#NoPlasticaMonouso

STEP 1 #AcquaInBottiglia

Io viaggio molto, per lavoro e per piacere. Nell’ultimo anno avrò fatto in volo quasi 3 giri del globo…

Bevendo come un cammello, e passando le mie giornate al lavoro in un piccolo container con altri colleghi, luogo in cui la signora delle pulizie veniva massimo 1 o 2 volte alla settimana, mi sono sconvolta della quantità mostruosa di bottiglie d’acqua utilizzate per idratarsi.

Questo, unito al viaggio fatto in Algeria nei campi profughi Saharawi, ha lasciato il segno, e ho pertanto deciso di fare qualche ricerca e qualche conto…

Come detto, io bevo molta acqua, normalmente dai 2,5 ai 3 litri al giorno, consumando quindi una media di 18 litri alla settimana, che tradotto in bottiglie sono circa 600 all’anno contando una minima efficienza e l’esclusivo utilizzo di bottiglie da 1,5 litri.

In un anno produrrei quindi circa 24kg di plastica (stimato in difetto) solo di bottiglie.

Tradotto in altre parole, per la produzione delle bottiglie usate una sola volta per contenere i miei 900 litri di acqua, ho consumato:

·        50kg di petrolio

·        437,5 litri di acqua

E sempre per produrre questa grande quantità di bottiglie, ho fatto rilasciare nell´atmosfera:

·        1 kg di idrocarburi;

·        625 g di ossidi di zolfo;

·        500 g di ossidi di azoto;

·        450 g di monossido di carbonio;

·        57,5 kg. di anidride carbonica, gas responsabile dell’effetto serra. (circa 510km percorsi con un´automobile di medi consumi)

Oltre a questo bisognerebbe calcolare anche i costi di smaltimento e di trasporto…

ALLARMANTE!

Soprattutto se si pensa che tutto questo deriva dal fatto che non bevo acqua potabile che sgorga direttamente dal rubinetto, controllata e “fresca di fonte”, con un Ph neutro (l´ho misurato in vari posti)… e che per questo sfizio, per i miei 900litri di acqua, pago circa 600euro anziché 1,3euro…

 

SONO IDIOTA e sto contribuendo in maniera massiccia ad inquinare questo nostro splendido mondo…

 

A questo punto ho pensato di munirmi di una bottiglia riutilizzabile che ho comprato per il modico prezzo di 27,99euro, scegliendo un Thermos da 0,75l, di acciaio inossidabile, con apertura a scatto, ultraleggero, in quanto sono sempre in viaggio.

Da quando ho fatto questo acquisto ho potuto “assaggiare” l´acqua di diversi rubinetti in giro per il mondo, stupendomi alle volte dello splendido sapore vivo che alle volte ha. Alle volte, a causa del gusto marcato di cloro di alcune acque è molto più semplice farle sedimentare o farle filtrare, ma in realtà devo dire che non mi sono ancora capitati posti in cui il gusto sia così orribile da farmi pentire della mia scelta. Magari evitate le acque dei treni e degli aerei…

Anche ai controlli aeroportuali si passa senza problemi, se la borraccia è stata prontamente svuotata, ovviamente.

Unico problema riscontrato ad oggi, sono i bagni dell´aeroporto di Milano Malpensa che purtroppo hanno una distanza fra il rubinetto e la ceramica del lavandino non sufficiente per un semplice refill della mia bottiglia, ma con qualche accorgimento sono riuscita a bere anche lì. Al limite, se voi non bevete quanto me, consiglio una bottiglia di 0,5l, più leggera e maneggevole.

Inoltre devo dire che avere la bottiglia sempre con me, mi garantisce di poter essere idratata costantemente e ovunque.

Sono davvero contenta di aver fatto questo acquisto e di aver contribuito, anche solo minimamente a mantenere il nostro mondo pulito.

 

Next step… #FARE_LA_SPESA

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Sahara Marathon

Mi stavo allenando da un poco e a novembre ho deciso che se prima maratona doveva essere, che Sahara Marathon fosse!

Almeno avrei unito l’utile (la mia prima maratona) al dilettevole (il viaggio ospitata dai Saharawi).

Ho iniziato ad allenarmi seriamente sin da subito, ma a fine anno, uno strappo muscolare mi ha bloccato e quindi niente maratona… e per non farmi mancare nulla, a pochi giorni dalla partenza, mi sono pure rotta un dito del piede. Poco male… avrei camminato solo 10km, come mi aveva intimato il medico dello sport prima di partire e poi mi rimaneva sempre “il dilettevole”.

Sabato 23 febbraio – Si parte!

Ci incontriamo tutti all’aeroporto di Roma Fiumicino. Distribuzione delle felpe, comprate prima di partire, bellissime e subito indossate, divisione di aiuti umanitari in varie valigie portate vuote per l’occasione, poi lungo check in e piano piano ci si dirige al gate.

A Fiumicino incontro anche lui, il mitico Rubens, colui che rende questo evento fattibile anche per gli italiani, ma soprattutto colui che ci aiuta ad assaporare appieno quella che sarà una delle esperienze più delle della mia vita. Rubens ha partecipato alcuni anni fa alla Sahara Marathon, quando questa gara era ancora una Ultramaratona e se ne è innamorato. Ci ha scritto un libro, “la corsa verso il mare” e ora assieme ad altri fa parte come consigliere dell’associazione 1514 oltre il muro, una Onlus che oltre a sensibilizzare sulla scabrosa vicenda dei Saharawi, aiuta i rifugiati con diversi progetti realizzati attraverso raccolte fondi e singole donazioni all’associazione. E come ogni grande uomo, a suo fianco una grande donna, Elena.

Su Rubens ed Elena potrei scrivere un libro intero, ma forse non basterebbe. Sempre sorridenti, sempre positivi, sempre calmi, pronti alla battuta. In loro trovo amicizia, due incredibili compagni di viaggio, chi mi aiuta a risolvere i piccoli problemi, chi mi ascolta. Dovete venire alla Sahara Marathon anche solo per conoscerli. Giá questo vale il viaggio.

Gli altri miei compagni di viaggio sono davvero incredibili, ognuno ha una storia da raccontare, piacevoli e i miei compagni di tenda unici.

Il viaggio per Smara

Il viaggio per raggiungere i campi é a dir poco allucinante.

In linea d’aria é alquanto vicino, siamo al confine dell’Algeria con Marocco, Sahara Occidentale e Mauritania, ma stiamo andando in un campo profughi… quindi, dopo il volo Roma – Algeri delle 14:00, fatto con la mia compagnia preferita, la Air Algerie, atterrato incredibilmente in punto alle 15:20, si comprano schede telefoniche locali e si cena vicino all’aeroporto per “ammazzare” quelle 8:35 di Lay over…

Ogni volta che mi trovo all’aeroporto di Algeri capisco che tutto é relativo e che il mondo é bello perché vario… per noi italiani gli algerini non hanno proprio il dono dell’organizzazione, ma questo mi fa sempre ridere, perché sicuramente gli stessi pensieri che noi abbiamo nel confronto degli algerini, sono gli stessi dei tedeschi nei nostri confronti e dei giapponesi nel confronto degli europei… quindi mi rilasso, e mi godo sorridendo questa splendida rappresentazione della differenza culturale che tanto amo.

Arrivati all’aeroporto di Tindouf alle 02:20, ghiacciati al punto giusto, dopo aver passato i controlli militari come solo Rubens sa fare, ci mettiamo in gelida attesa del bagaglio… fino alle 4:00…

E qui ho l’incontro della mia vita… il mitico 40!!!

I bagagli vengono caricati su di un camion e noi…

In corriera, saliamo sul mitico 40, che ci accompagnerà ovunque, guidato dal mitico Brahmin

Alle 6:30, dopo solo 2 ore e 59km, la nostra corriera, scortata dai militari, giunge al campo di Smara, in centro, alla Daira. Io mi sento calda come un tonno congelato venduto al mercato ittico di Tsukiji di Tokyo… i miei piedi erano più caldi durante la salita a Capanna Margherita in vetta al Monterosa…

Alla Daira ci aspettano le nostre famiglie per portarci in quella che per una settimana sarà la nostra casa.

Devo ringraziare Rubens per averci detto di “fare attenzione al te”, lui dice che possiamo ringraziare cortesemente e dire che lo prenderemo dopo il meritato riposo… solo la sera capiremo l’importanza di questo consiglio…

Alle 7:30 siamo a casa della nostra famiglia e giustamente, la padrona di casa ci chiede se vogliamo il te… ringraziamo, e gentilmente rifiutiamo perché vorremmo riposare… ovviamente dopo 2 minuti siamo fuori a fare 800000 fotografie dell’alba, ma alle 8:00 siamo tutti addormentanti.

I miei compagni di tenda

I miei compagni di tenda sono delle persone uniche ed eccezionali, non riuscirò sicuramente a descriverli in così poche righe, e me ne scuso.

Matteo é di Rovigo, detto Mataio, arrivato in Algeria ha tolto gli occhiali che rimetterà solo in Italia… però sembra vederci bene e io me ne sono accorta solo ora mentre sto scrivendo… lui é pacato, acculturato e simpaticissimo, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. É il papà dei bambini e un poco anche di Francesca, e non per ultimo é il nostro capo tenda.

Francesca ha 25 anni, lei ha un sorriso splendido e degli occhi incredibili. É solare, simpatica e gioviale ed é la classica persona da prendere in mezzo in ogni scherzo, perché sempre sorridente e mai permalosa. Adora attorniarsi di bambini, adora questo viaggio che é il primo che si é pagata da sola. Lei é l’intrattenitrice per eccellenza dei bimbi… ma anche nostra! La sua miglior performance é stata il rifacimento della valigia al terzo giorno… un’esplosione avrebbe dato più ordine…

Lorenza é il cuore di Informatici senza Frontiere, sembra riservata, ma é un’esplosione di simpatia, con i suoi racconti velati da quella splendida satira, mai eccessiva, ma diretta e sagace. Ha una storia lavorativa incredibile che non fa altro che confermare la sua poliedricità.

All’appello manca Claudio, che incontreremo più avanti. Lui é andato a seguire un progetto di Informatici senza frontiere a Rabouni. Claudio, detto Claudiano, Domiziano, Diocleziano, Vespasiano, Vittiliano (sbizzarritevi con tutti i nomi che finiscono in “iano”, lui risplende a tutti) é sicuramente un personaggio particolare. Lui parla poco, sempre pronto a scherzare e a farsi prendere in mezzo. Il suo hobby é il rifacimento della valigia… chiedete a Matteo, si è addormentato che Claudiano faceva la valigia e si é svegliato dopo circa 2 ore e l’ha ritrovato a fare la valigia. Siamo ancora tutti in attesa che ci stupisca dopo che non ci ha voluto lasciare uno dei suoi due numeri di cellulare… ma anche questa é la bellezza di Ottaviano

Domenica 24 febbraio 2019 – l’ospedale di Bolla

Ci svegliamo riposatissimi dopo solo 3 ore e mezza di sonno profondissimo per essere puntuali alle 12:00 alla Daira dopo una splendida colazione e un secondo rifiuto per il te…

Splendido! C’è un matrimonio. Parte della strada viene chiusa, e ci sono tantissimi regali e persone che ne portano altri. Le donne, completamente coperte e con gli occhi schermati da appariscenti occhiali da sole, sfoggiano degli splendidi tatuaggi all’henné sulle mani… chissà se saremmo così fortunate da averli anche noi?

Sullo sfondo due cammelli con le ginocchia vincolate da corde per impedir loro la fuga, attendono non contenti il loro funesto destino…

Il gruppo é in ritardo. Ottimo, almeno ci possiamo godere questa splendida sorpresa non pianificata. Ci accorgiamo subito che non solo la nostra famiglia é di una gentilezza d’altri tempi, ma lo sono anche tutte le persone incontrate fino ad ora.

Poi partiamo e andiamo a Bolla, a visitare Rossana e il suo ospedale.

Rossana é una delle tante persone incredibili che conosceremo lungo questo viaggio. Lei é italiana, é venuta nei campi profughi e ha deciso di rimanerci. A Bolla, dove l’esercito ha lasciato dei casermoni ed un ospedale, c’è anche un’oasi di acqua. Rossana, con i suoi soldi e gli aiuti che riceve, ha costruito un ospedale per bambini e una casa per la degenza degli stessi assieme alle loro famiglie.

A Bolla, presso Rossana, risiede anche Warda, una bellissima ragazza purtroppo costretta in sedia a rotelle che dipinge magnifiche teiere che vende per il suo sostentamento.

Pranziamo a Bolla e rimaniamo quasi sospesi in questa oasi di umanità, abbellita dall’amore di Rossana e di tutti coloro che credono e si battono per un futuro migliore.

Lunedì 25 febbraio – la famiglia Jujitsu e qualche parola sul te e sull’hennè

Mi rendo conto che non sia proprio bello che io non riesca a ricordare e a pronunciare correttamente tutti i nomi dei componenti del nucleo familiare che ci ha ospitato per una settimana, ma credetemi, non é per noncuranza, é che proprio non ci riuscivo… e con me i miei compagni di tenda…

Abbiamo fatto di tutto, li abbiamo fatti ripetere per mezz’ore intere, registrati e riascoltati… abbiamo fatto esercizi di ripetizione, ma nulla… alla fine abbiamo convenuto che erano tutti una declinazione di “itsu” e la famiglia é stata ribattezzata la famiglia Jujitsu….

Il rito del te

“il primo bicchiere è amaro come la vita, il secondo è dolce come l’amore e ilterzo è soave come la morte”

Il popolo saharawi è molto ospitale, ogni persona che arriva diventa ospite e il segno più grande di ospitalità è offrire il tè, preparato con un rito speciale.
L’arte del tè presso i Saharawi risale a circa 200 anni fa .
Il tè rappresenta la bevanda tradizionale per eccellenza; viene fatto in un particolare modo che si può ritrovare anche in alcune zone della Mauritania, dell’Algeria e Tunisia. Ogni tenda o casa ha a disposizione un vassoio, bicchieri, teiera e zucchero per offrire del tè a qualunque ora e a chiunque si presenti.
Il modo tradizionale di prepararlo necessita di circa un’ora e mezza di tempo (cronometrato…) perché prevede che sia ripetuto per tre volte.  Hajitsu, la padrona di casa, pone nella teiera, sempre ben riscaldata, l’acqua bollente, vi aggiunge una dose di tè verde e un misurino di zucchero. Quando l’infuso, mantenuto caldo sul braciere di carboni ardenti, girati con maestria a mani nude, bolle, ne viene versata solo una parte in un piccolo bicchiere, mentre il rimanente viene lasciato in infusione.
Il rito inizia qui: il contenuto del primo bicchiere viene versato dall’alto da un bicchiere all’altro, a più riprese, in modo da creare in ognuno un piccolo strato di schiuma bianca.

Come è stato più volte detto a Francesca, “non si può mica bere un te senza schiuma!”

Soltanto a questo punto, l’infuso della teiera, viene versato nei piccoli bicchieri di vetro e servito sopra un  vassoio circolare.

In questo modo il tè diventa un rituale che ripetuto diverse volte al giorno serve a riempire le lunghissime giornate nel deserto ed a facilitare la socializzazione…

L’henné

Sempre grazie alla loro incredibile ospitalità, veniamo omaggiati di splendidi abiti locali e monili e noi donne riceviamo il dono più gradito, l’henné… dopo aver visto le splendide decorazioni sulle mani della sposa, siamo tutte molto esaltate di poter avere questo splendido tatuaggio semi permanente…

Pertanto ci sediamo fiduciose, anche quando vediamo che le nostre dita vengono avvolte dal cerotto per lasciare scoperti solo i polpastrelli e degli angoli dei palmi delle mani, uno fatto a triangolo e uno a quadrato… Poi solo i polpastrelli e queste strane figure vengono riempite di henné e il tutto viene avvolto con la pellicola trasparente…

Il risultato è quantomeno terrificante, tremendo… I polpastrelli, arancioni, nel palmo destro, un triangolo arancione (al centro del mio passa anche la linea della vita, quindi vi lascio immaginare a cosa assomigli…), in quello sinistro un quadrato, ma il meglio è rappresentato dalle unghie… SONO ANCHE LORO DIVENTATE ARANCIONI E COSI’ RIMARRANNO FINO A COMPLETA RICRESCITA…

Abbiamo ricercato ovunque… la pelle si “schiarisce” con limone, cloro e dentifricio, le unghie o si fresano o si tengono così… Io sto sfoggiando dal mio ritorno uno splendido smalto semi permanente rosso!

Martedì 26 febbraio – Sahara Marathon

La Sahara Marathon é il pretesto per venire a scoprire questo mondo. Non credo che nessuno pensi di venire qui a fare il suo miglior tempo; dopo 23km iniziano 7km di dune, fa un freddo indescrivibile alla partenza, un caldo indicibile dopo poco e il tempo all’arrivo viene preso con gli scanner dei codici a barre, sempre ammesso che vi ricordiate di passare per il gazebo preposto al “rilevamento dei tempi”, sennò si rischia di essere seganti come dispersi sul tabellone dei finalisti…

E se tutto questo non basta a scoraggiarvi a pensare ad un vostro best time ever, l’arrivo di quest’anno era segnato da una “splendida” e quanto meno pericolosissima scultura fatta da un artista locale… questa é anche la Sahara Marathon.

Correre o camminare nel deserto ha il suo fascino, ci si aiuta a continuare a crederci anche quando sembra troppo difficile o troppo caldo o freddo anche solo per pensare di continuare. Il popolo Saharawi fa il tifo lungo la strada, i bambini con uno splendido sorriso e le bandiere Saharawi che sventolano al vento.

Non ci sono premi per i primi arrivati, ma splendide coppe fatte in ceramica dal laboratorio di El Aioun. E per tutti i finalisti, una medaglia di partecipazione, anch’essa fatta in ceramica di El Aioun che in questa terra così difficile, attorniati e ospitati che una popolazione così incredibilmente ospitale, si carica di un significato ancora più grande che l’essere riusciti ad arrivare al traguardo.

Quella medaglia racchiude gelosamente il ricordo dell’incredibile settimana che ci porteremo per sempre nel cuore, carica di fortissime emozioni che ci riportano ad essere nuovamente quei bambini, quando anche solo un gelato ci rendeva felici.

Mercoledì 27 febbraio – la festa Nazionale

Quest’anno il giorno successivo alla Maratona si commemora la festa nazionale, il 27 febbraio, quando venne proclamata la Repubblica Democratica Saharawi.

Noi siamo a Smara e la parte più bella di tutta la manifestazione é perdersi fra i bambini vestiti a festa che inscenano con i loro abiti tutte le parti importanti della vita Saharawi.

Sono splendidi, alcuni tutti colorati, altri con abiti bianchi, ma tutti con un sorriso e con degli occhi incredibilmente pieni di vita che valgono mille parole.

