Sahara Marathon

Mi stavo allenando da un poco e a novembre ho deciso che se prima maratona doveva essere, che Sahara Marathon fosse!

Almeno avrei unito l’utile (la mia prima maratona) al dilettevole (il viaggio ospitata dai Saharawi).

Ho iniziato ad allenarmi seriamente sin da subito, ma a fine anno, uno strappo muscolare mi ha bloccato e quindi niente maratona… e per non farmi mancare nulla, a pochi giorni dalla partenza, mi sono pure rotta un dito del piede. Poco male… avrei camminato solo 10km, come mi aveva intimato il medico dello sport prima di partire e poi mi rimaneva sempre “il dilettevole”.

Sabato 23 febbraio – Si parte!

Ci incontriamo tutti all’aeroporto di Roma Fiumicino. Distribuzione delle felpe, comprate prima di partire, bellissime e subito indossate, divisione di aiuti umanitari in varie valigie portate vuote per l’occasione, poi lungo check in e piano piano ci si dirige al gate.

A Fiumicino incontro anche lui, il mitico Rubens, colui che rende questo evento fattibile anche per gli italiani, ma soprattutto colui che ci aiuta ad assaporare appieno quella che sarà una delle esperienze più delle della mia vita. Rubens ha partecipato alcuni anni fa alla Sahara Marathon, quando questa gara era ancora una Ultramaratona e se ne è innamorato. Ci ha scritto un libro, “la corsa verso il mare” e ora assieme ad altri fa parte come consigliere dell’associazione 1514 oltre il muro, una Onlus che oltre a sensibilizzare sulla scabrosa vicenda dei Saharawi, aiuta i rifugiati con diversi progetti realizzati attraverso raccolte fondi e singole donazioni all’associazione. E come ogni grande uomo, a suo fianco una grande donna, Elena.

Su Rubens ed Elena potrei scrivere un libro intero, ma forse non basterebbe. Sempre sorridenti, sempre positivi, sempre calmi, pronti alla battuta. In loro trovo amicizia, due incredibili compagni di viaggio, chi mi aiuta a risolvere i piccoli problemi, chi mi ascolta. Dovete venire alla Sahara Marathon anche solo per conoscerli. Giá questo vale il viaggio.

Gli altri miei compagni di viaggio sono davvero incredibili, ognuno ha una storia da raccontare, piacevoli e i miei compagni di tenda unici.

Il viaggio per Smara

Il viaggio per raggiungere i campi é a dir poco allucinante.

In linea d’aria é alquanto vicino, siamo al confine dell’Algeria con Marocco, Sahara Occidentale e Mauritania, ma stiamo andando in un campo profughi… quindi, dopo il volo Roma – Algeri delle 14:00, fatto con la mia compagnia preferita, la Air Algerie, atterrato incredibilmente in punto alle 15:20, si comprano schede telefoniche locali e si cena vicino all’aeroporto per “ammazzare” quelle 8:35 di Lay over…

Ogni volta che mi trovo all’aeroporto di Algeri capisco che tutto é relativo e che il mondo é bello perché vario… per noi italiani gli algerini non hanno proprio il dono dell’organizzazione, ma questo mi fa sempre ridere, perché sicuramente gli stessi pensieri che noi abbiamo nel confronto degli algerini, sono gli stessi dei tedeschi nei nostri confronti e dei giapponesi nel confronto degli europei… quindi mi rilasso, e mi godo sorridendo questa splendida rappresentazione della differenza culturale che tanto amo.

Arrivati all’aeroporto di Tindouf alle 02:20, ghiacciati al punto giusto, dopo aver passato i controlli militari come solo Rubens sa fare, ci mettiamo in gelida attesa del bagaglio… fino alle 4:00…

E qui ho l’incontro della mia vita… il mitico 40!!!

I bagagli vengono caricati su di un camion e noi…

In corriera, saliamo sul mitico 40, che ci accompagnerà ovunque, guidato dal mitico Brahmin

Alle 6:30, dopo solo 2 ore e 59km, la nostra corriera, scortata dai militari, giunge al campo di Smara, in centro, alla Daira. Io mi sento calda come un tonno congelato venduto al mercato ittico di Tsukiji di Tokyo… i miei piedi erano più caldi durante la salita a Capanna Margherita in vetta al Monterosa…

Alla Daira ci aspettano le nostre famiglie per portarci in quella che per una settimana sarà la nostra casa.

Devo ringraziare Rubens per averci detto di “fare attenzione al te”, lui dice che possiamo ringraziare cortesemente e dire che lo prenderemo dopo il meritato riposo… solo la sera capiremo l’importanza di questo consiglio…

Alle 7:30 siamo a casa della nostra famiglia e giustamente, la padrona di casa ci chiede se vogliamo il te… ringraziamo, e gentilmente rifiutiamo perché vorremmo riposare… ovviamente dopo 2 minuti siamo fuori a fare 800000 fotografie dell’alba, ma alle 8:00 siamo tutti addormentanti.

I miei compagni di tenda

I miei compagni di tenda sono delle persone uniche ed eccezionali, non riuscirò sicuramente a descriverli in così poche righe, e me ne scuso.

Matteo é di Rovigo, detto Mataio, arrivato in Algeria ha tolto gli occhiali che rimetterà solo in Italia… però sembra vederci bene e io me ne sono accorta solo ora mentre sto scrivendo… lui é pacato, acculturato e simpaticissimo, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. É il papà dei bambini e un poco anche di Francesca, e non per ultimo é il nostro capo tenda.

Francesca ha 25 anni, lei ha un sorriso splendido e degli occhi incredibili. É solare, simpatica e gioviale ed é la classica persona da prendere in mezzo in ogni scherzo, perché sempre sorridente e mai permalosa. Adora attorniarsi di bambini, adora questo viaggio che é il primo che si é pagata da sola. Lei é l’intrattenitrice per eccellenza dei bimbi… ma anche nostra! La sua miglior performance é stata il rifacimento della valigia al terzo giorno… un’esplosione avrebbe dato più ordine…

Lorenza é il cuore di Informatici senza Frontiere, sembra riservata, ma é un’esplosione di simpatia, con i suoi racconti velati da quella splendida satira, mai eccessiva, ma diretta e sagace. Ha una storia lavorativa incredibile che non fa altro che confermare la sua poliedricità.

All’appello manca Claudio, che incontreremo più avanti. Lui é andato a seguire un progetto di Informatici senza frontiere a Rabouni. Claudio, detto Claudiano, Domiziano, Diocleziano, Vespasiano, Vittiliano (sbizzarritevi con tutti i nomi che finiscono in “iano”, lui risplende a tutti) é sicuramente un personaggio particolare. Lui parla poco, sempre pronto a scherzare e a farsi prendere in mezzo. Il suo hobby é il rifacimento della valigia… chiedete a Matteo, si è addormentato che Claudiano faceva la valigia e si é svegliato dopo circa 2 ore e l’ha ritrovato a fare la valigia. Siamo ancora tutti in attesa che ci stupisca dopo che non ci ha voluto lasciare uno dei suoi due numeri di cellulare… ma anche questa é la bellezza di Ottaviano

Domenica 24 febbraio 2019 – l’ospedale di Bolla

Ci svegliamo riposatissimi dopo solo 3 ore e mezza di sonno profondissimo per essere puntuali alle 12:00 alla Daira dopo una splendida colazione e un secondo rifiuto per il te…

Splendido! C’è un matrimonio. Parte della strada viene chiusa, e ci sono tantissimi regali e persone che ne portano altri. Le donne, completamente coperte e con gli occhi schermati da appariscenti occhiali da sole, sfoggiano degli splendidi tatuaggi all’henné sulle mani… chissà se saremmo così fortunate da averli anche noi?

Sullo sfondo due cammelli con le ginocchia vincolate da corde per impedir loro la fuga, attendono non contenti il loro funesto destino…

Il gruppo é in ritardo. Ottimo, almeno ci possiamo godere questa splendida sorpresa non pianificata. Ci accorgiamo subito che non solo la nostra famiglia é di una gentilezza d’altri tempi, ma lo sono anche tutte le persone incontrate fino ad ora.

Poi partiamo e andiamo a Bolla, a visitare Rossana e il suo ospedale.

Rossana é una delle tante persone incredibili che conosceremo lungo questo viaggio. Lei é italiana, é venuta nei campi profughi e ha deciso di rimanerci. A Bolla, dove l’esercito ha lasciato dei casermoni ed un ospedale, c’è anche un’oasi di acqua. Rossana, con i suoi soldi e gli aiuti che riceve, ha costruito un ospedale per bambini e una casa per la degenza degli stessi assieme alle loro famiglie.

A Bolla, presso Rossana, risiede anche Warda, una bellissima ragazza purtroppo costretta in sedia a rotelle che dipinge magnifiche teiere che vende per il suo sostentamento.

Pranziamo a Bolla e rimaniamo quasi sospesi in questa oasi di umanità, abbellita dall’amore di Rossana e di tutti coloro che credono e si battono per un futuro migliore.

Lunedì 25 febbraio – la famiglia Jujitsu e qualche parola sul te e sull’hennè

Mi rendo conto che non sia proprio bello che io non riesca a ricordare e a pronunciare correttamente tutti i nomi dei componenti del nucleo familiare che ci ha ospitato per una settimana, ma credetemi, non é per noncuranza, é che proprio non ci riuscivo… e con me i miei compagni di tenda…

Abbiamo fatto di tutto, li abbiamo fatti ripetere per mezz’ore intere, registrati e riascoltati… abbiamo fatto esercizi di ripetizione, ma nulla… alla fine abbiamo convenuto che erano tutti una declinazione di “itsu” e la famiglia é stata ribattezzata la famiglia Jujitsu….

Il rito del te

“il primo bicchiere è amaro come la vita, il secondo è dolce come l’amore e ilterzo è soave come la morte”

Il popolo saharawi è molto ospitale, ogni persona che arriva diventa ospite e il segno più grande di ospitalità è offrire il tè, preparato con un rito speciale.
L’arte del tè presso i Saharawi risale a circa 200 anni fa .
Il tè rappresenta la bevanda tradizionale per eccellenza; viene fatto in un particolare modo che si può ritrovare anche in alcune zone della Mauritania, dell’Algeria e Tunisia. Ogni tenda o casa ha a disposizione un vassoio, bicchieri, teiera e zucchero per offrire del tè a qualunque ora e a chiunque si presenti.
Il modo tradizionale di prepararlo necessita di circa un’ora e mezza di tempo (cronometrato…) perché prevede che sia ripetuto per tre volte.  Hajitsu, la padrona di casa, pone nella teiera, sempre ben riscaldata, l’acqua bollente, vi aggiunge una dose di tè verde e un misurino di zucchero. Quando l’infuso, mantenuto caldo sul braciere di carboni ardenti, girati con maestria a mani nude, bolle, ne viene versata solo una parte in un piccolo bicchiere, mentre il rimanente viene lasciato in infusione.
Il rito inizia qui: il contenuto del primo bicchiere viene versato dall’alto da un bicchiere all’altro, a più riprese, in modo da creare in ognuno un piccolo strato di schiuma bianca.

Come è stato più volte detto a Francesca, “non si può mica bere un te senza schiuma!”

Soltanto a questo punto, l’infuso della teiera, viene versato nei piccoli bicchieri di vetro e servito sopra un  vassoio circolare.

In questo modo il tè diventa un rituale che ripetuto diverse volte al giorno serve a riempire le lunghissime giornate nel deserto ed a facilitare la socializzazione…

L’henné

Sempre grazie alla loro incredibile ospitalità, veniamo omaggiati di splendidi abiti locali e monili e noi donne riceviamo il dono più gradito, l’henné… dopo aver visto le splendide decorazioni sulle mani della sposa, siamo tutte molto esaltate di poter avere questo splendido tatuaggio semi permanente…

Pertanto ci sediamo fiduciose, anche quando vediamo che le nostre dita vengono avvolte dal cerotto per lasciare scoperti solo i polpastrelli e degli angoli dei palmi delle mani, uno fatto a triangolo e uno a quadrato… Poi solo i polpastrelli e queste strane figure vengono riempite di henné e il tutto viene avvolto con la pellicola trasparente…

Il risultato è quantomeno terrificante, tremendo… I polpastrelli, arancioni, nel palmo destro, un triangolo arancione (al centro del mio passa anche la linea della vita, quindi vi lascio immaginare a cosa assomigli…), in quello sinistro un quadrato, ma il meglio è rappresentato dalle unghie… SONO ANCHE LORO DIVENTATE ARANCIONI E COSI’ RIMARRANNO FINO A COMPLETA RICRESCITA…

Abbiamo ricercato ovunque… la pelle si “schiarisce” con limone, cloro e dentifricio, le unghie o si fresano o si tengono così… Io sto sfoggiando dal mio ritorno uno splendido smalto semi permanente rosso!

Martedì 26 febbraio – Sahara Marathon

La Sahara Marathon é il pretesto per venire a scoprire questo mondo. Non credo che nessuno pensi di venire qui a fare il suo miglior tempo; dopo 23km iniziano 7km di dune, fa un freddo indescrivibile alla partenza, un caldo indicibile dopo poco e il tempo all’arrivo viene preso con gli scanner dei codici a barre, sempre ammesso che vi ricordiate di passare per il gazebo preposto al “rilevamento dei tempi”, sennò si rischia di essere seganti come dispersi sul tabellone dei finalisti…

E se tutto questo non basta a scoraggiarvi a pensare ad un vostro best time ever, l’arrivo di quest’anno era segnato da una “splendida” e quanto meno pericolosissima scultura fatta da un artista locale… questa é anche la Sahara Marathon.

Correre o camminare nel deserto ha il suo fascino, ci si aiuta a continuare a crederci anche quando sembra troppo difficile o troppo caldo o freddo anche solo per pensare di continuare. Il popolo Saharawi fa il tifo lungo la strada, i bambini con uno splendido sorriso e le bandiere Saharawi che sventolano al vento.

Non ci sono premi per i primi arrivati, ma splendide coppe fatte in ceramica dal laboratorio di El Aioun. E per tutti i finalisti, una medaglia di partecipazione, anch’essa fatta in ceramica di El Aioun che in questa terra così difficile, attorniati e ospitati che una popolazione così incredibilmente ospitale, si carica di un significato ancora più grande che l’essere riusciti ad arrivare al traguardo.

Quella medaglia racchiude gelosamente il ricordo dell’incredibile settimana che ci porteremo per sempre nel cuore, carica di fortissime emozioni che ci riportano ad essere nuovamente quei bambini, quando anche solo un gelato ci rendeva felici.

Mercoledì 27 febbraio – la festa Nazionale

Quest’anno il giorno successivo alla Maratona si commemora la festa nazionale, il 27 febbraio, quando venne proclamata la Repubblica Democratica Saharawi.

Noi siamo a Smara e la parte più bella di tutta la manifestazione é perdersi fra i bambini vestiti a festa che inscenano con i loro abiti tutte le parti importanti della vita Saharawi.

Sono splendidi, alcuni tutti colorati, altri con abiti bianchi, ma tutti con un sorriso e con degli occhi incredibilmente pieni di vita che valgono mille parole.

Vengono installate anche tre tende antiche Saharawi che ci riportano ai tempi in cui questa popolazione era effettivamente nomade e viveva nei territori che oggi sono occupati.

Giovedì 28 febbraio – Dakhla

Per arrivare a Dakha abbiamo bisogno di tanta pazienza, ma veniamo ripagati dallo splendido panorama di un deserto che continua a cambiare e a diventare sempre più rosso. Di fronte a noi il deserto della Mauritania, splendido, solenne.

L’immensità e il senso di pace che assieme inondano i sensi é inspiegabile, nessuna fotografia, nessuna parola, nulla può descrivere la bellezza che madre Natura ha dipinto in questo angolo remoto di globo.

Dakhla é un paese molto particolare, é disseminato lungo la sorgente di acqua, le case sono sparse come le tende di un campo nomadi. Alcuni anni fa é stato completamente allagato e ora si cerca di ricostruire le case con mattoni fatti in cemento anziché di terra. Anche questo è uno dei tanti progetti di sostentamento alla popolazione sostenuto da 1514 Oltre il muro, come la consegna capre.

Qui, se possibile, la popolazione Saharawi é ancora più povera, ma sempre molto ospitale. Questa é la loro natura.

In questo posto sperduto nel nulla, uno splendido progetto italiano ha portato la pizzeria Bella Dakhla, un modo di aggregazione giovanile. Stanno cercando di produrre la mozzarella dal latte di capra, quindi chiunque avesse un’idea, può farsi avanti.

Anche qui visitiamo l’ospedale che sta sull’altura di fronte al paese. Noi abbiamo portato alcuni farmaci, le nazioni unite ne spediscono altrettanti, ma non sono mai a sufficienza. Il team di informatrici senza frontiere sta facendo a Rabouni un progetto per una migliore gestione dei farmaci.

Venerdì 1 marzo – la maratona dei bimbi

La mattina seguente aiutiamo nell’organizzazione della maratona dei bimbi. Vengono divisi in fasce d’età e corrono per circa un km a più non posso… sembrano quasi sospesi con i loro piedini nudi mentre sfrecciano verso l’arrivo.

Una volta la Sahara marathon era un’ultramaratona e arrivava fino a qui. Oggi va da El Aioun a Smara. La maratona dei bimbi é un momento importante per non dimenticare questo luogo così remoto dei campi profughi Saharawi.

Sabato 2 marzo – ultimi saluti e Afapedresa

Ormai mi sento di casa, l’incredibile ospitalità che da molto tempo non vivevo più, mi ha contagiata e anche se oggi é l’ultimo giorno, mi sembra di non dover partire mai.

Oggi siamo a Rabouni alla casa delle donne dove pranziamo con un ottimo cous cous fatto dalle donne dell’associazione, cous cous che possiamo anche comprare.

Ci accolgono con musica dal vivo ed é subito festa. Francesca trova anche marito… ma mi sa che sarà una storia non a lieto fine vista la distanza…

Poi visitiamo altri tre progetti fatti dall’UNHCR, vicino a Tindouf. Un allevamento intensivo di polli e uno di uova e un allevamento di pesci… si, un allevamento di pesci nel deserto. Per quest’ultimo sono ancora in fase embrionale, ma alla sera, all’associazione Afapredesa troviamo del pesce fritto ad aspettarci come cena.

