Sahara Marathon

Mi stavo allenando da un poco e a novembre ho deciso che se prima maratona doveva essere, che Sahara Marathon fosse!

Almeno avrei unito l’utile (la mia prima maratona) al dilettevole (il viaggio ospitata dai Saharawi).

Ho iniziato ad allenarmi seriamente sin da subito, ma a fine anno, uno strappo muscolare mi ha bloccato e quindi niente maratona… e per non farmi mancare nulla, a pochi giorni dalla partenza, mi sono pure rotta un dito del piede. Poco male… avrei camminato solo 10km, come mi aveva intimato il medico dello sport prima di partire e poi mi rimaneva sempre “il dilettevole”.

Sabato 23 febbraio – Si parte!

Ci incontriamo tutti all’aeroporto di Roma Fiumicino. Distribuzione delle felpe, comprate prima di partire, bellissime e subito indossate, divisione di aiuti umanitari in varie valigie portate vuote per l’occasione, poi lungo check in e piano piano ci si dirige al gate.

A Fiumicino incontro anche lui, il mitico Rubens, colui che rende questo evento fattibile anche per gli italiani, ma soprattutto colui che ci aiuta ad assaporare appieno quella che sarà una delle esperienze più delle della mia vita. Rubens ha partecipato alcuni anni fa alla Sahara Marathon, quando questa gara era ancora una Ultramaratona e se ne è innamorato. Ci ha scritto un libro, “la corsa verso il mare” e ora assieme ad altri fa parte come consigliere dell’associazione 1514 oltre il muro, una Onlus che oltre a sensibilizzare sulla scabrosa vicenda dei Saharawi, aiuta i rifugiati con diversi progetti realizzati attraverso raccolte fondi e singole donazioni all’associazione. E come ogni grande uomo, a suo fianco una grande donna, Elena.

Su Rubens ed Elena potrei scrivere un libro intero, ma forse non basterebbe. Sempre sorridenti, sempre positivi, sempre calmi, pronti alla battuta. In loro trovo amicizia, due incredibili compagni di viaggio, chi mi aiuta a risolvere i piccoli problemi, chi mi ascolta. Dovete venire alla Sahara Marathon anche solo per conoscerli. Giá questo vale il viaggio.

Gli altri miei compagni di viaggio sono davvero incredibili, ognuno ha una storia da raccontare, piacevoli e i miei compagni di tenda unici.

Il viaggio per Smara

Il viaggio per raggiungere i campi é a dir poco allucinante.

In linea d’aria é alquanto vicino, siamo al confine dell’Algeria con Marocco, Sahara Occidentale e Mauritania, ma stiamo andando in un campo profughi… quindi, dopo il volo Roma – Algeri delle 14:00, fatto con la mia compagnia preferita, la Air Algerie, atterrato incredibilmente in punto alle 15:20, si comprano schede telefoniche locali e si cena vicino all’aeroporto per “ammazzare” quelle 8:35 di Lay over…

Ogni volta che mi trovo all’aeroporto di Algeri capisco che tutto é relativo e che il mondo é bello perché vario… per noi italiani gli algerini non hanno proprio il dono dell’organizzazione, ma questo mi fa sempre ridere, perché sicuramente gli stessi pensieri che noi abbiamo nel confronto degli algerini, sono gli stessi dei tedeschi nei nostri confronti e dei giapponesi nel confronto degli europei… quindi mi rilasso, e mi godo sorridendo questa splendida rappresentazione della differenza culturale che tanto amo.

Arrivati all’aeroporto di Tindouf alle 02:20, ghiacciati al punto giusto, dopo aver passato i controlli militari come solo Rubens sa fare, ci mettiamo in gelida attesa del bagaglio… fino alle 4:00…

E qui ho l’incontro della mia vita… il mitico 40!!!

I bagagli vengono caricati su di un camion e noi…

In corriera, saliamo sul mitico 40, che ci accompagnerà ovunque, guidato dal mitico Brahmin

Alle 6:30, dopo solo 2 ore e 59km, la nostra corriera, scortata dai militari, giunge al campo di Smara, in centro, alla Daira. Io mi sento calda come un tonno congelato venduto al mercato ittico di Tsukiji di Tokyo… i miei piedi erano più caldi durante la salita a Capanna Margherita in vetta al Monterosa…

Alla Daira ci aspettano le nostre famiglie per portarci in quella che per una settimana sarà la nostra casa.