Vengono installate anche tre tende antiche Saharawi che ci riportano ai tempi in cui questa popolazione era effettivamente nomade e viveva nei territori che oggi sono occupati.

Giovedì 28 febbraio – Dakhla

Per arrivare a Dakha abbiamo bisogno di tanta pazienza, ma veniamo ripagati dallo splendido panorama di un deserto che continua a cambiare e a diventare sempre più rosso. Di fronte a noi il deserto della Mauritania, splendido, solenne.

L’immensità e il senso di pace che assieme inondano i sensi é inspiegabile, nessuna fotografia, nessuna parola, nulla può descrivere la bellezza che madre Natura ha dipinto in questo angolo remoto di globo.

Dakhla é un paese molto particolare, é disseminato lungo la sorgente di acqua, le case sono sparse come le tende di un campo nomadi. Alcuni anni fa é stato completamente allagato e ora si cerca di ricostruire le case con mattoni fatti in cemento anziché di terra. Anche questo è uno dei tanti progetti di sostentamento alla popolazione sostenuto da 1514 Oltre il muro, come la consegna capre.

Qui, se possibile, la popolazione Saharawi é ancora più povera, ma sempre molto ospitale. Questa é la loro natura.

In questo posto sperduto nel nulla, uno splendido progetto italiano ha portato la pizzeria Bella Dakhla, un modo di aggregazione giovanile. Stanno cercando di produrre la mozzarella dal latte di capra, quindi chiunque avesse un’idea, può farsi avanti.

Anche qui visitiamo l’ospedale che sta sull’altura di fronte al paese. Noi abbiamo portato alcuni farmaci, le nazioni unite ne spediscono altrettanti, ma non sono mai a sufficienza. Il team di informatrici senza frontiere sta facendo a Rabouni un progetto per una migliore gestione dei farmaci.

Venerdì 1 marzo – la maratona dei bimbi

La mattina seguente aiutiamo nell’organizzazione della maratona dei bimbi. Vengono divisi in fasce d’età e corrono per circa un km a più non posso… sembrano quasi sospesi con i loro piedini nudi mentre sfrecciano verso l’arrivo.

Una volta la Sahara marathon era un’ultramaratona e arrivava fino a qui. Oggi va da El Aioun a Smara. La maratona dei bimbi é un momento importante per non dimenticare questo luogo così remoto dei campi profughi Saharawi.

Sabato 2 marzo – ultimi saluti e Afapedresa

Ormai mi sento di casa, l’incredibile ospitalità che da molto tempo non vivevo più, mi ha contagiata e anche se oggi é l’ultimo giorno, mi sembra di non dover partire mai.

Oggi siamo a Rabouni alla casa delle donne dove pranziamo con un ottimo cous cous fatto dalle donne dell’associazione, cous cous che possiamo anche comprare.

Ci accolgono con musica dal vivo ed é subito festa. Francesca trova anche marito… ma mi sa che sarà una storia non a lieto fine vista la distanza…

Poi visitiamo altri tre progetti fatti dall’UNHCR, vicino a Tindouf. Un allevamento intensivo di polli e uno di uova e un allevamento di pesci… si, un allevamento di pesci nel deserto. Per quest’ultimo sono ancora in fase embrionale, ma alla sera, all’associazione Afapredesa troviamo del pesce fritto ad aspettarci come cena.

Il museo ci porta a capire un poco di più sulla storia di questo popolo, e Afapredesa, l’associazione delle famiglie dei prigionieri e dei desaparecidos Saharawi chiude il cerchio, mostrandoci dei documentari su alcune fosse comuni ritrovate vicino al confine marocchino e su come vengono trattati i Saharawi che vivono attualmente nei territori occupati da Marocco…

Si ritorna da questo viaggio con una carica interiore indescrivibile, consci di quello che abbiamo perso nel nostro mondo civilizzato, incredibilmente consci di quanto sia effettivamente necessario e di quanto lasciamo nel dare giornalmente più importanza alla futilità.

Si ritorna con mille idee e mille progetti, con la voglia di cercare di migliorare almeno un poco la loro difficile situazione.

Con i miei compagni di tenda stiamo cercando di gettare le basi del “Monnezza Project”. E si, perché nei campi profughi il rifiuto non viene praticamente gestito, viene accumulato e lo si trova ovunque, in città e nel deserto.

Se avete idee o volete anche solo seguirci, siamo su Facebook e su Instagram e se volete potete darci il vostro nome Skype e vi inseriremo nelle nostre riunioni.

Un poco di storia

I Saharawi vivono da 43 anni nei campi profughi, in città costruite nel deserto algerino. Nel 1976, quando la Mauritania si ritiro dalla parte sud del Sahara Occidentale, il Marocco occupó tutti i territori, e il popolo dei Saharawi fu costretto a lasciare le proprie case e in alcuni casi i cari in una fuga per poter vivere.

L’Algeria venne loro in aiuto e gli diede ospitalità in un pezzo di deserto, dove c’e un poco d’acqua, ma non così tanta e nulla più.

Il Sahara Occidentale rimane ad oggi il territorio conteso più grande al mondo.

Ma andiamo per gradi…

La conferenza di Berlino fu l’occasione di regolare la corsa all’Africa iniziata dal nuovo imperialismo. A Berlino, le massime potenze europee si spartirono l’Africa. Già dopo il 1885, una parte del Sahara Occidentale era spagnola per essere completamente colonia spagnola nel 1914.

Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1960, l’ONU, con la risoluzione 1514 sancí la fine del colonialismo africano, concedendo l’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali.

Fino al 1975 rimase colonia spagnola, abitato dalla popolazione del deserto, I Saharawi appunto. Quando la Spagna abbandonò l’area, la Mauritania e Marocco si spartirono il territorio senza nulla chiedere agli abitanti autoctoni, i Saharawi.

La guerriglia dei Saharawi con la Mauritania porto quest’ultima a lasciare i territori occupati nel 1979, ma subito dopo, il Marocco, spalleggiato dalla Francia, invase la terra prima occupata dalla Mauritania.

Nato nel 1973, il Fronte Polisario il 27 febbraio 1976 proclamò la Repubblica Democratica Araba Saharawi e inizió la guerriglia contro il Marocco per riappropriarsi delle terre sottratte.

La guerriglia terminó con il cessate il fuoco del 1991 con la promessa di fare un referendum degli autoctoni. Cosa che sembrava alquanto semplice visto che gli spagnoli avevano sancito con documenti riconoscitivi del periodo coloniale chi abitasse il territorio del Sahara “spagnolo”.

Tuttavia la marcia verde marocchina del 1975, non aveva solo aiutato l’invasore spagnolo ad andarsene, ma aveva portato anche 350000 marocchini, oltre a 25000 soldati. Pertanto la missione MINURSO, missione ONU per il referendum non é riuscita a tutt’oggi a definire una rosa di votanti che vada bene ad entrambe le parti.

I Saharawi fuggiti dalla guerra, ospitati dall’amica Algeria, si rifugiarono nel bel mezzo del deserto del Sahara, e costruirono dei campi profughi dando loro il nome delle città del Sahara Occidentale che avevano dovuto lasciare.

Dal 1991 resistono pacificamente nell’attesa di poter votare per il referendum.

Durante gli anni della guerra, il Marocco, per “difendersi” dalle “invasioni” Saharawi, inizió la costruzione di un muro di sabbia e roccia.

Il Berm, conosciuto anche con il nome muro della vergogna, iniziato dal Marocco nel 1982 si é ingrandito per ben 6 volte fino al 1987 diventando oggi il più grande muro minato al mondo: 2720km con più di 7.000.000 di mine (dipende dalla fonte). Vanta il record di più lungo campo minato al mondo, ogni 4/5 km é stanziata una compagnia militare e in totale sono stanziati circa 100.000 soldati marocchini. Ogni 15km é presente un radar.

Il costo giornaliero del Berm é esorbitante, basti pensare che il Marocco investe il 3% del PIL per mantenere il muro della vergogna. Da una parte ci sono missioni del Polisario e dell’ONU cercano di sminare la zona, compito reso ancora più arduo dal deserto che spostandosi copre le mine e dall’altra parte, una fetta dei costi di manutenzione/gestione viene coperta dalla comunità europea come aiuto contro l’immigrazione clandestina… peccato che le rotte dei profughi passino comunque dal Sahara Occidentale…

Ricordo che il regno Alawita non ha firmato la convenzione di Ottawa, il trattato di proibizione delle mine, buona parte di esse di fattura italiana (italiane sono anche quelle antiuomo in plastica così costruite da eludere la ricerca con i Metal detector…)

Il popolo Saharawi che vive nei territori occupati marocchini denuncia violazioni dei diritti umani da parte del Marocco e richiede ogni anno alle Nazioni Unite di includere nei compiti della MINURSO anche la vigilanza sui diritti umani. Ogni anno la Francia pone il veto…

Una terra molto ricca

Ma perché questa terra é così interessante anche per una grande potenza come la Francia?

Nel Sahara Occidentale ci sono grandissimi giacimenti di fosfati. Vanta infatti la miniera di fosfati più ampia al mondo con ben 250km2.

Le coste si affacciano su uno dei mari più ricchi di pesce, che viene anche esportato verso l’Europa.

Recentemente si é scoperta la possibilità di giacimenti di petrolio.

Dakhla compare attualmente nei cataloghi di operatori turistici come paradiso dei surfer. Molti lo vendono come Dakhla Marocco (e non Sahara Occidentale)

Non ultimo, la sabbia del Sahara viene venduta per poter rimpinguare le spiagge erose come quelle delle Canarie…

Tutti questi introiti vanno al Marocco.

I campi profughi nel deserto algerino e le condizioni dei profughi Saharawi

Prima di profondersi in giudizi su cosa potrebbero fare i Saharawi, vorrei ricordarvi che loro sono profughi in esilio, e che pertanto non hanno costruito un campo per “rimanere”, ma per sopravvive nella pacifica attesa di tornare a casa. Quindi immaginateli come in una prigione, a cielo aperto, ma pur sempre una prigione… e capirete (forse) il loro stato d’animo e cosa li porta a vivere in questa maniera.

I Saharawi vivono ai limiti della sopravvivenza, in un territorio inospitale, lontani dalla loro terra natia, lontano da fiumi. Le uniche risorse idriche sono delle piccole oasi che spesso non si trovano vicino ai campi e che non riescono a sopperire al fabbisogno collettivo.

L’acqua é il principale problema. A Smara, dove abbiamo passato buona parte della nostra visita, l’acqua scarseggia, anche quella utile al sostentamento umano. La doccia viene fatta con i secchi, l’acqua scaldata con un Samovar elettrico. Le feci evacuate con poca acqua, rimangono nei pressi delle case, non avendo i Saharawi un sistema fognario.

Non essendoci acqua, frutta e verdura non possono essere coltivate in loco e arrivano solo tramite gli aiuti umanitari. Le capre e i cammelli sono gli unici animali che resistono in tali condizioni e offrono in primis latte e poi carne.

Polli e uova fanno parte di un progetto dell’UNHCR che ha installato vicino a Tindouf degli allevamenti intensivi di polli da carne e galline da uova. Nella stessa area c’è un progetto di allevamento di pesce, che però non sembra essere una delle migliori idee, visto che i frigoriferi sono pochi e le temperature altissime…

Tutto questo non aiuta i Saharawi a godere di ottima salute. Molte persone soffrono di diabete, molte sono celiache e in generale tutta la popolazione non ha un corretto apporto nutritivo.

Quello che più mi ha sconvolto é che da qualche anno gli sia stata portata l’elettricità, che viene per lo più usata per guardare la televisione e per il cellulare… ma che non ci siano fognature o tubature per portare acqua…

L’altro problema é la spazzatura. I Saharawi vivono in un campo profughi, quindi non hanno una struttura organizzata di smaltimento rifiuti, per la quale dovrebbero appoggiarsi all’Algeria. Attorno alle città, ma spesso anche all’interno, ci sono cumuli di spazzatura, principalmente plastica, pezzi di auto distrutte dall’usura e ceramiche. Chiedono di avere un camion per poter portare il tutto fuori dalla città, nel deserto e poterlo bruciare, ma non avendo inceneritori, questo sposta solo il problema geograficamente e temporalmente…

Un ipotetico “progetto” spazzatura é quanto di più ambizioso possa esistere, sicuramente difficile, quasi impossibile, visto che il principale problema della plastica nasce dagli aiuti umanitari che arrivano con con i loro imballaggi plastici…

Le strutture scolastiche sono progetti di aiuti umanitari, indicativamente ogni città ha una scuola, ci sono scuole di lingue e alcuni ragazzi Saharawi godono di borse di studio a livello mondiale dati da stati come Cuba ad esempio per lauree in ambito medico.

Gli ospedali sono stati costruiti tramite progetto di aiuto umanitario, alcuni medici sono Saharawi, ma ogni anno chirurghi e specialisti offrono gratuitamente il loro supporto per cercare di curare i casi più gravi e portare il minimo di cure a questa popolazione in esilio.

Le farmacie vengono rifornite da farmaci da aiuti umanitari e da persone che come noi arrivano in visita ai campi. Medicine e attrezzature sanitarie vengono alle volte bloccate in dogana ad Algeri…

Considerazioni finali

Eppure, anche se queste sono le condizioni di vita, questa popolazione ha scelto la resistenza pacifica, e rimane la popolazione più ospitale che io abbia mai conosciuto. Loro mi ha fatto ricordare la bellezza dell’essere umano.

I Saharawi mi hanno fatto ricontattare con lo splendido concerto di ospitalità che da qualche anno a questa parte si é perso nei meandri dell’opinione pubblica, avvelenata dalla paura di dover dividere le proprie ricchezze con chi non ha più nulla.

Questa popolazione ha davvero poco, il bene più importante e prezioso, l’acqua, scarseggia, ma loro non hanno problemi a dividerla con il prossimo… non hanno quelle paure che leggo ogni giorno, sebbene qui si stia parlando di acqua, quindi di sopravvivenza.

Avevo pensato che sarei andata a portare degli aiuti ad un popolo, ma i miei aiuti erano solo materiali. Loro mi hanno aiutato, donandomi di più, sono tornata arricchita, mi sono di nuovo innamorata del genere umano, della bellezza di un semplice sorriso, ho riscoperto cosa voglia dire davvero ospitalità e che cosa voglia dire condividere, parlando e bevendo tè fino a notte tarda, raccontandosi e lasciandosi rapire dalle parole delle persone che in quel momento erano con me e che volevano essere con me e io con loro. Ho capito davvero cosa volesse dire Tolstoj, scrivendo che la persona più importante é quella che é con te in quel momento… ho capito in quei momenti quanto la tecnologia ci abbia in realtà rubato in termini di contatto umano, di condivisione, di empatia.

Grazie ai Saharawi ho ritrovato quella Simona che avevo perduto, la Simona dell’hic et nunc, con il loro aiuto ho abbattuto il mio muro e sto correndo verso il mare, come spero possano fare loro a breve.

Non dimentichiamo i Saharawi, abbattiamo quel muro, aiutiamoli  a riprendersi la loro terra!

Rimaniamo Umani

Un uomo esce di casa e inizia una diretta Facebook per andare all´interno di un luogo di culto ad uccidere delle persone…
Sembra tratto da un videogioco tipo Carmageddon o l’inizio di uno di quei thriller nemmeno tanto psicologici, ma sicuramente non un episodio della vita reale…
Prendo l’attentato di Christchurch solo come un esempio su molti…
 
Non voglio soffermarmi sul perché, sul manifesto dell’attentatore, sui suoi futuri target… Non dico che non siano importanti, dico solo che questo, come tutti gli altri attentati, e come tutte le azioni e i commenti che disprezzano una determinata caratteristica del genere umano, hanno come comune denominatore l’odioso “noi” “loro”, uno state of mind completamente sbagliato, che fa erroneamente pensare di appartenere quasi a specie diverse e che soprattutto ci deruba di quello che dovrebbe sempre accompagnarci e che è quanto di più prezioso abbiamo: l’umanità.
Io, noi tutti, siamo in primis essere umani, e poi ci decliniamo in un splendide differenti sfaccettature, che rendono ognuno di noi unico nel suo genere e di conseguenza importante e prezioso per la continuità e l’evoluzione del genere umano. Madre Natura ha creato la biodiversità per ipotecare la sopravvivenza, e noi siamo all’interno di questo incredibile progetto e la nostra diversitá, è la stessa ricchezza che ci ha permesso di arrivare fino ad oggi…
 
Siamo donne, uomini, bambini, bianchi, gialli, rossi, grassi, magri, sportivi, belli, brutti, alti, bassi, con gli occhi di tante diverse sfumature, operai, medici, scrittori, stilisti, mulatti, asiatici, africani, attivisti, pantofolai, amanti dei cani, benestanti, acculturati, e così via…
Pensate a quanti splendidi aggettivi servirebbero per descrivervi completamente e poi pensate quanti altri, magari anche completamente discordanti con i vostri, servirebbero per descrivere la persona che più stimate o amate o quanti ne trovereste di simili con colui che non vi piace.
Nessuno di noi è solo un aggettivo, e lo stesso aggettivo non può descriverci esaustivamente in ogni momento della nostra vita, perché ci evolviamo, cambiamo a seconda delle esperienze che facciamo. Nessuno di noi può essere descritto in ogni momento con quanto possiede…
 
Ma TUTTI, proprio tutti, sempre e comunque, in ogni momento della nostra esistenza possiamo essere descritti come essere umani… Umani appunto.
E tutti abbiamo contribuito ad essere quello che siamo in questo mondo, e a quello che diverremo. Ognuno di noi, ognuno, è un pezzo fondamentale del puzzle che è l’esistenza umana.
Quando ci dividiamo in “noi” e “loro”, non facciamo null’altro che negare una parte di questa umanità, cerchiamo di soffocare e di omologare tutto ad uno standard, blocchiamo il divenire, il trasformarsi… Non lo accettiamo.
Ma è quanto di più stupido si possa fare, perché è come non accettare di avere un dito indice, solo perché non è un dito medio o non accettare che le nostre gambe si allunghino quando stiamo diventando adulti…

“Son membra d’un corpo solo i figli di Adamo, da un’unica essenza quel giorno creati. E se uno tra essi a sventura conduca il destino, per le altre membra non resterà riparo. A te, che per l’altrui sciagura non provi dolore, non può esser dato nome di Uomo”. Saadi di Shiraz, 1203 – 1291

Rimaniamo Umani.

Some tips to climb the Kili

The Kilimanjaro is the highest mountain in Africa, and known as one of the Seven Summit.

Even if there is no technical issues to face and it could be described as a hike, the high altitude could cause problem and in some case could be fatal.

Every year, approximately 1,000 people are evacuated from the mountain, and approximately 10 deaths are reported. The actual number of deaths is believed to be two to three times higher. The main cause of death is altitude sickness, hypothermia and falling. Everyone climbing Mount Kilimanjaro should be familiar with the symptoms of altitude sickness.