Il museo ci porta a capire un poco di più sulla storia di questo popolo, e Afapredesa, l’associazione delle famiglie dei prigionieri e dei desaparecidos Saharawi chiude il cerchio, mostrandoci dei documentari su alcune fosse comuni ritrovate vicino al confine marocchino e su come vengono trattati i Saharawi che vivono attualmente nei territori occupati da Marocco…

Si ritorna da questo viaggio con una carica interiore indescrivibile, consci di quello che abbiamo perso nel nostro mondo civilizzato, incredibilmente consci di quanto sia effettivamente necessario e di quanto lasciamo nel dare giornalmente più importanza alla futilità.

Si ritorna con mille idee e mille progetti, con la voglia di cercare di migliorare almeno un poco la loro difficile situazione.

Con i miei compagni di tenda stiamo cercando di gettare le basi del “Monnezza Project”. E si, perché nei campi profughi il rifiuto non viene praticamente gestito, viene accumulato e lo si trova ovunque, in città e nel deserto.

Se avete idee o volete anche solo seguirci, siamo su Facebook e su Instagram e se volete potete darci il vostro nome Skype e vi inseriremo nelle nostre riunioni.

Un poco di storia

I Saharawi vivono da 43 anni nei campi profughi, in città costruite nel deserto algerino. Nel 1976, quando la Mauritania si ritiro dalla parte sud del Sahara Occidentale, il Marocco occupó tutti i territori, e il popolo dei Saharawi fu costretto a lasciare le proprie case e in alcuni casi i cari in una fuga per poter vivere.

L’Algeria venne loro in aiuto e gli diede ospitalità in un pezzo di deserto, dove c’e un poco d’acqua, ma non così tanta e nulla più.

Il Sahara Occidentale rimane ad oggi il territorio conteso più grande al mondo.

Ma andiamo per gradi…

La conferenza di Berlino fu l’occasione di regolare la corsa all’Africa iniziata dal nuovo imperialismo. A Berlino, le massime potenze europee si spartirono l’Africa. Già dopo il 1885, una parte del Sahara Occidentale era spagnola per essere completamente colonia spagnola nel 1914.

Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1960, l’ONU, con la risoluzione 1514 sancí la fine del colonialismo africano, concedendo l’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali.

Fino al 1975 rimase colonia spagnola, abitato dalla popolazione del deserto, I Saharawi appunto. Quando la Spagna abbandonò l’area, la Mauritania e Marocco si spartirono il territorio senza nulla chiedere agli abitanti autoctoni, i Saharawi.

La guerriglia dei Saharawi con la Mauritania porto quest’ultima a lasciare i territori occupati nel 1979, ma subito dopo, il Marocco, spalleggiato dalla Francia, invase la terra prima occupata dalla Mauritania.

Nato nel 1973, il Fronte Polisario il 27 febbraio 1976 proclamò la Repubblica Democratica Araba Saharawi e inizió la guerriglia contro il Marocco per riappropriarsi delle terre sottratte.

La guerriglia terminó con il cessate il fuoco del 1991 con la promessa di fare un referendum degli autoctoni. Cosa che sembrava alquanto semplice visto che gli spagnoli avevano sancito con documenti riconoscitivi del periodo coloniale chi abitasse il territorio del Sahara “spagnolo”.

Tuttavia la marcia verde marocchina del 1975, non aveva solo aiutato l’invasore spagnolo ad andarsene, ma aveva portato anche 350000 marocchini, oltre a 25000 soldati. Pertanto la missione MINURSO, missione ONU per il referendum non é riuscita a tutt’oggi a definire una rosa di votanti che vada bene ad entrambe le parti.

I Saharawi fuggiti dalla guerra, ospitati dall’amica Algeria, si rifugiarono nel bel mezzo del deserto del Sahara, e costruirono dei campi profughi dando loro il nome delle città del Sahara Occidentale che avevano dovuto lasciare.

Dal 1991 resistono pacificamente nell’attesa di poter votare per il referendum.

Durante gli anni della guerra, il Marocco, per “difendersi” dalle “invasioni” Saharawi, inizió la costruzione di un muro di sabbia e roccia.

Il Berm, conosciuto anche con il nome muro della vergogna, iniziato dal Marocco nel 1982 si é ingrandito per ben 6 volte fino al 1987 diventando oggi il più grande muro minato al mondo: 2720km con più di 7.000.000 di mine (dipende dalla fonte). Vanta il record di più lungo campo minato al mondo, ogni 4/5 km é stanziata una compagnia militare e in totale sono stanziati circa 100.000 soldati marocchini. Ogni 15km é presente un radar.

Il costo giornaliero del Berm é esorbitante, basti pensare che il Marocco investe il 3% del PIL per mantenere il muro della vergogna. Da una parte ci sono missioni del Polisario e dell’ONU cercano di sminare la zona, compito reso ancora più arduo dal deserto che spostandosi copre le mine e dall’altra parte, una fetta dei costi di manutenzione/gestione viene coperta dalla comunità europea come aiuto contro l’immigrazione clandestina… peccato che le rotte dei profughi passino comunque dal Sahara Occidentale…

Ricordo che il regno Alawita non ha firmato la convenzione di Ottawa, il trattato di proibizione delle mine, buona parte di esse di fattura italiana (italiane sono anche quelle antiuomo in plastica così costruite da eludere la ricerca con i Metal detector…)

Il popolo Saharawi che vive nei territori occupati marocchini denuncia violazioni dei diritti umani da parte del Marocco e richiede ogni anno alle Nazioni Unite di includere nei compiti della MINURSO anche la vigilanza sui diritti umani. Ogni anno la Francia pone il veto…

Una terra molto ricca

Ma perché questa terra é così interessante anche per una grande potenza come la Francia?

Nel Sahara Occidentale ci sono grandissimi giacimenti di fosfati. Vanta infatti la miniera di fosfati più ampia al mondo con ben 250km2.

Le coste si affacciano su uno dei mari più ricchi di pesce, che viene anche esportato verso l’Europa.

Recentemente si é scoperta la possibilità di giacimenti di petrolio.

Dakhla compare attualmente nei cataloghi di operatori turistici come paradiso dei surfer. Molti lo vendono come Dakhla Marocco (e non Sahara Occidentale)

Non ultimo, la sabbia del Sahara viene venduta per poter rimpinguare le spiagge erose come quelle delle Canarie…

Tutti questi introiti vanno al Marocco.

I campi profughi nel deserto algerino e le condizioni dei profughi Saharawi

Prima di profondersi in giudizi su cosa potrebbero fare i Saharawi, vorrei ricordarvi che loro sono profughi in esilio, e che pertanto non hanno costruito un campo per “rimanere”, ma per sopravvive nella pacifica attesa di tornare a casa. Quindi immaginateli come in una prigione, a cielo aperto, ma pur sempre una prigione… e capirete (forse) il loro stato d’animo e cosa li porta a vivere in questa maniera.

I Saharawi vivono ai limiti della sopravvivenza, in un territorio inospitale, lontani dalla loro terra natia, lontano da fiumi. Le uniche risorse idriche sono delle piccole oasi che spesso non si trovano vicino ai campi e che non riescono a sopperire al fabbisogno collettivo.

L’acqua é il principale problema. A Smara, dove abbiamo passato buona parte della nostra visita, l’acqua scarseggia, anche quella utile al sostentamento umano. La doccia viene fatta con i secchi, l’acqua scaldata con un Samovar elettrico. Le feci evacuate con poca acqua, rimangono nei pressi delle case, non avendo i Saharawi un sistema fognario.

Non essendoci acqua, frutta e verdura non possono essere coltivate in loco e arrivano solo tramite gli aiuti umanitari. Le capre e i cammelli sono gli unici animali che resistono in tali condizioni e offrono in primis latte e poi carne.

Polli e uova fanno parte di un progetto dell’UNHCR che ha installato vicino a Tindouf degli allevamenti intensivi di polli da carne e galline da uova. Nella stessa area c’è un progetto di allevamento di pesce, che però non sembra essere una delle migliori idee, visto che i frigoriferi sono pochi e le temperature altissime…

Tutto questo non aiuta i Saharawi a godere di ottima salute. Molte persone soffrono di diabete, molte sono celiache e in generale tutta la popolazione non ha un corretto apporto nutritivo.

Quello che più mi ha sconvolto é che da qualche anno gli sia stata portata l’elettricità, che viene per lo più usata per guardare la televisione e per il cellulare… ma che non ci siano fognature o tubature per portare acqua…

L’altro problema é la spazzatura. I Saharawi vivono in un campo profughi, quindi non hanno una struttura organizzata di smaltimento rifiuti, per la quale dovrebbero appoggiarsi all’Algeria. Attorno alle città, ma spesso anche all’interno, ci sono cumuli di spazzatura, principalmente plastica, pezzi di auto distrutte dall’usura e ceramiche. Chiedono di avere un camion per poter portare il tutto fuori dalla città, nel deserto e poterlo bruciare, ma non avendo inceneritori, questo sposta solo il problema geograficamente e temporalmente…

Un ipotetico “progetto” spazzatura é quanto di più ambizioso possa esistere, sicuramente difficile, quasi impossibile, visto che il principale problema della plastica nasce dagli aiuti umanitari che arrivano con con i loro imballaggi plastici…

Le strutture scolastiche sono progetti di aiuti umanitari, indicativamente ogni città ha una scuola, ci sono scuole di lingue e alcuni ragazzi Saharawi godono di borse di studio a livello mondiale dati da stati come Cuba ad esempio per lauree in ambito medico.

Gli ospedali sono stati costruiti tramite progetto di aiuto umanitario, alcuni medici sono Saharawi, ma ogni anno chirurghi e specialisti offrono gratuitamente il loro supporto per cercare di curare i casi più gravi e portare il minimo di cure a questa popolazione in esilio.

Le farmacie vengono rifornite da farmaci da aiuti umanitari e da persone che come noi arrivano in visita ai campi. Medicine e attrezzature sanitarie vengono alle volte bloccate in dogana ad Algeri…

Considerazioni finali

Eppure, anche se queste sono le condizioni di vita, questa popolazione ha scelto la resistenza pacifica, e rimane la popolazione più ospitale che io abbia mai conosciuto. Loro mi ha fatto ricordare la bellezza dell’essere umano.

I Saharawi mi hanno fatto ricontattare con lo splendido concerto di ospitalità che da qualche anno a questa parte si é perso nei meandri dell’opinione pubblica, avvelenata dalla paura di dover dividere le proprie ricchezze con chi non ha più nulla.

Questa popolazione ha davvero poco, il bene più importante e prezioso, l’acqua, scarseggia, ma loro non hanno problemi a dividerla con il prossimo… non hanno quelle paure che leggo ogni giorno, sebbene qui si stia parlando di acqua, quindi di sopravvivenza.

Avevo pensato che sarei andata a portare degli aiuti ad un popolo, ma i miei aiuti erano solo materiali. Loro mi hanno aiutato, donandomi di più, sono tornata arricchita, mi sono di nuovo innamorata del genere umano, della bellezza di un semplice sorriso, ho riscoperto cosa voglia dire davvero ospitalità e che cosa voglia dire condividere, parlando e bevendo tè fino a notte tarda, raccontandosi e lasciandosi rapire dalle parole delle persone che in quel momento erano con me e che volevano essere con me e io con loro. Ho capito davvero cosa volesse dire Tolstoj, scrivendo che la persona più importante é quella che é con te in quel momento… ho capito in quei momenti quanto la tecnologia ci abbia in realtà rubato in termini di contatto umano, di condivisione, di empatia.

Grazie ai Saharawi ho ritrovato quella Simona che avevo perduto, la Simona dell’hic et nunc, con il loro aiuto ho abbattuto il mio muro e sto correndo verso il mare, come spero possano fare loro a breve.

Non dimentichiamo i Saharawi, abbattiamo quel muro, aiutiamoli  a riprendersi la loro terra!

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Rimaniamo Umani

Un uomo esce di casa e inizia una diretta Facebook per andare all´interno di un luogo di culto ad uccidere delle persone…
Sembra tratto da un videogioco tipo Carmageddon o l’inizio di uno di quei thriller nemmeno tanto psicologici, ma sicuramente non un episodio della vita reale…
Prendo l’attentato di Christchurch solo come un esempio su molti…
 
Non voglio soffermarmi sul perché, sul manifesto dell’attentatore, sui suoi futuri target… Non dico che non siano importanti, dico solo che questo, come tutti gli altri attentati, e come tutte le azioni e i commenti che disprezzano una determinata caratteristica del genere umano, hanno come comune denominatore l’odioso “noi” “loro”, uno state of mind completamente sbagliato, che fa erroneamente pensare di appartenere quasi a specie diverse e che soprattutto ci deruba di quello che dovrebbe sempre accompagnarci e che è quanto di più prezioso abbiamo: l’umanità.
Io, noi tutti, siamo in primis essere umani, e poi ci decliniamo in un splendide differenti sfaccettature, che rendono ognuno di noi unico nel suo genere e di conseguenza importante e prezioso per la continuità e l’evoluzione del genere umano. Madre Natura ha creato la biodiversità per ipotecare la sopravvivenza, e noi siamo all’interno di questo incredibile progetto e la nostra diversitá, è la stessa ricchezza che ci ha permesso di arrivare fino ad oggi…
 
Siamo donne, uomini, bambini, bianchi, gialli, rossi, grassi, magri, sportivi, belli, brutti, alti, bassi, con gli occhi di tante diverse sfumature, operai, medici, scrittori, stilisti, mulatti, asiatici, africani, attivisti, pantofolai, amanti dei cani, benestanti, acculturati, e così via…
Pensate a quanti splendidi aggettivi servirebbero per descrivervi completamente e poi pensate quanti altri, magari anche completamente discordanti con i vostri, servirebbero per descrivere la persona che più stimate o amate o quanti ne trovereste di simili con colui che non vi piace.
Nessuno di noi è solo un aggettivo, e lo stesso aggettivo non può descriverci esaustivamente in ogni momento della nostra vita, perché ci evolviamo, cambiamo a seconda delle esperienze che facciamo. Nessuno di noi può essere descritto in ogni momento con quanto possiede…
 
Ma TUTTI, proprio tutti, sempre e comunque, in ogni momento della nostra esistenza possiamo essere descritti come essere umani… Umani appunto.
E tutti abbiamo contribuito ad essere quello che siamo in questo mondo, e a quello che diverremo. Ognuno di noi, ognuno, è un pezzo fondamentale del puzzle che è l’esistenza umana.
Quando ci dividiamo in “noi” e “loro”, non facciamo null’altro che negare una parte di questa umanità, cerchiamo di soffocare e di omologare tutto ad uno standard, blocchiamo il divenire, il trasformarsi… Non lo accettiamo.
Ma è quanto di più stupido si possa fare, perché è come non accettare di avere un dito indice, solo perché non è un dito medio o non accettare che le nostre gambe si allunghino quando stiamo diventando adulti…

“Son membra d’un corpo solo i figli di Adamo, da un’unica essenza quel giorno creati. E se uno tra essi a sventura conduca il destino, per le altre membra non resterà riparo. A te, che per l’altrui sciagura non provi dolore, non può esser dato nome di Uomo”. Saadi di Shiraz, 1203 – 1291

Rimaniamo Umani.

Some tips to climb the Kili

The Kilimanjaro is the highest mountain in Africa, and known as one of the Seven Summit.

Even if there is no technical issues to face and it could be described as a hike, the high altitude could cause problem and in some case could be fatal.

Every year, approximately 1,000 people are evacuated from the mountain, and approximately 10 deaths are reported. The actual number of deaths is believed to be two to three times higher. The main cause of death is altitude sickness, hypothermia and falling. Everyone climbing Mount Kilimanjaro should be familiar with the symptoms of altitude sickness.

Please be aware that I am not a doctor neither a specialist of the mountain; these are only tips that I could give to friends that would like to climb it.

Weather

I was not so lucky with the weather. It rained all the time, with wind and the visibility was at most 1 meter!

You need to keep in mind that even the perfect Gore-Tex will even not be waterproof in this case… So you would be wet… And at 4000m, it would be really cold!

 

The porters

They are really great, smart and always ready to help! They are doing a really incredible job, carrying all the stuff up to the mountain. Some of them could also experience AMS.

Please be aware that the tip is a good part of their income, so please consider it as a part of your expenses when you are planning it.

They are hiking the mountain with gear that would become wet even after a little rain, they are ready to use their T-shirt to remove the rain inside your tend, they are trying to help you in whatever situation, always smiling.

They are the best experience of the trip! If you would/could give more, please do it. Never less! And if you could give us some of your used gear, they would appreciate it.

Tipping on Kilimanjaro from the trekking group (not per climber):

·  Guides: $20/day/guide

·  Cook: $15/day

·  Porter: $10/day/porter

 

My travel agency

I choose Kilisa travel, really one of the best travel agency I´ve ever met in my travel adventure.

Kilisa Tours and Safaris

Moshi, Tansania

https://kilisatours.com/

+255 717 397 816

Here you could find the reviews on TripAdvisor (https://www.tripadvisor.de/Attraction_Review-g317084-d11884543-Reviews-Kilisa_Tours_Safaris-Moshi_Kilimanjaro_Region.html)

Naik is the young manager; he is really always present. He replies to all of your question quickly, via email, Facebook or WhatsApp.

The service they offer is really top, the price affordable and the safety and professionality everywhere.

They are sustaining the KPAP (https://kiliporters.org/) to improve the working conditions of the porters. We were 2 people and we had 11 people with us; 2 guides, 1 cook, 1 waiter/cook assistant, 7 porters.

The gears provided was ok, and also the sleeping bag were good (the green north face was warmer as the other)

 

INCLUDED IN THE PRICE PACKAGE 

2 Night Hotel accommodation in Moshi, a day before trek and a day after trek

Transportation to and from your selected route

Transfer from Airport to Moshi on arrival and return to airport after climb.