Devo ringraziare Rubens per averci detto di “fare attenzione al te”, lui dice che possiamo ringraziare cortesemente e dire che lo prenderemo dopo il meritato riposo… solo la sera capiremo l’importanza di questo consiglio…

Alle 7:30 siamo a casa della nostra famiglia e giustamente, la padrona di casa ci chiede se vogliamo il te… ringraziamo, e gentilmente rifiutiamo perché vorremmo riposare… ovviamente dopo 2 minuti siamo fuori a fare 800000 fotografie dell’alba, ma alle 8:00 siamo tutti addormentanti.

I miei compagni di tenda

I miei compagni di tenda sono delle persone uniche ed eccezionali, non riuscirò sicuramente a descriverli in così poche righe, e me ne scuso.

Matteo é di Rovigo, detto Mataio, arrivato in Algeria ha tolto gli occhiali che rimetterà solo in Italia… però sembra vederci bene e io me ne sono accorta solo ora mentre sto scrivendo… lui é pacato, acculturato e simpaticissimo, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. É il papà dei bambini e un poco anche di Francesca, e non per ultimo é il nostro capo tenda.

Francesca ha 25 anni, lei ha un sorriso splendido e degli occhi incredibili. É solare, simpatica e gioviale ed é la classica persona da prendere in mezzo in ogni scherzo, perché sempre sorridente e mai permalosa. Adora attorniarsi di bambini, adora questo viaggio che é il primo che si é pagata da sola. Lei é l’intrattenitrice per eccellenza dei bimbi… ma anche nostra! La sua miglior performance é stata il rifacimento della valigia al terzo giorno… un’esplosione avrebbe dato più ordine…

Lorenza é il cuore di Informatici senza Frontiere, sembra riservata, ma é un’esplosione di simpatia, con i suoi racconti velati da quella splendida satira, mai eccessiva, ma diretta e sagace. Ha una storia lavorativa incredibile che non fa altro che confermare la sua poliedricità.

All’appello manca Claudio, che incontreremo più avanti. Lui é andato a seguire un progetto di Informatici senza frontiere a Rabouni. Claudio, detto Claudiano, Domiziano, Diocleziano, Vespasiano, Vittiliano (sbizzarritevi con tutti i nomi che finiscono in “iano”, lui risplende a tutti) é sicuramente un personaggio particolare. Lui parla poco, sempre pronto a scherzare e a farsi prendere in mezzo. Il suo hobby é il rifacimento della valigia… chiedete a Matteo, si è addormentato che Claudiano faceva la valigia e si é svegliato dopo circa 2 ore e l’ha ritrovato a fare la valigia. Siamo ancora tutti in attesa che ci stupisca dopo che non ci ha voluto lasciare uno dei suoi due numeri di cellulare… ma anche questa é la bellezza di Ottaviano

Domenica 24 febbraio 2019 – l’ospedale di Bolla

Ci svegliamo riposatissimi dopo solo 3 ore e mezza di sonno profondissimo per essere puntuali alle 12:00 alla Daira dopo una splendida colazione e un secondo rifiuto per il te…

Splendido! C’è un matrimonio. Parte della strada viene chiusa, e ci sono tantissimi regali e persone che ne portano altri. Le donne, completamente coperte e con gli occhi schermati da appariscenti occhiali da sole, sfoggiano degli splendidi tatuaggi all’henné sulle mani… chissà se saremmo così fortunate da averli anche noi?

Sullo sfondo due cammelli con le ginocchia vincolate da corde per impedir loro la fuga, attendono non contenti il loro funesto destino…

Il gruppo é in ritardo. Ottimo, almeno ci possiamo godere questa splendida sorpresa non pianificata. Ci accorgiamo subito che non solo la nostra famiglia é di una gentilezza d’altri tempi, ma lo sono anche tutte le persone incontrate fino ad ora.

Poi partiamo e andiamo a Bolla, a visitare Rossana e il suo ospedale.

Rossana é una delle tante persone incredibili che conosceremo lungo questo viaggio. Lei é italiana, é venuta nei campi profughi e ha deciso di rimanerci. A Bolla, dove l’esercito ha lasciato dei casermoni ed un ospedale, c’è anche un’oasi di acqua. Rossana, con i suoi soldi e gli aiuti che riceve, ha costruito un ospedale per bambini e una casa per la degenza degli stessi assieme alle loro famiglie.