Please be aware that I am not a doctor neither a specialist of the mountain; these are only tips that I could give to friends that would like to climb it.

Weather

I was not so lucky with the weather. It rained all the time, with wind and the visibility was at most 1 meter!

You need to keep in mind that even the perfect Gore-Tex will even not be waterproof in this case… So you would be wet… And at 4000m, it would be really cold!

 

The porters

They are really great, smart and always ready to help! They are doing a really incredible job, carrying all the stuff up to the mountain. Some of them could also experience AMS.

Please be aware that the tip is a good part of their income, so please consider it as a part of your expenses when you are planning it.

They are hiking the mountain with gear that would become wet even after a little rain, they are ready to use their T-shirt to remove the rain inside your tend, they are trying to help you in whatever situation, always smiling.

They are the best experience of the trip! If you would/could give more, please do it. Never less! And if you could give us some of your used gear, they would appreciate it.

Tipping on Kilimanjaro from the trekking group (not per climber):

·  Guides: $20/day/guide

·  Cook: $15/day

·  Porter: $10/day/porter

 

My travel agency

I choose Kilisa travel, really one of the best travel agency I´ve ever met in my travel adventure.

Kilisa Tours and Safaris

Moshi, Tansania

https://kilisatours.com/

+255 717 397 816

Here you could find the reviews on TripAdvisor (https://www.tripadvisor.de/Attraction_Review-g317084-d11884543-Reviews-Kilisa_Tours_Safaris-Moshi_Kilimanjaro_Region.html)

Naik is the young manager; he is really always present. He replies to all of your question quickly, via email, Facebook or WhatsApp.

The service they offer is really top, the price affordable and the safety and professionality everywhere.

They are sustaining the KPAP (https://kiliporters.org/) to improve the working conditions of the porters. We were 2 people and we had 11 people with us; 2 guides, 1 cook, 1 waiter/cook assistant, 7 porters.

The gears provided was ok, and also the sleeping bag were good (the green north face was warmer as the other)

 

INCLUDED IN THE PRICE PACKAGE 

2 Night Hotel accommodation in Moshi, a day before trek and a day after trek

Transportation to and from your selected route

Transfer from Airport to Moshi on arrival and return to airport after climb.

Accommodation in tent

Certified, experienced, English speaking mountain guides

All Tanzanian National Park Fees

Government Climbing Taxes

Climbing permits

All hot Meals prepared by our cook while on Mountain

Guides, Porters and Cook Salaries 

Fair and ethical treatment of Porters

Enough porters to carry your luggage  

Safety Equipment

  • Emergency Oxygen
  • Pulse Oxymeter

Hot drinks at every meal 

Water provided on climb, mineral water for the first day and boiled water every day

Emergency rescue fees

Personal Summit Certificate signed by the National Park and your Guide

PRICE DOES NOT INCLUDE

– Personal items and toiletries

– Tips for guides, porters and cook 

What to bring

Waterproof sacks

2 pair of hiking boots, both Gore-Tex

4 pair of socks

3 Space blanket

1 Trekking Poles, collapsible

1 Waterproof Hard shell Jacket, breathable with hood in Gore-Tex
1 Down Jacket
2 Soft Shell Jacket
4 Long Sleeve Shirt, light-weight
2 Merino shirt

2 Thermic shirt (X-Bionic)
1 – Waterproof Pants side zipper in Gore-Tex
2 – Hiking Pants
1 – Thermic Pants (X-Bionic)

1 Brimmed Hat, for sun protection
1 Knit Hat, for warmth
1 Balaclava, for face coverage

2 pair of gloves in Gore-Tex (1 warm, 1 thin)

1 Gaiters, waterproof

1 Sunglasses

1 Backpack Cover, waterproof
1 Water Bladder (Camelback type, 3 liters with ice protection)
1 Towel, lightweight, quick-dry

1 Sleeping Bag, warm, four seasons* (you could hire it)

1 Head lamp, with extra batteries
1 Duffel bag, 50-90L capacity, for porters to carry your equipment
1 Daypack, 30-35L capacity, for you to carry your personal gear
Other
Toiletries
Prescriptions
Sunscreen
Insect Repellent, containing DEET
First Aid Kit
Hand Sanitizer
Wet Wipes
Electrolytes, powder or tablets
Micropur

Oximeter and daily check up

Your guide would do a daily health assessment (a sort of LLS) in order to understand if your body is acclimatizing in a proper way.

They do have a pulse-oximeter. A pulse oximeter measures oxygen saturation – the oxygen level in your blood – and your pulse rate. The oximeter is placed on a climber’s fingertip. The oximeter uses two beams of light that shine into small blood vessels and capillaries in your finger. The sensor reflects the amount of oxygen in the blood.

Oxygen saturation is a measurement of how much oxygen your blood is carrying as a percentage of the maximum it could carry. Normal blood oxygen levels at sea level are 95-100%.

The more you are getting high, the less this percentage would be.

As altitude increases, oxygen saturations decrease. Proper acclimatization generally brings oxygen saturations higher, which is why these figures typically rise when oxygen saturations are tested after resting overnight. On Kilimanjaro, oxygen saturations percentages are regularly in the 80’s. There are no definitive saturation levels where a client can be declared absolutely safe or at risk. However, when oxygen saturation drops below 80%, the climber should be monitored very closely.

I do suggest to discuss it with your doctor to understand better how to deal with this measurement.

LLSS

The Lake Louise Scoring System (LLSS) was designed to evaluate adults for symptoms of acute mountain sickness (AMS). The system uses an assessment questionnaire and a scorecard to determine whether an individual has no AMS, mild AMS, or severe AMS. (Note that LLSS does not have a category for moderate AMS.)

A diagnosis of AMS is based on the following conditions:

A rise in altitude within the last 4 days (a given on Kilimanjaro)

Presence of a headache

Presence of at least one other symptom

A total score of 3 or more from the questionnaire

Self-Assessment Questionnaire

·        Headache:

o   No headache = 0

o   Mild headache = 1

o   Moderate headache = 2

o   Severe headache = 3

·        Gastrointestinal symptoms:

o   None = 0

o   Poor appetite or nausea = 1

o   Moderate nausea or vomiting = 2

o   Severe nausea or vomiting = 3

·        Fatigue and weakness:

o   Not tired or weak = 0

o   Mild fatigue/weakness = 1 

o   Moderate fatigue/weakness = 2

o   Severe fatigue/weakness = 3

·        Dizziness and lightheadedness:

o   Not dizzy = 0

o   Mild dizziness = 1

o   Moderate dizziness = 2

o   Severe dizziness, incapacitating = 3

·        Difficulty sleeping: 

o   Slept as well as usual = 0

o   Did not sleep as well as usual = 1

o   Woke many times, poor sleep = 2

o   Could not sleep at all = 3

A total score of 3 to 5 indicates mild AMS. A score of 6 or more signifies severe AMS.

The presence of mild AMS is very common and does not necessarily mean that you will need to descend. On the other hand, an assessment of mild AMS does not preclude you from being turned around either.

 

Acute Mountain Sickness (AMS)

The percentage of oxygen in the atmosphere at sea level is about 21%. As altitude increases, the percentage remains the same but the number of oxygen molecules per breath is reduced. At 3600 m there are roughly 40% fewer oxygen molecules per breath so the body must adjust to having less oxygen. Altitude sickness, known as AMS, is caused by the failure of the body to adapt quickly enough to the reduced oxygen at increased altitudes. Altitude sickness can occur in some people as low as 2500m, but serious symptoms do not usually occur until over 3600 m.

Mountain medicine recognizes three altitude categories:

·        High altitude: 1,500 to 3,500 m

·        Very high altitude: 3,500 to 5,500 m

·        Extreme altitude: 5,500 m and above

In the first category, high altitude, AMS and decreased performance is common. In the second category, very high altitude, AMS and decreased performance are expected. And in extreme altitude, humans can function only for short periods of time, with acclimatization. Mount Kilimanjaro’s summit stands at 5895m – in extreme altitude.

At over 3,000 m, more than 75% of climbers will experience at least some form of mild AMS.

There are four factors related to AMS:

·        High Altitude

·        Fast Rate of Ascent

·        High Degree of Exertion

·        Dehydration: this is the reason why it is really important to drink as much as possible (minimum 3-4 liters a day)

The main cause of altitude sickness is going too high (altitude) too quickly (rate of ascent). Given enough time, your body will adapt to the decrease in oxygen at a specific altitude. This process is known as acclimatization and generally takes one to three days at any given altitude. Several changes take place in the body which enable it to cope with decreased oxygen:

·        The depth of respiration increases

·        The body produces more red blood cells to carry oxygen

·        Pressure in pulmonary capillaries is increased, “forcing” blood into parts of the lung which are not normally used when breathing at sea level

·        The body produces more of a particular enzyme that causes the release of oxygen from hemoglobin to the body tissues

Again, AMS is very common at high altitude. It is difficult to determine who may be affected by altitude sickness since there are no specific factors such as age, sex, or physical condition that correlate with susceptibility. Many people will experience mild AMS during the acclimatization process. The symptoms usually start 12 to 24 hours after arrival at altitude and will normally disappear within 48 hours. The symptoms of Mild AMS include:

·        Headache

·        Loss of appetite, nausea, or vomiting, excessive flatulation

·        Nausea & Dizziness

·        “pins and needles” sensation 

·        Loss of appetite 

·        Fatigue 

·        Shortness of breath

·        Peripheral edema (swelling of hands, feet, and face)

·        Nose bleeding, shortness of breath upon exertion

·        Persistent rapid pulse

·        Disturbed sleep 

·        General feeling of malaise 

Symptoms tend to be worse at night and when respiratory drive is decreased. Mild AMS does not interfere with normal activity and symptoms generally subside as the body acclimatizes. As long as symptoms are mild, and only a nuisance, ascent can continue at a moderate rate. 

While hiking, it is essential that you communicate any symptoms of illness immediately to others on your trip.

The signs and symptoms of Moderate AMS include:

·        Severe headache that is not relieved by medication

·        Nausea and vomiting, increasing weakness and fatigue

·        Shortness of breath 

·        Decreased coordination (ataxia)

Normal activity is difficult, although the person may still be able to walk on their own. At this stage, only advanced medications or descent can reverse the problem. It is important to get the person to descend before the ataxia reaches the point where they cannot walk on their own (which would necessitate a stretcher evacuation). Descending only 300 m will result in some improvement, and 24 hours at the lower altitude will result in a significant improvement.

Continuing on to higher altitude while experiencing moderate AMS can lead to death.

Severe AMS results in an increase in the severity of the aforementioned symptoms including:

·        Shortness of breath at rest

·        Inability to walk

·        Decreasing mental status

·        Symptoms similar to bronchitis

·        Persistent dry cough

·        Fever

·        Shortness of breath even when resting

·        Headache that does not respond to analgesics

·        Unsteady gait

·        Gradual loss of consciousness

·        Increased nausea and vomiting

·        Retinal hemorrhage

Severe AMS requires immediate descent of around 600 m to a lower altitude. There are two serious conditions associated with severe altitude sickness; High Altitude Cerebral Edema (HACE) and High Altitude Pulmonary Edema (HAPE). Both of these happen less frequently, especially to those who are properly acclimatized. But, when they do occur, it is usually in people going too high too fast or going very high and staying there. In both cases the lack of oxygen results in leakage of fluid through the capillary walls into either the lungs or the brain.

 

High Altitude Pulmonary Edema (HAPE)

HAPE results from fluid buildup in the lungs. This fluid prevents effective oxygen exchange. As the condition becomes more severe, the level of oxygen in the bloodstream decreases, which leads to cyanosis, impaired cerebral function, and death. Symptoms of HAPE include:

·        Shortness of breath at rest 

·        Tightness in the chest

·        Persistent cough bringing up white, watery, or frothy fluid

·        Marked fatigue and weakness 

·        A feeling of impending suffocation at night

·        Confusion, and irrational behavior

Confusion, and irrational behavior are signs that insufficient oxygen is reaching the brain. In cases of HAPE, immediate descent of around 600 m is a necessary life-saving measure. Anyone suffering from HAPE must be evacuated to a medical facility for proper follow-up treatment. 

High Altitude Cerebral Edema (HACE)

HACE is the result of the swelling of brain tissue from fluid leakage. Symptoms of HACE include:

·        Headache 

·        Weakness 

·        Disorientation 

·        Loss of co-ordination 

·        Decreasing levels of consciousness

·        Loss of memory 

·        Hallucinations & Psychotic behavior

·        Coma

This condition is rapidly fatal unless the afflicted person experiences immediate descent. Anyone suffering from HACE must be evacuated to a medical facility for follow-up treatment.

Acclimatization Guidelines

The following are recommended to achieving acclimatization:

·        Pre-acclimatize prior to your trip by hiking in a region above 3500m for at least weekends to the prior 6-8 weeks.

·        Ascend Slowly. Your guides will tell you, “Pole, pole” (slowly, slowly) throughout your climb. Because it takes time to acclimatize, your ascension should be slow

·        Do not overexert yourself. Mild exercise may help altitude acclimatization, but strenuous activity may promote HAPE.

·        Take slow deliberate deep breaths.

·        Climb high, sleep low. Climb to a higher altitude during the day, then sleep at a lower altitude at night. Most routes comply with this principle (Lemosho or Machame 7 days for example).

·        Eat enough food and drink enough water while on your climb. It is recommended that you drink from four to five liters of fluid per day. Also, eat a high calorie diet while at altitude, even if your appetite is diminished. 

·        Diamox is good for prevention and treatment of AMS, but check with your doctor as it could lower your blood pressure.

·        Avoid tobacco, alcohol and other depressant drugs including, barbiturates, tranquillizers, sleeping pills and opiates. These further decrease the respiratory drive during sleep resulting in a worsening of altitude sickness. 

·        If you begin to show symptoms of moderate altitude sickness, don’t go higher until symptoms decrease. If symptoms increase, descend.

Treatment

The only reliable treatment, and in many cases the only option available, is to descend. Attempts to treat or stabilize the patient in situ (at altitude) are dangerous unless highly controlled and with good medical facilities. However, the following treatments have been used when the patient’s location and circumstances permit:

       Oxygen may be used for mild to moderate AMS below 3,700 metres. Symptoms abate in 12 to 36 hours without the need to descend.

       For more serious cases of AMS, or where rapid descent is impractical, a Gamow bag, a portable plastic hyperbaric chamber inflated with a foot pump, can be used to reduce the effective altitude by as much as 1,500 m. A Gamow bag is generally used only as an aid to evacuate severe AMS patients, not to treat them at altitude.

       Acetazolamide 250 mg twice daily dosing assists in AMS treatment by quickening altitude acclimatization. A study by the Denali Medical Research Project concluded: “In established cases of acute mountain sickness, treatment with acetazolamide relieves symptoms, improves arterial oxygenation, and prevents further impairment of pulmonary gas exchange.”

       Dexamethasone showed good results for the treatment of HACE

       Two studies in 2012 showed that Ibuprofen 600 milligrams three times daily was effective at decreasing the severity and incidence of AMS; it was not clear if HAPE or HACE was affected.

       Paracetamol (acetaminophen) has also shown to be as good as ibuprofen for altitude sickness

Mild AMS:

       Stop ascending

       Do not do strenuous activity

       Increase hydration

       Paracetamol 500 mg x os

       Promethazine 25-50 mg x os

Moderate-severe AMS:

       Descending at least 500m

       Gamow bag or oxygen if available

       Acetazolamide 250 mg × os every 12 hours

       Dexamethasone 4 mg × os/im every 6 hours

HACE:

       Descending immediately at least 2000m

       Gamow bag or oxygen4-6 l/m, if available

       Dexamethasone 8 mg ev/im immediately, and after 4 mg× os/im every 6 hours

HAPE:

       Descending immediately at least 2000m

       Gamow bag or oxygen4-6 l/m, if available

Willing a good driver? Go to Flores!

Buy my book – Cross Borneo

Finding a good driver is always a problem and basically a deal between internet reviews and price.

I contacted several people and finally we decided for Sipri Muda.

I discussed with him the route and fixed the price. 4.200.000 IDR for 2 people.

Few days before landing in Labuan Bajo, he contacted me just saying that he got an important familiar appointment and he would have send his big brother, Agustin.

This is something that didn’t make us happy, anyhow we decided to trust him and we did our trip with Agustin.

Agustin is really first of all a great man and for sure a safe and relaxing driver.

In Flores, like in other part of Asia, the traffic has his own rules that we, western people, cannot understand. Everything look like a complete disordered mess… even though, Agustin let us feel relaxed and safe. He was always proud and curious about his land and we just felt like our “brother”.

He speak a really good English, his car is a Xenia, new, with air condition, really comfortable and last but not least, he is really helpful whatever you asked and he came always with us during the visit!

This is the trip we’ve done:

Day 1: Labuan Bajo – Todo Village (Manggarai tribe) – Spider web Rice Fields near Cara Village – Ruteng (overnight).

Day 2: Ruteng – Ranamese freshwater lake – Aimere arak distillery – Bajawa (overnight).

Day 3: Full day trip in Bajawa: Trekking to Tululela Village (1½ hours) – Gurusina Village (Ngada tribe) – Bena Village (Ngada tribe) – Mangeruda Hot Spring – Bajawa (overnight).

Day 4: Bajawa – Boa Wae Village – Viewpoint of Embulobo active volcano – Penggajawa blue stone beach – Ende – Saga Village (Lio tribe) – Moni (overnight).

Day 5: Moni – Kelimutu Crater Lakes – Maumere airport

This is the contact information:

email : agustinusfloreslantana@yahoo.co.id

website: http://www.discoveryfloresindotours.com

webmail: info@discoveryfloresindotours.com

WA number + 62 81 339 898 865

Something about boat tour in Flores (Komodo)

Buy my book – Cross Borneo

As soon as I decided to visit Flores, I started my research on Internet about the best cruise I could afford.

I contacted basically all the best reviewed in Trip Advisor and then I decided to do with a local, Indonesian Boat and tour, in Tripadvisor the best of the local ones.

Even if the price was not so cheap in comparison with others (7.000.000 IDR for 2 days for 2 person with AC), as the picture of the boat was the best in compare of what the other locals sent me, I confirmed everything at the end of January and reconfirmed again 2 weeks and 1 week before my arrival.

Yanto, this is the name of the owner of Indonesia Boat and Tour, the day before our departure, at 19:00 (!!!) send me a text, saying that due to reorganization of the boats I would have another one, but with the same specification… I asked for the picture and… It was not the same as discussed…

Quello proposto e confermato a gennaio

Cambio del giorno prima!!!

Cambio del giorno prima!!!Cambio del giorno prima!!!

The manager of Wae Molas (Rajab Halla) helped me to find a boat directly at the harbor and I decided to do 2 days with 2 different Boat, without overnight.

