzo di origini coreane che vive a new York, partiamo.

Il nostro camion ci mette ben 2h30 per raggiungere il luogo dove inizia il trek.

La povertà della repubblica democratica del Congo è disarmante, la gente vive in capanne solo abbozzate, nella melma, con tantissimi bambini con la pancia gonfia, ma solo di aria, che corrono nudi per la strada o che giocano per terra con qualche gallina.

Mi si stringe il cuore pensare a quanto abbiamo speso per vedere i Gorilla e mi sconvolge anche vederli che ci sorridono e ci salutano, quasi come ringraziandoci, loro, che i Gorilla non sanno nemmeno cosa sono.

L’unica cosa che mi rincuora è che i nostri soldi servono almeno in parte a preservare la vita di questi primati che vengono cacciati ancora oggi dai bracconieri.

Al campo veniamo ancora divisi in ulteriori 2 gruppi. Io faccio parte del gruppo strong (mi viene già male a pensarci), quello in tre, io, Stefano e Kevin.

Noi infatti dobbiamo farci ben 2 ore e 30 nella fitta foresta di un verde quasi accecante prima di trovare i Gorilla.

La nostra guida si fa strada a colpi di machete, io ho le caviglie e le gambe completamente martoriate da tutti i giunchi che ci sono a terra; bisogna andare avanti a passo serrato, perché se ci si rilassa anche solo un momento, la persona davanti si perde nel verde della giungla e ritrovarla è difficilissimo.

Penso che in totale avremmo fatto una ventina di km… Ma cosa importa? Anche fossero stati di più, l’incontro con questi nostri prossimi parenti è indescrivibilmente emozionante.

Le loro mani sono quelle di una persona, il loro sguardo fiero, ma allo stesso tempo che infonde una pace incredibile, umano.

Si potrebbe stare ore, giorni, mesi, una vita a guardarli, senza capirli appieno. Sono alle volte più umani di noi, sono degli essere così incredibili che stringono il cuore.

Il piccolino è poi incredibilmente curioso e ci si avvicina anche troppo, cerca di toccarci, di spaventarci battendosi sul torace come il capo branco Silver back, poi si rotola, ci fa vedere che pasteggia a ragni.

In una sola parola: emozionate

La sera ceniamo con Kevin, che abbiamo invitato ad unirsi e ognuno di noi cerca di ripercorrere quell’incontro emozionate.

Sbirciando tra il fogliame, riuscimmo a distinguere un curioso gruppo di gorilla neri come la pece, la testa pelosa, il volto che pareva una maschera di cuoio. Ci scrutavano a loro volta. Gli occhi scintillanti dardeggiavano nervosamente sotto le spesse sopracciglia, quasi cercassero di stabilire se avevano di fronte amici ben disposti o potenziali avversari. Fui all’istante colpita dalla magnificenza fisica dei giganteschi corpi nero-lucenti, in perfetta armonia con la verde tavolozza del fogliame della foresta …” (Dian Fossey)

16.08.2010 – Martedì – 13° giorno

Kisoro – Cyanika – Ruhengeri – Gitarama – Kibuye

Kisoro Cyanika 12 km 15’
Cyanika Ruhengeri 25 km 1h
Ruhengeri Gitarama 85 km 3h 30’
Gitarama Kibuye 58 km 2 h

Altra giornata di trasferimento con passaggio di frontiera.

Ogni volta che in Africa devo passare una frontiera mi rendo conto che la burocrazia italiana non è una delle peggiori.

Prima di andare a portare il passaporto, dovete farvi fare un talloncino dalla polizia (che non fa altro che guardare un passaporto, fare due battute e firmare un francobollo), poi vi portate all’ufficio immigration con tanto di lettera di invito (quella a colori che vi siete stampati dall’Italia).

Insomma, fra una cosa e l’altra sono passate poco più di 2 ore!!! (aspettando abbiamo anche cambiato i soldi rigorosamente in nero e abbiamo comprato l’assicurazione per il mezzo in Rwanda).