Accommodation in tent

Certified, experienced, English speaking mountain guides

All Tanzanian National Park Fees

Government Climbing Taxes

Climbing permits

All hot Meals prepared by our cook while on Mountain

Guides, Porters and Cook Salaries 

Fair and ethical treatment of Porters

Enough porters to carry your luggage  

Safety Equipment

  • Emergency Oxygen
  • Pulse Oxymeter

Hot drinks at every meal 

Water provided on climb, mineral water for the first day and boiled water every day

Emergency rescue fees

Personal Summit Certificate signed by the National Park and your Guide

PRICE DOES NOT INCLUDE

– Personal items and toiletries

– Tips for guides, porters and cook 

What to bring

Waterproof sacks

2 pair of hiking boots, both Gore-Tex

4 pair of socks

3 Space blanket

1 Trekking Poles, collapsible

1 Waterproof Hard shell Jacket, breathable with hood in Gore-Tex
1 Down Jacket
2 Soft Shell Jacket
4 Long Sleeve Shirt, light-weight
2 Merino shirt

2 Thermic shirt (X-Bionic)
1 – Waterproof Pants side zipper in Gore-Tex
2 – Hiking Pants
1 – Thermic Pants (X-Bionic)

1 Brimmed Hat, for sun protection
1 Knit Hat, for warmth
1 Balaclava, for face coverage

2 pair of gloves in Gore-Tex (1 warm, 1 thin)

1 Gaiters, waterproof

1 Sunglasses

1 Backpack Cover, waterproof
1 Water Bladder (Camelback type, 3 liters with ice protection)
1 Towel, lightweight, quick-dry

1 Sleeping Bag, warm, four seasons* (you could hire it)

1 Head lamp, with extra batteries
1 Duffel bag, 50-90L capacity, for porters to carry your equipment
1 Daypack, 30-35L capacity, for you to carry your personal gear
Other
Toiletries
Prescriptions
Sunscreen
Insect Repellent, containing DEET
First Aid Kit
Hand Sanitizer
Wet Wipes
Electrolytes, powder or tablets
Micropur

Oximeter and daily check up

Your guide would do a daily health assessment (a sort of LLS) in order to understand if your body is acclimatizing in a proper way.

They do have a pulse-oximeter. A pulse oximeter measures oxygen saturation – the oxygen level in your blood – and your pulse rate. The oximeter is placed on a climber’s fingertip. The oximeter uses two beams of light that shine into small blood vessels and capillaries in your finger. The sensor reflects the amount of oxygen in the blood.

Oxygen saturation is a measurement of how much oxygen your blood is carrying as a percentage of the maximum it could carry. Normal blood oxygen levels at sea level are 95-100%.

The more you are getting high, the less this percentage would be.

As altitude increases, oxygen saturations decrease. Proper acclimatization generally brings oxygen saturations higher, which is why these figures typically rise when oxygen saturations are tested after resting overnight. On Kilimanjaro, oxygen saturations percentages are regularly in the 80’s. There are no definitive saturation levels where a client can be declared absolutely safe or at risk. However, when oxygen saturation drops below 80%, the climber should be monitored very closely.

I do suggest to discuss it with your doctor to understand better how to deal with this measurement.

LLSS

The Lake Louise Scoring System (LLSS) was designed to evaluate adults for symptoms of acute mountain sickness (AMS). The system uses an assessment questionnaire and a scorecard to determine whether an individual has no AMS, mild AMS, or severe AMS. (Note that LLSS does not have a category for moderate AMS.)

A diagnosis of AMS is based on the following conditions:

A rise in altitude within the last 4 days (a given on Kilimanjaro)

Presence of a headache

Presence of at least one other symptom

A total score of 3 or more from the questionnaire

Self-Assessment Questionnaire

·        Headache:

o   No headache = 0

o   Mild headache = 1

o   Moderate headache = 2

o   Severe headache = 3

·        Gastrointestinal symptoms:

o   None = 0

o   Poor appetite or nausea = 1

o   Moderate nausea or vomiting = 2

o   Severe nausea or vomiting = 3

·        Fatigue and weakness:

o   Not tired or weak = 0

o   Mild fatigue/weakness = 1 

o   Moderate fatigue/weakness = 2

o   Severe fatigue/weakness = 3

·        Dizziness and lightheadedness:

o   Not dizzy = 0

o   Mild dizziness = 1

o   Moderate dizziness = 2

o   Severe dizziness, incapacitating = 3

·        Difficulty sleeping: 

o   Slept as well as usual = 0

o   Did not sleep as well as usual = 1

o   Woke many times, poor sleep = 2

o   Could not sleep at all = 3

A total score of 3 to 5 indicates mild AMS. A score of 6 or more signifies severe AMS.

The presence of mild AMS is very common and does not necessarily mean that you will need to descend. On the other hand, an assessment of mild AMS does not preclude you from being turned around either.

 

Acute Mountain Sickness (AMS)

The percentage of oxygen in the atmosphere at sea level is about 21%. As altitude increases, the percentage remains the same but the number of oxygen molecules per breath is reduced. At 3600 m there are roughly 40% fewer oxygen molecules per breath so the body must adjust to having less oxygen. Altitude sickness, known as AMS, is caused by the failure of the body to adapt quickly enough to the reduced oxygen at increased altitudes. Altitude sickness can occur in some people as low as 2500m, but serious symptoms do not usually occur until over 3600 m.

Mountain medicine recognizes three altitude categories:

·        High altitude: 1,500 to 3,500 m

·        Very high altitude: 3,500 to 5,500 m

·        Extreme altitude: 5,500 m and above

In the first category, high altitude, AMS and decreased performance is common. In the second category, very high altitude, AMS and decreased performance are expected. And in extreme altitude, humans can function only for short periods of time, with acclimatization. Mount Kilimanjaro’s summit stands at 5895m – in extreme altitude.

At over 3,000 m, more than 75% of climbers will experience at least some form of mild AMS.

There are four factors related to AMS:

·        High Altitude

·        Fast Rate of Ascent

·        High Degree of Exertion

·        Dehydration: this is the reason why it is really important to drink as much as possible (minimum 3-4 liters a day)

The main cause of altitude sickness is going too high (altitude) too quickly (rate of ascent). Given enough time, your body will adapt to the decrease in oxygen at a specific altitude. This process is known as acclimatization and generally takes one to three days at any given altitude. Several changes take place in the body which enable it to cope with decreased oxygen:

·        The depth of respiration increases

·        The body produces more red blood cells to carry oxygen

·        Pressure in pulmonary capillaries is increased, “forcing” blood into parts of the lung which are not normally used when breathing at sea level

·        The body produces more of a particular enzyme that causes the release of oxygen from hemoglobin to the body tissues

Again, AMS is very common at high altitude. It is difficult to determine who may be affected by altitude sickness since there are no specific factors such as age, sex, or physical condition that correlate with susceptibility. Many people will experience mild AMS during the acclimatization process. The symptoms usually start 12 to 24 hours after arrival at altitude and will normally disappear within 48 hours. The symptoms of Mild AMS include:

·        Headache

·        Loss of appetite, nausea, or vomiting, excessive flatulation

·        Nausea & Dizziness

·        “pins and needles” sensation 

·        Loss of appetite 

·        Fatigue 

·        Shortness of breath

·        Peripheral edema (swelling of hands, feet, and face)

·        Nose bleeding, shortness of breath upon exertion

·        Persistent rapid pulse

·        Disturbed sleep 

·        General feeling of malaise 

Symptoms tend to be worse at night and when respiratory drive is decreased. Mild AMS does not interfere with normal activity and symptoms generally subside as the body acclimatizes. As long as symptoms are mild, and only a nuisance, ascent can continue at a moderate rate. 

While hiking, it is essential that you communicate any symptoms of illness immediately to others on your trip.

The signs and symptoms of Moderate AMS include:

·        Severe headache that is not relieved by medication

·        Nausea and vomiting, increasing weakness and fatigue

·        Shortness of breath 

·        Decreased coordination (ataxia)

Normal activity is difficult, although the person may still be able to walk on their own. At this stage, only advanced medications or descent can reverse the problem. It is important to get the person to descend before the ataxia reaches the point where they cannot walk on their own (which would necessitate a stretcher evacuation). Descending only 300 m will result in some improvement, and 24 hours at the lower altitude will result in a significant improvement.

Continuing on to higher altitude while experiencing moderate AMS can lead to death.

Severe AMS results in an increase in the severity of the aforementioned symptoms including:

·        Shortness of breath at rest

·        Inability to walk

·        Decreasing mental status

·        Symptoms similar to bronchitis

·        Persistent dry cough

·        Fever

·        Shortness of breath even when resting

·        Headache that does not respond to analgesics

·        Unsteady gait

·        Gradual loss of consciousness

·        Increased nausea and vomiting

·        Retinal hemorrhage

Severe AMS requires immediate descent of around 600 m to a lower altitude. There are two serious conditions associated with severe altitude sickness; High Altitude Cerebral Edema (HACE) and High Altitude Pulmonary Edema (HAPE). Both of these happen less frequently, especially to those who are properly acclimatized. But, when they do occur, it is usually in people going too high too fast or going very high and staying there. In both cases the lack of oxygen results in leakage of fluid through the capillary walls into either the lungs or the brain.

 

High Altitude Pulmonary Edema (HAPE)

HAPE results from fluid buildup in the lungs. This fluid prevents effective oxygen exchange. As the condition becomes more severe, the level of oxygen in the bloodstream decreases, which leads to cyanosis, impaired cerebral function, and death. Symptoms of HAPE include:

·        Shortness of breath at rest 

·        Tightness in the chest

·        Persistent cough bringing up white, watery, or frothy fluid

·        Marked fatigue and weakness 

·        A feeling of impending suffocation at night

·        Confusion, and irrational behavior

Confusion, and irrational behavior are signs that insufficient oxygen is reaching the brain. In cases of HAPE, immediate descent of around 600 m is a necessary life-saving measure. Anyone suffering from HAPE must be evacuated to a medical facility for proper follow-up treatment. 

High Altitude Cerebral Edema (HACE)

HACE is the result of the swelling of brain tissue from fluid leakage. Symptoms of HACE include:

·        Headache 

·        Weakness 

·        Disorientation 

·        Loss of co-ordination 

·        Decreasing levels of consciousness

·        Loss of memory 

·        Hallucinations & Psychotic behavior

·        Coma

This condition is rapidly fatal unless the afflicted person experiences immediate descent. Anyone suffering from HACE must be evacuated to a medical facility for follow-up treatment.

Acclimatization Guidelines

The following are recommended to achieving acclimatization:

·        Pre-acclimatize prior to your trip by hiking in a region above 3500m for at least weekends to the prior 6-8 weeks.

·        Ascend Slowly. Your guides will tell you, “Pole, pole” (slowly, slowly) throughout your climb. Because it takes time to acclimatize, your ascension should be slow

·        Do not overexert yourself. Mild exercise may help altitude acclimatization, but strenuous activity may promote HAPE.

·        Take slow deliberate deep breaths.

·        Climb high, sleep low. Climb to a higher altitude during the day, then sleep at a lower altitude at night. Most routes comply with this principle (Lemosho or Machame 7 days for example).

·        Eat enough food and drink enough water while on your climb. It is recommended that you drink from four to five liters of fluid per day. Also, eat a high calorie diet while at altitude, even if your appetite is diminished. 

·        Diamox is good for prevention and treatment of AMS, but check with your doctor as it could lower your blood pressure.

·        Avoid tobacco, alcohol and other depressant drugs including, barbiturates, tranquillizers, sleeping pills and opiates. These further decrease the respiratory drive during sleep resulting in a worsening of altitude sickness. 

·        If you begin to show symptoms of moderate altitude sickness, don’t go higher until symptoms decrease. If symptoms increase, descend.

Treatment

The only reliable treatment, and in many cases the only option available, is to descend. Attempts to treat or stabilize the patient in situ (at altitude) are dangerous unless highly controlled and with good medical facilities. However, the following treatments have been used when the patient’s location and circumstances permit:

       Oxygen may be used for mild to moderate AMS below 3,700 metres. Symptoms abate in 12 to 36 hours without the need to descend.

       For more serious cases of AMS, or where rapid descent is impractical, a Gamow bag, a portable plastic hyperbaric chamber inflated with a foot pump, can be used to reduce the effective altitude by as much as 1,500 m. A Gamow bag is generally used only as an aid to evacuate severe AMS patients, not to treat them at altitude.

       Acetazolamide 250 mg twice daily dosing assists in AMS treatment by quickening altitude acclimatization. A study by the Denali Medical Research Project concluded: “In established cases of acute mountain sickness, treatment with acetazolamide relieves symptoms, improves arterial oxygenation, and prevents further impairment of pulmonary gas exchange.”

       Dexamethasone showed good results for the treatment of HACE

       Two studies in 2012 showed that Ibuprofen 600 milligrams three times daily was effective at decreasing the severity and incidence of AMS; it was not clear if HAPE or HACE was affected.

       Paracetamol (acetaminophen) has also shown to be as good as ibuprofen for altitude sickness

Mild AMS:

       Stop ascending

       Do not do strenuous activity

       Increase hydration

       Paracetamol 500 mg x os

       Promethazine 25-50 mg x os

Moderate-severe AMS:

       Descending at least 500m

       Gamow bag or oxygen if available

       Acetazolamide 250 mg × os every 12 hours

       Dexamethasone 4 mg × os/im every 6 hours

HACE:

       Descending immediately at least 2000m

       Gamow bag or oxygen4-6 l/m, if available

       Dexamethasone 8 mg ev/im immediately, and after 4 mg× os/im every 6 hours

HAPE:

       Descending immediately at least 2000m

       Gamow bag or oxygen4-6 l/m, if available

Namibia

 

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09.08.2009 – Domenica – 1° giorno

Italia – Londra – Johannesburg

Sono Partita dall’Africa australe, per la precisione da Maun, con un piccolo volo da 19 posti della Air Namibia.

La mattina ho fatto un giro per Maun, poi ho atteso l’aereo per 4 ore di ritardo e infine ho dormito al Puccini, in un bel letto, dopo 6 giorni di tenda!

 

10.08.2009 – Lunedì – 2° giorno

Johannesburg – Windhoek

Sposto tutta la mia roba al Roof of Africa, poi mi faccio un giro per i dintorni a piedi ed in fine giunge l’ora di prendere il taxi per l’aeroporto.

L’aereo è puntuale; dopo poco più di 45 minuti il mio gruppo è tutto unito!

A Pietro sono stati rubati i cellulari a Johannesburg… li aveva sbadatamente lasciati negli zaini che ha imbarcato. Provvederà a fare denuncia presso la polizia dell’aeroporto, ma ovviamente dei cellulari non saprà più nulla!

Raccolgo i soldi della cassa comune, Freda si offre di fare la cassiera (la migliore che io abbia mai avuto, davvero!) e ci dividiamo in tre gruppetti.

Io vado alla Europe Car con i miei 6 guidatori, un gruppo sta a vedere i bagagli, Freda ed altri sono a cambiare i soldi che avevo prenotato la sera prima.

Le pratiche sono lunghe e noiose, vengono fotocopiate patenti e passaporti, poi, prendiamo tutti gli altri ed usciamo nel piazzale per verificare le auto.

Le prime due sono praticamente nuove, è quindi molto semplice verificare che non ci sono problemi. Eventuali graffi sulla vernice del cassone non vengono segnati e non vi verranno addebitati comunque.

Alle 16, dato che l’altra auto non ci è ancora stata portata (anche questa è nuova e devono addirittura ancora targarla), poiché ho appuntamento con Selma alle 16:30, decidiamo di andare in città con un’auto. Gli altri ci raggiungeranno in seguito.

Lascio il mio cellulare namibiano, la mappa per raggiungere il Roof of Africa, e la check list per l’altra auto, poi partiamo.

Al Roof, dopo poco arriva Selma; sembra stanchissima e scocciatissima… Sbrighiamo tutte le formalità e poco dopo arrivano anche le altre due auto.

Sono le 17… Velocemente ci dividiamo nelle stanze e poi, assieme a Gianni ed altri 5 vado al Camping Hire, lasciando che Carmine ed altre 4 donzelle, con lista alla mano, vadano a fare la spesa…

Ovviamente ci perdiamo… quindi telefoniamo a Frauke Muller che ci da ottime informazioni e ci viene ad aspettare. In poco meno di 20 minuti abbiamo verificato tutto, pagato, lasciato la caparra e caricato sull’auto tutto il materiale.

Torniamo al Roof, ma degli spesaioli non v’è traccia… Inizio ad aver paura… Ma cosa stanno comprando? Forse ho sbagliato a dirgli che se vedevano che nella lista c’era troppo, o TROPPO POCO, di aggiungere o togliere…

Alle 19:30 sono di ritorno… La nostra enorme Toyota Hilux è completamente piena di buste, ce ne sono ovunque, tutto il bagagliaio, poi sui sedili posteriore e anteriori…

Prendiamo qualche scatolone che troviamo fuori dal Roof of Africa e iniziamo a mettere a posto la spesa, avendo cura di suddividere fra Colazione, pranzo e cena… poi trasbordiamo l’acqua nell’auto adibita a bagagli…

Alle 21 abbiamo le gambe sotto il tavolo e mangeremo un’ottima bistecca di orice alla Joe’s beer house.

Domani si parte per la grande avventura!

 

11.08.2009 – Martedì – 3° giorno

Windhoek – Sesriem

Oggi partiamo di buon ora, la strada è tanta ed è meglio arrivare prima del tramonto per montare il primo campo.

Alle 7:30 abbiamo già pagato, fatto colazione e siamo pronti per partire. Troviamo subito la B2 che ci porta verso sud, fuori da Windhoek e dopo poco più di un’ora e mezza di strada, arrivati a Rehoboth, iniziamo la nostra avventura sullo sterrato.

I paesaggi sono splendidi, il giallo del grano è così forte da far male agli occhi, il cielo è di un azzurro splendido e le alture si stagliano sull’orizzonte quasi fossero disegnate!

Verso le 13 ci fermiamo a fare uno spuntino a base di tonno, fagioli e pane in mezzo al letto del rinsecchito Kam river. Attorno a noi ci sono degli splendidi alberi faretra e numerosissimi nidi degli uccelli tessitori.

Poi riprendiamo la strada. Arrivati quasi al bivio con Solitaire, Paolo buca la prima ruota della vacanza… Scendiamo tutti, infiliamo i guanti di lavoro e in poco meno di 5 minuti siamo di nuovo sulla nostra pista.

Alle 16 siamo a Sesriem.

Paghiamo l’ingresso, il campo e poi ci andiamo a sistemare nella nostra piazzola, all’ombra di un bellissimo albero secolare.

Decidiamo di lasciare tutto per domani e ci concentriamo sulla prima cena, che devo dire, risulterà ottima come sempre! Brava Maria Cristina, brava Gianfranca!

Finiamo la serata al bar, scherzando e ridendo, per poi buttarci sulla terra ad ammirare le stelle, che qui nel deserto sembrano ancora più vicine.

Splendida la Namibia!

 

12.08.2009 – Mercoledì – 4° giorno

Sesriem – Soussusvlei – Dead vlei – Duna 45 – Sesriem Canyon – Sesriem

Oggi ci svegliamo prestissimo, dobbiamo cercare di vincere il tempo e vedere l’alba alla duna 45…

Alle 5:45 i cancelli aprono (verificate perché l’apertura e la chiusura sono definite stagionalmente) e ci vogliono almeno 30 minuti se non di più per arrivare alla Duna 45…

Ovviamente piccolo imprevisto, Carmine si insabbia al campeggio (!!! Si, avete letto bene!!!) e quindi perdiamo almeno 10 minuti, tant’è che non riusciamo ad essere i primi della lunga fila, ma i dodicesimi e in più fa un freddo bestiale, ci sono 5°C!!!