A Bolla, presso Rossana, risiede anche Warda, una bellissima ragazza purtroppo costretta in sedia a rotelle che dipinge magnifiche teiere che vende per il suo sostentamento.

Pranziamo a Bolla e rimaniamo quasi sospesi in questa oasi di umanità, abbellita dall’amore di Rossana e di tutti coloro che credono e si battono per un futuro migliore.

Lunedì 25 febbraio – la famiglia Jujitsu e qualche parola sul te e sull’hennè

Mi rendo conto che non sia proprio bello che io non riesca a ricordare e a pronunciare correttamente tutti i nomi dei componenti del nucleo familiare che ci ha ospitato per una settimana, ma credetemi, non é per noncuranza, é che proprio non ci riuscivo… e con me i miei compagni di tenda…

Abbiamo fatto di tutto, li abbiamo fatti ripetere per mezz’ore intere, registrati e riascoltati… abbiamo fatto esercizi di ripetizione, ma nulla… alla fine abbiamo convenuto che erano tutti una declinazione di “itsu” e la famiglia é stata ribattezzata la famiglia Jujitsu….

Il rito del te

“il primo bicchiere è amaro come la vita, il secondo è dolce come l’amore e ilterzo è soave come la morte”

Il popolo saharawi è molto ospitale, ogni persona che arriva diventa ospite e il segno più grande di ospitalità è offrire il tè, preparato con un rito speciale.
L’arte del tè presso i Saharawi risale a circa 200 anni fa .
Il tè rappresenta la bevanda tradizionale per eccellenza; viene fatto in un particolare modo che si può ritrovare anche in alcune zone della Mauritania, dell’Algeria e Tunisia. Ogni tenda o casa ha a disposizione un vassoio, bicchieri, teiera e zucchero per offrire del tè a qualunque ora e a chiunque si presenti.
Il modo tradizionale di prepararlo necessita di circa un’ora e mezza di tempo (cronometrato…) perché prevede che sia ripetuto per tre volte.  Hajitsu, la padrona di casa, pone nella teiera, sempre ben riscaldata, l’acqua bollente, vi aggiunge una dose di tè verde e un misurino di zucchero. Quando l’infuso, mantenuto caldo sul braciere di carboni ardenti, girati con maestria a mani nude, bolle, ne viene versata solo una parte in un piccolo bicchiere, mentre il rimanente viene lasciato in infusione.
Il rito inizia qui: il contenuto del primo bicchiere viene versato dall’alto da un bicchiere all’altro, a più riprese, in modo da creare in ognuno un piccolo strato di schiuma bianca.

Come è stato più volte detto a Francesca, “non si può mica bere un te senza schiuma!”

Soltanto a questo punto, l’infuso della teiera, viene versato nei piccoli bicchieri di vetro e servito sopra un  vassoio circolare.

In questo modo il tè diventa un rituale che ripetuto diverse volte al giorno serve a riempire le lunghissime giornate nel deserto ed a facilitare la socializzazione…

L’henné

Sempre grazie alla loro incredibile ospitalità, veniamo omaggiati di splendidi abiti locali e monili e noi donne riceviamo il dono più gradito, l’henné… dopo aver visto le splendide decorazioni sulle mani della sposa, siamo tutte molto esaltate di poter avere questo splendido tatuaggio semi permanente…

Pertanto ci sediamo fiduciose, anche quando vediamo che le nostre dita vengono avvolte dal cerotto per lasciare scoperti solo i polpastrelli e degli angoli dei palmi delle mani, uno fatto a triangolo e uno a quadrato… Poi solo i polpastrelli e queste strane figure vengono riempite di henné e il tutto viene avvolto con la pellicola trasparente…

Il risultato è quantomeno terrificante, tremendo… I polpastrelli, arancioni, nel palmo destro, un triangolo arancione (al centro del mio passa anche la linea della vita, quindi vi lascio immaginare a cosa assomigli…), in quello sinistro un quadrato, ma il meglio è rappresentato dalle unghie… SONO ANCHE LORO DIVENTATE ARANCIONI E COSI’ RIMARRANNO FINO A COMPLETA RICRESCITA…

Abbiamo ricercato ovunque… la pelle si “schiarisce” con limone, cloro e dentifricio, le unghie o si fresano o si tengono così… Io sto sfoggiando dal mio ritorno uno splendido smalto semi permanente rosso!