Poi grande trasferimento iniziando ad assaporare il Rwanda.

La prima impressione è che siano in pochi, in molto pochi e che non ci sia la classica aggregazione che contraddistingue tutti i paesi africani.

Inoltre, sembra tutto molto di facciata; insomma, direi che a un primo sguardo veloce si nota il tocco del colonialismo che mette tutto a posto in facciata e l’ombra del genocidio.

Tutti camminano per strada, ci sono poche auto e poche biciclette.

Lasciamo i bagagli nello splendido albergo in riva al lago Khivu, prenotiamo cena e poi andiamo al Genocide Memorial center, per il primo incontro col genocidio.

In questa chiesa furono uccisi il 90% dei Tutsi che abitavano in città e nei dintorni.

CONSIGLIO: Informatevi bene prima e se possibile (nel nostro caso non lo era in quanto era caduto un ponte), fate la strada che costeggia il lago Kivu, da Kibuye a Gisakura. Sono approssimativamente 85 km che si possono coprire in 5/6 ore, dipende dalle condizioni della strada e del mezzo.

17.08.2010 – Mercoledì – 14° giorno

Kibuye – Cyangugu – Gisakura

Kibuye Cyangugu Barca 100 km? 5h 45’
Cyangugu Gisakura Mezzo pubblico 25 km 1h 15’

 

Kibuye Gitarama Bus privato 78 km 2h
Gitarama Butare Bus privato 80 km 1h 30’
Butare Gikongoro Bus privato 35 km 30’
Gikongoro Gisakura Bus privato 65 km 3h

 Purtroppo oggi, a causa della pioggia che ha fatto cadere un ponte, non potremmo costeggiare il lago Khivu, ma dovremmo passare all’interno.

Alle 8 dovremmo partire per un giro imbarca sul lago, ma pensare di doverci fare 260km con Lubega che s’è fatto tutto il Rwanda ai 30/40 km/h ci fa propendere per l’avventura.

Aprendo la cartina, infatti, notiamo la segnalazione di un’imbarcazione che da Kybuye va fino a Cyangugu… Quale modo migliore per vedere il lago e raggiungere la meta?

Dopo varie telefonate, riesco a trovare una barca che ci porti. Lubega si assicura della sicurezza della stessa e poi parte con la coppietta del gruppo.

Un altro gruppo vorrebbe venire con noi, ma alla fine decide di continuare in bus.

La traversata è splendida, unico problema è che dopo poche ore inizia a piovere, di stravento, con le onde che sono alte come la barca e che entrano a forza. In più fa un freddo indecente col vento che tira. In mezzo alla tormenta, quello che fa un momento pensare tutto il gruppo è che il capitano inizia a cantilenare come se stesse dicendo una preghiera!!!

Arriviamo completamente fradici, con tutto il paese che ci guarda come se fossimo dei naufragi… Scendiamo e tutti andiamo a fare pipì, poi prendiamo l’ultimo mezzo avventuroso… Tutti dentro ad un minibus con tanto di bagagli che come conducente ha uno che non vede nulla e non contenti, il pullmino ha un solo faro! Un’ora e un quarto per 25 km!

Al nostro arrivo la sorpresa dei saloni del ragazzo che ci lascia per mettere i nostri materassini! Ottima cena a buffet e poi nanna, domattina dobbiamo essere puntuali per andare a vedere gli scimpanzé!

CONSIGLIO 1: La traversata del lago Khivu è splendida, ma non la ripeterei, la trovo molto poco sicura a causa del tempo davvero instabile anche con i giubbotti salvagente

CONSIGLIO 2: Le prenotazioni di qualunque cosa in Rwanda fatte dalla nostra agenzia ugandese lasciano alquanto a desiderare. Vi consiglio pertanto di prenotare e confermare voi stessi ogni giorno e ogni sera le sistemazioni

CONSIGLIO 3: L’ufficio per il trek degli Scimpanzé chiude alle 16:00. Consiglio pertanto vivamente di prenotare da voi dall’Italia, confermare telefonicamente allo 0788675051 e riconfermare o tramite il proprietario della Gisakura (se non riuscite ad arrivare prima delle 16) o andando voi di persona. Il Chimps Trak dovrebbe essere pagato il giorno prima.