The cost per day was 1.300.000 IDR, the boat clean and the tour, both of the day really amazing…

Just after my experience these are my recommendation:

1.      Do not use Indonesian Boat od Yanto and for sure do not send money in advance!

2.      If you want to book in advance, do it, but with Wunderplus. It would cost 15.000.000 IDR for a private tour for 2 person on the Mimic all included. The boat is really good, safe and clean. European standard

3.      Snorkeling equipment could be rent in the shops close to the harbor for 15.000 IDR. I do suggest to come with your own mask and to rent just only the fins.

4.      I do suggest to arrive in Labuan Bajo and to go directly on the harbor and find a deal with a local person, better if you would be with some person of your hotel (Rajab of Wae Molas was really a great help!). The price, food included should be around 4.000.000 IDR for the 2 days for the complete boat for 2 person. No A/C.

a.      Be aware that the engine is the most important part of the boat. The sea is really dangerous around there and would be better to have 2 in good condition

b.      The toilette: this is the second important thing. Please check it, not only if proper, but only if it works

c.      Bed and overall cleanness

And remember, HAVE FUN!

Cross Borneo – the trek

Buy my guide book

more information inside…

STEP #2 – THE CROSS BORNEO TREK (OR CBT)

Usually you would walk every day from 7:00 until 14:30/15:00, it means from 7 to 8 hours lunch and countless pauses to regain strength and stamina included.

The pace would be around 1km/h (stops included), so the covered distance would not be so much, but 1 km in the rain forest is like 10 km in our forest… just to understand better please go to day 5 of the trekking report.

Along the path everything is slippery, the rocks in the rivers, the green moss on rocks and trunks, the omnipresent roots and mud… in one word, everything!

Furthermore there are uprooted trees all over your path, and sometimes they are the path itself… It means that you should pay attention every single minute, and have the highest carefulness: before moving one foot you should be sure as eggs is eggs that your other foot is steady (as far as possible) and that the roots, the trees or whatever you are grabbing is well fastened!

The running, especially after one whole night of rain, could be murderously energetic, so grab whatever you can, lianas, porters (if they could be on their feet…) and try, whenever is possible, to have your feet on the sand, that increase your grip.

MUARA HUBUNG – ATIKOP HILL – MUARA SAITE – LESS DEMANDING – 3KM – 3 HOURS – ↑310 M ↓190 M Continue reading “Cross Borneo – the trek”

Vietnam, Laos, Cambogia

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01.08.2006 – Martedì – 1° giorno

Italia – Cairo – Bangkok

Potrei non dire molto di questa giornata passata fra un aeroporto e l’altro, ma per me il viaggio inizia non appena arrivo all’aeroporto a fare il check in.

Eccomi, alle 6:00, in perfetto orario, incontrare Federica; ha sonno quanto me, è già stravolta, anche se dobbiamo affrontare tutte quelle ore di volo!

Iniziamo a raccontarci mille esperienze di viaggio e non solo, facciamo subito amicizia, ma ogni parola, ogni frase detta, alimenta sempre più la curiosità nella conoscenza degli altri ragazzi.

Incontriamo Riccardo, Tania e Emanuela a Fiumicino, prima degli altri e alle 14 siamo già quel bel gruppetto che appassionatamente girerà per l’Indocina per ben 27 giorni!

Poi arriviamo al Cairo… Ma che aeroporto! E’ incredibile, sempre di rimanere davvero prigionieri nella terra di nessuno; cogliamo l’occasione per eleggere Claudia come nostra cassiera, per aprire la cassa e per discutere un poco l’itinerario – o meglio, esporre l’itinerario!!!

 

02.08.2006 – Mercoledì – 2° giorno

Bangkok

Arriviamo nel primo pomeriggio a Bangkok, dopo una lunga e quanto meno interminabile nottata in aereo.

Passiamo il controllo passaporti per il visto, che non si paga e subito a prendere i bagagli.

Io cerco subito un cambio, tanto il tasso è quello interbancario.

Cerco di andare a confermare i biglietti della Bangkok Airways per la tratta Luang Prabang – Bangkok, prenotati su internet sabato pomeriggio, previa accettazione di tutti i personaggi, ma non vogliono accettare i miei soldi, preferiscono estendermi la preprenotazione fino al giorno prima… Meglio! Almeno abbiamo più tempo per pensare se vogliamo davvero prendere l’aereo!

Cerco gli uffici della Egypt Air, ma sono momentaneamente chiusi, quindi effettuo la riconferma dei voli direttamente in hotel.

Usciamo dall’aeroporto già stremati (stanchi, stanchi e non abbiamo ancora fatto niente!!!) e andiamo subito a prendere il primo mezzo pubblico che ci porta in centro città, un fantastico treno di terza categoria; all’interno troviamo di tutto, galline, buste della spesa e mille sorrisi della gente che ci guarda un poco stranita.

Il nostro albergo è vicino alla stazione, in posizione strategica per la levataccia dell’indomani.

La stazione di Hualamphong è uno dei primi e più rilevanti esempi di struttura art decò thailandese, costruita da architetti e ingegneri olandesi poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale.

Ci ritiriamo in albergo e ci diamo appuntamento alle 20:00 per la prima vera cena di gruppo.

Io esco con Laura per una prima visita della splendida Bangkok, per iniziare ad assaporare l’estremo oriente.

Ci perdiamo fra i vicoletti del mercato di China Town; c’è davvero di tutto, ma ciò che attira di più la nostra curiosità è la varietà e la stravaganza del cibo che si trova appeso ovunque, bollito, fritto, cotto in qualunque maniera in mezzo alle variopinte bancarelle che vendono, almeno così sembra, generi commestibili.

Bisognerebbe provare di tutto, avere davvero il coraggio (perchè è così che si chiama!!!), di rimpinguarsi sgranocchiando chissà cosa!

China Town è una meraviglia, merita davvero una visita, anche veloce, ma ci si deve andare!

Visitiamo anche il Wat Mangkon Kamalawat, uno dei più vasti templi di Chinatown; all’interno si respira un’atmosfera di quiete spirituale e i sorrisi dei monaci sono un invito davvero unico alla visita di questo tempio.

La sera ci ristoriamo in un grande e pulitissimo ristorante di China Town, non ancora pronti, o almeno non del tutto, a divorare cibarie varie attorno ai tavolacci di una bancarella di mercato.

C’è chi ha la forza di andare a Pat Pong, ad ammirare la vita notturna, chi, come me, si ritira, sprofondando nel tanto desiderato letto!

03.08.2006 – Giovedì – 3° giorno

Bangkok – Aranya Pratet – Poipet – Siem Reap

Oggi levataccia! Alle 05.55 parte il treno per Aranya Pratet, frontiera Thailandia – Cambogia.

L’appuntamento è alle 5:30 alla stazione; io infatti ci vado prima a far la fila per prendere i biglietti.

Il treno è simile a quello preso il pomeriggio precedente, di terza categoria, senza posti preassegnati.

Il viaggio lungo e il paesaggio circostante, sebbene bello ed interessante, dopo 2 ore inizia ad essere un poco ripetitivo…

Alle 11:40 siamo ad Aranya Pratet, una stazione davvero in mezzo al nulla, o meglio in mezzo ad orde di tuk tuk pronti per darti uno strappo fino a Poipet…

Prima contrattazione e via, carchi di bagagli raggiungiamo in meno di dieci minuti la vera frontiera.

Come ogni posto di frontiera che si rispetti, c’è un mercatino, dove si vendono le cose più assurde, una banca e l’ufficio, dove la burocrazia la fa da padrone.

Attendiamo il nostro turno, ci facciamo fare il timbro di uscita dalla Thailandia e poi di nuovo una passeggiata fino all’ufficio visti cambogiani, dove ci attendono delle comodissime sedie che proveremo per una mezz’oretta.

Preso il visto, utilizziamo un meraviglioso bus gratuito, che ci porta a timbrare il passaporto (almeno altri tre quarti d’ora) e con lo stesso bus gratuito, andiamo al terminal (se così vogliamo chiamarlo) dei minivan per Siem Reap.

Piccola scorta di provviste, visto che non abbiamo ancora pranzato e visto che non sappiamo assolutamente quanto ci metteremo!

Nuova contrattazione e alle 14:45 circa siamo sul minivan, stipatissimo di uomini e bagagli, pronti per affrontare quegli incredibili 155 km di strada in terra rossa fuoco tutta butterata.

Si salta, ci si arrabbia per le testate/culate che si continuano a prendere, soprattutto nelle file arretrate, ma il tragitto è di una bellezza mozzafiato, ricco di vegetazione, di un verde così acceso da fare male agli occhi, disseminato qua e là da baracche in legno, dove ci vivono famiglie intere.

Per nulla al mondo mi sarei persa questo tragitto e per nulla al mondo lo perderei se ci dovessi mai tornare.

Anche questa è Cambogia, anche la strada piena di buche, anche i 155 km percorsi in meno di sette ore, anche la povertà che queste terre trasudano, anche il pantano che si trova durante il tragitto, anche il minivan che arranca, perchè le sospensioni hanno visto questa strada un pò troppe volte, anche il traduttore, che si è fatto tutto il tragitto in piedi, perchè quello è il suo lavoro, perchè l’inglese gli ha dato questo incredibile lavoro!

Alle 21:30 siamo finalmente a Siem Reap: dobbiamo insistere davvero tanto per farci portare al nostro albergo, perchè. Come quasi sempre ci capiterà, ci vogliono far alloggiare in una altro posto.

La Sok San guest House ci pare davvero un poco troppo spartana, ma siamo stanchi per cambiare, ci dirigiamo all’Arun restaurant, dove proviamo le prelibatezze della cucina cambogiana, fra cui un buonissimo amok e poi subito a nanna, domani ci aspetta l’alba al Bayon!

04.08.2006 – Venerdì – 4° giorno

Siem Reap – Piccolo circuito Angkor – Siem Reap

Piccola parentesi: noi ci siamo affidati all’incompetenza del nostro albergatore, che ci ha fatto attendere fino alle 5:45 per partire, sebbene avessimo concordato le 5!!! Pertanto la sveglia alle 4:00 si è resa davvero vana.

Comunque sia, partiamo e dopo aver fatto il biglietto, procedura un poco lunga, visto che ci appiccicano la fotografia e poi ci fanno la plastificazione, entriamo nel sito di Angkor, con il nostro pulmino; intravediamo con lo sguardo la potenza e la maestosità dell’Angkor Wat, ma non ci fermiamo, continuando verso l’Angkor Thom, seguendo alla lettera il Piccolo circuito.

I templi di Angkor sono una delle grandi meraviglie del mondo e assumono dimensioni davvero monumentali; essi non sono altro che lo scheletro sacro del vasto centro politico, religioso e sociale dell’impero khmer che si estendeva dalla Birmania al Vietnam.

Ricordatevi che tali templi sono il cuore e l’anima del regno di Cambogia, sono fonte di orgoglio personale e fonte di ispirazione.

Il complesso dell’Angkor Thom, o città grande, occupa un’enorme area quadrangolare, tutto circondato di mura, di cui ogni lato è lungo 3 km; si stima che al culmine della sua ricchezza e del suo potere fosse in grado di ospitare addirittura 1 milione di abitanti! Il suo fondatore ed architetto fu il re buddista Jayavarman VII (1181 – 1220).

La struttura di maggior interesse e fascino del complesso è rappresentata dal Bayon, con i suoi 216 volti che ti guardano da ogni lato, infondendo un’idea di potere e controllo, il tutto accompagnato dall’umanità degli sguardi di questi giganti di pietra e dalla pace dell’incenso dei molti monaci buddisti che vivono al suo interno.

Sul complesso dell’Angkor Thom ci sarebbe da scrivere ancora, come si potrebbe dedicare ancora più tempo, ma come sempre, bisogna proseguire, sperando che il ricordo sia forte da poter lasciare negli occhi lo splendore appena osservato.

Nei siti minori che troviamo all’uscita della città fortificata dell’Angkor Thom prima di giungere al Ta Prohm, abbiamo avuto la fortuna di vedere i restauratori all’opera, con la loro bravura e la pazienza nella precisa ricostruzione delle strutture divorate dalla natura.

Il Ta Prohm, o “antenato di Brahma”, sempre fatto costruire da Jayavarman VII come consacrazione al buddismo, è forse la struttura più affascinante che nell’immaginario comune ci si ricorda quando si pensa alle rovine di Angkor.

Ciò che rende così speciale questa struttura, è l’insolita, ma apprezzabile decisione degli archeologi di non eliminare completamente gli enormi baniani e gli alberi di kapok, lasciando che le loro pittoresche radici si attorciglino agli architravi e si insinuino nelle crepe delle volte e dei corridoi, conferendo al complesso il fascino della continua riscoperta delle rovine; tutto il complesso di Angkor doveva presentarsi così agli occhi di Henri Mouhot nel 1858, di padre Bouillevaux nel 1846, del viaggiatore portoghese Diego do Couto nel 1550, del monaco portoghese Antonio da Magdalena che scrisse della sua visita ad Angkor Wat nel 1586, del pellegrino giapponese del XVII secolo che disegnò la pianta particolareggiata dell’Angkor Wat o di chiunque “riscoprì” davvero Angkor!

La nostra giornata continua nella visita delle rovine e, fortunatamente, il sole ci ha accompagnato fino al penultimo tempio, dove abbiamo preso un potente, ma rinfrescante temporale.

Alle 16:30 usciamo esausti dal complesso e, dopo aver cambiato un pò di euro ed aver mercanteggiato per strappare un buon presso per i biglietti dell’aliscafo per Phnum Penh, ci portiamo esausti verso la nostra Guest House.

Dopo una doccia e un mezzo riposino e solo dopo la sana contrattazione della sera con quattro tuk tuk, ci dirigiamo verso l’old market per cenare al Texas, uno dei ristoranti più turistici di Siem Reap, ma del resto, bisogna accontentare tutti!!!

 

05.08.2006 – Sabato – 5° giorno

Siem Reap – Grande Circuito Angkor – Siem Reap

Oggi ce la prendiamo un poco più con calma, partiamo alle 8:30.

La giornata inizia con l’Angkor Wat; le mie sensazioni di fronte a questo maestoso tempio, diventano sempre più forti mano a mano che mi avvicino al complesso; mi sento prendere dall’agitazione e dalla voglia sempre più frenetica di arrivare, la pelle d’oca in tutto il corpo, una sensazione inconsapevole, quasi di paura di non riuscire ad arrivare in tempo per “vedere con i miei occhi” e poi, eccolo lì, assieme alla mia indescrivibile gioia, con quasi le lacrime agli occhi…

E in quel momento è come se fossi da sola di fronte al divino, per un attimo si spengono tutte le sensazioni umane, collassano spazio e tempo, e si è come fluttuante in solitudine e in completo e pacifico silenzio di fronte all’indescrivibile sacralità dell’universo.

La costruzione dell’Angkor Wat è iniziata durante il regno di Surayavarman II (1112 – 1152) per terminare poco dopo la sua morte; si dice sia stato fondato come tempio indù dedicato al dio Shiva, ma si ritiene anche che dovesse fungere da mausoleo per Surayavarman II.

Il fossato che circonda l’Angkor Wat è largo 190 m e forma un gigantesco rettangolo di 1.3 km per 1.5 km; la parte esterna della struttura è completamente ricoperta da una straordinaria serie di bassorilievi che hanno un’estensione di 800m.

David Chandler sostiene che le dimensioni dell’Angkor Wat siano proporzionali alle quattro ere della filosofia classica induista; il visitatore che giunge a questo straordinario tempio percorrendo la strada rialzata che conduce all’ingresso principale, attraversando i cortili fino alla torre centrale, compie metaforicamente un viaggio a ritroso nel tempo fino alla creazione dell’universo.

Anche se dedicaste un’intera vita stando seduti in cima al Santuario centrale, immersi nelle vostre indescrivibili sensazioni, in completa unione con l’Angkor Wat, continuereste ad avere quella terribile sensazione di non avere visto tutto, di dover vedere ancora molto; forse il motivo risiede proprio nel simbolismo che si cela dietro a questa incredibile struttura, rappresentazione metaforica dell’universo e di ciò da cui si arriva e a cui si torna, ciò che l’umano non potrà mai comprendere fino in fondo.

Fuori dall’Angkor Wat, nel fossato, tre bimbi stanno giocando nell’acqua con un piccione; è tempo di andare è tempo di lasciare l’Angkor Wat, sforziamoci, continuiamo il grande circuito.

Continuiamo verso il Preah Khan, il tempio della “spada sacra”, costruito da Jayavarman VII nello stile del Bayon e nel quale regna un’atmosfera quasi magica di completa comunione con la natura.

Al termine della visita di tutti i templi del Grande circuito, costeggiamo ancora l’Angkor Wat per un ultimo saluto.

Sono le 18:30, ci facciamo lasciare nella zona dell’old Market per un “massaggio orientale” di gruppo!

Concluso il massaggio ci dirigiamo verso la nostra tanto odiata Guest house e ceniamo al Soup Dragon; provate assolutamente il Volcano!

Poi, con la gioia negli occhi e la pancia piena, sano ed agognato riposo.

 

06.08.2006 – Domenica – 6° giorno

Siem Reap – Phnum Penh

Partiamo alle 5:30 con il pulmino dell’agenzia direttamente dal nostro albergo, per arrivare a 5 km dall’imbarcadero, dove l’autista, non riuscendo più a sterzare, si ferma per chiedere aiuto.

Purtroppo il tempo è poco e l’aliscafo sta per partire… Che fare? Non possiamo mica permetterci il lusso di aspettare l’altro bus e perdere il passaggio!!!

In lontananza un camioncino scoperto, completamente vuoto nel posteriore, la nostra salvezza!!!

Lo fermiamo e gentilmente si offrono di darci un passaggio; salgo, e… cos’é questa strana e fortissima puzza e quel liquido di colore rosso cosparso in tutto il camion? I ragazzi si bloccano e mi dicono “Simo, ma c’è del sangue”… Io: “si, ma è solo di pesce, tranquilli…”

Saliamo, tenendoci uno all’altro, in piedi, con gli zaini… Che figata! Che grande trasporto pubblico!!!

Ringraziamo enormemente i due ragazzi lasciandogli 4000 riel e poi via di corsa all’aliscafo dove per poco non prendiamo quello per Batdambang!

Ci posizioniamo chi dentro, chi fuori sul posteriore e ci godiamo l’alba con la splendida vista del villaggio galleggiante di Chong Kneas, un gruppo di case di legno e paglia ancorate a 10 chilometri dalla costa, che secondo l’andamento della maree si sposta e cambia sede, come gli altri sessanta

Questo, come gli altri sessanta piccoli insediamenti disseminati lungo le coste del lago sono abitati da alcune famiglie d’origine Cham, molte delle quali di religione musulmana, originarie del Vietnam del Sud.