Il cancello apre in ritardo e il signore che verifica le targhe è solo, si fa luce con una piccola torcia ed è davvero lentissimo… Intanto sta albeggiando…

Non appena oltrepassato i cancelli, continuiamo a percorrere la bella strada asfaltata lungo il deserto del Namib.

Il paesaggio è splendido, le dune del Namib, il deserto più antico al mondo ci avvolgono e ci coccolano con il loro arancione così intenso…

Quando arriviamo alla Duna 45, una piccola delusione, sinceramente mi assale… Tanti piccoli puntini macchiano la sua splendida silhouette; sono tantissime altre persone che hanno avuto la nostra stessa idea!

Decidiamo, vista anche l’ora, che conviene proseguire per Soussusvlei e goderci l’alba, si con il sole già sorto, ma in solitudine!

E abbiamo fatto la scelta giusta.

Percorriamo gli ultimi 5 km di pista sabbiosa, poi parcheggiamo e ci avventuriamo sulla duna.

Soussusvlei è un posto magico. Dalla cima si gode uno splendido paesaggio di buona parte delle dune del Namib. Sotto di noi, il bianco del fango lasciato dalla stagione delle piogge ed ormai essiccato. Davvero mozzafiato.

C’è chi si rotola fra le dune, chi scala la parte più alta, io mi fermo a godere del silenzio, interrotto solo dal rumore del vento. Stiamo qui due orette, poi, non appena vediamo che stanno arrivando altre auto, rotolandoci nella sabbia, scendiamo a fare la meritata colazione.

Poi ci aspetta Dead vlei e una fotografia alla splendida duna 45.

Consiglio: Il deserto del Namib è uno dei posti più belli della Namibia, non perdetevelo per nulla al mondo e godetevelo per un’intera giornata, lasciando che sia la calura e decidere che è venuto il tempo per una pausa!

Tornati al campo verso le 14, decidiamo di farci qualcosa di caldo come pranzo e poi di andare ad esplorare il Sesriem Canyon.

Non bisogna uscire dal campeggio, ma prendere la strada che trovare sulla sinistra opposta alla reception.

Il Canyon certo non può competere con le splendide dune del Namib, ma va comunque visitato.

Arrivata l’ora del tramonto, decidiamo di non andare alla duna 45, sicuramente ancora infestata da tutti quei puntini, ma di salire l’altura di fronte al canyon e di goderci il tramonto da lì.

Splendido, davvero!

Torniamo al campo e la nostra Maria Cristina ci allieta la cena con il “friggione” a base di cipolle, passata di pomodoro, corn meat e piselli. Una cena davvero deliziosa.

Poi solita puntatina al bar a base di Amarula.

Stasera si uniscono a noi 3 ragazzi di Riccione, simpaticissimi, che troveremo ancora nel nostro itinere, e che viaggiano in solitaria con un’improbabile Yaris 3 volumi!

In questi momenti di conoscenza, si può godere fino in fondo del piacere dei racconti altrui.

Poi di nuovo nanna in tenda. Bellissimo, anche se Sesriem sarà il posto più freddo in assoluto.

 

13.08.2009 – Giovedì – 5° giorno

Sesriem – Solitaire – Troprico del Capricorno – Duna 7 – Swakopmund – Weltwitchia drive – Swakopmund

Anche oggi dobbiamo partire presto, la strada è lunga e le cose da fare sono molte!

Lasciamo le rosse dune del deserto del Namib, senza fare colazione, perché tappa fondamentale lungo il tragitto è la mitica pasticceria dove possiamo gustare la torta di mele migliore di tutta la Namibia!

Il posto è tutto adornato di vecchie pompe di benzina, una macchina vecchia e altre cose molto interessanti.

In pasticceria un grosso omone con i baffi e tutto rosso, con il cappello da cuoco, ci serve delle grosse fette di una squisitissima torta di mele appena sfornata. La fetta è talmente grossa che non riuscirò a fare pranzo! E ancora adesso mi chiedo come Pietro abbia potuto mangiarsene due!!!

Dopo questa prelibata sosta, continuiamo per meno di una 50 di km, fermandoci per fare la classica fotografia con il cartello del Tropico del Capricorno. Poi ci fermiamo ancora al Kuiseb Pass, dove si gode un ottimo panorama.

Continuiamo lungo la C14, in un paesaggio davvero monotono e desertico, fino a quando lo splendore della duna 7 non ci fa capire che Swakopmund è alle porte.

Ci sistemiamo nei nostri chalet, poi mi faccio accompagnare da Roberto in centro, per fare i permessi per Sandwich Harbour e per Weltwitchia drive. Già che ci siamo, compriamo anche il regalo di gruppo a Freda che tra pochi giorni compierà gli anni; una bellissima maschera namibiana.

Chi è rimasto negli chalet ha preparato caffè e degli ottimi panini.

Al nostro arrivo, verso le 14, sono tutti pronti per partire alla scoperta della mitica pianta millenaria.

Gianni e Maria Cristina hanno addirittura rinunciato al volo sul Namib, Roberto decide di non fare un giro per Swakopmund per fare shopping ed unirsi a noi per vedere la pianta…

E qui mi sono garantita le battute di tutto il gruppo per tutti i secoli a venire.

Percorriamo una cinquantina di km in mezzo a splendidi paesaggi lunari, scendiamo in uno incantevole canyon. Sono tutti esaltati, c’è chi ha preso il grandangolo per poterla fotografare a pieno. Capisco che forse tutti i miei compagni di viaggio (ad eccezione ovviamente di Carmine e Giulia che conoscono ogni forma di vita namibiana) non sanno di cosa si tratta… Pietro e Stefano pensano addirittura di trovarsi di fronte al Sequoia Park, Gianni e Cristina credono che siano gli alberi faretra! Nessuno ha capito che la Weltwichia, soprannominata poi da Paolo, Vulva Vulgaris, non è nient’altro che una pianta a due sole foglie che con il tempo si allungano, si sfilacciano e si arrotolano su se stesse, verde, senza fiori… Bruttina, se devo proprio essere sincera! Lo sguardo e le battute scherzose di tutti sono chiare. Vabbè… Il coordinatore non può sempre prenderci sui gusti del gruppo e poi ‘sta pianta ha ben 1500 anni!!! Stasera ostriche, così mi faccio perdonare!

Tornati verso Swakopmund, il sole che si getta verso l’orizzonte, illuminando una lingua tutta contorta di asfalto ci regala un magico tramonto.

Dopo una bella doccia calda, ci incamminiamo a piedi verso il ristorante costeggiando l’oceano.

E finiamo la serata con una bella scorpacciata di ostriche innaffiate da un ottimo vino sudafricano!

 

14.08.2009 – Venerdì – 6° giorno

Sesriem – Walvis Bay – Sandwich Harbour – Swakopmund

Ed ecco che arriva la giornata dell’imprevisto!

Di comune accordo abbiamo deciso di partire molto presto, alle 7:30, per avere il tempo di vedere Sandwich Harbour, fare un giro a Swakopmund (richiesto per lo più da chi vuole fare degli acquisti, io ne farei anche a meno…) e di arrivare ad una buona ora allo Spitzkoppe.

Arrivati a Walvis Bay, ci fermiamo sulla’ansa verso Pelican Point per godere della vista di splendidi fenicotteri rosa che stanno facendo colazione in riva al mare.

La marea, che si è ritirata, ha lasciato sul bagnasciuga delle meduse che sono ormai rinsecchite.

Proseguiamo verso la pista sabbiosa. Gianni si sta divertendo come un pazzo, Giulia e Paolo un poco meno, visto che si sono insabbiati già ben tre volte!

Percorro con Gianni il bagnasciuga avanti e indietro e lasciamo che l’oceano sia il nostro compagno di viaggio, poi andiamo verso le altre due auto che si sono fermate: i nostri driver non se la sentono di proseguire, visto tutte le volte che ci siamo impantanati!

Beh, poco male, riusciremo a vedere meglio Swakopmund! Decidiamo quindi di ritornare indietro; la pista è poco segnata, la sabbia un poco umida, attorno a noi solo il rumore del vento. Percorriamo vari km, in mezzo a questo paesaggio incredibile, surreale, angosciante quasi, ma al tempo stesso così seducente e straordinario. Ci divertiamo per le dune, ci troviamo immersi nell’erba più alta, veniamo shakerati per bene, su e giù, poi tutti assieme decidiamo di tornare. Gianni prende la via fra le dune e vorrebbe scenderne addirittura una, ma meglio non rischiare…

E arrivati sull’amico asfalto, la macchina di Giulia non va avanti… Problema alla frizione.

Vi siete mai chiesti perché quando si è in vacanza con persone che pochi giorni prima erano tutte sconosciute, d’improvviso, quando ci sono dei problemi alla macchina, tutti diventano provetti meccanici? Beh, anche stavolta è così e io anche questa volta non me lo spiegare!

Telefono alla Europe Car che mi da il numero dell’agenzia a noi più vicina, quella di Walvis Bay a Pelican Point.

Ci dicono di trainare l’auto fino all’ufficio, Una volta arrivati, la signora della reception, senza nemmeno verificare l’auto , asserisce che è colpa nostra che non sappiamo guidare; il meccanico che arriva ci spiega addirittura quale è la 3 e quale la 1 marcia, poi prende l’auto e dopo solo 1 ora, ci dice che la frizione è bruciata!

Noi chiediamo alla signora di poter visionare la frizione, ma la signora, con tranquillità ci dice che l’auto non è ancora stata smontata, che la diagnosi è stata fatta solo con “il naso”; vista la puzza, che c’era, era ovvio che fosse bruciata.

Ok, capiamo che possiamo fare tutte le questioni del mondo (e ne abbiamo fatte tante, soprattutto per avere l’auto sostitutiva la sera stessa e un’auto per questa giornata), ma tanto la frizione è a carico nostro.

Con malincuore paghiamo, mi faccio dare il cellulare della signora, lascio il mio numero a lei e ci diamo appuntamento per la sera.

Poi facciamo un giro per la città; io colgo anche l’occasione per fare un grande bucato.

La sera, verso le 21, abbiamo già verificato la nostra nuova auto e stiamo di nuovo seduti al ristorante per l’ennesima scorpacciata di ostriche e vino.

Domani è un altro giorno, si riparte!

 

15.08.2009 – Sabato – 7° giorno

Swakopmund – Cape Cross – Skeleton Coast – Palmwag – Aba Huab

Ripartiamo verso le 8 con la nostra nuova auto. Roberto la guiderà per tutto il giorno e non si accorgerà, fino a quando non rimarremo senza carburamte, che l’auto in realtà va a benzina…

Alle 10:30 siamo a Cape Cross: il tanfo non è così forte come descritto nelle precedenti relazioni, lo spettacolo però vale qualunque biglietto.

Troviamo di fronte a noi una grande distesa di otarie, c’è chi allatta, c’è chi lotta per la conquista del territorio, chi si tuffa in mare alla ricerca di pesce…

Le otarie di Cape Cross infatti, possono contare su abbondanti risorse di cibo, grazie ai pesci trasportati dalla corrente del Benguela; ogni anno consumano oltre un milione di tonnellate di pesce (più del consumo nazionale complessivo di Namibia e Sudafrica). Per contenere la popolazione della colonia, le autorità namibiane consentono la caccia all’otaria in alcuni periodi dell’anno.

Risaliti sull’auto, arriviamo ai tetri cancelli della Skeleton Coast, a Ugab Gate.

Facciamo il permesso e poi ci avventuriamo in questa landa desolata.

I colori sono splendidi, avvistiamo l’unico relitto, poi continuiamo, fino al bivio con Torra Bay. Pranziamo e decidiamo di andare direttamente a Twyfelfontein.

Usciamo quindi dallo Springbok Wasser Gate e andiamo verso Bersig.

Abbiamo appena lasciato la Skeleton Coast e ci stiamo dirigendo verso l’Aba Huab Camp, il paesaggio attorno a noi è splendido. Una luce arancione si accende nel quadro strumenti: “Siamo senza benzina!” Accostiamo nella strada per Palmwag e lasciamo andare i nostri compagni di viaggio, con tanto di tanica, a fare rifornimento. Nel mentre un carretto trainato da due asini e con tre ragazzi, rallenta e poi accosta. “Problem?” ci chiedono. Noi spieghiamo… Loro: “ok, ma fate attenzione! Nella zona gira un elefante con una zanna sola: è pericoloso perché è stato allontanato dal gruppo” Sorridono, e se ne vanno. Roberto sospira, mette le mani sui fianchi, sospira di nuovo, poi asserisce: “Bene, l’elefante è grosso, se c’è, lo vediamo!” non attende risposta, entra in auto, rovista fra le sue cose, apre il baule, tira giù il suo bagaglio rosso e se ne esce con un binocolo e inizia a scandagliare la zona. Una, due, tre volte… Bello essere in mezzo alla natura! Ovviamente dell’elefante nessuna traccia. Ormai è diventato leggenda!

Fermiamo così una guida, Isaac, che ha appena finito di lavorare, per farci aiutare a fare rifornimento; lui ha un tubicino.

Va bene che ha pazienza! Arrivano i nostri compagni con una tanica di diesel, Isaac ci blocca, dice “io sento che questa macchina è a benzina”. Tira fuori la sua tanica di benzina e CI SALVA!

Ci dice inoltre che vicino al campeggio c’è una pompa di benzina!

Arriveremo al campeggio solo ad ora tarda, in pochi minuti monteremo il campo e poi pasteggeremo con una splendida pasta e vino in cartone.

Dopo tanti km e tante avventure, domani ci godremo un poco di relax.

 

16.08.2009 – Domenica – 8° giorno

Twyfelfontein – Organ Pipes – Burnt Mountain – Petrified forest – Palmwag

Oggi ce la prendiamo con comodo, ci svegliamo verso le 8:30, facciamo colazione, smontiamo il campo, poi andiamo a fare rifornimento alla vicina “stazione” e poi ci dirigiamo verso Twyfelfontein.

Per la strada incontriamo un uomo barbuto che procede a piedi, con in spalla tutta la sua casa; probabilmente un viaggiatore che è in giro da anni.

Alle 10:00 stiamo visitando il sito di Twyfelfontein con la guida obbligatoria, che ci fa gustare al meglio la stiria di questo incredibile posto.

I Damara che un tempo vivevano in questa zona la denominarono Uri-Ais o “fontana saltante” dalla sua sorgente di acqua fresca. Nel 1947 il nome e’ stato cambiato in Twyfelfontein – che significa “fontana dubbiosa” – dal primo colono bianco, che riteneva che la sorgente fosse troppo debole per rappresentare un valido supporto per la natura circostante. Nel 1952 la zona e’ stata dichiarata monumento nazionale per i suoi oltre 2500 graffiti e pitture rupestri risalenti a circa 6000 anni fa. La maggior parte dei graffiti rappresenta animali e le loro orme, con rare rappresentazioni di uomini rispetto alle migliaia di immagini presenti. La più famosa è la rappresentazione dello sciamano, sottoforma di uomo leone.

Visitiamo poi le Organ Pipes, colonne di basalto che assomigliano a delle canne d’organo, situate in una piccola gola. Queste rocce dalla forma particolare furono formate 120 milioni di anni fa, quando la dolerite, raffreddandosi, si suddivise in colonne alte sino a 5 metri.

Poco lontano da queste formazioni c’è la montagna bruciata che in effetti sembra sia stata devastata dalle fiamme. E’ una distesa di scorie vulcaniche dove nulla è stato risparmiato dal fuoco. In questo paesaggio sinistro e desolato non cresce praticamente nulla. “Arrostita” da un antico inferno, non sembra particolarmente attraente durante il giorno, ma all’alba ed al tramonto sembra che il basalto e l’argilla che la compongono prendano fuoco ed i colori sono davvero spettacolari; noi purtroppo non possiamo aspettare così tanto, così, dopo esserci avventurati in una breve passeggiata, proseguiamo fino alla foresta pietrificata, dove, prima di entrare, ci riposiamo con la consueta pausa pranzo.

Anche qui disponiamo di una guida obbligatoria, che ci fa finalmente vedere la pianta di euforbia, la pianta velenosa da bruciare.

La Petrified Forest è un veld aperto cosparso da tronchi lunghi fino a 30 metri, con una circonferenza che raggiunge i sei metri, che si calcola risalgano a 260 milioni di anni fa. Dal momento che non vi sono né radici né rami, si ritiene che questi tronchi siano arrivati qua in seguito ad una gigantesca alluvione

Poi, visto che sono già le 15:30, procediamo verso Palmwag.

Nella strada ci fermiamo ad aiutare un pullmino di italiano che ha bucato e che ha rotto il crick, così anche questa volta dovremmo montare il campo con il buio.

Anche se abbiamo uno spazio cucina tutto per noi, dato che domattina partiremo alle 6:00, decidiamo che stasera ci meritiamo una buona cena al ristorante del camping.

 

17.08.2009 – Lunedì – 9° giorno

Palmwag – Sesfontein – Opuwo – Epupa Falls

Oggi giornata di trasferimento.

Alle 6:00 siamo già in auto pronti per partire. La strada che porta fino a Opuwo è tenuta davvero male e rischia di essere la più pericolosa del viaggio, con tutte quegli avvallamenti e quelle buche. Bisogna fare davvero attenzione!

Da Opuwo a Epupa Falls invece, la situazione migliora.