Martedì 26 febbraio – Sahara Marathon

La Sahara Marathon é il pretesto per venire a scoprire questo mondo. Non credo che nessuno pensi di venire qui a fare il suo miglior tempo; dopo 23km iniziano 7km di dune, fa un freddo indescrivibile alla partenza, un caldo indicibile dopo poco e il tempo all’arrivo viene preso con gli scanner dei codici a barre, sempre ammesso che vi ricordiate di passare per il gazebo preposto al “rilevamento dei tempi”, sennò si rischia di essere seganti come dispersi sul tabellone dei finalisti…

E se tutto questo non basta a scoraggiarvi a pensare ad un vostro best time ever, l’arrivo di quest’anno era segnato da una “splendida” e quanto meno pericolosissima scultura fatta da un artista locale… questa é anche la Sahara Marathon.

Correre o camminare nel deserto ha il suo fascino, ci si aiuta a continuare a crederci anche quando sembra troppo difficile o troppo caldo o freddo anche solo per pensare di continuare. Il popolo Saharawi fa il tifo lungo la strada, i bambini con uno splendido sorriso e le bandiere Saharawi che sventolano al vento.

Non ci sono premi per i primi arrivati, ma splendide coppe fatte in ceramica dal laboratorio di El Aioun. E per tutti i finalisti, una medaglia di partecipazione, anch’essa fatta in ceramica di El Aioun che in questa terra così difficile, attorniati e ospitati che una popolazione così incredibilmente ospitale, si carica di un significato ancora più grande che l’essere riusciti ad arrivare al traguardo.

Quella medaglia racchiude gelosamente il ricordo dell’incredibile settimana che ci porteremo per sempre nel cuore, carica di fortissime emozioni che ci riportano ad essere nuovamente quei bambini, quando anche solo un gelato ci rendeva felici.

Mercoledì 27 febbraio – la festa Nazionale

Quest’anno il giorno successivo alla Maratona si commemora la festa nazionale, il 27 febbraio, quando venne proclamata la Repubblica Democratica Saharawi.

Noi siamo a Smara e la parte più bella di tutta la manifestazione é perdersi fra i bambini vestiti a festa che inscenano con i loro abiti tutte le parti importanti della vita Saharawi.

Sono splendidi, alcuni tutti colorati, altri con abiti bianchi, ma tutti con un sorriso e con degli occhi incredibilmente pieni di vita che valgono mille parole.

Vengono installate anche tre tende antiche Saharawi che ci riportano ai tempi in cui questa popolazione era effettivamente nomade e viveva nei territori che oggi sono occupati.

Giovedì 28 febbraio – Dakhla

Per arrivare a Dakha abbiamo bisogno di tanta pazienza, ma veniamo ripagati dallo splendido panorama di un deserto che continua a cambiare e a diventare sempre più rosso. Di fronte a noi il deserto della Mauritania, splendido, solenne.

L’immensità e il senso di pace che assieme inondano i sensi é inspiegabile, nessuna fotografia, nessuna parola, nulla può descrivere la bellezza che madre Natura ha dipinto in questo angolo remoto di globo.

Dakhla é un paese molto particolare, é disseminato lungo la sorgente di acqua, le case sono sparse come le tende di un campo nomadi. Alcuni anni fa é stato completamente allagato e ora si cerca di ricostruire le case con mattoni fatti in cemento anziché di terra. Anche questo è uno dei tanti progetti di sostentamento alla popolazione sostenuto da 1514 Oltre il muro, come la consegna capre.

Qui, se possibile, la popolazione Saharawi é ancora più povera, ma sempre molto ospitale. Questa é la loro natura.

In questo posto sperduto nel nulla, uno splendido progetto italiano ha portato la pizzeria Bella Dakhla, un modo di aggregazione giovanile. Stanno cercando di produrre la mozzarella dal latte di capra, quindi chiunque avesse un’idea, può farsi avanti.

Anche qui visitiamo l’ospedale che sta sull’altura di fronte al paese. Noi abbiamo portato alcuni farmaci, le nazioni unite ne spediscono altrettanti, ma non sono mai a sufficienza. Il team di informatrici senza frontiere sta facendo a Rabouni un progetto per una migliore gestione dei farmaci.