L’insediamento risale ormai a parecchi secoli fa ed è anch’esso stato teatro delle atrocità perpetrate dall’esercito dei Khmer Rossi tra il 1975 e il 1979, che ne hanno decimato i nuclei familiari.

Fra le case, in parte sostenute da palafitte e in parte galleggianti, la vita segue i ritmi di sempre: uomini e donne si lavano, le ragazze fanno asciugare i lunghi capelli neri sulla riva, le massaie cucinano, i gatti e i cani sonnecchiano al sole, un vecchio zappetta il suo orto galleggiante e poi moschee, templi buddisti, negozi, caffé, minuscoli ristoranti e dispensari.

Vi sono anche alcuni allevamenti di pesci collegati da passerelle al retro delle case; più oltre c’è il “Freshwater Fish Exibition”, un’ampia struttura con acquari e vasche fatte di reti dove guizza un numero incredibile di pesci.

E poi compare il Tonlè Sap nella sua immensa grandezza, il “polmone” idrico da cui dipende l’andamento dell’agricoltura e della pesca.

Ciò che ha di incredibile questo lago, oltre alle sue dimensioni che passano da 2500 kmq e a 2 m di profondità nella stagione a circa 8000 kmq e a ben 14 m nella stagione delle piogge, è che nel periodo del monsone sud-occidentale il volume del Mekong costringe il Tonlè Sap a retrocedere, finche non inverte il suo corso, dirigendosi a nord e riversando nel lago grandi quantità di acqua dolce e di ricchi sedimenti; quando il corso si rinverte, i cambogiani festeggiano il Bon Om Tuk.

Il tragitto è davvero lungo e il rumore del vecchio aliscafo davvero assordante, ma il paesaggio è di un rara e incredibile bellezza.

Si passa dagli insediamenti Cham, alla sensazione di essere in mare aperto, nulla all’orizzonte e grandi onde, poi le montagne ed una fitta e verdissima vegetazione, per poi entrare a Phnum Penh attraverso la sua baraccopoli galleggiante dopo ben 7 ore di traversata!

Sbarchiamo, i nostri bagagli vengono buttati incustoditi sul molo e purtroppo, c’è chi è più veloce di noi; lo zaino di Emanuela non si trova più!

Tre tuk tuk dell’albergo che avevo prenotato telefonicamente il giorno prima ci vengono a prendere e ci portano nella meravigliosa zona del Boeng Kak, il lungolago dove quasi tutte le pensioni sono costruite in legno sopra le acque dell’omonimo lago, davvero delizioso!

Usciamo subito, lasciamo un messaggio al gruppo dell’Indocina, sperando che abbia per sbaglio preso il nostro bagaglio (ma invano…) e ci dirigiamo allo Psar Tuol Tom Pong, il mercato russo, dove Emanuela si “rifà – forzatamente – il guardaroba”.

Al ritorno, Tania e Laura mi accompagnano al mio regolare appuntamento con la “sana contrattazione”, per definire il mezzo di trasporto che l’indomani ci accompagnerà nel giro della città.

E in aiuto ci viene un italiano, davvero un personaggione, in viaggio da solo, ma sempre contornato da ragazze, birra e fumo; ha le idee molto chiare e fra un baccagliamento e l’altro, con tutte e tre, qualche birra e qualche “sigaretta speciale”, ci presenta un suo amico cambogiano, che ci offre un prezzaccio per quattro tuk tuk a nostra disposizione per l’intera giornata! Grazie!

La ventata di allegria che ci ha dato il fattone (soprannominato da Tania “lo spaccafighe”), purtroppo viene subito spazzata via dalla notizia della morte della nonna di Claudia.

Cerchiamo di consolarla, poi assieme andiamo a cena sul lago, dove le luci della sera amplificano la bellezza del luogo e dopo una sana degustazione di squisitezze cambogiane, tutti a nanna, stremati.

 

07.08.2006 – Lunedì – 7° giorno

Phnum Penh

Sveglia ovviamente presto, da vero “Alba discovery” e alle 6:30, già colazionati, siamo pronti per gustarci Phnum Penh, assieme alla sua storia, architettura e vivacità dei mercati.

Dopo un poco più di un’ora di buche in una strada sterrata davvero bella con scorci sulla quotidianità del popolo cambogiano, arriviamo ai Killing Fields; abbiamo percorso la stessa strada che le vittime dei khmer rossi facevano bendati, nei camion guidati dai khmer rossi, prima di essere atrocemente giustiziati e sepolti nelle fosse comuni oggi ben visibili.

Il luogo è pieno di segni di ciò che è stato e all’ingresso è stato eretto un mausoleo a forma di stupa, dove sono state sepolte molte salme riesumate dalle numerosissime fosse, a perenne memoria delle vittime. In mezzo al mausoleo, in una teca di plexiglas, file e file di teschi martoriati, spezzati e bucati da qualunque strumento di tortura; nel terreno circostante ancora pezzi si ossa e di indumenti appartenenti ai resti di quelle 8995 persone, molte delle quali legate e bendate; in ogni fossa la nostra guida ci spiega le atrocità perpetrate dagli khmer rossi.

Sconvolti, alcuni con le lacrime agli occhi, ripercorriamo quella strada, la stessa che è stata a senso unico per quasi 9000 cambogiani.

Arriviamo al Palazzo reale, dove si deve essere coperti (gambe e braccia) e cerchiamo subito la Pagoda d’argento, chiamata così per il pavimento ricoperto da oltre 5000 piastrelle d’argento del peso di 1 kg l’una, nota anche come Wat Preah Keo, o Pagoda del Budda d’Argento; i khmer rossi la risparmiarono come dimostrazione al mondo del loro interessamento alle ricchezze culturali della Cambogia.

Usciamo e ci dirigiamo ad una veloce, ma d’uopo, visita al Museo Nazionale; non c’è traccia dei tanto citati pipistrelli della lonely planet (c’è chi è entrato solo per questo!!!); poi allo Psar Thmei, a pranzo e a perderci (conviene davvero non girare in gruppo) nei meandri delle stranezze dell’estremo oriente. Ragni, scarafaggi, cavallette ed ogni insetto che vi viene alla mente può essere comprato per poi essere cucinato con maestria; carne e qualunque tipo di frattaglie ed interiora colorano l’affollatissimo mercato alimentare, gelatine dolci, fatte con semi e delle forme e dei colori più strani. Mi sembra di essere tornata bambina, appena uscita dalla pancia della mamma, dove ogni cosa per me è nuova!

Incredibile la Cambogia; sono davvero contenta che il gruppo abbia deciso di dedicare un giorno a questa incredibile città, dove i segni del passato recente sono davvero forti, indelebili, ma dove è fortissima anche la voglia di ricominciare, di rimettersi in piedi, di continuare a vivere, sebbene la memoria di ciò che è stato sia stata completamente spazzata via; eh si, in Cambogia manca una generazione, l’età media, almeno da quanto ci è sembrato per quei pochi giorni che ci siamo stati è davvero bassa; sembra che ci sia un salto generazionale, la maggior parte della popolazione arriverà al massimo attorno alla 30, poi il salto e pochissimi con più di 50 anni, probabilmente chi le atrocità le ha vissute dalla parte del più forte e solo per quello si è riuscito a salvare.

Dopo un lauto piatto di noodle, ci dirigiamo al Museo dei crimini di guerra, il Tuol Sleng: qui, durante gli anni in cui fu al potere Pol Pot, furono interrogate sotto tortura e in seguito assassinate circa 20000 persone.

Alle pareti e sul pavimento ci sono ancora i segni delle atrocità; alcune stanze sono rimaste “arredate” come all’epoca delle torture e fotografie alle pareti ritraggono come l’esercito vietnamita che liberò Phnum Penh vennero trovò i corpi delle ultime persone torturate su questi giacigli metallici, morti, in decomposizione.

Nelle altre stanze, alle pareti, le fotografie in bianco e nero di molti degli uomini, donne e bambini trucidati ci fissano, quasi a chiedere aiuto, come se fossero intrappolate fra i vetri; e poi strumenti di tortura, ceppi di manette di rozza fattura, strumenti primitivi di tortura e di morte.

Tutto a ricordarci a quanto si può spingere il genere “umano”.

Sconvolti da questa visita, andiamo al Wat Phnom, a chiedere fortuna e successo… Forse il budda ha capito che non saremmo potuti tornare a ringraziare con una ghirlanda di gelsomino, quindi la fortuna è subito andata da un’altra parte… Federica, scendendo dalle gradinate viene morsicata da una scimmia; la ferita purtroppo è sanguinante!

Cerchiamo in qualunque maniera di farci fare il vaccino antirabbico all’ospedale Pasteur, che a quell’ora è già chiuso, parliamo anche con il direttore, ma niente da fare, dobbiamo tornare la mattina dopo.

Stremati ed esausti, torniamo in albergo, io mi trattengo per la “sana contrattazione” della sera e presi i biglietti per Chau Doc, dopo una cenetta alla guest house #10, bevendo un buon vino di palma, tutti a nanna, sperando di aver più fortuna domani!

 

08.08.2006 – Martedì – 8° giorno

Phnum Penh – Chau Doc – Can Tho

Io, Fede e Tania andiamo all’istituto Pasteur per il vaccino in moto, una sola, compreso l’autista!!!

Anche nella sfiga bisogna trovare divertimento!!!

Comunque sia poi andiamo al molo a prendere il battello delle 12, partendo dalla nostra guest house alle 11; pranziamo con chapati e uova!!!

Al molo dobbiamo compilare un modulo ed esibire il passaporto con il visto vietnamita, per velocizzare le pratiche in frontiera; sul battello solo noi e una coppia di inglesi.

A Phnum Penh il Mekong si divide in due grandi braccia, quello che arriva a Chau Doc è il braccio minore, quello su cui navigheremo per arrivare in Vietnam.

I luoghi di frontiera fra Vietnam e Cambogia sono quanto di più singolare si possa vedere; ci si arriva con la barca, si scende per espletare le burocrazie di uscita e poi, sempre in barca, si prosegue alla frontiera vietnamita, dove si attraversa la “terra di nessuno” a piedi.

Detta così potrebbe sembrare normale, con la sola particolarità del battello, ma vi assicuro che tutto l’insieme, i caseggiati, la poca gente, i ragazzini che vendono gomme da masticare, il fango e l’assenza di un vero e proprio villaggio, rende questo posto una sorta di limbo sospeso nel tempo!

Finalmente arriviamo a Chau Doc, alle 17:30 dopo ben 5 ore di battello in paesaggi verdeggianti e villaggi galleggianti.

Scendiamo presso un ristorante della zona e poiché stava scendendo l’imbrunire, pago subito l’obolo alla “sana contrattazione” serale, prendendo un minivan e un trasporto bagagli un poco troppo “aperto”, subito cambiato in un altro minivan, visti i trascorsi a Phnum Penh!!!

In tre ore siamo a Can Tho, peccato che la sera sia calata e che il paesaggio del tragitto sia stato rischiarato solo dalla luce della luna.

A Can Tho avevo prenotato telefonicamente la sera prima il 31 hotel, dove abbiamo anche cenato, assaggiando anche un gommosissimo serpente di fiume (che fosse di quelli finti di gomma per bambini????)

 

09.08.2006 – Mercoledì – 9° giorno

Can Tho – Ho Chi Minh City

Ieri sera ho contrattato l’escursione al delta del Mekong, è stata dura, ma ce l’ho fatta. Per l’escursione ci siamo divisi in due gruppi, chi ha preferito un giro completo di 8 ore, avventurandosi anche nei meandri dei canali, chi ha preferito avere solo 4 ore, per poi divertirsi un poco a Saigon!

Comunque sia, qualunque giro si sia scelto, la partenza è alle 5:30 con colazione in barca… Sia mai che si riesca a dormire un poco di più per due giorni di seguito!!!

La sera prima ho anche prenotato l’albergo di Saigon, trovando davvero difficile trovarne uno libero per tutti e 16; dopo una decina di alberghi, ho comunque trovato la consigliatissima Coco Loco Guest House.

I due gruppi si separano quasi subito, dopo la visita al primo mercato galleggiante di Cai Rang; la vita si staglia sul fiume Mekong, ci sono ragazze che si lavano i capelli, c’è chi vende frutta, chi verdura, chi ci offre un’allettante piatto di noodle (anche di mattina? No, grazie!!!), chi vende un buon caffé, d’uopo per svegliarsi un poco! e chi fugge velocissimo per andare a vender non si sa bene cosa.

Continuiamo a remi, negli incredibili meandri della fitta vegetazione del delta del Mekong, e subito la mente ci ritorna alle poche e rare immagini di repertorio che abbiamo visto in qualche documentario sulla guerra del Vietnam.

La pace ed il silenzio viene a volte interrotto dallo sciacquio dei panni lavati dalle donne sulla sponda del fiume, a volte dal motore di chi, indaffarato, si sta affrettando al mercato, per vendere le sue prelibatezze.

Quando giungiamo al mercato di Phong Dien, rinomato come il più bel mercato del delta del Mekong, veniamo subito attorniati da numerosissime barche, e lì inizia l’assaggio selvaggio di ogni tipo di frutto, dal megagrume (pompelmo, si dice…) al violaceo frutto stracciatella inside, (pithayas), ai pelosissimi lici e ai loro fratelli glabri (Long Nhãn) per finire con i cachi neri, con mille altri frutti all’interno.

Che delizia! Comunque, niente noodle, almeno, non per il momento!!!

Scendiamo per continuare a piedi il mercato che prende tutto il paese: gli scorci di vita che si possono apprezzare in questa parte dell’escursione sono davvero unici, non ci si sente estranei, o forse ci si sente troppo estranei, semplicemente si osserva, si annusa, si gusta nel completo silenzio della riflessione.

Donne che vendono pesce essiccato, ogni specie, dal calamaro, al gamberetto, passando per i pescioni del Mekong, c’è chi vende carne, frattaglie, intestini, chi vende il topo, già scuoiato, pronto per la brace (!!!), chi invece sta alzando un polverone incredibile, mentre sta tagliando la strada; e poi ancora frutta e verdura.

Ma come posso descrivere il colore e la vitalità dei mercati dell’estremo oriente? Come è possibile? Senza poter descrivere a pieno gli odori, a volte talmente forti da essere anche densi!

Come è possibile? Senza descrivere l’accecante luce che appiattisce tutti i colori, ma che evidenzia ancora di più quel verde delle mangrovie e dell’intensa vegetazione, così incredibilmente forte che sembra rinfrescare il palato più di qualunque altra bibita!

Come è possibile descrivervi i suoni, anche le urla strazianti dei maiali impacchettati nei sacchi di plastica e legati nelle fronde di bambù, con solo il naso rosa visibile all’esterno?

Come?

Proseguiamo lungo i canali fino a giungere ad una specie di zoo all’aperto (mal riuscita descrizione…), dove ci sono serpenti sotto spirito, pipistrelli, serpenti, qualunque tipo di animale chiuso in gabbia.

Il nostro viaggio termina esattamente dove era iniziato, dopo aver cercato una banca e aver pagato l’albergo, corriamo alla stazione degli autobus, dove uno stipatissimo minivan ci porterà fino a Saigon.

Organizzo l’escursione per l’indomani a Cu Chi e al tempio Cao Dai e poi cena al fast food di vietnamese pho, meglio nota come zuppa di noodle e… a scelta dalla vetrina! (sia mai che si vada a letto senza un buon piatto di parenti stretti degli spaghetti!!!)

Giretto per la città, in cerca di locali e poi nanna!

 

10.08.2006 – Giovedì – 10° giorno

Ho Chi Minh City – Cu Chi – Cao Dai – Saigon – Nha Trang (bus notturno)

Il gruppo parte alle 8:30 e sarà di ritorno solo nel tardo pomeriggio, verso le 18:30, stremato e incazzato per le troppe ore di bus che hanno dovuto subire per vedere due luoghi, a detta di molti, nemmeno così incredibili.

Io rimango a Saigon, devo riconfermare i biglietti della Vietnam air, prendere i biglietti del bus notturno, visto che sul treno non ci sono più posti disponibili e… rilassarmi un poco, date le incredibili peripezie accorse fino ad ora!

Accompagno il gruppo, Alessandro vuole rimanere con me; subito assieme, in moto, andiamo in banca, riconfermiamo il biglietti e, dopo aver saltato da un’agenzia all’altra, compriamo il biglietto dell’autobus. Siamo andati alla Saigon Railways Tourist Service (836 7970, 275C D Pham Ngu Lao; 7:30 – 11:30 e 13 – 16:30), ma i biglietti erano esauriti; ci verrà spiegato in un secondo momento che solo tramite agenzie turistiche che si prendono una commissione del 15% su ogni biglietto, potremmo avere un posto in treno. Poiché un mezzo vale l’altro, optiamo per non prenderci la classica inculata del turista, visto che sarebbe anche in via consapevole e prendiamo i biglietti dell’autobus.

Verso le 11:30 abbiamo finito tutte le commissioni e iniziamo la vera giornata con un rilassante massaggio.

Mentre Alessandro si fa coccolare ancora un poco, io scendo a “cercare” il nostro mezzo di trasporto per la giornata e, fortuna delle fortune, un cartello reca la scritta “Motor for rent”; un solo pensiero: “quella moto sarà mia per oggi!”. La signora vorrebbe il passaporto, ma dopo varie contrattazioni riesco a lasciarle solo la patente e via con la nostra moto, Alessandro alla guida e io dietro con la Lonely Planet alla mano, che lo dirigo verso il nostro giro di ho Chi Minh City!

La moto è una grande cosa, da provare assolutamente, soprattutto nel traffico delle ore di punta! Inoltre abbiamo trovato delle persone deliziose che, poiché ogni tanto ci perdevamo le vie, ci aiutavano a ritrovare la via!

Saigon è forse la città con i segni più salienti lasciati dalla guerra del Vietnam, non ha una sua identità ed è semplicemente un blocco di cemento dove la gente vive e cerca di ricostruire ciò che è stato distrutto dall’assurdità dell’uomo.

Quando si sente Saigon, infatti, vengono alla mente tutte le immagini più brutte della guerra del Vietnam, prima fra tutte l’immagine di un monaco buddista avvolto dalle fiamme, Thich Quanq Duc, di 66 anni, che il 11.06.1963 partì dalla pagoda di linh Mu, sul fiume dei Profumi a Huè, con la sua Austin bianca, per immolarsi dandosi fuoco in segno di protesta contro la politica del presidente Diem, spalleggiato dagli americani.

Proprio per questo, per non dimenticare e per vedere anche sotto un’altra ottica (quella vietnamita) quella guerra così tristemente famosa, si deve visitare il museo della guerra sul Vietnam.

A parte tutti i residuati bellici e un busto in onore dello zio Ho, ci sono ricostruzioni delle celle di prigionia, delle ghigliottine, rispolverate per l’evento e alle pareti della stanza principale del museo, le fotografie più famose della guerra, come ad esempio la fotografia simbolo delle atrocità della guerra del Vietnam, che ritrae il massacro di Song My, nel paesino di My Lai dove il 16.03.1968 vennero uccisi 347 civili fra vecchi, donne, bambini ed infanti.