Siamo ad Opuwo, la capitale del Kaokoland, estrema regione di nord-ovest ai confini con l’Angola, una zona arida e semidesertica, ondulata da rilievi e solcata da poche strade e qualche pista in cattivo stato. Ci siamo fermati per rifornirci di generi alimentari, per fare rifornimento e per cambiare qualche soldino. Siamo in territorio himba, le popolazioni del nord della Namibia, che vestono ancora con pelli di capra; le donne, bellissime, girano vestite solo di una minigonna di pelle e di splendidi ornamenti che adornano il collo, i polsi e le caviglie: veri e propri gioielli tribali, raffinati ed eleganti, realizzati per lo più in cuoio tempestato di decorazioni in ferro e osso. I monili più preziosi restano comunque le conchiglie che arrivano da paesi molto lontani. Lo splendido seno nudo è ritratto in fotografie che hanno fatto il giro del mondo, è normalmente adornato di gioielli che decretano lo stato sociale della ragazza, alle caviglie degli ornamenti metallici, sul capo differenti orpelli che decretano lo stato di sviluppo della ragazza. E poi un corpo, sottile, longilineo, meraviglioso ed armonioso, tutto arancione, cosparso di burro, cenere e ocra rossa, profumato da erbe aromatiche, così come i capelli che sono lunghi e divisi in splendide treccine cilindriche tenute assieme con gli stessi unguenti usati per il corpo… Ad Opuwo, nella stessa città, al supermercato il contrasto è evidente e si traduce in una miscellanea di etnie; per la città vagano i namibiani che vestono con i vestiti occidentali, le seminude donne himba e le loro antenate dirette, le donnone Herero, grosse mamy che hanno lunghi vestiti a fiori, che disegnano un importante sedere. Sul capo il classico cappello che li contraddistingue. Posiamo le nostre cose sul rullo del supermarket, Freda paga alla cassiera, tira fuori il libro cassa e segna l’uscita, precisa come un orologio svizzero e creando a sua volta buona parte di quella curiosità che noi abbiamo avuto nei confronti di queste etnie.

Poi ripartiamo; lungo la strada che ci porterà fino al paradiso terrestre, ci sono belle ragazze himba che cercano di fermare i turisti.

Piantiamo le tende come al solito una sull’altra; lasciamo i nostri abiti alla mamy lavandaia e poi una meritata doccia; l’acqua è scaldata a legna.

Poi andiamo al bar sopra le cascate, una specie di palafitta in legno e ci godiamo il rumore e il lento scorrere del fiume con una birra gelata in mano. Un poco di relax ci vuole anche, che ne dite?

Poi una cenetta e nanna, pronti per domani!

 

18.08.2009 – Martedì – 10° giorno

Epupa Falls – Himba – Epupa Falls

Questo per me è il giorno più bello di tutto il viaggio.

Derek, la nostra guida himba, fratello mancato di Bob Marley, che saluta con il pugno al suono di “Strong!”, arriva puntuale all’appuntamento. Ci porterà a visitare due villaggi himba e ci racconterà usi e costumi di questa incredibile popolazione.

Nel primo villaggio faccio un incontro speciale, che ricorderò per la vita: quella bimba himba, lei che mi guarda con incredulità, gli occhioni neri mi scrutano con gioia, ma anche con curiosità.
Si chiede perché il colore della mia pelle non sia arancione, non sia simile al suo… Mi prende la mano, la gira, mette il suo palmo sul mio e poi la sfrega forte forte per vedere se “stingo”, poi mi guarda con ancor più stupore e decide di ripetere il gesto, ma nulla, quel bianco non se ne va… e allora si toglie un pezzo di mela dalla bocca e me la offre. Io l’accetto. Ci guardiamo, ci sorridiamo, ci diamo la mano e capiamo che i gesti, alle volte, valgono più di mille parole! e così iniziamo a giocare e a scambiarci mille sorrisi.

Gli Himba vivono in spianate di terra, in case fatte di fango, con qualche capra e con le tradizioni che la colonizzazione turistica non è riuscita ancora a cancellare.

L’incontro con una popolazione così primitiva è davvero emozionante, ma sapere che a causa dl turismo stesso, questa popolazione piano piano scomparirà, lascia sicuramente l’amaro in bocca e tanti spunti di riflessione sugli impatti del nostro passaggio. Anche per questo non ho voluto proporre al mio gruppo di dormire nei villaggi di questa popolazione.

Torniamo al campeggio e ci dividiamo; io mi godo un poco di relax al bar.

Poi decidiamo che è venuta l’ora di una piccola camminata per vedere lo spettacolo sulle cascate. Le “acque che cadono”, è questo il loro significato Herero, sono formate dal fiume Kunene che si apre a ventaglio e si getta a valle attraverso una serie di canali paralleli, occupando una zona larga 500 metri e scendendo complessivamente di 60 metri in un tratto di 1,5 Km. Il salto più alto (37 metri) è quello dove il fiume precipita in un crepaccio buio e stretto, circondato sovente dall’arcobaleno. Lo spettacolo è entusiasmante, a dir poco indescrivibile.

Proviamo a immortalare vari momenti con le nostre fotografie, ma con scarsi risultati. Non possiamo infatti imprimere il forte profumo dell’acqua che cadendo si ossigena, la bruma che lentamente ci bagna, il rumore della natura, il continuo scorrere delle acque, che lasciano che questo spettacolo non sia mai lo stesso. Ma soprattutto, non possiamo immortalare quel pizzico di adrenalina che proviamo quando si è sul bordo di un  precipizio di 37m e sotto di noi, solo acqua! Ci resta solamente il ricordo, così emozionante, così incredibilmente vero, da rendere difficile il racconto.

La notte scende, il buio ci avvolge, attorno a noi il fragore delle cascate. Abbiamo festeggiato il compleanno di Freda, la nostra mitica cassiera, con Derek, con i tre Romagnoli ritrovati e con il proprietario del campeggio e la sua compagna. Abbiamo annaffiato il buonissimo salame di cioccolata preparato da Cristina con vino, Amarula e tanto buon umore. Serata incredibile, indimenticabile!

 

19.08.2009 – Mercoledì – 11° giorno

Epupa Falls – Okongwati – Ruacana – Outapi (Ombalantu Baobab Tree Heritage Center) – Olukonda

Oggi grande tappa di trasferimento.

Ieri abbiamo verificato la condizione della D3700 e abbiamo deciso di scendere fino ad Empembe, prendere la D3701, che stanno migliorando e prendere l’ultimo tratto della D3700, godendo così dello splendido paesaggio lungo il Kunene, ma evitando rischi gratuiti.

Per la strada ci fermiamo a fare rifornimento in un’improbabile pompa di rifornimento. E’ all’interno di una casa, e c’è una donnona Herero che gestisce il pieno con un tubo di gomma, un bidone di plastica e un grosso bidone di latta per “aiutare il rifornimento”.

Lì vicino c’è anche un piccolo ospedale al quale potete lasciare qualche medicinale e una scuola.

Poi continuiamo verso Empembe. Ripresa la D3700, ci fermiamo lungo le sponde del Kunene per ammirare delle splendide scimmie.

Lungo il Kunene la strada ci regala degli scorci meravigliosi; viaggiamo immersi nella vegetazione, ogni tanto gli alberi si aprono verso il fiume. Incontriamo un albero pieno di scimmie, diversi villaggi himba probabilmente ancora poco inquinati dal turismo e ci concediamo una pausa pranzo all’ombra di un albero, gustando pane, fagioli e tonno, un poco di sardine e l’immancabile carne in scatola, la Corn Meat, mentre il nostro sguardo si perde in quelle acque che lambiscono due paesi che un tempo erano in guerra…

Poi riprendiamo ‘asfalto, che lasceremo solo più all’interno dell’Etosha.

Arriviamo al punto più alto e di fronte a noi lo scempio. Vediamo la gola dove una volta dovevano scendere le meravigliose Ruacana Falls, ora completamente prosciugata!

Ci fermiamo a Outapi per fare rifornimento e cogliamo l’occasione per visitare il grandissimo albero di Baobab al cui interno hanno addirittura costruito una chiesa!

Inizia ad essere tardi, ci rendiamo conto che non possiamo fare ancora 120 km fino all’Etosha dove tra l’altro, per questa notte non abbiamo nessuna prenotazione e quindi non siamo sicuri di trovare posto…

Decidiamo allora di bivaccare nei dintorni, apriamo la LP e ci mettiamo ancora in strada fino a trovare, sperso in mezzo alla campagna, il Nakambale Museum.

Una simpatica signora ci apre il cancello, ci fa vedere delle tende già montate con tanto di letto e ci offre inoltre l’uso della cucina; è strano dormire dentro ad un museo, non credete?

Il posto è sicuramente spartano, ma piacevole, ci sono docce calde, bagni, ovviamente tutti per noi, una cucina, tavoli e panche illuminati da corrente elettrica; cosa chiedere di più?

Montiamo il campo, poi ci sediamo a cena, con delle belle birre fresche che ci hanno portato i ragazzi che lavorano nel museo dalla vicina città.

Stasera stiamo seduti su delle panche con la luce.

Il posto è carino, ma effettivamente c’è ben poco da fare; quindi nanna presto, domattina inizia il game drive!

 

20.08.2009 – Giovedì – 12° giorno

Olukonda – Namutoni

Oggi inizia la nostra grande avventura all’Etosha!Siamo tutti in fibrillazione, ci svegliamo presto, raccogliamo le tende e via sulle nostre auto.

Alle 9:30 siamo ad Anderson Gate; sbrighiamo tutte le formalità, facciamo i permessi e paghiamo per tutti i giorni (3) che staremo nel parco, poi entriamo, procedendo piano piano, per avvistare qualche animale prima di mettere il campo a Namutoni.

E siamo fortunati, vediamo gnu, gazzelle, impala, tantissime zebre, splendidi uccelli, un dik dik, delle orde di faraone, qualche kudu, un facocero e le prime giraffe.

Siamo esaltati! Che bello questo parco, è splendido e sembra essere davvero ricco di fauna!

Ma ci serve una mappa; così ci dirigiamo a Namutoni, montiamo il campo, compriamo 3 mappe al negozietto all’interno del forte e prenotiamo in 10 l’uscita prima dell’alba che pagheremo fuori dalla cassa comune (550 N$).

Poi, dopo un ottimo pranzo, alle 15:15 con due auto usciamo di nuovo a “caccia” di animali; gli altri rimangono ad oziare ai bordi della splendida piscina e ad aspettare qualche animale alla pozza illuminata.

Noi in auto siamo fortunati ancora, primo incontro con l’elefante, una splendida giraffa che beve, qualche orice e sulla via del ritorno, lì, semi nascosto fra i cespugli un meraviglioso rinoceronte bianco, che si ferma ad ascoltarci…

Rientriamo prima della chiusura delle porte e corriamo a godere del tramonto sulla pozza illuminata.

Grande silenzio interrotto solo da numerosissimi uccellini che si rincorrono fra i canneti, poi, quando il sole scende, la silhouette di due giraffe, ci regala l’emozione di un imperdibile tramonto africano.

Cena nell’ottimo buffet di Fort Namutoni, un ultimo sguardo alla pozza e poi nanna, domattina ci si deve svegliare davvero presto!

 

21.08.2009 – Venerdì – 13° giorno

Namutoni – Halali

L’appuntamento è per le 4:45 alla reception. Fa freddissimo e memore dell’esperienza sudafricana, ho consigliato tutti di mettere qualunque cosa calda avessero in valigia.

L’uscita non è molto proficua, ma è sempre molto emozionante.

Al nostro ritorno, una veloce colazione, poi smontiamo il campo e ancora in auto ad avvistare animali, prima di arrivare al prossimo campo.

Decidiamo di visitare qualche pozza segnata sulla mappa, alla ricerca di qualche felino.

Di felini oggi non ne vedremo, ma la pozza con tutti gli animali che fanno a turno per abbeverarci è davvero splendida, da rimanerci anche tutta la giornata. Gianni la definirà l’arca di Noè!

E poi vedremo tantissimi elefanti, con i piccolini, che giocano, che si rinfrescano, che si lavano, che bevono.

La natura è davvero splendida!

Mettiamo il campo, cercando di mandare via le manguste che lo infestano, poi un pranzo caldo, e di nuovo alla scoperta della natura.

Un altro ottimo tramonto alla pozza, un poco più rude, ma avvistiamo ben 18 rinoceronti bianchi!

Poi la cena e poi di nuovo alla pozza.

Potrei rimanere tutta la vita a guardare gli animali che si susseguono con i loro ritmi, liberi di vivere appieno la natura.

 

22.08.2009 – Sabato – 14° giorno

Halali – Okaukuejo

Oggi è la giornata del leone!

Anche oggi, disfiamo il campo, facciamo colazione epoi via verso il prossimo campeggio.

Per la strada ovviamente mille soste a godere dello spettacolo della natura.

Siamo di fronte alla pozza di Salvadora, siamo in attesa che gli animali prendano coraggio per andare ad abbeverarsi (Pietro potrebbe descriverlo come se fossero fermi al Brennero in attesa che il passo apra), la leonessa è nascosta in mezzo al cespuglio e valuta l’avanzare di zebre, gazzelle e gnu. Gli animali sono spaventati, capiscono, forse odorano la presenza del leone, ogni tanto fuggono, poi la sete ha il sopravvento e si riavvicinano. Ecco che uno gnu si avvicina troppo al cespuglio, la leonessa balza all’attacco, lo rincorre, lo gnu scappa, tutti gli animali scappano, la leonessa rimane senza cibo.

Che meraviglia e che giornata!

Arriviamo al camping e come al solito, c’è chi esce per un ultimo sguardo al parco, a caccia di nuove emozioni, chi si rilassa, chi va alla pozza.

Poi una doccia, una buona cena preparata con ciò che rimane della cassa cucina.

A cena, seguiranno poi commenti tipo domenica sportiva sull’attacco della leonessa allo gnu: “secondo me quella leonessa era un poco spompa…” “no, non può cacciare da sola; ma dov’erano gli altri leoni?” Certo che se si fosse accontentata della gazzella, l’avrebbe presa”, “ma non poteva prendere la gazzella, doveva dare da mangiare prima al leone (che non abbiamo visto), poi ai cuccioli (di cui non c’era nemmeno l’ombra), poi a lei cosa sarebbe rimasto???” “Secondo me ha sbagliato l’attimo, doveva aspettare ancora” E Pietro: “Chi va a dargli tutti questi consigli per 50000€?”.

23.08.2009 – Domenica – 15° giorno

Okaukuejo – Okahandja – Windhoek

Anche oggi ci svegliamo di buon ora, smontiamo per l’ultima volta il campo, facciamo colazione con le ultime cose rimaste e poi via, prendiamo la strada che ci riporterà verso Windhoek, verso la fine del nostro viaggio, da dove tutto è iniziato.

Lasciamo l’Etosha verso le 8:30 e proseguiamo lungo la B1, la strada dell’inizio.

A Outjo, sulla strada principale del paese, ancora deserta per l’ora, troviamo 3 ragazze himba che avevano messo su un banchetto di braccialetti,cavigliere, collane ed altri monili tipici himba.

Ci fermiamo, regaliamo loro le poche provviste rimaste della cassa cucina; veniamo ripagati da tre splendidi sorrisi, poi proseguiamo.

A Otjiwarongo ci fermiamo per rimpinguare la colazione e per fare rifornimento di benzina e diesel, poi ripartiamo; ci fermeremo a Okahandja, dove c’è uno splendido mercatino del elgno per fare gli ultimi acquisti.

Io ho preso una splendida maschera del Caprivi, davvero bella.

Regalo una maglia e un paio di pantaloni a due ragazzi e poi di nuovo in auto fino a Windhoek.

Prendiamo posto nelle nostre camere al Puccini guest House, poi ognuno di noi spende la giornata rimasta in libertà.

C’è chi fa un giro per il centro di Windhoek, chi prepara il bagaglio, chi si riposa.

Poi la sera un’altra ottima ed ultima cena al Joe’s Beer house, a parlare di quanto abbiamo vissuto e condiviso e a discutere della meta e di quando fare il raduno.

C’è già nostalgia degli amici appena conosciuti, ma ormai diventati parte del nostro vissuto.

 

24.08.2009 – Lunedì – 16° giorno

Windhoek – Johannesburg

Ci svegliamo di buon ora, facciamo colazione prestissimo e assieme ai 3 driver vado a fare la fila all’autolavaggio… Non appena aprono e vedono le auto, mi dicono che ci vorrà minino 1h30’ per auto… Non ce la faremo mai!

Decidiamo di andare ad un altro autolavaggio e di lavare solo due auto, tanto l’altra che ci avevano portato a Swakopmund ce l’avevano consegnata da lavare…

Mentre Gianni e Paolo lavano le auto, io e altri 4 partecipanti andiamo all’aeroporto; purtroppo il mio volo parte prima…

Dopo aver fatto il check in, consegniamo la prima auto. Tutto ok, non la guardano quasi… Ci addebitano solo pochi N$ per la benzina che abbiamo consumato da Windhoek a qui!

Poi attendiamo gli altri.

Non appena arrivano, cerchiamo di sbrigare le pratiche. Per l’auto di Gianni non ci sono problemi, per quella di Paolo che ha la ruota di scorta usata iniziano i problemi…

In una ruota s’è un piccolo chiodino (max 4 mm)… L’addetto della Europe Car vorrebbe farci pagare l’intero pneumatico perché sostiene che, anzitutto abbiamo utilizzato la ruota di scorta (!!!) e poi il chiodino ha sicuramente bucato la ruota (!!!).

Mentre io continuo a sostenere che la ruota di scorta, visto che è data con l’auto, si può usare e che quindi non dobbiamo pagare nulla per il suo utilizzo, Gianni e Paolo fanno vedere che anche sputando sopra al punto dove si è tolto il chiodino, l’aria non esce!

Dopo varie parole e dopo una bella arrabbiatura a fronte del fatto che dopo aver firmato il foglio che riportava “nessun problema”, il ragazzo voleva scriverci sopra, siamo riusciti a spuntarla e a partire con tranquillità.

Non ci sono stati addebitati ulteriori costi nemmeno al nostro rientro.

Consiglio 1: le auto devono essere lavate il giorno prima

Consiglio 2: conviene andare con largo anticipo all’aeroporto, perché gli addetti della Europe Car giocano moto sul fatto che voi avete poco tempo…

Ultimi saluti a Johannesburg e poi tanta voglia di ritrovarsi, abbiamo già deciso data e luogo del prossimo raduno!

 

25.08.2009 – Martedì – 17° giorno

Johannesburg – Italia

Alle 6 io arrivo a Francoforte, il mio fenomenale gruppo è ancora in volo per Londra.

Questo incredibile viaggio è ormai finito, ma dentro di noi continuerà a vivere e come ogni viaggio, di giorno in giorno ci cambierà, aiutandoci a ricostruire la parte di noi che la nostra quotidianità occidentale cerca sempre di più di cancellare.

 

 

Al di fuori della nostra civiltà, lasciando a casa tutte le nostre comodità e nutrendoci della bellezza che la natura è sempre capace di regalarci, godiamo di quelle sensazioni ormai perdute, ritrovando, nei sorrisi dei nostri compagni di gruppo, ciò che tutti noi in realtà siamo.

 

Uganda, Rwanda e DRC

 

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04.08.2010 – Giovedì – 1° giorno

Milano/Roma – Cairo

Il gruppo si riunisce all’aeroporto del Cairo. Era dal 2005 che non ci tornavo e devo dire che l’hanno rifatto davvero bene!