CONSIGLIO 4: Sebbene faccia molto freddo, e sia molto caro, dormire in tenda in mezzo alla foresta alla Nyumgwe forest dev’essere splendido, inoltre vi trovate già in loco per il Chimps trek.

18.08.2010 – Giovedì – 15° giorno

Gisakura – Nyumgwe Forest – Kigali

Gisakura Nyumgwe Forest 32 km 1h 45’
Nyumgwe Forest Kigali 221 km 8h

 Anche se ci svegliamo presto, arriviamo in ritardo e inoltre, la nostra prenotazione non c’è!!! Niente scimpanzé. Dopo aver cercato davvero di fare di tutto, chiamando anche il ranger, andiamo al parco, per vedere se possiamo fare qualchecosa d’altro.

Siamo tutti molto stanchi e quindi decidiamo di continuare verso Kigali.

Il panorama che i offre la foresta e le colline fino a Butare sono splendide e meritano davvero di fermarsi ad ogni angolo.

Arrivati a Kigali, decidiamo subito di andare a visitare il museo del genocidio.

Dopo che uscite da quel museo, non riuscirete più a guardare le persone del Rwanda come prima; vi continuerete a chiedere se chi vi sta parlando era un Hutu o un Tutsi, nello stesso tempo vi sentirete anche voi complici di questa folle suddivisione colonialista, vi chiederete “cui prodest”, vi farete mille domande, capirete perché ci sia tutta quella polizia che controlla la pace pubblica. Capirete che questo genocidio deve essere ricordato, come tutti, perché è solo con la memoria che non forse si riesce a far si che non si ripeta, perché davvero con questo genocidio si capisce che l’odio scaturisce dal nulla, come le divisioni, Hutu, Tusti, non vogliono dire nulla, se non una divisione che ha portato al massacro e che a mio avviso non si è sopita.

In 100 giorni sono stati uccisi quasi 1.000.000 di persone in nome di una suddivisione che ha creato il colonialismo!

Vi consiglio di prendere l’audio guida. Il museo va capito in ogni suo angolo.

19.08.2010 – Venerdì – 16° giorno

Kigali – Nyamata – Kigali – Mbarara

Kigali Nyamata 34 km 50’
Kigali Gatuna (border) 83 km 1h 45’
Gatuna (border) Mbarara 161 km 3h

 La premessa è d’obbligo, cosa è successo nel 1994? Molti non lo sanno, qualcuno lo ha appreso dal film “Hotel Rwanda” splendida pellicola che parla di quei drammatici giorni e della storia dell’eroico Paul Rusesabagina. Il 6 aprile di quell’anno, un missile terra-aria, distrusse in volo l’aereo del dittatore del Rwanda che solo l’ anno precedente aveva firmato importanti accordi per una maggiore integrazione nel tessuto sociale dell’ etnia tutsi; varie furono le ipotesi sul disastro: che il missile fosse stato lanciato dalle frange più estreme del suo partito oppure che fossero stati gli oppositori tutsi che non credevano che avrebbe rispettato tale accordo, fino all’ ipotesi che sia stata la moglie del presidente ad architettare l’ attentato. Fatto sta che il 7 aprile 1994, iniziò il massacro sistematico di tutti i tutsi, che rappresentavano il 15% della popolazione, e degli hutu moderati. Un eccidio che durò tre mesi, ma che lasciò sul terreno tra le 800000 e 1071000 vittime (il numero preciso non è mai stato accertato), per la maggior parte trucidate e mutilate a colpi di machete e bastoni chiodati. Il peggior genocidio per arco temporale della storia, circa 6 morti ogni minuto, 1 ogni dieci secondi … sotto gli occhi colpevoli e informati delle Nazioni Unite che non hanno mosso un dito e che, a strage compiuta hanno fatto arrivare grosse quantità di denaro per lavarsi la coscienza (fortunatamente sembra speso bene dal governo attuale).