Verso l’uscita, fotografie dell’eredità lasciata dalla guerra e dall’orange agent, bambini con malformazioni in ogni parte del corpo, ustioni, tumori e tutto ciò per cui invece di combattere si dovrebbe cercare il dialogo.

Alle 20:30 dopo una velocissima cena, in autobus per una rilassantissima notte!

 

11.08.2006 – Venerdì – 11° giorno

Nha Trang

Arriviamo a Nha Trang alle 7:30 di mattina. Ci docciamo velocemente e poi subito visitiamo la pagoda di Lon Son, costruita nel 1886 e più volte rimaneggiata; l’ingresso principale e i tetti sono ornati da mosaici in vetro e ceramica raffiguranti draghi.

La statua del Budda fu eretta nel 1963 per commemorare la lotta della comunità buddista del Vietnam del Sud contro il regime oppressivo di Ngo Dinh Diem; sul basamento compaiono le immagini di monaci e monache buddiste che si tolsero la vita come forma di estrema protesta, seguendo le gesta di Thic Quang Dic.

Prima di buttarci ad oziare al mare, ci dedichiamo alla visita delle torri Cham di Po Nagar, all’interno della cui torre principale c’è la statua di Po Ino Nagar, la Madre del Regno, veneratissimo dai buddisti della zona. Ai suoi piedi un maialino donato da un devoto e tutt’attorno l’incenso dona all’ambiente un’incredibile sacralità.

Dopo aver prenotato la crociera per il giorno seguente presso Mama Linh’s Boat e prenotato alla stessa agenzia il bus notturno per hoi An, visto che alla stazione non c’erano, ovviamente, più posti disponibili, andiamo al mare.

Ed eccolo! Un altro mitico e folcloristico personaggio che solo in viaggio si può incontrare! E’ un ragazzo israeliano di 22 anni (32 dimostrati), con una voce rochissima, l’occhio iniettato di sangue e la fiatella talmente alcolica da ubriacare tutto il gruppo, che ci racconta di essere “scappato” in Vietnam dopo la chiamata alle armi contro il Libano; lui è una persona pacifica, ci racconta e il Libano è un poso sicuro, ci puoi anche nuotare!!! Alla domanda, “ma quanto ti fermi qui?”, risposta: “aspetto che si calmino le acque nel mio paese e poi torno”…

 

12.08.2006 – Sabato – 12° giorno

Nha Trang – Giro Isole – Nha Trang – Hoi An (bus notturno)

Oggi ce la prendiamo con calma, del resto questo è il nostro giorno di relax, prima della notte in bus!

Partiamo in bus alle 8:45, con altri sfaccendati come noi, e poi in barca; vengono caricate le provviste e subito si parte!

Arriviamo a Mun Island detta anche Salangane e primo tuffo; si dovrebbe fare snorkelling per ammirare la barriera corallina, ma la guerra si è portata via anche quella, probabilmente l’impatto e il calore delle bombe gettate nell’acqua ha distrutto quella che una volta doveva essere un fondale davvero bello…

Poi si mangia, vicino a Mot Island, un menù davvero ricco, e frutta a volontà; e poi il bar in acqua con la degustazione del vino di frutta, per cui Nha Trang e dintorni sono noti.

Proseguiamo a Tam Island e ancora frutta per finire la visita con l’acquario.

Bello, da fare, da ripetere, anche per la simpatia degli animatori! Non nascondo che la cosa sia molto turistica, ma ogni tanto si può anche fare uno strappo alla regola, soprattutto se la stanchezza si fa sentire; poi è piaciuto a tutti, nessuno escluso!

Doccia in una camera affittata per l’evenienza, panino ripieno di qualunque cosa trovabile in Vietnam presso le bancarelle e poi via, alle 19:00 con il nostro bus dell’Open Tour che ci viene a prendere direttamente davanti all’hotel.

 

13.08.2006 – Domenica – 13° giorno

Hoi An

Arriviamo ad Hoi An alle 6:00 e ovviamente, come è classico, cercano di portarci nell’albergo dell’amico; dopo un poco di parole, riusciamo a farci portare all’Huy Hoang II Hotel, prenotato telefonicamente il giorno prima.

Facciamo subito colazione, una veloce lavata e poi, con la sacra lonely, ci immergiamo nella visita della città di Hoi An, seguendo il bellissimo percorso a piedi.

La pioggia conferisce un fascino d’altri tempi alla stupenda città vecchia dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Ciò che mi stupisce di questa città, è l’armonia dell’architettura e la conservazione davvero unica dei suoi palazzi; la storia si conserva splendidamente nei templi della città e il quartiere vecchio è un incantevole insieme di templi, pagode, dinh, santuari, dimore di clan, negozi ed abitazioni private.

Tuttavia, in totale sincerità, ho come la sensazione di essere riuscita ad apprezzare a pieno la bellezza di questo patrimonio, se non all’interno dei templi, in quanto ogni casetta è adibita a grande negozio e mi è sembrato più di fare un giro per un grande centro commerciale più che per una città Patrimonio dell’Unesco.

Perpendicolarmente al fiume corre la via più antica, Le Loi, risalente a quattro secoli fa, mezzo secolo più tardi venne edificato il quartiere giapponese con il suo ponte coperto; 50 anni dopo sorse, nella parte occidentale, il quartiere cantonese.

Il mercato centrale di Cho Hoi An è davvero caratteristico e suggestivo e conferisce ancora più fascino al luogo.

Uno dei tratti più interessanti di queste abitazioni è la varietà della loro struttura architettonica che si presenta assai diversa soprattutto nella distribuzione dello spazio, ma anche nella decorazione, nelle sculture e nella disposizione del cortile interno; lo spazio è utilizzato in modo creativo.

Passeggiando per le vie di questa incantevole città si possono osservare gli influssi cinesi e giapponesi evidenti nell’architettura, nella scultura e nelle decorazioni, ma soprattutto la maestria degli architetti vietnamiti che hanno saputo assimilare queste suggestioni in modo creativo e senza mai ripetersi. Uno dei migliori saggi architettonici è il Cau Nat Ban, costruito nel XVII secolo dalla comunità giapponese.

Non perdetevi la Sala riunioni della congregazione cinese del Fujian, in seguito trasformata in un tempio dedicato al culto di thien Hau, il tempio di Quan Cong, cinese, dedicato a Quang Cong, il ponte coperto giapponese, costruito verso la fine del XVI secolo ed infine la Casa di Tan Ky, residenza di un ricco mercante vietnamita e costruita due secoli fa.

In generale perdetevi e lasciate che il vostro sesto senso vi porti alla scoperta di queste meraviglie!

Appena fuori dal mercato prendo la mia sana dose di “sana contrattazione” per il pulmino privato che domani ci scarrozzerà per mezza giornata fino a Huè; nella stessa agenzia Federica compra il biglietto aereo per Hanoi.

Cena nel turisticissimo ristorante del centro storico e poi nanna, domani ulteriore levataccia!

 

14.08.2006 – Lunedì – 14° giorno

Hoi An – My Son – Marble Mountain – Danang – Huè

Partiamo davvero presto, alle 5:45, compriamo 16 baguette e 16 formaggini per la strada e siamo a My Son alle 6:20, giusto in tempo per fare i biglietti ed entrare con la luce dell’alba in completa solitudine.

My Son è il principale sito cham ed è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco; esso rappresenta per il regno Champa ciò che grandi città come Angkor, Ayu-thaya, Bagan e Borobodur hanno rappresentato per le rispettive civiltà.

Tuttavia, non aspettatevi di trovare la magnificenza e l’incredibile stato di conservazione dell’Angkor Wat; purtroppo, infatti, durante la guerra con gli Stati Uniti la regione di My Son fu completamente devastata dai combattimenti e gli americani, per colpire i vietcong, che usavano My Son come base, bombardarono anche i monumenti. I segni sono tutt’oggi visibili, nelle enormi ed immense buche lasciate sul terreno e dalle crepe presenti in tutti i decadenti monumenti.

Il governo vietnamita ha avviato un programma di restauro, ma a parte una raccolta di opere in un tempio adibito a museo, non sembra sia stato fatto altro.

Con la morte nel cuore e con la consapevolezza ancora più consolidata che “la guerra non è la risposta”, saliamo nel nostro pulmino e ci dirigiamo verso le Marble Mountain, cinque alture rocciose ognuna delle quali rappresenta un elemento naturale di cui porta il nome.

Noi saliamo a Thuy Son, simboleggiante l’elemento acqua (infatti piove a dirotto!!!), e subito, in cima alla scalinata, vediamo Ong Chon, la porta completamente crivellata di proiettili.

Ma il fascino delle Montagne di Marmo, per cui vale davvero la pena di non perdersele, è la Grotta di Huyen Khong, che si raggiunge dopo aver percorso 105 scalini (mamma che caldo a risalire!!!), illuminata dalla luce naturale e celata sotto la magia del fumo degli incensi, che ricorda una cattedrale; questa grotta fu anche adibita come ospedale da campo dai vietcong durante la guerra contro gli Stati Uniti.

Tutta la zona è disseminata da grotte e grotticine tutte da scoprire, con l’aiuto delle torce elettriche e dall’astuzia dei bimbi! Ma come sempre il nostro tempo è contato e dopo aver dato uno sguardo a China Beach lambita dal Mar Cinese Meridionale dal belvedere di Vong Hai Da, proseguiamo fino a Danang (solo 10 minuti di bus!)

Il museo di arte cham è forse l’attrattiva principale della regione, ma come sempre, in mezz’ora noi abbiamo visto tutto!!!

Quindi, dopo un lautissimo pranzo a base di pho, ovviamente, proseguiamo fino a Huè, dove sotto un diluvio da arca di Noè cerchiamo di vedere la cittadella, ovviamente dopo aver avuto il mio momento di gloriosa e sana contrattazione per l’escursione sul fiume dei profumi e il bus del giorno seguente!

Direi che la cittadella l’ho solo scorta, ma mi sono divertita davvero tanto a sguazzare con i sandali immersa nelle pozzanghere fino a mezzo polpaccio! Che incredibile senso di libertà! E’ un poco come essere tornati piccini!

 

15.08.2006 – Martedì – 15° giorno

Huè – Fiume dei Profumi – Hanoi (bus notturno)

A che ora siamo partiti? Ma alle 6:00, siamo mica venuti in vacanza per riposarci, no? La nostra barca ci sta aspettando al porto, per portarci lungo il Fiume degli Od… ops, scusate, dei profumi!

Il sole ha deciso di fare gruppo con noi e ci accompagna nella nostra visita, facendoci godere la giornata fino in fondo.

Huè è un posto incantevole, durante la traversata scorgiamo i pescatori intenti nella pesca con le loro strane reti, per poi giungere ad uno dei focolai della protesta contro il governo all’inizio degli anni ’60, la Pagoda di Thien Mu.

Questa pagoda è un vero e proprio simbolo del Vietnam; la torre ottagonale, Thap Phuoc Duyen, sette piani per 21 m di altezza, edificata nel 1844 durante il regno dell’imperatore Thieu Tri è diventata il simbolo della città di Huè; dietro il santuario principale della pagoda si può vedere l’automobile Austin con la quale Thic Quang Duc si recò a Saigon per darsi fuoco contro il regime di Diem.

Lasciato questo pezzo di storia, proseguiamo verso il tempio di Hon Chen, dedicato alla dea Po Nagar, protettrice del regno di Champa; sebbene sia molto venerato, a noi profani non affascina più di tanto; torniamo pertanto in battello per fare pranzo… alle 10!!!

La tomba di Minh Mang, quarto figlio di Gia long e secondo imperatore della dinastia Nguyen, è forse la più maestosa delle sepolture imperiali; con i giardini che circondano i monumenti ricoperti di pini, fior di loto rossi e alberi frangipane.

Sebbene ci sia una calura davvero insopportabile e i turisti affollino ogni dove, l’architettura così armoniosa di questo posto mi fa assaporare un senso di pace e tranquillità davvero unico.

Purtroppo, ma forse il bello sta proprio qui, si deve proseguire, stavolta in bus, verso altri posti incantati.

Sebbene la tomba di Khai Dinh evidenzi il declino della cultura vietnamita durante l’epoca coloniale, presentando un’evidente sintesi di elementi vietnamiti ed europei, non fosse altro per i volti dei mandarini civili e militari schierati di fronte al cortile d’onore insieme a schiere di elefanti, essa ha il fascino proprio della decadenza, chiaro anche nei muschi che adornano la costruzione e dalla monocromia della sua porta di ingresso.

La tomba di Tu Duc, completata in soli tre anni nel 1867, con l’impiego di 3000 uomini, appare come un palazzo in miniatura in perfetta armonia con lo scenario naturale.

La tomba, a cui la tradizione vieta di accedere, è coperta da una fitta pineta.

Il complesso è enorme, ma si potrebbe davvero vivere una vita intera immersi nello scenario incantevole del lago che avvolge in perfetta armonia e incantevole pace la tomba della moglie e del figlio adottivo dell’imperatore.

La tomba di Tu Hieu, avvolta nella semioscurità del verde, sembra più un luogo di preghiera, con i suoi numerosi incensi e la dimora dei monaci.

Davvero stravolti, arriviamo alla cittadella, la cui costruzione fu avviata dall’imperatore Gia long, il primo che fece di Huè la capitale del paese.

Il sole non c’è più, ma la pioggia conferisce al luogo un fascino d’altri tempi; la città imperiale racchiude al suo interno la Città Purpurea Proibita, residenza privata dell’Imperatore.

Gli unici servitori che vi avevano accesso erano gli eunuchi, i soli a non costituire una minaccia sessuale per le concubine del sovrano. La Città Purpurea Proibita venne quasi completamente distrutta durante l’offensiva del Tet nel 1968 e oggi si presenta come un grande campo coltivato o semi abbandonato nel quale solamente alcuni edifici sono ancora visibili come la Biblioteca Imperiale, che conserva sopra il tetto elaborate statue in ceramica di mandarini ed altri personaggi, ed i resti del Teatro Reale che ora ospita il Conservatorio Nazionale di musica.

Gli stessi americani riconoscono oggi che i maggiori danni inflitti furono causati dalla loro stessa aviazione ed in Francia, sul finire degli anni ’80, un noto giornalista affermò, con non poche polemiche, che sarebbe stato meglio uccidere un numero maggiore di vietnamiti piuttosto che distruggere i palazzi e le vestigia dell’antica città imperiale.

Il Vietnam, quel Vietnam che tutti tristemente ricordano, affiora sempre, in ogni luogo, in ogni dove, sia nel ragazzo con tumori evidenti sulla pelle, sia nella distruzione del terreno, sia nelle opere d’arte, che come il carattere dei vietnamiti, reca i segni più evidenti di quel passato doloroso e difficile da dimenticare.

Stremati, saliamo sull’ultimo bus notturno, che ci porterà all’ultima città del nostro viaggio in Vietnam, Hanoi.

 

16.08.2006 – Mercoledì – 16° giorno

Hanoi

Hanoi ha il fascino della vera città vietnamita, quel fascino di chi, come lei, forse non ha mai perso l’identità socio culturale, di chi ha saputo passare la guerra e il colonialismo, sempre a testa alta con la spiccata ed ingenua forza della sua millenaria personalità.

Le influenze che ha apportato il colonialismo si sono fuse con incredibile armonia dentro le strade e i mercatini della città, conferendole quel fascino della grazia parigina, con il giusto pizzico della tranquillità asiatica.

Il suo centro storico, pur essendo un mercato a cielo aperto, riesce comunque a trasmettere un poco di quella quotidianità che solo un vietnamita può vivere, ma che un viaggiatore dovrebbe riuscire ad apprezzare, quasi amandola.

Mi perdo, mi stupisco, odoro, assaggio, passeggio sotto la pioggia, lasciando che quest’incredibile realtà vietnamita mi investa i sensi in un completo turbinio di stupori e sensazioni uniche, tutte in continua evoluzione e scoperta.

Hanoi è da assaporare da soli, lasciandosi cullare dalla sua tranquilla frenesia, dal suo orientale “savoir faire”, dalle voci cantilenanti dei vietnamiti e dal rumore del traffico.

Incredibile una giornata ad Hanoi, davvero unica ed imperdibile, sicuramente ciò che mi ha affascinato di più del Vietnam oltre alle classiche e magnifiche opere che tutto il mondo gli annovera.

Sebbene distrutta in parte dai bombardamenti durante la guerra del Vietnam, Hanoi è quasi stata completamente sanata; primo obiettivo della ricostruzione, il Long Bien, il ponte lungo 1682 m costruito tra il 1888 e il 1902 sotto la direzione di Gustave Eiffel.

Certo che non si può venire in Vietnam, ad Hanoi e non andare al Lang Chu Tich Ho Chi Minh a portare omaggio al grande zio Ho, quindi mi devo davvero sbrigare, visto che il mausoleo chiude alle 11!

La salma è esposta in un ambiente davvero siberiale (probabilmente la temperatura ideale per mantenere lo zio Ho tonico) e la fila di turisti, ma soprattutto di vietnamiti è davvero interminabile.

Solo ora mi rendo davvero conto di quanta adorazione ci sia da parte dei vietnamiti nei confronti di chi li guidò verso la libertà contro le potenze del mondo occidentale.

Tutto nell’interno del parco parla di ho Chi Minh, la sua casa, completamente arredata con i suoi affetti personali, dal classico cappello, ai suoi libri, le fotografie, esposte in ogni dove assieme ai busti e la meravigliosa esposizione fotografica, ricca di frasi davvero ricche di intelligenza ed umanità del rivoluzionario del XX secolo che si distinse per avere condotto la più lunga lotta contro le potenze del mondo.

Mi siedo in riva all’Ho Hoan Kiem, il lago della spada restituita, attendendo che la Divina Tartaruga mi dia la spada portentosa restituitagli dal re Le Thai To dopo la resistenza di ben 10 anni contro l’invasione dei Ming e mi lascio cullare dall’incessante traffico della grande via urbana Le Thai To, poi proseguo pedissequamente i consigli della Lonely Planet, fino a sera.

Prima però porto Emanuela all’ospedale, ha la febbre alta, da ben tre giorni e le tre tachipirine giornaliere sembrano solo acqua fresca; la Europe Assistance mi consiglia di farle fare gli esami per scongiurare dengue e malaria e dopo un andirivieni e esami del sangue, scopriamo che si tratta di un’infezione virale; la dottoressa ci da subito la cura ed Emanuela passerà un pò di giorni a letto!

 

17.08.2006 – Giovedì – 17° giorno

Hanoi – Pagoda dei Profumi – Hanoi

Ieri ho davvero contrattato tanto, oggi merito di godermi lo straordinario paesaggio per la Pagoda dei Profumi o Chua Huong in lingua vietnamita!