Abbiamo cenato un classico kebab, poi ci siamo imbarcati in orario verso Kampala in un bellissimo aereo, troppo usato per dare l’idea classica di sicurezza.

05.08.2010 – Venerdì – 2° giorno

Cairo – Entebbe – Kampala – Zhiwa Rhino Sanctuary – Masindi

Entebbe Kampala 40 km 1h
Kampala Zhiwa Rhino Sanctuary 160 km 3h
Zhiwa Rhino Sanctuary Masindi 56 km 2h

Oggi giornata davvero intensa. Arriviamo in orario ad Entebbe e troviamo Ronald ad aspettarci con quello che sarà il nostro pullmino per l’intera avventura.

La strada che collega Entebbe a Kampala a quest’ora è scorrevole e in poco meno di 1 ora siamo in centro al Pope Hotel, dove io devo incontrare Francis.

Prendiamo 3 camere, per lavarci, fare colazione e per prendere gli ultimi accordi sull´itinerario con l´agenzia locale

Consiglio: i dollari vengono controllati uno per uno, sia l’anno in cui sono stati emessi, sia lo stato degli stessi.

Siamo proti per partire e per arrivare fino al primo centro commerciale per trovare una banca, contrattare sul cambio e fare la prima mega spesa. Nei supermarket ugandesi, soprattutto in quelli della capitale, c’è la stessa scelta dei supermarket occidentali.

Poi partiamo verso il nord. Prima tappa: Zhiwa Rhino Sanctuary.

Splendida vegetazione, splendido il centro che ha preso 6 rinoceronti in cattività e li ha a poco a poco riportati allo stato brado. Noi abbiamo visitato la famiglia di Obama; il fatto di arrivare così vicino a questi preistorici animali, a piedi, ha davvero dell’incredibile ed è davvero emozionante.

Vorremmo trattenerci a lungo, ma purtroppo non è possibile, per lasciare in pace gli animali.

Incredibile è che sono sorvegliati a vista da ranger che devono cercare di non farli cadere vittime dei bracconieri.

Verso ora di cena arriviamo a Masindi, piove, come molto spesso capiterà durante il nostro viaggio; ci sistemiamo e poi dopo un’oretta di relax, ceniamo.

Dopo cena, con un piccolo gruppo, visto che ha spiovuto, decidiamo di fare una capatina in città per una birra.

Splendido! Tutto lungo la strada ci sono delle bancarelle che fanno cibo, invitanti spiedini e altre leccornie… Peccato! A saperlo prima sarebbe stata un’ottima variante per una cena sicuramente africana!

Un paio di birre, un poco di conoscenza con locali e poi nanna!

06.08.2010 – Sabato – 3° giorno

Masindi – Murchinson Falls (game drive)

Masindi Gate Murchinson NP 18 km 40’
Gate Murchinson NP Traghetto per game drive 66 km 2h
Traghetto per game drive Top of the Falls camp site 95 km 2h

 Ci alziamo di buon ora per arrivare a prendere il traghetto all’interno del parco alle 9:00 e poter fare il nostro primo game drive.

Siamo al gate alle 6:50 e dobbiamo attendere un poco (il gate apre alle 7:00), perché il ragazzo sta ancora dormendo.

Vediamo giraffe, ippopotami, moltissima avifauna. Il panorama è mozzafiato, un continuo alternarsi di verde, poi di nuovo il giallo della savana che si va a perdere nel blu del fiume, ancora nel verde e nell’azzurro del cielo.

Piccolo pick nik attendendo il traghetto di ritorno, facendo attenzione ai babbuini, poi puntiamo direttamente al nostro campeggio, posizionato proprio vicino a Top of the Falls.

Siamo gli unici il campeggio è proprio in mezzo alla natura, con nulla vicino, ma con tutte le comodità del caso, due toilette, la doccia e una capanna dove rintanarci.

Piantiamo le tende e poi, vista l’ora, andiamo a Top of the Falls ad assistere al meraviglioso impeto della natura.

Percepiamo le cascate con tutti i nostri sensi, ci bagnano, ne sentiamo il profumo, ne avvertiamo il rumore… Incredibile esperienza, difficilmente concentrabile in un singolo scatto fotografico

Tornando al campeggio, iniziamo a preparare la prima cena della vacanza e l’accompagnammo con due buone bottiglie di barbera.

Poi nanna, col sonno interrotto da qualche curioso facocero che annulla le nostre tende.

CONSIGLIO: Il posto per il campeggio è davvero splendido e da non perdere, ma per non distruggersi fisicamente, converrebbe:

  • 1° giorno al termine del game drive andare a dormire al Red Chilli (da prenotare con anticipo perché sempre pieno) in quanto vicino all’imbarco del traghetto che la mattina parte alle 7.
  • 2° giorno: game drive con traghetto alle 7, poi con calma potete smontare le tende e alle 14:00 potete fare il boat cruise fino alla base delle cascate. Lì scendete e salite fino in cima a top of the Falls dove avete fatto venire il bus con le tende.

07.08.2010 – Domenica – 4° giorno

Murchinson falls (game drive) – Boat cruise

Boat cruise andata 2h
Boat cruise ritorno 1h

Oggi sveglia davvero prestissimo, per essere pronti alle 5:00 per partire ed essere in tempo a prendere il traghetto delle 7:00.

Ronald deve pestare sull’acceleratore, ma arriviamo con circa 15 minuti di anticipo e abbiamo tempo di fare una veloce colazione sotto l’albero.

Durante il game drive incontriamo un leone al quale è stata amputata una gamba; la maestosità dell’animale è sempre evidente, ma la pena nel vederlo avanzare così magro e claudicante, verso le gazzelle con disarmante consapevolezza che anche oggi non riuscirà a mangiare se non grazie alla compassione delle leonesse, ci stringe il cuore.

Ritornati piantiamo subito le tende nello spiazzo del Red Chilli Camp. La piazzola è mezza allagata, ma appena attraversata la strada possiamo andarci a ristorare con delle birre, quindi ci laviamo velocemente, poi andiamo a pranzare al Red Chilli bar, in attesa che vengano le 14:00 per la nostra crociera fino alle cascate Murchinson.

Il panorama è splendido, in riva al fiume famiglie di ippopotami che si bagnano.

Le cascate sono imponenti, fragorose, talmente potenti che le sentiamo da lontano e vediamo grumi di schiuma che vi vengono incontro.

La guida ci spiega che la numerosità dei coccodrilli vicino alle cascate è data dal fatto che alcune volte gli animali cadono all’interno delle cascate e quindi, il fiume è pieno di selvaggina morta.

La corrente è fortissima, tanto che per fermarci per ammirare le cascate, dobbiamo rintanarci in un antro coperto da alcune formazioni rocciose.

Al ritorno grandissima sorpresa! Io e Eddy (siamo delle volpi…) abbiamo lasciato la tenda aperta e giustamente è piovuto!!!

Poco male, le tende sono poco allagate e sono agibili…

La sera grande cena alla luce del fuoco e visita di un grande ippopotamo che fa scappare tutti all’interno della capanna!

08.08.2010 – Lunedì – 5° giorno

Murchinson Falls – Hoima – Fort Portal

Red Chilli Camp Murchinson Falls Gate 63 km 1h15’
Murchinson Falls Gate Masindi 18 km 40’
Masindi Hoima 38 km 1h
Hoima Fort Portal 197 km 6h 15’

 Oggi grande tappa di trasferimento e giustamente, per aiutarci a raggiungere la meta velocemente poco dopo Hoima, proprio dove l’asfalto ci lascia per dare spazio ad una bella pista di terra rossa battuta, inizia a piovere! Ma tanto! Ma proprio tanto!

La strada è scivolosissima, sembra sapone e l’acqua dal cielo viene giù a secchiate e non so proprio come Roland possa vedere dal parabrezza che continua ad appannarsi…

Avvicinandoci a Fort Portal, la pioggia continua a scendere e l’idea di dover piantare le tende sotto quest’acqua non è che timoli nessuno… Decido quindi di cercare d contattare il CVK, ma senza possibilità. Nemmeno Francis riesce a contattarlo e anche se a malincuore per non essere riusciti ad avvertirli, decidiamo di fermarci a Fort Portal.

Ordiniamo la cena al ristorante, poi una doccia con calma e nanna.

CONSIGLIO 1: Se la stagione è davvero secca, chiedete informazioni al Red Chilli Camp e raggiungete Fort Portal per la strada che costeggia il Lago Alberto. Anche se molto dissestata, regala dei panorami mozzafiato!

CONSIGLIO 2: Il CVK dista poco meno di 1 ora da Fort Portal ed è un posto davvero meraviglioso in cui passare la notte. Tutto attorno ci sono splendidi villaggi pieni di bambini. Consiglio vivamente di prenotare le Bandas (costano poco più di 10$, poco di più di piantare la tenda)

09.08.2010 – Martedì – 6° giorno

Fort Portal – Buyunguru Crater lakes – Fort Portal – Kasese

Dislivello salita: 250 metri

Dislivello discesa: 250 mt

Tempo di percorrenza: 3h15m

Percorso: 4,93km

Note: Semplice; si passa fra tantissimi villaggi, in un giro ad anello che costeggia i laghetti, fino ad arrivare ad un magnifico panorama a Top of the Falls

Fort Portal Buyunguru Crater Lakes CVK 22 km 50’
Fort Portal Kasese 87 km 1h 40’

Dopo un’ottima colazione, partiamo per i Buyunguru Crater Lakes. Oggi abbiamo un autista aggiuntivo (giusto perché non eravamo abbastanza stretti).

Lubeka è con noi perché Ronald non si sente molto bene e con ogni probabilità dovrà ritornare a Kampala per accertamenti. Infatti, domani ci saluterà.

Dopo un’oretta arriviamo al CVK, un posto splendido, proprio in riva al lago.

Ha piovuto tutta la notte e il tetto in paglia delle bandas è umido; la vegetazione di un verde smeraldo fa da contrasto al blu del lago.

Facciamo subito le nostre scuse al signore alla reception e a sua moglie, che a quanto pare è colei che comanda…

Decidiamo di pranzare da loro dopo che abbiamo terminato il piccolo trek attorno ai laghetti.

Il paesaggio è davvero splendido, come del resto sempre in Uganda, ma quello che fa di questo piccolo trek un’esperienza indimenticabile, è il contatto con la popolazione all’interno dei piccoli villaggi che troviamo per la strada. Una bambina addirittura ci rincorre per farci vedere tutta orgogliosa la sua pagella!

Ritornati al CVK, così contenti e appagati dopo questa splendida passeggiata, pranziamo con un ottimo buffet, facendo attenzione che le scimmie non ci rubino il cibo.

Arrivati a Fort Portal ci fermiamo a fare un poco di speda, poi via verso Kasese, dove i ristoriamo al Ruwenzori international, un albergo che sembra in costruzione ai bordi della città.

Un gruppo parallelo ci racconta di essere distrutto dopo la camminata; ma nessuno desiste e domani mattina tutto il gruppo coeso, si farà il trekking fino al primo stop del tragitto del Ruwenzori.

CONSIGLIO: In cima a Top of the Falls abbiamo incontrato un signore che dirigeva i lavori di costruzione di un centro di ricerca francese. Il posto è raggiungibile solo a piedi, in un’oretta, ma è splendido e vale davvero la pena di passare una notte qui in tenda (chiedete agli abitanti del villaggio o alla scuola subito fuori il CVK). Potreste anche rischiare di arrivare non avendo prenotato il CVK che intanto non è mai pieno e se non piove, avventurarvi qui in cima; ovviamente dovrete portarvi il cibo necessario.

10.08.2010 – Mercoledì – 7° giorno

Kasese – Rwenzori mountain trek – Kasese

Dislivello salita: 1286 metri

Dislivello discesa: 1286 mt

Tempo di percorrenza: 6 ore

Percorso: 9,21 km (andata e ritorno per Nyabitala Hut)

Note: Fattibile (con calma) con un minimo di allenamento: il primo pezzo sale lieve, poi inizia ad essere più ripido. In cima si trova una locanda per prendere il te e la vegetazione fitta si apre, lasciando intravedere alcuni picchi attorno.

Kasese UWA per registrazione 15 km 30’
UWA per registrazione Uwa per partenza trek 11 km 10’

Oggi è la giornata del Ruwenzori. Salutiamo Ronald diamo il benvenuto a Lubega.

Il trekking fino a Nyabata Hut ci terrà impegnati per tutta la giornata; la giungla è splendida, il sentiero dapprima sale lentamente, poi inizia a inerpicarsi, ma è sempre un trekking fattibile.

Pioviggina e la nebbiolina lascia a tratti intravedere i picchi della catena montuosa del Ruwenzori.

Al nostro ritorno un incredibile incontro con un serpentello verde, velenoso, ma davvero splendido.

Poi esausti ci facciamo una doccia e ordiniamo la cena.

11.08.2010 – Giovedì – 8° giorno

Kasese – Equator line – Queen Elisabeth Mweya Sector (game drive)

Kasese Equator line 10 km 30’
Equator Line Queen Elisabeth Gate 40 km 1 h
Queen Elisabeth gate Mweya Camp 20 km 1 h

 Partiamo alle 8:15 e in poco più di 10 minuti siamo al monument che segnala il passaggio dell’equatore. E’ troppo presto e quindi non troviamo i ragazzi con le bancarelle fanno vedere le stranezze derivanti dalla legge di Coriolis (l’acqua che cade nel lavandino in senso inverso ;-))

Poi entriamo al Queen Elisabeth park e andiamo subito in cerca di animali. E siamo fortunati, incontriamo elefanti, karibu, ippopotami, giraffe, ma dei leoni nessuna traccia.

Poi ci portiamo al campo per mettere piantare la tenda.

Chi vorrà, verso le 16 si va di nuovo a fare un giro a “caccia” di avvistamenti.

Pochi altri decidono di prendersela comoda al campo e al nostro ritorno, troviamo un nuovo amico, “Fufi”, un povero e vecchio facocero con una zanna sola che il nonno del gruppo foraggia a suon di pelli di banana e altri avanzi…

Cena splendida, poi nanna con gli amici facoceri e I karibu.

CONSIGLIO: Dal bus unico con i vetri che si aprono solo per metà è un dramma fare un game drive fotografico. Il mio consiglio è o come ho scritto prima chiedere al gruppo (e a Francis in secondo luogo), di darvi quei Vestfalia che si aprono dal tetto oppure andate alla reception del lodge del Mweya e lì potete prenotare un game drive con le classiche jeep scoperte per 40$/pax.

12.08.2010 – Venerdì – 9° giorno

Queen Elisabeth Mweya sector (Game drive) – Boat cruise

Boat cruise Kazinga Channel

Fra lago George e lago Eduard

Andata 2 h
Boat Cruise Ritorno 1h30’

 Alle 6 siamo già in piedi, chi dentro il bus, chi nella jeep scoperta a cercare la fortuna per vedere dei leoni.

Purtroppo arriviamo troppo tardi e tre leoni che hanno appena cacciato un buffalo, si sono nascosti da noi e dal sole proprio dietro un cespuglio… Aspettiamo un poco, ma nulla da fare…

Torniamo al campeggio un poco sconsolati per l’occasione persa.

La mattina, prima di pranzo, al ritorno dal Game drive, mi faccio lasciare al visitor information center per pagare la Boat Cruise (consiglio di confermare al vostro arrivo come abbiamo fatto noi il giorno prima) e poi, costeggiando il la strada che mi porta alle tende, decido di andare con tre ragazzi a prendere un drink alla Tempo Canteen.

Le ragazze stanno cucinando del pane tipo chapatti, davvero ottimo, tutt’attorno a loro gli uccellini fanno a gara per rubare pezzi di cibo, all’esterno, cl panorama mozzafiato del Kazinga channel un poco più in basso, dei facoceri e dei karibù, sono in attesa di qualche cosa da mangiare.

Esaltati, ritorniamo al campeggio con del pane appena fatto e molto unto e proponiamo una cena in questo posto; ovviamente non lo dobbiamo dire due volte!

Alle 15:00, partiamo per la crociera sul Kazinga channel. Davvero strepitosa, all’unisono l’esperienza migliore nei parchi.

A bordo del canale, mandrie di bisonti, ippopotami e elefanti si baganano, poi numerosissimi pellicani, uccelli di ogni specie e poi, la fortuna ci appare: tre leoni sotto un albero a dormire. Davvero emozionate!

Tornando costeggiamo la riva e incontriamo qualche villaggio di pescatori.

La sera, ci portiamo alla Tempo Canteen (noi abbiamo ordinate alle 14:00) per uno dei buffet più buoni della vacanza con uno scorcio davvero mozzafiato.

Al ritorno, un gran bel temporale ci manda tutti a nanna presto.

Splendido dormire col rumore della pioggia 😀

CONSIGLIO: Durante la crociera conviene sedersi sulla parte destra.

13.08.2010 – Sabato – 10° giorno

Queen Elisabeth (Mweya sector) – Ishasha sector (climbing lions game drive)

Queen Elisabeth gate Panoramic point 10 km 30’
Panoramic point Ishasha Sector 100 km 4h30’

 Ci sono solo 100 km che dividono i due settori del queen elisabeth park, ma se inizia a piovere come nemmeno durante i monsoni in India ho mai visto, la strada diventa davvero un inferno e sembra non terminare mai!

Camion quasi ribaltati, fango ovunque, macchine impantanate e situazioni che sembra non si possano sbloccare mai!

Vista la strada e la pioggia incessante non avrei mai creduto di poter arrivare alla meta!

Eppure ce la facciamo, arriviamo al nostro campo e anche se è appena uscito il sole, purtroppo le splendide piazzole in riva al fiume sono tutte completamente allagate.

Decidiamo pertanto che conviene accamparci vicino alle bandas anche se il posto non è splendido.

Visto che l’area non sarebbe dedicata al campeggio, non possiamo usufruire della classica capanna, per paura che possa di nuovo venire a piovere in serata e quindi non riuscire a cucinare e a cenare in tranquillità, decidiamo di prenotare la cena al piccolo ristorantino del camping.

Poi col nostro mezzo ed un ranger, partiamo alla ricerca dei famosi leoni sugli alberi e anche qui veniamo ricompensati di non aver desistito sebbene la strada!

Ne vediamo ben 3! 2 dormono sopra lo stesso albero e un’orda di turisti cerca di fotografarli, l’altra è tutta per noi e ce la godiamo tutta nella sua fierezza!

Poi torniamo, ci rilassiamo e via per un altro buon menù!