Venerdì 1 marzo – la maratona dei bimbi

La mattina seguente aiutiamo nell’organizzazione della maratona dei bimbi. Vengono divisi in fasce d’età e corrono per circa un km a più non posso… sembrano quasi sospesi con i loro piedini nudi mentre sfrecciano verso l’arrivo.

Una volta la Sahara marathon era un’ultramaratona e arrivava fino a qui. Oggi va da El Aioun a Smara. La maratona dei bimbi é un momento importante per non dimenticare questo luogo così remoto dei campi profughi Saharawi.

Sabato 2 marzo – ultimi saluti e Afapedresa

Ormai mi sento di casa, l’incredibile ospitalità che da molto tempo non vivevo più, mi ha contagiata e anche se oggi é l’ultimo giorno, mi sembra di non dover partire mai.

Oggi siamo a Rabouni alla casa delle donne dove pranziamo con un ottimo cous cous fatto dalle donne dell’associazione, cous cous che possiamo anche comprare.

Ci accolgono con musica dal vivo ed é subito festa. Francesca trova anche marito… ma mi sa che sarà una storia non a lieto fine vista la distanza…

Poi visitiamo altri tre progetti fatti dall’UNHCR, vicino a Tindouf. Un allevamento intensivo di polli e uno di uova e un allevamento di pesci… si, un allevamento di pesci nel deserto. Per quest’ultimo sono ancora in fase embrionale, ma alla sera, all’associazione Afapredesa troviamo del pesce fritto ad aspettarci come cena.

Il museo ci porta a capire un poco di più sulla storia di questo popolo, e Afapredesa, l’associazione delle famiglie dei prigionieri e dei desaparecidos Saharawi chiude il cerchio, mostrandoci dei documentari su alcune fosse comuni ritrovate vicino al confine marocchino e su come vengono trattati i Saharawi che vivono attualmente nei territori occupati da Marocco…

Si ritorna da questo viaggio con una carica interiore indescrivibile, consci di quello che abbiamo perso nel nostro mondo civilizzato, incredibilmente consci di quanto sia effettivamente necessario e di quanto lasciamo nel dare giornalmente più importanza alla futilità.

Si ritorna con mille idee e mille progetti, con la voglia di cercare di migliorare almeno un poco la loro difficile situazione.

Con i miei compagni di tenda stiamo cercando di gettare le basi del “Monnezza Project”. E si, perché nei campi profughi il rifiuto non viene praticamente gestito, viene accumulato e lo si trova ovunque, in città e nel deserto.

Se avete idee o volete anche solo seguirci, siamo su Facebook e su Instagram e se volete potete darci il vostro nome Skype e vi inseriremo nelle nostre riunioni.

Un poco di storia

I Saharawi vivono da 43 anni nei campi profughi, in città costruite nel deserto algerino. Nel 1976, quando la Mauritania si ritiro dalla parte sud del Sahara Occidentale, il Marocco occupó tutti i territori, e il popolo dei Saharawi fu costretto a lasciare le proprie case e in alcuni casi i cari in una fuga per poter vivere.

L’Algeria venne loro in aiuto e gli diede ospitalità in un pezzo di deserto, dove c’e un poco d’acqua, ma non così tanta e nulla più.

Il Sahara Occidentale rimane ad oggi il territorio conteso più grande al mondo.

Ma andiamo per gradi…

La conferenza di Berlino fu l’occasione di regolare la corsa all’Africa iniziata dal nuovo imperialismo. A Berlino, le massime potenze europee si spartirono l’Africa. Già dopo il 1885, una parte del Sahara Occidentale era spagnola per essere completamente colonia spagnola nel 1914.

Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1960, l’ONU, con la risoluzione 1514 sancí la fine del colonialismo africano, concedendo l’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali.

Fino al 1975 rimase colonia spagnola, abitato dalla popolazione del deserto, I Saharawi appunto. Quando la Spagna abbandonò l’area, la Mauritania e Marocco si spartirono il territorio senza nulla chiedere agli abitanti autoctoni, i Saharawi.

La guerriglia dei Saharawi con la Mauritania porto quest’ultima a lasciare i territori occupati nel 1979, ma subito dopo, il Marocco, spalleggiato dalla Francia, invase la terra prima occupata dalla Mauritania.