Partiamo alle 8:00, dopo aver rimpinzato la nostra pancia con deliziose varietà di dolci in pasticceria e guardiamo increduli la città; è tutto allagato, piove a dirotto e la pioggia arriva alle ginocchia; i motorini continuano imperterriti la loro frenetica corsa verso il lavoro, i pedoni fanno i salti fra le alture a ridosso dei marciapiedi e le gomme delle auto producono onde alte quanto le auto stesse!

Alle 10:50 siamo al molo (?) per prendere le nostre chiatte metalliche dipinte sommariamente di bordeaux.

Ed allora inizia il fantastico tragitto, che durerà ben 1 ora e mezza, in mezzo al silenzio della natura rotto solo dal vellutato infrangere delle onde sulla barca; le montagne sorgono dal nulla, ingoiate completamente dalla fitta vegetazione, la stessa che la fa da padrona nel fiume; il verde, accecante e rinfrescante è tutto ciò che ci sta attorno, assieme a noi altre barche, ma sempre in religioso silenzio.

Vorrei davvero che questo tragitto non finisse mai, non voglio abbandonare quell’incredibile senso di pace ed armonia con la natura che solo qui sono riuscita a provare, quella dolce e lieve nebbiolina mi potrebbe inghiottire e celare ancora un poco…

Iniziamo il trek, immergendoci in quel verde che tutto inghiotte, su per la montagna, in 50 minuti di facile, ma scivolosissimo trek.

Giungiamo in cima esausti per il caldo e per l’incredibile sudata, giungiamo infine a destinazione. Immersi nella natura e avvolti dai fumi degli incensi, all’interno di una enorme grotta, dall’aria estremamente suggestiva, troviamo all’interno la Pagoda dei Profumi, luogo di grande culto per tutti i religiosi di fede buddista del Vietnam.

La pagoda più importante è la Thien Chu, o ascensione al Cielo, risale al XVII secolo, di fronte sorge una torre campanaria a 3 piani; la pagoda sorge all’interno di una vasta grotta ed è considerata la culla del buddismo in Vietnam. Se avete la fortuna in una delle sette settimane della festa tradizionale della pagoda che vanno da marzo ad aprile, vi troverete immersi in migliaia di fedeli che dalle barche esclamano “A di da phat” – “Lode ad Amitabha Buddha!”

Ritorniamo al nostro bus, immersi nuovamente in quegli scenari naturalistici di grande suggestione, dove i profili tormentati dei monti Hoang Son, formazioni carsiche poco elevate dalle sagome aguzze e dalla fitta vegetazione, ricordano insistentemente che Madre Natura ci osserva e ci offre sempre estrema gioia e pace.

Ieri abbiamo comprato biglietti per il teatro delle Marionette sull’acqua; siamo tutti e ci mettiamo nel nostro posticino in terza fila.

La scenografia vanta una pagoda immersa in uno stagno, sulla nostra sinistra gli artisti intonano melodie e canti, dall’acqua affiora lo spettacolo, riccamente animato da fumi, scintille e il tutto saggiamente condito dalla musica.

Non aspettatevi di trovare i bimbi incuriositi citati dalla Lonely, quelli probabilmente sono già cresciuti e stanno dietro le quinte ad azionare i draghi d’orati; lo spettacolo ha una densità di turisti che rasenta il 99.9% periodico di turisti, ma rappresenta comunque un’espressione artistica molto antica.

Le storie rappresentate sono molto semplici e rappresentano per di più scene rurali, visto che furono inventate dai contadini del delta del fiume rosso che trascorrevano gran parte del loro tempo nelle risaie allagate; nello spettacolo, la piantagione del riso, la lotta dei bufali, l’oca cacciata dalla volpe e così via.

 

18.08.2006 – Venerdì – 18° giorno

Hanoi – Halong Bay

Partiamo alle 7:30 per quello che è il culmine del nostro viaggio in Vietnam, per arrivare finalmente alle 11:00 ad Halong city.

Il paesaggio è davvero mutato e le formazioni rocciose di origine calcarea tutte variopinte dalla verde vegetazione ci iniziano a far riaffiorare le sbiadite fotografie della baia di Halong

Prima di partire, dobbiamo purtroppo litigare con la nostra guida, che vorrebbe attendere fino a qualunque ora altri passeggeri, facendo forza sul fatto che abbiamo pagato per un tour privato, dopo una mezz’oretta di concitate parole, salpiamo.

Il nome Ha Long significa “drago discendente” e deriva da una leggenda locale; un drago celeste e la sua prole ricevettero dall’Imperatore di Giada l’ordine di fermare un’invasione dal mare; sputarono allora frammenti di giada che, trasformatisi in meravigliose isole e formazioni carsiche, aprirono falle nelle navi nemiche. Un’altra versione della leggenda vuole che le gemme fossero perle e che la baia si formò quando il grande drago si tuffò a mare e con la coda ondeggiante aprì sulla terraferma valli e crepacci che si colmarono d’acqua.

A qualunque leggenda decidiate di credere, sappiate che entrambe concludono narrando che il drago, incantato dalla propria creazione decise di stabilircisi e ancora oggi abita le acque della baia, quindi occhio a quando vi gettate in acqua per fare un sano e rilassante bagno o quando kayakkate qua e là in quelle acque verdi smeraldo!

Una visita ad almeno una delle sue grotte deve essere fatta per forza.

Secondo una leggenda, la grotta di Trinh Nu (Vergine) prende il nome da una fanciulla i cui genitori, molto poveri, erano costretti a noleggiare una barca da un ricco signore del luogo. Un giorno, quando la coppia non poté pagare la somma dovuta, a saldo del debito lui pretese la loro bella figlia. Celebrato il matrimonio, lei si rifiutò di cedergli; l’uomo la fece percuotere e infine la recluse in una grotta, dove la fanciulla morì di fame, ma rimase sempre immortalata nelle forme di uno sperone roccioso che emerse nel punto in cui fu sepolta.

Sebbene la leggenda sia davvero affascinante, la grotta più spettacolare rimane quella di hang Dau Go, ricca di stalattiti e stalagmiti che ricordano sagome umane, di animali ed uccelli; i primi turisti francesi che la visitarono a fine ottocento la soprannominarono la Grotta delle meraviglie.

Ogni luogo della baia di Halong è di una bellezza senza paragoni da sembrare quasi impossibile che esista.

Le sue acque smeraldo riflettono le verdi formazioni rocciose che emergono dall’acqua, la pace e la serenità che infonde questo posto ha dell’incredibile; sembra davvero di essere sospesi in un’altra dimensione, a volte nella preistoria, nell’epoca del “grande brodo”, altre volte sembra di essere in un futuro lontanissimo, come unica traccia del genere umano.

In qualunque era pensiate comunque di essere, godetevi il silenzio e il suono delle vostre mani e delle vostre gambe che vi spingono nella completa immersione con la magia del posto, con quelle vellutate acque che vi massaggiano con delicatezza il corpo e con gli occhi pieni di luce e di pace.

La baia di Halong è indescrivibile, forse è davvero solo una leggenda, della quale ci si può portare solo il suo indelebile ricordo, ricco solo di sensazioni, che non si riescono a descrivere solo con occhi.

Ogni momento del giorno, ogni condizione climatica conferisce alla baia un fascino che solo poco prima era nascosto, quasi a scoprire una dimensione diversa, con i suoi suoni, odori, colori, gusti.

Godetevela più che potete e cercate di impressionare più che la pellicola della macchina fotografica, i vostri sensi, cercate di gustare quest’incredibile meraviglia di Madre Natura.

 

 

 

 

19.08.2006 – Sabato – 19° giorno

Halong Bay – Hanoi

Ieri sera ci siamo dati alla pazza gioia, bevendo alcolici e chi più ne ha più ne metta; sul tetto della barca quasi un inizio di orgia!

La baia è così, forse amplifica le nostre sensazioni, sciogliendo le inibizioni e facendoci divertire più complici, uniti da quelle sensazioni che solo noi, con uno sguardo, possiamo trasmetterci.

Un ultimo tuffo e poi di nuovo la pioggia, infine il porto alle 11:30, il pranzo e il bus per tornare ad Hanoi, la mitica capitale del Vietnam, chi per ennesimi acquisti, chi per rigustare un pò di vero Vietnam, aiutato ancor di più dall’esplosione di sensi avvenuta ad Hanoi.

Forse l’immersione in Hanoi si è spinta un poco troppo in là, anche nel tipicissimo ristorante scelto per la cena; nemmeno io, che mangio, vi assicuro di tutto, in qualunque condizione igienica, sono riuscita a mangiare molto!

Beh, però almeno posso dire di aver mangiato il topo, che ne dite? Troppo poco? Beh, bisogna pur accontentarsi nella vita!

Non ancora esausti, ci buttiamo in discoteca; ci siamo divertiti tantissimo, un nuvolo di vietnamiti ci ha subito circondato, dandosi il cambio, ridendo, scherzando; noi come loro, ballavano coinvolgendo tutti i presenti, fino a notte fonda, fra una birra ed un cocktail vietnamita.

Ragazzi, che cos’è la vita notturna della capitale!

 

20.08.2006 – Domenica – 20° giorno

Hanoi – Hoa Lu – Tam Coc – Ninh Binh – Hanoi

Partiamo alle 8:30, aspettando per ben 2 ore il nostro pulmino, continuando a discutere col ragazzo dell’agenzia.

Forse è stata una mia leggerezza, del resto ormai avrei dovuto capirli i vietnamiti, disponibilissimi, ma davvero troppo rigidi per poter comprendere ed accettare un cambiamento al programma da loro proposto!

Comunque sia, sebbene già stremati dalla levataccia, dopo due ore e mezza siamo alle porte della Bich Dong Pagoda.

All’interno un ragazzo sta suonando uno strumento monocorda improvvisato; il suo naso, completamente cosparso di bolle, ci fa ricordare nuovamente che qui, pochi anni fa c’è stata una guerra; non so quanto si protrarranno i segni evidenti di ciò che è stato, visibilissimo anche nell’orgoglio e alle volte nella diffidenza e negli sguardi, celati sotto all’incredibile e stupendo sorriso delle persone, certo è, che è difficile non provare un senso di rabbia e disgusto per chi è convinto che pace e democrazia si possano esportare con le bombe e con le riprese cinematografiche degli effetti del Napalm.

Però, purtroppo, mi fa male essere inerme di fronte a tanto dolore, camminare su luoghi che sono stati teatro di indicibili ingiustizie, guardare i volti di persone che hanno perso cari o che hanno dovuto reinventarsi perchè i loro campi sono stati bruciati; è facile fare la guerra ed andarsene, difficile rimanere, doverlo, volerlo fare, difficile cercare di risollevare quella terra martoriata non solo dalle bombe, ma sciolta anche dagli agenti chimici e dalle brutture dell’animo umano, difficile, ma quella è la loro terra e oggi, come mai nella mia vita, comprendo quanto possa essere forte l’amore per il proprio loro paese, quanto questo popolo voglia farlo rinascere, voglia che si risollevi e che cammini con le proprie gambe, verso un futuro di pace, figlio di quelle tradizioni antiche che hanno fatto di questo paese quello che oggi chiamiamo Vietnam.

Continuiamo per Hoa Lu e poi, dopo pranzo, subito sulle chiatte metalliche dipinte di bordeaux, nostre inseparabili amiche, verso Tam Coc, definita la “Baia di Halong delle Risaie”.

L’incantevole mondo acquatico che si può ammirare dalla barca è simile a quello scorto in Halong Bay, ma il tutto è scandito dal ritmo della quotidianità della popolazione rurale.

Nel tratto iniziale del percorso il pigro fiume Ngo Dong si confonde con le risaie allagate, poi si dirige lentamente verso tre grotte scavate nella roccia calcarea; la prima è davvero divertente, bisogna accovacciarsi per non toccare il soffitto, nelle altre affascinanti stalattiti e stalagmiti.

Fra l’una e l’altra si aprono lagune dalle acque basse e limpide, cinte da scogliere adorne di verde; la tranquillità è turbata unicamente dalle donne che vi si avvicinano ed incessantemente cercano di farvi comprare i meravigliosi pizzi lavorati a mano (… che comunque non siamo riusciti a comprare… da buon discovery!)

Stanchi, ma davvero contenti, ritorniamo in albergo per rifare il bagaglio, domani ci attende il Laos!

 

21.08.2006 – Lunedì – 21° giorno

Hanoi – Vientiane

Partiamo alle 7:00 dall’albergo e dopo 45 minuti, passati in uno stipatissimo minivan, con il mio sedere all’aria fuori dal finestrino, arriviamo all’aeroporto.

Poco tempo per fare i biglietti, chiudiamo la cassa in dong e poi la lunga attesa per il volo.

L’ansietà di arrivare dilata il tempo, l’attesa è sempre lunghissima quando non si vede l’ora di partire per giungere nel posto tanto agognato!

E poi saliamo sull’aereo, un bielica talmente rumoroso da non far sentire che cosa sta dicendo il vicino!

Sorvoliamo il Vietnam e parte del Laos e quando ci appare di nuovo una lingua marrone in mezzo al verde, il mitico Mekong, sappiamo di essere arrivati.

Vientiane è una città molto strana, sembra di essere soli, o almeno davvero in pochi; del resto è davvero poco densamente popolata, avendo solo 500000 abitanti, sette volte e mezzo in meno di Roma! L’aeroporto dista poco più di 20 minuti dal centro, anche se sinceramente ho dovuto leggere più e più sulla lonely che quello fosse davvero il centro…

Abbiamo posato subito i bagagli all’albergo che avevo prenotato la sera prima telefonicamente e poi, con dei tuk tuk, ci siamo fatti portare al Pha That Luang, meglio noto dal mio gruppo come “pagodone d’oro”.

Situato su un’altura il Grande Stupa Sacro è uno dei tesori storici del Laos; il tempio buddista, che raggiunge un’altezza di 45 metri, venne edificato nel XVI secolo, sotto il regno Lao di Lan Xang, per volere del re Xetthathirat, sul sito di un preesistente tempio khmer, esso rappresenta il simbolo del Laos e merita davvero una visita.

Sebbene la lonely citasse che il tempio è chiuso il lunedì, noi siamo riusciti ad accedervi e ad arrivare fino al secondo livello; tutt’attorno, sui muri del porticato di fronte al tempio, una mostra, spero temporanea, espone dei quadri dipinti grezzamente (delle croste, insomma…)

Lauto pranzo, a base di noodle, in riva al Mekong con vista Thailandia e poi il gruppo si divide; c’è chi pensa di aver già visto tutto del Laos, chi invece mi segue, nella scoperta della capitale, attraverso la visita guidata proposta dalla Lonely Planet.

Mi piace questo posto, è strano, è di frontiera, ma è una frontiera davvero pacifica, le persone incredibilmente disponibili e calme vengono sempre in aiuto, la contrattazione prende sempre le forme di un divertentissimo gioco e la pioggia sembra quasi essere più dolce ed anch’essa in completa armonia.

Il Laos, davvero, non è un posto, ma uno stato d’animo, una sensazione, o più sensazioni, ma tutte incredibilmente positive, aiutate anche dalla leggerezza della curiosità dei monaci incontrati al Haw Pha Kaew, che ci accolgono con un meraviglioso sorriso e un “welcome to Laos”, prima di farci mille armoniose e dolcissime domande.

Il nostro giretto di due orette al massimo, se si segue senza perdersi in ogni angolo di questa città quasi fantasma, ci ha davvero ristabilito da tutte le fatiche del viaggio; ora, meglio che dopo un massaggio, mi sento ristabilita e ristorata e potrei affrontare ancora mille notti in pullman.

Il Laos è così, o almeno è quello che mi ha trasmesso, ti infonde un totale senso di pace e armonia con l’altro e con l’universo, da far scivolare via qualunque forma di stanchezza e di preoccupazione.

Ci ristoriamo per cena in un localino trovato sulla strada e poi, dopo qualche parola nel dehor del nostro albergo, decidiamo di ritiraci; domani 8 ore di bus fino a Luang Prabang!

 

22.08.2006 – Martedì – 22° giorno

Vientiane – Luang Prabang

Oggi più che mai mi rispecchio in questa frase: “il vero viaggio è come ci si arriva, non solo il luogo stesso…”

Alle 7:30 un tuk tuk fa la spola dal nostro albergo fino alla stazione dei bus; pregata da praticamente tutto il gruppo sono stata costretta a prenotare un trasporto turisticissimo, anziché lo sgualfissimo e sfigatissimo, ma sicuramente molto più “vero” mezzo pubblico… Del resto è arrivata quasi la fine e ho davvero chiesto tanto a questo gruppo, che si è davvero lamentato poche volte! Del resto, cosa da non dimenticare, il bus pubblico pubblico, parte alla stessa ora e non si sa quando si ferma… E Tania quindi come farebbe a fare le mille pipì che in una giornata deve fare?

Comunque sia, il nostro bus color pantera rosa parte alle 8:30; io vado a prendere i biglietti con i posti numerati che servono anche per avere il pranzo incluso nel biglietto (quello per cui Marco venderebbe anche la madre!!!) e via che si parte.

Il paesaggio è di un’incredibile ed indescrivibile bellezza; sempre diverso, per la luce che cambia, che viene soffusa dalle nuvole, alle volte celata, per poi riapparire con prepotenza, quasi ferendo il nostro sguardo.

Che bellezza, che grande sensazione di libertà e gioia!

Le mille curve del tragitto fanno avanzare quasi tutte le ragazze del gruppo, io non mi muovo, sono come pietrificata dall’immensa bellezza del paesaggio circostante, ho quasi timore che alzandomi, distogliendo lo sguardo per anche solo un secondo, esso sparisca.

Rimango tutto il tragitto a guardare fuori dal finestrino, ridendo, scherzando, cantando con i ragazzi e cambiando molto spesso posizione, ma i miei pensieri e i miei occhi sono sempre all’esterno di quel vetro.

Riccardo mi sottolinea come se avessimo affittato un mezzo nostro avremmo potuto fermarci a fare qualche fotografia, io gli rispondo che anche a me spiace non fare fotografie, ma forse è meglio così, del resto, cosa riusciremmo a far carpire, cosa riusciremmo a impressionare su quella pellicola, se non un piatto e poco espressivo paesaggio montagnoso che i nostri amici, una volta a casa, potrebbero solo commentare con “che bel posto!”

Ma quello che vediamo, non è solo un bel posto, è appunto uno stato d’animo umanamente indescrivibile; come potrei cercare di spiegarvi l’armonie delle note e negli strumenti di Stairway to heaven senza farvi sentire la canzone?

Forse è per questo che si viene in Laos, per comprendere che esiste davvero; e forse è per questo che voglio tornarci, per comprendere che non è stato solo un sogno meraviglioso!

Arriviamo alla turistica, per come può esserlo il Laos, Luang Prabang.