Ora siamo qui, di fronte alla chiesa di Nyamata, dove il 10 aprile 1994 si è compiuto uno degli atti peggiori di quel genocidio, se si può fare distinzioni in una tragedia simile. Molta gente si è radunata nella chiesa, i massacri sono cominciati da tre giorni e la popolazione ha paura, si rifugia nella casa di Dio in cerca di conforto e protezione. La paura è tanta e in chiesa si ammassano in migliaia, ogni piccolo spazio è occupato, non entra più neppure uno spillo. Per sicurezza chiudono la porta con un lucchetto.

Quando arrivano le truppe paramilitari e l’esercito regolare, probabilmente ridono per quel lucchetto, che oltre al crocefisso dovrebbe difendere i loro obiettivi. A quel punto la malvagità della mente umana e la rabbia repressa fanno scattare il diabolico piano, rotte le finestre i militari iniziano a lanciare granate all’ interno della chiesa, massacrando e dilaniando la povera gente all’ interno. Poi rotto il lucchetto a colpi di arma da fuoco entrano e iniziano a cercare i sopravvissuti finendoli poi con colpi di kalashnikov e soprattutto machete. Quel giorno nella chiesa, e nelle zone intorno alla stessa morirono 10800 civili. Il pomeriggio è torrido e rifugiarsi in chiesa per cercare un po’ di fresco sarebbe un’ottima idea, se quella non fosse una chiesa degli orrori, ora memoriale del genocidio ruandese. Sulla porta d’ingresso in ferro e le sue inferiate, si possono ancora vedere i fori di proiettile della raffica che ha divelto il lucchetto, e tutto intorno sul cemento si vedono i solchi scavati dai proiettili, e i buchi delle schegge di granata. È all’interno che però si hanno le proporzioni dell’ orrore, il soffitto bucato dalle granate da cui filtra il sole, e le panchine sulle quali sono posti i vestiti di tutte le vittime di quel giorno, sono talmente tanti che la mente non riesce a razionalizzare che possano essere stati tutti indossati in quella tragica giornata.

Senza parole torniamo a Kigali, Lubega perderà ben 2 ore per cambiare i freni (ma non poteva dircelo prima???) e con le altre 2 ore perse in frontiera, non riusciremo a raggiungere il lago Mburo e dovremmo accontentarci di un asettico hotel a Mbarara.

Splendida la cena nella hall, poi nanna, domattina partenza alle 5:00 per fare il game drive!

20.08.2010 – Sabato – 17° giorno

Mbarara – Lake Mburo (game drive) – Kampala – Entebbe

Mbarara Lake Mburo gate 60 km 1h 10’
Lake Mburo gate Lake Mburo Park head quarter 15 km 40’
Lake Mburo head quarter Lake Mburo camp site 10 km 30’
Lake Mburo Kampala 325 km 4h 30’
Kampala Entebbe 35 km 1h

Splendido game drive al lago Mburo per vedere le zebre.

Il luogo è splendido, peccato davvero non essere riusciti a dormire qui e a goderci il meraviglioso passaggio.

Lasciamo a malincuore l’ultimo vero scorcio di africa e ci avviciniamo all’occidente, nel nostro viaggio verso Entebbe; e qui la “furbizia” di Lubega viene fuori nel modo peggiore.