Nato nel 1973, il Fronte Polisario il 27 febbraio 1976 proclamò la Repubblica Democratica Araba Saharawi e inizió la guerriglia contro il Marocco per riappropriarsi delle terre sottratte.

La guerriglia terminó con il cessate il fuoco del 1991 con la promessa di fare un referendum degli autoctoni. Cosa che sembrava alquanto semplice visto che gli spagnoli avevano sancito con documenti riconoscitivi del periodo coloniale chi abitasse il territorio del Sahara “spagnolo”.

Tuttavia la marcia verde marocchina del 1975, non aveva solo aiutato l’invasore spagnolo ad andarsene, ma aveva portato anche 350000 marocchini, oltre a 25000 soldati. Pertanto la missione MINURSO, missione ONU per il referendum non é riuscita a tutt’oggi a definire una rosa di votanti che vada bene ad entrambe le parti.

I Saharawi fuggiti dalla guerra, ospitati dall’amica Algeria, si rifugiarono nel bel mezzo del deserto del Sahara, e costruirono dei campi profughi dando loro il nome delle città del Sahara Occidentale che avevano dovuto lasciare.

Dal 1991 resistono pacificamente nell’attesa di poter votare per il referendum.

Durante gli anni della guerra, il Marocco, per “difendersi” dalle “invasioni” Saharawi, inizió la costruzione di un muro di sabbia e roccia.

Il Berm, conosciuto anche con il nome muro della vergogna, iniziato dal Marocco nel 1982 si é ingrandito per ben 6 volte fino al 1987 diventando oggi il più grande muro minato al mondo: 2720km con più di 7.000.000 di mine (dipende dalla fonte). Vanta il record di più lungo campo minato al mondo, ogni 4/5 km é stanziata una compagnia militare e in totale sono stanziati circa 100.000 soldati marocchini. Ogni 15km é presente un radar.

Il costo giornaliero del Berm é esorbitante, basti pensare che il Marocco investe il 3% del PIL per mantenere il muro della vergogna. Da una parte ci sono missioni del Polisario e dell’ONU cercano di sminare la zona, compito reso ancora più arduo dal deserto che spostandosi copre le mine e dall’altra parte, una fetta dei costi di manutenzione/gestione viene coperta dalla comunità europea come aiuto contro l’immigrazione clandestina… peccato che le rotte dei profughi passino comunque dal Sahara Occidentale…

Ricordo che il regno Alawita non ha firmato la convenzione di Ottawa, il trattato di proibizione delle mine, buona parte di esse di fattura italiana (italiane sono anche quelle antiuomo in plastica così costruite da eludere la ricerca con i Metal detector…)

Il popolo Saharawi che vive nei territori occupati marocchini denuncia violazioni dei diritti umani da parte del Marocco e richiede ogni anno alle Nazioni Unite di includere nei compiti della MINURSO anche la vigilanza sui diritti umani. Ogni anno la Francia pone il veto…

Una terra molto ricca

Ma perché questa terra é così interessante anche per una grande potenza come la Francia?

Nel Sahara Occidentale ci sono grandissimi giacimenti di fosfati. Vanta infatti la miniera di fosfati più ampia al mondo con ben 250km2.

Le coste si affacciano su uno dei mari più ricchi di pesce, che viene anche esportato verso l’Europa.

Recentemente si é scoperta la possibilità di giacimenti di petrolio.

Dakhla compare attualmente nei cataloghi di operatori turistici come paradiso dei surfer. Molti lo vendono come Dakhla Marocco (e non Sahara Occidentale)

Non ultimo, la sabbia del Sahara viene venduta per poter rimpinguare le spiagge erose come quelle delle Canarie…

Tutti questi introiti vanno al Marocco.

I campi profughi nel deserto algerino e le condizioni dei profughi Saharawi

Prima di profondersi in giudizi su cosa potrebbero fare i Saharawi, vorrei ricordarvi che loro sono profughi in esilio, e che pertanto non hanno costruito un campo per “rimanere”, ma per sopravvive nella pacifica attesa di tornare a casa. Quindi immaginateli come in una prigione, a cielo aperto, ma pur sempre una prigione… e capirete (forse) il loro stato d’animo e cosa li porta a vivere in questa maniera.