Non abbiamo nulla di prenotato, proprio perchè, sebbene abbia cercato di contattare svariati alberghi con il cellulare prestato gentilmente e gratuitamente di due ragazzi di Vientiane, non sono riuscita a trovare nulla.

Ma non preoccupatevi, le guest house abbondano, magari come noi sarete smistati in due diversi posti, trovando davvero arduo farvi concedere la gratuità, come infatti non ho avuto, ma un tetto e un letto ve lo trovano, statene certi!

Luang prabang è la seconda città del Laos, ed ha solo 22000 abitanti, in effetti più che la nostra Milano o Napoli, sembra più un paesello rurale con dei meravigliosi templi che spuntano nei posti più impensati in mezzo alla città.

Anche qui il tempo è scandito dalla pace e dalla tranquillità del sorriso dei laotiani, davvero degli incredibili maestri nell’arte del contrattare e nel vendere.

Nel mercatino serale, nei pressi del cuore commerciale della città, il brulicante mercato Talat Dala, potete trovare davvero di tutto, è un buon modo per passare qualche ora all’aria aperta, scambiando qualche sorriso e facendo buoni affari, comprando dei pensierini da portare a casa a parenti ed amici.

Il ritmo della città è scandito dai suoi due fiumi, il Mekong e il Nam Khan, fra i templi, i monaci bruciano incensi avvolti nelle loro tuniche color arancione.

Ogni laotiano che incontriamo ci accoglie con un sorriso e ci invita a partecipare al Boat Race di domani, grande festa in tutta la città, oggi e domani si celebra il Boun Haw Khao Padabin in tutto il Laos!

La festa è largamente sentita dal popolo laotiano e soprattutto a Luang Prabang in questi due giorni si tiene anche il Boun Suang Heua, la corsa in barca sul fiume Nam Khan e una fiera commerciale nel centro città; vista la gioia con cui ogni laotiano la sponsorizza, non ce la perderemmo per nulla al mondo!

Prenoto pertanto per dopodomani l’escursione alle grotte di Pak Ou e alla cascata Tat Kuang Si.

 

23.08.2006 – Mercoledì – 23° giorno

Luang Prabang

Oggi alle 13:00 parte la competizione in barca, l’apice della meravigliosa festa di Luang Prabang! Ci svegliamo abbastanza presto e alle 8:30 iniziamo il nostro giro dopo aver pagato la preprenotazione che avevo fatto su internet del volo Luang Prabang – Bangkok dall’Italia.

Anche a Luang Prabang seguiamo pedissequamente i consigli della Lonely ed iniziamo il nostro giro di questa meraviglia; solo che al gruppo si unisce l’acqua… davvero tanta!

Giocando fra e là tra le pozzanghere, con la magia delle offerte dei monaci, vediamo il Wat Chum Khong, Wat Xieng Muan, Wat Pa Phai, Wat Pha Phutthabath, Wat Xieng Thong.

Poi, dopo aver ammirato la confluenza con il mekong, decidiamo di scendere sul lungo fiume per goderci una sana passeggiata per le bancarelle!

Sembra una festa di paese di altri tempi, ci sono le freccette con i palloncini da scoppiare e mille altri divertimenti, un sacco di gente che cammina lungo la via e delle meravigliose bancarelle di cibo…

Assaggiamo di tutto, ma le mie preferite continueranno ad essere delle misteriose, ma buonissime polpettine!!!

Continuiamo il nostro giro fra i mille meravigliosi templi, visitando il Wat Nong Sikhunmeuang, Wat Saen, Wat Sop, Wat Sirimungun, museo del palazzo reale da fuori poi Wat Mai Suwannaphumaham… ma è già l’ora della gara!

Ci affrettiamo sul lungo fiume, prendiamo posto vicino ad una graziosissima ed attenta bambina e assistiamo questo spettacolo!

Le barche e gli atleti hanno dei colori sgargiantissimi, le barche si continueranno a sfidare in una competizione ad eliminatoria, a due a due fino a sera.

Rimarrei ore a vedere questo spettacolo, ma Luang Prabang chiama, e noi abbiamo davvero poco tempo…

Nel pomeriggio proseguiamo per il Wat Visunalat, uno dei templi più antichi della città, alla cui estremità orientale scorgiamo lo stupa cocomero, il Wat Aham, attorniato da due grossi baniani.

Un sano massaggio, poi grande abbuffata al mercato serale, tra un piatto stracolmo del buffet e una squisitissima coscia di pollo.

Giretto per il mercato e poi ci appartiamo nel dehor dell’albergo, di fronte a noi la musica imperversa, dei ragazzi stanno tenendo una festicciola alla quale veniamo invitati.

Dopo balli, un paio di birre e quattro chiacchiere, stanchi, andiamo a dormire.

 

24.08.2006 – Giovedì – 24° giorno

Luang –Prabang – Pak Ou – Tat Kuang Si

E’ già arrivato il penultimo giorno in Laos…

Partiamo presto, alle 7:30, per poter riuscire a vedere tutto ciò che ci siamo prefissi di vedere, le grotte di pak Ou e le cascate di Tat Kuang Si.

Saliamo sulla barca che ho prenotato la sera prima; iniziamo la risalita del Mekong; attorno a noi sfrecciano numerosissime lance veloci, rumorosissime, ma davvero avventurose!

Non ho voluto chiedere troppo al mio gruppo, ma sappiate che si può raggiungere Vientiane anche lungo il Mekong, in sole 8 ore con queste lance rumorosissime; a parte il lato avventuroso, ci sono alcuni inconvenienti che dovrete mettere in conto: per otto ore non potete muovervi molto, avrete questo rumore assordante, potreste capottarvi…

Continuiamo a percorrere il Mekong, avvolti dalla meravigliosa vegetazione del Laos, scorgendo qua e là le casette in paglia dei locali, in due ore arriviamo a Pak Ou; Tam Ting è una bocca scavata all’interno della montagna, con all’interno numerosissime statue votive dei Budda.

Una bambina sta lavorando indisturbata con il suo coltellaccio, per fabbricare le coloratissime e floreali offerte; all’interno un’atmosfera magica e davvero incredibile.

Saliamo una lunga scalinata per accedere all’altra grotta e qui il buio avvolge la magia delle statue votive; sulla parete la luce di una candela illumina una scritta.

La sacralità di questi luoghi è data dal silenzio e dalla pace, nonché dalla natura che la fa da padrona.

Come sempre, è già tempo di andare, mi godo per un ultima volta lo spettacolare paesaggio, riproponendomi che non sarà l’ultima, che il mekong mi ha emozionato davvero tanto, che prima o poi ci tornerò…

Visitiamo un piccolo villaggio vicino a Luang Prabang di costruttori di carta di riso e poi, dopo un velocissimo pranzo a Luang Prabang, sulle rive del mekong, ripartiamo, stavolta in bus, per Tat Kuang Si.

Il Laos non smetterà mai di stupirmi e di emozionarmi, nei 45 minuti di strada, i miei occhi si sono di nuovo persi nella freschezza di quel verde accecante delle campagne, delle montagne e delle piantagioni di riso.

La grande cascata a balzi di tat Kuang Si precipita su formazioni di roccia calcarea, formando una serie di fresche pozzanghere turchesi, nelle quali ci bagniamo e continuiamo a tuffarci, sebbene faccia freddo e continui a piovere!

Continuiamo lungo il tratto più scivoloso del sentiero (Laura cadendo si porterà a casa una frattura scomposta del coccige…), arriviamo in cima alla cascata, da dove possiamo ammirare la potenza della cascata e il fiume che precipita verso valle.

Prima di salutare questo incredibile e selvaggio Laos, diamo un ultimo saluto alla tigre, la tristissima tigre sottratta ad un bracconiere quando era ancora cucciolo.

Assieme ad una parte del gruppo, saliamo sul Phu Si, per ammirare il tramonto sulla meravigliosa Luang Prabang e visitare il Wat Pa Huak, il Wat Chomsi, il Wat Tham Phu Si ed infine Wat Thammothayalan.

Ultimi acquisti al mercato, cena lungo il Mekong e meritato riposo.

 

25.08.2006 – Venerdì – 25° giorno

Luang Prabang – Bangkok

Ci diamo appuntamento alle 11:30, partenza per l’aeroporto e poi mezza giornata libera. C’è chi va a spendere gli ultimi kip, chi ne cambia di nuovi per gli ultimi acquisti, chi preferisce stare a dormire e chi mi segue nella visita al Museo del palazzo reale; il palazzo è stato eretto nel 1904 come residenza del re Sisavang Vong e fonde in maniera originale gli stili classici lao e francese.

In una sala dell’edificio, il pezzo forte del museo, la famosa efficge del Buddha di Pha Bang, la statua in oro puro che ritrae il Buddha nell’atteggiamento dell’Abhayamudra, o “scacciare la paura”, alta 83 cm e del peso di 42 – 54 kg (le fonti sono dicordi su questo punto).

Prima di uscire dal museo, diamo un’occhiata al Wat Mai Suwannaphumahan, risalente all’inizio del XIX secolo, in passato residenza del supremo patriarca buddista del laos, il Sangkhalat, oggi sostenuta da una forte impalcatura, date le sue condizioni precarie.

Dopo il rito della chiusura della valigia, per alcuni di noi, davvero un’impresa, con due tuk tuk ci dirigiamo all’aeroporto.

Facciamo il check, posando i nostri bagagli su pese improvvisate, ma il Laos è bello per questo e poi aspettiamo di partire nel ristorantino dell’aeroporto.

Mi spiace lasciare il laos, mi sembra di avergli dedicato davvero troppo poco tempo, del resto ho visto solo di sfuggita alcuni fra i più bei ed interessanti monumenti ed ho solo chiacchierato per poco con la gente del luogo; purtroppo è già tempo di salire sull’aereo, e mentre sorvoliamo questo stupendo paese, mi ripropongo di tornarci al più presto!

Siamo tornati all’inizio, dove tutto ebbe origine!!!

Ripresi i nostri bagagli, ci diamo appuntamento alle 20:00 all’albergo dell’andata.

Io e Claudia andiamo a fare un giro a Thanon Kao San Road, dove la vitalità è di casa; non vi volgio celare che sia uno fra i posti più turistici di bangkok, ma è davvero fantastico!

Così tanto che convinciamo tutto il gruppo a tornarci per cena!

Quindi affittiamo due quattro taxi e, come al solito, noodle per tutti!

Poi c’è chi si perde nuovamente in questa via, chi preferisce andare a Pat Pong, come Alessandro, che comprerà un meraviglioso Rolex, per … 12 euro!, regalandomi l’espressione più circospetta che io abbia mai visto ad un ambulante!!!

 

26.08.2006 – Sabato – 26° giorno

Bangkok

Oggi è davvero l’ultimo giorno, e voglio davvero sfruttarlo fino in fondo a costo di massacrarmi e di dormire ogni tratta aerea!

Ci ritroviamo alle 6:30 per la colazione, poi prendiamo subito un taxi per il Lumphini Park, così chiamato per ricordare il luogo natale del Buddha in nepal.

Questo è il parco più esteso e più conosciuto di Bangkok, la gente viene al mattino per praticare sport, le arti tradizionali, o anche solo una classica e salubre passeggita; dentro al parco potrete vedere di tutto, dai medici che provano la pressione e fanno l’estrazione del sangue, ai bimbi in abito nero con il dragone gialloricamato sulla schiena che si allenano alla Thai Box, o, se avrete fortuna come noi, un incontro di allenamento, allievo – maestro.

Passata quell’oretta al parco, iniziamo il nostro giretto dei templi, vicino al lungo fiume.

Visitiamo il Lak Meuang, il pilastro della città, un santuario dedicato allo spirito protettore della città di Bangkok, il famosissimo Wat Pho, il più antico tempio di bangkok, famoso per l’enorme Buddha disteso e per la sua scuola di massaggio.

Diamo una veloce occhiata ai rari negozi – abitazioni di epoca Ratanakosin e poi ci portiamo sul lungo fiume per attendere il battello che fa la spola ogni cinque minuti da una riva ll’altra del mae Nam Chao Phraya, per visitare il Wat Arun, una delle più straordinarie prang di Bangkok, in stile hindu con influenze khmer; forse il tempio più conosciuto di Bangkok, visto che è ritratto in ogni depliant di viaggio…

Ci portiamo al Grand Palace e al Wat Phra Kaew, dove Riccardo e Marco cercano di coprire le gambe in qualunque maniera, addirittura con il pile, per poter accedervi!!!

Il Wat Phra Kaew è uno splendido ed elaborato esempio di architettura religiosa della capirale.

Velocemente passiamo di fronte all’università e galleroa d’arte Silpakorn, alla Siam City Bak per correre al mercato degli amuleti, cheresterarà solo un miraggio letto nella Lonely, visto che abbiamo visto solo polli, zampe di gallina e noodle, ma di amuleti nemmeno a parlarne!

Visitiamo velocemente il Wat Mahatat e diamo un’occhiata fugace alla Thammasat University, per poi portarci con dei freschissimi tuk tuk, al Golden Mount, dove possiamo scorgere Bangkok in tutta la sua straordinaria e confusa bellezza.

Scendiamo e ci portiamo al Marble Wat, ma dopo questa delusione, decidiamo che è venuta l’ora del mercato, il Chatuchak Weekend Market!

Conosciuto in lingua thai come Talat Jatujak, è davvero la Disneyland dei mercati thailandesi; pensatec he il sabato e la domanica ci sono circa 8672 bancarelle, con più di 200000 visitatori; qui si può davvero torvare di tutto, dai capi di abbigliamento thai, agli strumenti musicali, agli amuleti religiosi, alle banconeote contraffatte di ogni nazione che vi possa venire in mente, anche già scomparsa, piatti, padelle, posate, spuntini gustosi e improvvisti come le locuste e le falene, massaggiatori davvero a buon prezzo, sportelli banvcimat, frutta e verdura, una specie di trenino che fa la spola nelle viuzze al suo interno, completamente gratis, musica, balli e danze e per finire, ma sicuramente mi sono dimenticata tutto il mondo, ogni tipo di animale e cucciolo che vogliate comprare o anche solo vedere, lì c’è!

Dopo aver assaggiato di tutto, e dopo un sano massaggio ai piedi, io e Claudia raggiungiamo gli altri al centro commerciale, iniziando così il processo di occidentalizzazione; … forse ci siamo fatte prendere un pò troppo la mano, ci facciamo addirittura fare i capelli!!!

Poi è ora di tornare; una sana doccia e poi l’aeroporto, con i nostri zaini e un sacco di meravigliosi ed insoliti ricordi, un pò cambiati e con la tristezza del ritorno.

 

27.08.2006 – Domenica – 27° giorno

Bangkok – Cairo – Hurgada – Italia

Partiamo in orario, con la confusione dei ricordi che ci affolla la mente, ricchi di nuove sensazioni e di nuove cose da raccontare, arricchiti di una nuova esperienza, stanchi, provati, ma carichi.

Non ci resta che salutarci e darci appuntamento al raduno, a fine mese.

Appassionatamente!

 

Il vero viaggio è nel gustare l’attesa del momento, nelle sensazioni che ti accompagnano nel tragitto, il mezzo di trasporto, la gente, i luoghi e gli odori che solamente si transitano.

Il vero viaggio è lì…E poi si arriva!cambogia1.JPGCopia di IMG_5621.JPGDSCN0292.JPG

Cross Borneo trek – luggage

Buy my guide

Less is better! At the end you would anyhow stink!

Really important is to cram everything inside waterproof sack!

In the following list what I guess that is a must to have with the brand name and the weight. If you would click on the brand name, you would be redirect to the website.

All the rest in my opinion is not needed!

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2 1 154 154 Trousers Montura
2 1 125 125 Tshirt longleaves Montura
2 1 54 54 Technical long sock Xsocks
1 0 150 0 Sunglasses Rayban
1 1 75 75 Hat
3 2 21 42 Slip La Perla
1 1 125 125 Pijama Von Nina C
1 1 220 220 Camel Bag Deuter
1 1 250 250 Icebreaker long sleeve 250 Icebreaker
2,5 2,5 1000 2500 Water
1 1 145 145 N-rit SuperLight Towel N-rit
1 1 80 80 Swimsuite Speedo
1 1 146 146 Flip flop Teva
1 1 150 150 Frontal torch 300Lumen with 3 Batteries  Black Diamond
1 1 22 22 Soap leaves Sea to Summit
1 1 500 500 sleeping bag Decathlon
1 1 100 100 Sacco lenzuolo Decathlon
1 1 650 650 mosquito net structured or inner layer of tend Marmot
1 1 940 940 Selfinflatable mattress Thermarest
1 1 300 300 Yoga Matte Thermarest Thermarest
7 7 30 210 Waterproof bags Sea to Summit
1 1 50 50 Bandana
1 1 62 62 Pillow
1 0 430 0 Trekking stick
1 1 33 33 Space blanket Decathlon
1 1 282 282 Camera Lumix
1 1 40 40 Substitute batterie for Camera Lumix
1 1 320 320 Gopro with 2 Batteries Gopro
1 1 348 348 Akku USB
1 1 120 120 Cables (Iphone, macchina fotografica, gopro)
1 1 1500 1500 Backpack Deuter
1 1 683 683 Medicines  –

Some more information about the things to take:

  • For me it always cold during the night. I do say that I use the sleeping bag just only twice around mount Muller. In case you could bring 1 more long sleeve shirt and trousers against cold.
  • I do prefer to have the inner layer of the tent or a structured mosquito. It would weight more, for sure, but at least you will not lose every night minimum 30 minutes to place it and 30 minutes to remove it and you would be protect 100%
  • Yoga mat and self-inflate mat are in my opinion essential:
  • In the boat the yoga mat will help you to seat in a comfortable way everywhere
  • In the jungle, the yoga mat will help you not to thorn the self-inflate mat because of roots, stones and whatever
  • In the jungle with both you could sleep. Please remember that the terrain will never be flat and there would always be stones, root and fragmented part of trees

 

First aid and co

Here the medicine that I consider essential:

683g  Arzeimittelliste Use
5 Ketorolac trometamina (Toradol) Strong painkiller
16 Merbromin (Mercuro cromo) Healing difinfectant
33 Povidone-iodine (PVP-I) (Betadine creme) Strong difinfectant
50 Toothbrush
40 Toothpaste
16 Betamethasone pills (Bentelan) Against anaphylactic shock
23 Antibiotic
40 Dressing material
40 Plaster
92 Solar cream
2 Butylscopolamine (Buscopan) Strong painkiller for stomachache
16 single-use syringe
5 Metoclopramide (Plasil) Against nausea
100 Micropur Forte Katadyn© Water purificator
65 Mineral salt
22 Bacitracin+Neomicin (bimixin) Intestinal antibiotic
15 Hemostatic cotton
10 Ledum Palustre Homeopathic pills against mosquito
92 Wet wipe
1 Karité butter