Dopo esserci fermati a 15 minuti dalla vicina cittadina appena passata, dice di non poter ripartire, ma che c’è un suo amico, proprio a 15 minuti da noi, che può portarci fino ad Entebbe…

Beh, che dire? Perdiamo ancora tempo; non bastava ieri con i freni, anche oggi e ancora perdiamo la possibilità di fare qualche cosa (nel qual caso un giro a Kampala)

Una parte del gruppo deciderà di non dare la mancia a Lubega, e tutti in comune accordo lasciamo le cose del campeggio alla vicina scuola.

Le mie infradito faranno la felicità di una ragazzina.

Entebbe è carina, ma è ormai tardi. Non ci rimane che cenare, sorridere ancora un poco e poi dormire per poche ore, iniziando a risognare questo splendido viaggio.

21.08.2010 – Domenica – 18° giorno

Entebbe – Cairo – Milano/Roma

Entebbe Airport 7 km 15’

 Sveglia alle 2, per lasciare questo splendido paese, alla volta dell’Italia.

L’africa ci rimarrà sempre nel cuore e con un poco di nostalgia, guardiamo dal finestrino, ripercorrendo queste tre settimane indimenticabili.

“L’uomo che uccide un animale oggi, è l’uomo che domani ucciderà la gente che lo disturberà.” Dian Fossey

Omo River (di Elena Grobberio)

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Viaggio nell’ estremo Sud dell’Etiopia lungo il fiume Omo il quale attraversa nella sua parte alta una zona di bellezza tanto estrema quanto selvaggia e incontaminata e nella parte bassa va distendendosi con ampi meandri tra una natura non meno lussureggiante.

Qui vi è un. insieme di etnie fra le più varie ed interessanti dell’intera Africa, rimaste fedeli alle loro tradizioni grazie all’isolamento in cui hanno sempre vissuto e anche all’ostilità reciproca.

La loro bellezza e armonia, i loro disegni corporali e le acconciature, le scarificazioni e deturpazioni, lasceranno in noi un ricordo indelebile

Un viaggio nel tempo, in un luogo che conserva ancora le tracce e le tradizioni ancestrali che si ripetono immutate da anni. Un’avventura tra le popolazioni del fiume Omo in Etiopia.

 

Terra dove il superfluo non esiste. Dove il popolo è sempre in cammino.

Annuso il profumo della terra arsa dal sole ed osservo l’opaca pelle tua,
uomo così magro che elegantemente cammini.

E mi ritrovo incantata ad ammirare il tuo profilo e la tua esile figura di uomo perfetto,
così bello ed aggraziato.

Mi inchino davanti a tanta bellezza e sorrido felice
di aver conosciuto questo umile popolo.

La cerimonia del salto del Toro:

Abbiamo partecipato al salto del toro un rito di passaggio per i giovani dell’etnia Hammer la più numerosa nel sud dell’Etiopia.

L’iniziato riceve una corteccia con un numero di nodi, segni che scandiscono i giorni di avvicinamento all’evento. Nei pressi di Dimeka assistiamo a questo rituale ancestrale.

Il giovane completamente nudo simboleggia il passaggio alla sua nuova vita come quando nacque così è senza nulla addosso.
Viene inoltre rasato con una particolare acconciatura che lo distingue da tutti gli altri maschi del villaggio.

Questa operazione viene effettuata come tutta la preparazione all’evento dai “maz” giovani che hanno già effettuato la prova con successo.

Spalmato di letame, dovrà saltare sulla schiena di tori messi uno fianco all’altro e tenuti da altri maschi del villaggio e lo deve fare per quattro volte di seguito. La caduta sarebbe un’onta che la comunità non accetterebbe, in quanto il giovane verrebbe preso in giro per il resto della sua vita e ne segnerebbe il futuro. Viene comunque accettata una sola defezione.

Al termine effettuato con successo il salto il giovane diventa un maza. Le donne parenti dell’iniziato, vengono frustate dai maza e questo dimostra l’amore per il ragazzo che sta rinascendo a nuova vita di uomo naturo, Le cicatrici per le giovani donne hammer sono simbolo di grande orgoglio.