Poi, proprio mentre stiamo facendo un poco di baldoria all’esterno del ristorantino, a circa 150 metri dalle nostre tende, un ruggito ci gela il sangue… Tutti assieme ci portiamo verso l’interno della ristorantino e il ranger, col bastone ci fa segno che il leone è giusto acquattato ne cespuglio di fronte!!!

Dopo circa un 30 minuti di tentennamenti, ci decidiamo a raggiungere il campo, ma proprio a metà, mentre avanziamo come chi sta camminando sui carboni ardenti, altri 3 ruggiti, ci fanno correre…

Bellissima avventura africana! Comunque sia, io quella notte ho fatto che dormire in pullmino.

14.08.2010 – Domenica – 11° giorno

Ishasha – Kisoro

Ishasha Kisoro 281 km 7h 15’

 Oggi grandissima tappa di trasferimento, buona parte della quale passata a prendermi in giro per il coraggio dimostrato la sera prima (vuoi dar loro torno???)

I paesaggi sono splendidi, ma piove ancora a dirotto e proprio mentre ci avviciniamo a Kisoro, inizia a piovere ancora più forte…

Dovremmo pernottare al lago Mutanda, con le nostre tende, ma vista la situazione, decidiamo di deviare all’hotel Virunga.

L’hotel è davvero bruttino e le camere piccole e brutte, alcune con bagno in comune, ma meglio che piantare le tende sotto la pioggia.

Dopo aver pagato e consegnato i passaporti e i certificati della febbre gialla a George, chiedo se gentilmente ci lasciano cucinare e utilizzare i tavolo.

La gentilezza in Africa è sempre di quelle che ti lascia a bocca aperta.

La cena è davvero splendida e ci ripaga della fatica e della giornata di trasferimento… e poi domani ci aspettano i Gorilla!

15.08.2010 – Lunedì – 12° giorno

Kisoro – DCR (gorilla track) – Kisoro

Kisoro Confine DCR 16 km 1h
Confine DCR Virunga NP 44 km 2h 30’

Famiglia visitata: Humba

Tempo di andata: 3h00m

Tempo permanenza presso i gorilla:50 minuti

Tempo di ritorno: 1h30m

Note: Emozionante, sebbene faticoso, completamente all’interno della giungla, si avanza a colpi di machete. Pioviggina con sensazioni alternate di caldo e di freddo.

Ecco il giorno che aspettavano tutti Oggi finalmente incontreremo i Gorilla. Ci siamo divisi in tre gruppi, fra chi cammina, chi cammina cammina e chi se la vuole prendere con calma, poi ovviamente il tutto dipende da quanto si sono spostate le famiglie.

Quando arriviamo alla frontiera, dobbiamo solo farci timbrare il visto, George ci separa nei due camion militari e dopo una mezzoretta di attesa, dopo aver fatto salire nel nostro camion Kevin, un ragazzo di origini coreane che vive a new York, partiamo.

Il nostro camion ci mette ben 2h30 per raggiungere il luogo dove inizia il trek.

La povertà della repubblica democratica del Congo è disarmante, la gente vive in capanne solo abbozzate, nella melma, con tantissimi bambini con la pancia gonfia, ma solo di aria, che corrono nudi per la strada o che giocano per terra con qualche gallina.

Mi si stringe il cuore pensare a quanto abbiamo speso per vedere i Gorilla e mi sconvolge anche vederli che ci sorridono e ci salutano, quasi come ringraziandoci, loro, che i Gorilla non sanno nemmeno cosa sono.

L’unica cosa che mi rincuora è che i nostri soldi servono almeno in parte a preservare la vita di questi primati che vengono cacciati ancora oggi dai bracconieri.

Al campo veniamo ancora divisi in ulteriori 2 gruppi. Io faccio parte del gruppo strong (mi viene già male a pensarci), quello in tre, io, Stefano e Kevin.

Noi infatti dobbiamo farci ben 2 ore e 30 nella fitta foresta di un verde quasi accecante prima di trovare i Gorilla.

La nostra guida si fa strada a colpi di machete, io ho le caviglie e le gambe completamente martoriate da tutti i giunchi che ci sono a terra; bisogna andare avanti a passo serrato, perché se ci si rilassa anche solo un momento, la persona davanti si perde nel verde della giungla e ritrovarla è difficilissimo.

Penso che in totale avremmo fatto una ventina di km… Ma cosa importa? Anche fossero stati di più, l’incontro con questi nostri prossimi parenti è indescrivibilmente emozionante.

Le loro mani sono quelle di una persona, il loro sguardo fiero, ma allo stesso tempo che infonde una pace incredibile, umano.

Si potrebbe stare ore, giorni, mesi, una vita a guardarli, senza capirli appieno. Sono alle volte più umani di noi, sono degli essere così incredibili che stringono il cuore.

Il piccolino è poi incredibilmente curioso e ci si avvicina anche troppo, cerca di toccarci, di spaventarci battendosi sul torace come il capo branco Silver back, poi si rotola, ci fa vedere che pasteggia a ragni.

In una sola parola: emozionate

La sera ceniamo con Kevin, che abbiamo invitato ad unirsi e ognuno di noi cerca di ripercorrere quell’incontro emozionate.

Sbirciando tra il fogliame, riuscimmo a distinguere un curioso gruppo di gorilla neri come la pece, la testa pelosa, il volto che pareva una maschera di cuoio. Ci scrutavano a loro volta. Gli occhi scintillanti dardeggiavano nervosamente sotto le spesse sopracciglia, quasi cercassero di stabilire se avevano di fronte amici ben disposti o potenziali avversari. Fui all’istante colpita dalla magnificenza fisica dei giganteschi corpi nero-lucenti, in perfetta armonia con la verde tavolozza del fogliame della foresta …” (Dian Fossey)

16.08.2010 – Martedì – 13° giorno

Kisoro – Cyanika – Ruhengeri – Gitarama – Kibuye

Kisoro Cyanika 12 km 15’
Cyanika Ruhengeri 25 km 1h
Ruhengeri Gitarama 85 km 3h 30’
Gitarama Kibuye 58 km 2 h

Altra giornata di trasferimento con passaggio di frontiera.

Ogni volta che in Africa devo passare una frontiera mi rendo conto che la burocrazia italiana non è una delle peggiori.

Prima di andare a portare il passaporto, dovete farvi fare un talloncino dalla polizia (che non fa altro che guardare un passaporto, fare due battute e firmare un francobollo), poi vi portate all’ufficio immigration con tanto di lettera di invito (quella a colori che vi siete stampati dall’Italia).

Insomma, fra una cosa e l’altra sono passate poco più di 2 ore!!! (aspettando abbiamo anche cambiato i soldi rigorosamente in nero e abbiamo comprato l’assicurazione per il mezzo in Rwanda).

Poi grande trasferimento iniziando ad assaporare il Rwanda.

La prima impressione è che siano in pochi, in molto pochi e che non ci sia la classica aggregazione che contraddistingue tutti i paesi africani.

Inoltre, sembra tutto molto di facciata; insomma, direi che a un primo sguardo veloce si nota il tocco del colonialismo che mette tutto a posto in facciata e l’ombra del genocidio.

Tutti camminano per strada, ci sono poche auto e poche biciclette.

Lasciamo i bagagli nello splendido albergo in riva al lago Khivu, prenotiamo cena e poi andiamo al Genocide Memorial center, per il primo incontro col genocidio.

In questa chiesa furono uccisi il 90% dei Tutsi che abitavano in città e nei dintorni.

CONSIGLIO: Informatevi bene prima e se possibile (nel nostro caso non lo era in quanto era caduto un ponte), fate la strada che costeggia il lago Kivu, da Kibuye a Gisakura. Sono approssimativamente 85 km che si possono coprire in 5/6 ore, dipende dalle condizioni della strada e del mezzo.

17.08.2010 – Mercoledì – 14° giorno

Kibuye – Cyangugu – Gisakura

Kibuye Cyangugu Barca 100 km? 5h 45’
Cyangugu Gisakura Mezzo pubblico 25 km 1h 15’

 

Kibuye Gitarama Bus privato 78 km 2h
Gitarama Butare Bus privato 80 km 1h 30’
Butare Gikongoro Bus privato 35 km 30’
Gikongoro Gisakura Bus privato 65 km 3h

 Purtroppo oggi, a causa della pioggia che ha fatto cadere un ponte, non potremmo costeggiare il lago Khivu, ma dovremmo passare all’interno.

Alle 8 dovremmo partire per un giro imbarca sul lago, ma pensare di doverci fare 260km con Lubega che s’è fatto tutto il Rwanda ai 30/40 km/h ci fa propendere per l’avventura.

Aprendo la cartina, infatti, notiamo la segnalazione di un’imbarcazione che da Kybuye va fino a Cyangugu… Quale modo migliore per vedere il lago e raggiungere la meta?

Dopo varie telefonate, riesco a trovare una barca che ci porti. Lubega si assicura della sicurezza della stessa e poi parte con la coppietta del gruppo.

Un altro gruppo vorrebbe venire con noi, ma alla fine decide di continuare in bus.

La traversata è splendida, unico problema è che dopo poche ore inizia a piovere, di stravento, con le onde che sono alte come la barca e che entrano a forza. In più fa un freddo indecente col vento che tira. In mezzo alla tormenta, quello che fa un momento pensare tutto il gruppo è che il capitano inizia a cantilenare come se stesse dicendo una preghiera!!!

Arriviamo completamente fradici, con tutto il paese che ci guarda come se fossimo dei naufragi… Scendiamo e tutti andiamo a fare pipì, poi prendiamo l’ultimo mezzo avventuroso… Tutti dentro ad un minibus con tanto di bagagli che come conducente ha uno che non vede nulla e non contenti, il pullmino ha un solo faro! Un’ora e un quarto per 25 km!

Al nostro arrivo la sorpresa dei saloni del ragazzo che ci lascia per mettere i nostri materassini! Ottima cena a buffet e poi nanna, domattina dobbiamo essere puntuali per andare a vedere gli scimpanzé!

CONSIGLIO 1: La traversata del lago Khivu è splendida, ma non la ripeterei, la trovo molto poco sicura a causa del tempo davvero instabile anche con i giubbotti salvagente

CONSIGLIO 2: Le prenotazioni di qualunque cosa in Rwanda fatte dalla nostra agenzia ugandese lasciano alquanto a desiderare. Vi consiglio pertanto di prenotare e confermare voi stessi ogni giorno e ogni sera le sistemazioni

CONSIGLIO 3: L’ufficio per il trek degli Scimpanzé chiude alle 16:00. Consiglio pertanto vivamente di prenotare da voi dall’Italia, confermare telefonicamente allo 0788675051 e riconfermare o tramite il proprietario della Gisakura (se non riuscite ad arrivare prima delle 16) o andando voi di persona. Il Chimps Trak dovrebbe essere pagato il giorno prima.

CONSIGLIO 4: Sebbene faccia molto freddo, e sia molto caro, dormire in tenda in mezzo alla foresta alla Nyumgwe forest dev’essere splendido, inoltre vi trovate già in loco per il Chimps trek.

18.08.2010 – Giovedì – 15° giorno

Gisakura – Nyumgwe Forest – Kigali

Gisakura Nyumgwe Forest 32 km 1h 45’
Nyumgwe Forest Kigali 221 km 8h

 Anche se ci svegliamo presto, arriviamo in ritardo e inoltre, la nostra prenotazione non c’è!!! Niente scimpanzé. Dopo aver cercato davvero di fare di tutto, chiamando anche il ranger, andiamo al parco, per vedere se possiamo fare qualchecosa d’altro.

Siamo tutti molto stanchi e quindi decidiamo di continuare verso Kigali.

Il panorama che i offre la foresta e le colline fino a Butare sono splendide e meritano davvero di fermarsi ad ogni angolo.

Arrivati a Kigali, decidiamo subito di andare a visitare il museo del genocidio.

Dopo che uscite da quel museo, non riuscirete più a guardare le persone del Rwanda come prima; vi continuerete a chiedere se chi vi sta parlando era un Hutu o un Tutsi, nello stesso tempo vi sentirete anche voi complici di questa folle suddivisione colonialista, vi chiederete “cui prodest”, vi farete mille domande, capirete perché ci sia tutta quella polizia che controlla la pace pubblica. Capirete che questo genocidio deve essere ricordato, come tutti, perché è solo con la memoria che non forse si riesce a far si che non si ripeta, perché davvero con questo genocidio si capisce che l’odio scaturisce dal nulla, come le divisioni, Hutu, Tusti, non vogliono dire nulla, se non una divisione che ha portato al massacro e che a mio avviso non si è sopita.

In 100 giorni sono stati uccisi quasi 1.000.000 di persone in nome di una suddivisione che ha creato il colonialismo!

Vi consiglio di prendere l’audio guida. Il museo va capito in ogni suo angolo.

19.08.2010 – Venerdì – 16° giorno

Kigali – Nyamata – Kigali – Mbarara

Kigali Nyamata 34 km 50’
Kigali Gatuna (border) 83 km 1h 45’
Gatuna (border) Mbarara 161 km 3h

 La premessa è d’obbligo, cosa è successo nel 1994? Molti non lo sanno, qualcuno lo ha appreso dal film “Hotel Rwanda” splendida pellicola che parla di quei drammatici giorni e della storia dell’eroico Paul Rusesabagina. Il 6 aprile di quell’anno, un missile terra-aria, distrusse in volo l’aereo del dittatore del Rwanda che solo l’ anno precedente aveva firmato importanti accordi per una maggiore integrazione nel tessuto sociale dell’ etnia tutsi; varie furono le ipotesi sul disastro: che il missile fosse stato lanciato dalle frange più estreme del suo partito oppure che fossero stati gli oppositori tutsi che non credevano che avrebbe rispettato tale accordo, fino all’ ipotesi che sia stata la moglie del presidente ad architettare l’ attentato. Fatto sta che il 7 aprile 1994, iniziò il massacro sistematico di tutti i tutsi, che rappresentavano il 15% della popolazione, e degli hutu moderati. Un eccidio che durò tre mesi, ma che lasciò sul terreno tra le 800000 e 1071000 vittime (il numero preciso non è mai stato accertato), per la maggior parte trucidate e mutilate a colpi di machete e bastoni chiodati. Il peggior genocidio per arco temporale della storia, circa 6 morti ogni minuto, 1 ogni dieci secondi … sotto gli occhi colpevoli e informati delle Nazioni Unite che non hanno mosso un dito e che, a strage compiuta hanno fatto arrivare grosse quantità di denaro per lavarsi la coscienza (fortunatamente sembra speso bene dal governo attuale).

Ora siamo qui, di fronte alla chiesa di Nyamata, dove il 10 aprile 1994 si è compiuto uno degli atti peggiori di quel genocidio, se si può fare distinzioni in una tragedia simile. Molta gente si è radunata nella chiesa, i massacri sono cominciati da tre giorni e la popolazione ha paura, si rifugia nella casa di Dio in cerca di conforto e protezione. La paura è tanta e in chiesa si ammassano in migliaia, ogni piccolo spazio è occupato, non entra più neppure uno spillo. Per sicurezza chiudono la porta con un lucchetto.

Quando arrivano le truppe paramilitari e l’esercito regolare, probabilmente ridono per quel lucchetto, che oltre al crocefisso dovrebbe difendere i loro obiettivi. A quel punto la malvagità della mente umana e la rabbia repressa fanno scattare il diabolico piano, rotte le finestre i militari iniziano a lanciare granate all’ interno della chiesa, massacrando e dilaniando la povera gente all’ interno. Poi rotto il lucchetto a colpi di arma da fuoco entrano e iniziano a cercare i sopravvissuti finendoli poi con colpi di kalashnikov e soprattutto machete. Quel giorno nella chiesa, e nelle zone intorno alla stessa morirono 10800 civili. Il pomeriggio è torrido e rifugiarsi in chiesa per cercare un po’ di fresco sarebbe un’ottima idea, se quella non fosse una chiesa degli orrori, ora memoriale del genocidio ruandese. Sulla porta d’ingresso in ferro e le sue inferiate, si possono ancora vedere i fori di proiettile della raffica che ha divelto il lucchetto, e tutto intorno sul cemento si vedono i solchi scavati dai proiettili, e i buchi delle schegge di granata. È all’interno che però si hanno le proporzioni dell’ orrore, il soffitto bucato dalle granate da cui filtra il sole, e le panchine sulle quali sono posti i vestiti di tutte le vittime di quel giorno, sono talmente tanti che la mente non riesce a razionalizzare che possano essere stati tutti indossati in quella tragica giornata.

Senza parole torniamo a Kigali, Lubega perderà ben 2 ore per cambiare i freni (ma non poteva dircelo prima???) e con le altre 2 ore perse in frontiera, non riusciremo a raggiungere il lago Mburo e dovremmo accontentarci di un asettico hotel a Mbarara.

Splendida la cena nella hall, poi nanna, domattina partenza alle 5:00 per fare il game drive!

20.08.2010 – Sabato – 17° giorno

Mbarara – Lake Mburo (game drive) – Kampala – Entebbe

Mbarara Lake Mburo gate 60 km 1h 10’
Lake Mburo gate Lake Mburo Park head quarter 15 km 40’
Lake Mburo head quarter Lake Mburo camp site 10 km 30’
Lake Mburo Kampala 325 km 4h 30’
Kampala Entebbe 35 km 1h

Splendido game drive al lago Mburo per vedere le zebre.

Il luogo è splendido, peccato davvero non essere riusciti a dormire qui e a goderci il meraviglioso passaggio.

Lasciamo a malincuore l’ultimo vero scorcio di africa e ci avviciniamo all’occidente, nel nostro viaggio verso Entebbe; e qui la “furbizia” di Lubega viene fuori nel modo peggiore.

Dopo esserci fermati a 15 minuti dalla vicina cittadina appena passata, dice di non poter ripartire, ma che c’è un suo amico, proprio a 15 minuti da noi, che può portarci fino ad Entebbe…

Beh, che dire? Perdiamo ancora tempo; non bastava ieri con i freni, anche oggi e ancora perdiamo la possibilità di fare qualche cosa (nel qual caso un giro a Kampala)

Una parte del gruppo deciderà di non dare la mancia a Lubega, e tutti in comune accordo lasciamo le cose del campeggio alla vicina scuola.

Le mie infradito faranno la felicità di una ragazzina.

Entebbe è carina, ma è ormai tardi. Non ci rimane che cenare, sorridere ancora un poco e poi dormire per poche ore, iniziando a risognare questo splendido viaggio.

21.08.2010 – Domenica – 18° giorno

Entebbe – Cairo – Milano/Roma

Entebbe Airport 7 km 15’

 Sveglia alle 2, per lasciare questo splendido paese, alla volta dell’Italia.

L’africa ci rimarrà sempre nel cuore e con un poco di nostalgia, guardiamo dal finestrino, ripercorrendo queste tre settimane indimenticabili.

“L’uomo che uccide un animale oggi, è l’uomo che domani ucciderà la gente che lo disturberà.” Dian Fossey

Omo River (di Elena Grobberio)

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Viaggio nell’ estremo Sud dell’Etiopia lungo il fiume Omo il quale attraversa nella sua parte alta una zona di bellezza tanto estrema quanto selvaggia e incontaminata e nella parte bassa va distendendosi con ampi meandri tra una natura non meno lussureggiante.

Qui vi è un. insieme di etnie fra le più varie ed interessanti dell’intera Africa, rimaste fedeli alle loro tradizioni grazie all’isolamento in cui hanno sempre vissuto e anche all’ostilità reciproca.

La loro bellezza e armonia, i loro disegni corporali e le acconciature, le scarificazioni e deturpazioni, lasceranno in noi un ricordo indelebile

Un viaggio nel tempo, in un luogo che conserva ancora le tracce e le tradizioni ancestrali che si ripetono immutate da anni. Un’avventura tra le popolazioni del fiume Omo in Etiopia.

 

Terra dove il superfluo non esiste. Dove il popolo è sempre in cammino.

Annuso il profumo della terra arsa dal sole ed osservo l’opaca pelle tua,
uomo così magro che elegantemente cammini.

E mi ritrovo incantata ad ammirare il tuo profilo e la tua esile figura di uomo perfetto,
così bello ed aggraziato.

Mi inchino davanti a tanta bellezza e sorrido felice
di aver conosciuto questo umile popolo.

La cerimonia del salto del Toro:

Abbiamo partecipato al salto del toro un rito di passaggio per i giovani dell’etnia Hammer la più numerosa nel sud dell’Etiopia.

L’iniziato riceve una corteccia con un numero di nodi, segni che scandiscono i giorni di avvicinamento all’evento. Nei pressi di Dimeka assistiamo a questo rituale ancestrale.

Il giovane completamente nudo simboleggia il passaggio alla sua nuova vita come quando nacque così è senza nulla addosso.
Viene inoltre rasato con una particolare acconciatura che lo distingue da tutti gli altri maschi del villaggio.

Questa operazione viene effettuata come tutta la preparazione all’evento dai “maz” giovani che hanno già effettuato la prova con successo.

Spalmato di letame, dovrà saltare sulla schiena di tori messi uno fianco all’altro e tenuti da altri maschi del villaggio e lo deve fare per quattro volte di seguito. La caduta sarebbe un’onta che la comunità non accetterebbe, in quanto il giovane verrebbe preso in giro per il resto della sua vita e ne segnerebbe il futuro. Viene comunque accettata una sola defezione.

Al termine effettuato con successo il salto il giovane diventa un maza. Le donne parenti dell’iniziato, vengono frustate dai maza e questo dimostra l’amore per il ragazzo che sta rinascendo a nuova vita di uomo naturo, Le cicatrici per le giovani donne hammer sono simbolo di grande orgoglio.

Libia al tempo di Gheddafi

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25.04.2008 – Venerdì – 1° giorno

Italia – Tripoli

Arrivo all’aeroporto di Fiumicino e le voci che fino a prima ho immaginato, prendono forma…

Siamo un bel gruppo, variegato… io questa volta sono la più giovane!

Ovviamente la Lybian Air ha un piccolo ritardo di due ore che passiamo a raccontarci un poco l’itinerario e quello che sarà il viaggio.

Finalmente ci imbarchiamo e dopo due ore siamo a fare la fila all’immigrazione. Lascio il foglio con i nomi delle persone del gruppo in arabo; il funzionario ha una copia del nostro visto.

Consegniamo tutti i passaporti (il gruppo deve stare unito) e dopo una mezz’oretta siamo fuori dall’aeroporto, con i nostri bagagli.

Assieme a Mimi, la cassiera, andiamo a cambiare 3500 euro alla banca dell’aeroporto e poi, assieme al nostro autista, raggiungiamo l’hotel Marhaba.

Lasciamo velocemente il bagaglio e subito rientriamo sul pulmino per dare una prima fugace visita alla splendida Tripoli.

Visitiamo per primo l’Arco di Marco Aurelio, porta di saluto verso il mare e la moschea del Gurgi e di Karamanli, splendidi esempi di arte musulmana.

Finiamo per perderci dentro i vicoli deserti della medina. Oggi è venerdì e tutti o quasi i negozi della medina sono chiusi; anche deserta i vicoletti tutti colorati e con fronde di meravigliosi fiori viola che ne fanno da cornice, la medina ha il suo fascino, quasi irreale, come congelata in un solo momento.

Sorseggiamo il primo te in piazza di fronte alla splendida torre dell’orologio.

Sono ormai le 20 e la fame inizia a farsi sentire…

Salah, sotto nostra esplicita richiesta, ci porta al mercato del pesce, a circa 5 km.

E qui ci sbizzarriamo Continue reading “Libia al tempo di Gheddafi”

Hoggar, il deserto algerino

Hoggar 12_2007_0050.jpgL’Ahaggar o Hoggar è una immensa regione vulcanica nel centro-sud dell’Algeria.

Il termine arabo“Ahaggar” significa “luogo della paura” probabilmente per gli impressionanti paesaggi che lo caratterizzano.

Erodoto localizza proprio lì il popolo degli Atlanti dove vi erano le “COLONNE CHE REGGEVANO IL CIELO”(evidente riferimento ai picchi dell’Atakor)
Le eruzioni, che hanno ricoperto questa vastissima regione, erano iniziate verso la fine dell’Eocene, 35 milioni di anni fa, quando il continente africano era entrato in collisione con quello europeo.

I fenomeni effusivi, a più riprese, continuarono a manifestarsi fino al recente Quaternario, quando già gli uomini del Paleolitico si aggiravano in questi territori.
Il massiccio dell’Hoggar occupa una superficie di circa 530.000 chilometri quadrati (quasi come l’intera Francia) con montagne che sfiorano i 3000 metri s.l.m. Dal 1987 la regione è stata dichiarata Parco Nazionale dell’Ahaggar per salvaguardare le innumerevoli peculiarità che racchiude sia sotto il profilo geologico, antropologico, preistorico, faunistico e botanico.

Hoggar, racconto del mio primo viaggio nel deserto

Quel mio primo viaggio nel deserto non mi ha regalato solo indescrivibili emozioni e paesaggi di inimmaginabile bellezza, in quell’avventura ho anche conosciuto Gianni e Cristina, incredibili compagni di mille avventure, amici veri, di quelli che solo chi è fortunato può aver la possibilità di incontrare.

27.12.2007 – Giovedì – 1° giorno

Italia – Algeri

L’aereo dell’Air Algerie è in ritardo, ma quanto ci lascerà con l’amaro in bocca, sarà una volta arrivati a Tam, dove il volo interno verrà posticipato al giorno successivo, alle 9 dicono…

Siamo stanchi esausti, sconvolti per un volo che dura solo 2 ore e mezza, ma che per il caos, l’inefficienza e la scortesia dell’Air Algerie, sembra durare molto, molto di più.

Sconsolati ci portano all’albergo solo all’una di notte, dove ci viene anche offerto una cena a base di pollo e riso.

La mattina dopo colazione alle 6 e di nuovo in aeroporto.

 

28.12.2007 – Venerdì – 2° giorno

Algeri – Tamanrasset – Assekrem

L’Air Algerie non ha confini quando si tratta di inefficienza. Ci fa arrivare tutti alle 9, per poi farci aspettare fino alle 12:30.

Ed è grazie ad una signora dell’Air Algerie che si prodiga a trovarci l’equipaggio che partiamo oggi e non il giorno successivo…

In questo periodo ci sono tantissimi pellegrini che vanno alla Mecca e l’Air Algerie ha un numero limitato di aeromobili e di personale, conseguenza, ritardi su ritardi…

Comunque sia, siamo sull’aereo, dove le hostess ci assegnano il posto a seconda di come saliamo.

Io capito vicino ad un professore di architettura islamica che mi racconta l’Algeria, o meglio, la sua Algeria, dandomi delle belle dritte su come comprare al mercato e su cosa vedere nel prossimo viaggio algerino.

Quando arriviamo ad aspettarci ci sono i nostri capi autisti e Khirani.

Paghiamo quando dovuto e subito ci mettiamo in jeep alla volta dell’Assekrem.

Sappiamo già che non arriveremo per la magia del tramonto…

Per la strada vediamo la meraviglia delle rocce che spuntano come lame dal terreno sabbioso. E quando siamo ormai al tramonto, ci soffermiamo a gustare i colori del massiccio dell’Ahagar.

Ormai è tardi, mettiamo i sacchi a pelo nella nostra stanzetta, e andiamo a cena.

Non appena abbiamo finito, ci chiudiamo in camera, apriamo le scatole di cibarie e decidiamo cosa manca, in un marasma di gentil donzelle che si sfidano a botte di menu.

 

29.12.2007 – Sabato – 3° giorno

Assekrem – Guelta Afilal – I-N-Fegou

Sveglia alle 5:45 per incamminarci su all’eremo che fu di Père de Foucauld. La stradina sale su diritta, fino a quota 2728, sono solo 15 minuti, ma abbastanza faticosi.

Ci fermiamo ad aspettare l’alba, che in questo periodo dell’anno è attorno alle 7:00 (all’interno del rifugio dove viene servita la cena ci sono delle tabelle dell’alba suddivise per mese).

In cima c’è una bussola panoramica del touring club de France per il riconoscimento delle cime che si ammirano da lassù.

Infreddoliti, ma con il meraviglioso panorama ancora negli occhi, scendiamo a fare colazione, poi prepariamo le jeep ripartiamo alla volta di Tam.

Ci fermiamo per la strada per ammirare la meravigliosa Guelta Afilal, il maggior corso d’acqua dell’Ahaggar.

Guelta è un termine arabo usato in Nordafrica per indicare qualunque bacino d’acqua naturale, dalla pozza d’acqua a un vero e proprio lago.

Percorriamo a piedi alcune centinaia di metri costeggiando il fiume e ci fermiamo a pranzare in questo posto meraviglioso.

A Tam faremo la spesa al mercato e dopo aver preso la bombola, lasciamo le strade asfaltate di Tam, per iniziare ad immergerci verso il deserto.

Dobbiamo fare campo prima che sia troppo buio e quindi ci sistemiamo in questa piana, vicino a I-N-Fegou.

Dopo cena, restiamo col naso all’insù per ammirare il magnifico cielo stellato.

30.12.2007 – Domenica – 4° giorno

I-N-Fegou – El Guessour

Sveglia alle 6:30, colazione alle 7:00 e partenza alle 9:00.

Dopo pochi km incontriamo il pozzo di Tahankirt, dove c’è una donna che pascola le sue piccole caprette. Ci fermiamo a socializzare, poi di nuovo sulla jeep.

Incontriamo l’Argal, una montagna maestosa che raffigura un vecchio cammello, poi continuiamo a percorrete il Oued Zazir.

Pranzo al Oued Ekarkar e poi ancora in jeep, per arrivare alle porte del Tassili, dove vediamo i primi graffiti.

Il paesaggio è splendido, lunare, pieno di rocce che sembrano uscite da un film di fantascienza.

E’ ormai tardi, ci perdiamo un poco a zonzo nel oued Ahtez e poi risaliamo in jeep per cercare un bivacco lontano dai pochi turisti che abbiamo incontrato nel oued.

I nostri autisti si avventurano su per le rocce fino a portarci in un canyon sabbioso nascosto da alti pinnacoli.

Poco più in là un letto di basalto ed un paesaggio davvero maestoso ci aspetta, per un tramonto spettacolare ed un’alba senza eguali.
Lauta cena riscaldati dal fuocherello e nanna verso le 10, dopo esserci raccontati vari aneddoti.

31.12.2007 – Lunedì – 5° giorno

El Guessour – Tin Akacheker – Taguelmand Samed – Tagrera

Ci svegliamo di buon ora, per fare una passeggiata nella colata basaltica vicino al nostro campo, aspettando l’alba.

Ci arrampichiamo sui pinnacoli e ci perdiamo nell’immensa bellezza di questo posto così irreale da sembrare non terrestre, lunare.

Poi facciamo colazione e, dopo aver preparato i bagagli, ci incamminiamo verso valle, aspettando che i nostri autisti riescano a far partire l’auto.

Siamo di nuovo in jeep e di nuovo lo sguardo si perde in queste vaste distese di sabbia gialla.

Ci perdiamo fra la sabbia e gli archi di roccia, far cui il più bello, l’arco di Akacheker.

Dopo aver passeggiato sulla sabbia, e aver scattato tantissime fotografie a questi paesaggi magici, con pinnacoli, guglie, dune, ci accampiamo a Tagrera, in un anfiteatro naturale con incisioni rupestri, di fronte a noi un’alta duna.

Lasciamo tutto per arrampicarci in cima e perderci nel silenzio del luogo aspettando il tramonto.

Poi, eccitati dalla bellezza dei luoghi, iniziamo a preparare il cenone.

Cantiamo, balliamo e i nostri autisti ci registrano, ridendo anche in mezzo a noi.

Festeggiamo la mezzanotte e poco dopo ci ritiriamo nelle nostre tende, speranzosi per l’auto che domani deve arrivare da Tam, visto che la nostra, ormai, non funziona davvero più!

 

01.01.2008 – Martedì – 6° giorno

Tagrera – Dalle – Tahaggart

Mi sveglio con la voce di Augusta che intima ad Aurelio di mettere su il te.

Apro la tenda e vengo accolta dalle incisioni preistoriche.

Oggi ce la prendiamo con calma, ci sdraiamo a prendere un poco di sole, poi, solo dopo aver aggiustato l’auto alla bell’e meglio, salutiamo i ragazzi venuti da Tam e, dopo aver cambiato auto, ci dirigiamo a Dalle, per immergerci in un deserto roccioso.

A Dalle sorge una roccia nera, lavica in mezzo ad un verdeggiante campo di piselli.

La roccia è completamente ricoperta da graffiti, ci sono piedi, giraffe, rinoceronti, ricordo del tempo che fu.

Gli autisti mi tengono il muso perché ho voluto cambiare jeep. So cosa significa per loro, ma è anche vero che quell’auto così non poteva andare avanti…

Piantiamo il campo a Tahaggart. Notte fredda, ma posto incantevole.

02.01.2008 – Mercoledì – 7° giorno

Tahaggart – Tin Hagoula – Youfh Aglal

I paesaggi diventano ogni giorno più belli.

Nell’Hoggar si possono passare nello stesso posto, 2 ore, ma anche settimane intere.

Ci sono guglie, pinnacoli, dune che chiedono solo di essere scalate. E poi c’è il vento che tutto muta, che ci regala ogni giorno un deserto diverso.

Si possono sprecare fiumi di parole cercando di descrivere anche solo la diversità della sabbia, di ogni singolo granello, per dimensione, forma, colore e storia.

Il deserto è vivo e muta ogni giorno, in fretta, lentamente.

Ogni giorno non è uguale a se stesso. Come ognuno di noi.

Ci accampiamo a Youfh Aglal, e come ogni sera, ci raccontiamo storielle e giochi davanti al fuoco.

03.01.2008 – Giovedì – 8° giorno

Youfh Aglal – Youfh Ahakit – Tblist – Tin Tarabine – Tigoul Golen

Arriviamo a Youf Ahakit, luogo protetto che propone un vasto paesaggio con rocce erose in modo bizzarro e una vasta diversità di graffiti, e ci divertiamo a trovare somiglianze fra le rocce e gli animali, a fare fotografie, a guardare semplicemente lo spettacolo della natura.

Poi continuiamo per il letto del Tin Tarabine, godendo di meravigliosi scorci.

Pranziamo sotto un’acacia e ci divertiamo a giocare a bocce con gli zucchini rotondi trovati in ogni angolo del deserto.

Uscendo dalla gola del Tin Tarabine, si lascia definitivamente il Tassili per ritrovare l’Hoggar vulcanico con la sua rete di letti asciutti costellata di vegetazione relativamente ricca dove spesso i cammelli pascolano.

Saliamo in un paesaggio che sembra una miniera di carbone, tutto attorno a noi ci sono piccole montagnole di sassi e tanto freddo.

E’ l’ultima notte nel deserto, la passiamo a mangiare dolciumi, giocare con gli autisti e a raccontare barzellette.

Domani ci attende l’incognita dell’Air Algerie….

04.01.2008 – Venerdì – 9° giorno

Tigoul Golen – Indelek – Fuatas – Tamekrest – Tamanrasset

Peccato, è l’ultimo giorno.

Ci svegliamo come ogni mattina e iniziamo la nostra corsa verso Tamanrasset.

Per la strada incontriamo lo splendido villaggio di Indelek, dove varrebbe davvero la pena di pernottare passando un poco di tempo con la popolazione indigena.

Poi ci spingiamo fino a Tamekrest, per vedere la cascata, ombreggiata da oleandri.

Scaliamo la roccia liscia erosa dall’acqua fino alla cima, per poi tornare dai nostri autisti.

Alle 14:00 arriveremo a Tam e affamati pranzeremo vicino al mercato giornaliero.

Dopo questa mega scorpacciata di cibo, lasciamo le nostre cose dalla guest house della Takialt Expeditions e ci dividiamo in chi preferisce fare un giro in città e chi fa prima la doccia.

Io mi perdo nel mercato locale con Augusta, c’è invece chi cerca di dar fondo ai pochi dinari cambiati per qualche souvenir.

Cena luculliana alla guest house e poi in aeroporto.

05.01.2008 – Sabato – 10° giorno

Tamanrasset – Djanet – Algeri – Italia

Ormai il viaggio è terminato, è stato splendido, indescrivibile, come quel cielo stellato così vicino che mi poterò per sempre negli occhi.

 

Alcune informazioni utili

Contate di fare colazione verso le 7 per avere il tempo di disfare il campo ed essere pronti a partire alle 9:00

La sera si cerca di arrivare in un luogo panoramico dove fare il campo per le 16:30, 17:00 per avere il tempo per scoprire un poco il luogo a piedi.

Contate che per preparare la cena ci si mette più o meno 1 ora e mezza.

Contate inoltre che per disfare il campo e preparare i bagagli ci vuole 1 ora abbondante.

Per gli orari, consultatevi comunque sempre con gli autisti.