I Saharawi vivono ai limiti della sopravvivenza, in un territorio inospitale, lontani dalla loro terra natia, lontano da fiumi. Le uniche risorse idriche sono delle piccole oasi che spesso non si trovano vicino ai campi e che non riescono a sopperire al fabbisogno collettivo.

L’acqua é il principale problema. A Smara, dove abbiamo passato buona parte della nostra visita, l’acqua scarseggia, anche quella utile al sostentamento umano. La doccia viene fatta con i secchi, l’acqua scaldata con un Samovar elettrico. Le feci evacuate con poca acqua, rimangono nei pressi delle case, non avendo i Saharawi un sistema fognario.

Non essendoci acqua, frutta e verdura non possono essere coltivate in loco e arrivano solo tramite gli aiuti umanitari. Le capre e i cammelli sono gli unici animali che resistono in tali condizioni e offrono in primis latte e poi carne.

Polli e uova fanno parte di un progetto dell’UNHCR che ha installato vicino a Tindouf degli allevamenti intensivi di polli da carne e galline da uova. Nella stessa area c’è un progetto di allevamento di pesce, che però non sembra essere una delle migliori idee, visto che i frigoriferi sono pochi e le temperature altissime…

Tutto questo non aiuta i Saharawi a godere di ottima salute. Molte persone soffrono di diabete, molte sono celiache e in generale tutta la popolazione non ha un corretto apporto nutritivo.

Quello che più mi ha sconvolto é che da qualche anno gli sia stata portata l’elettricità, che viene per lo più usata per guardare la televisione e per il cellulare… ma che non ci siano fognature o tubature per portare acqua…

L’altro problema é la spazzatura. I Saharawi vivono in un campo profughi, quindi non hanno una struttura organizzata di smaltimento rifiuti, per la quale dovrebbero appoggiarsi all’Algeria. Attorno alle città, ma spesso anche all’interno, ci sono cumuli di spazzatura, principalmente plastica, pezzi di auto distrutte dall’usura e ceramiche. Chiedono di avere un camion per poter portare il tutto fuori dalla città, nel deserto e poterlo bruciare, ma non avendo inceneritori, questo sposta solo il problema geograficamente e temporalmente…

Un ipotetico “progetto” spazzatura é quanto di più ambizioso possa esistere, sicuramente difficile, quasi impossibile, visto che il principale problema della plastica nasce dagli aiuti umanitari che arrivano con con i loro imballaggi plastici…

Le strutture scolastiche sono progetti di aiuti umanitari, indicativamente ogni città ha una scuola, ci sono scuole di lingue e alcuni ragazzi Saharawi godono di borse di studio a livello mondiale dati da stati come Cuba ad esempio per lauree in ambito medico.

Gli ospedali sono stati costruiti tramite progetto di aiuto umanitario, alcuni medici sono Saharawi, ma ogni anno chirurghi e specialisti offrono gratuitamente il loro supporto per cercare di curare i casi più gravi e portare il minimo di cure a questa popolazione in esilio.

Le farmacie vengono rifornite da farmaci da aiuti umanitari e da persone che come noi arrivano in visita ai campi. Medicine e attrezzature sanitarie vengono alle volte bloccate in dogana ad Algeri…

Considerazioni finali

Eppure, anche se queste sono le condizioni di vita, questa popolazione ha scelto la resistenza pacifica, e rimane la popolazione più ospitale che io abbia mai conosciuto. Loro mi ha fatto ricordare la bellezza dell’essere umano.

I Saharawi mi hanno fatto ricontattare con lo splendido concerto di ospitalità che da qualche anno a questa parte si é perso nei meandri dell’opinione pubblica, avvelenata dalla paura di dover dividere le proprie ricchezze con chi non ha più nulla.

Questa popolazione ha davvero poco, il bene più importante e prezioso, l’acqua, scarseggia, ma loro non hanno problemi a dividerla con il prossimo… non hanno quelle paure che leggo ogni giorno, sebbene qui si stia parlando di acqua, quindi di sopravvivenza.

Avevo pensato che sarei andata a portare degli aiuti ad un popolo, ma i miei aiuti erano solo materiali. Loro mi hanno aiutato, donandomi di più, sono tornata arricchita, mi sono di nuovo innamorata del genere umano, della bellezza di un semplice sorriso, ho riscoperto cosa voglia dire davvero ospitalità e che cosa voglia dire condividere, parlando e bevendo tè fino a notte tarda, raccontandosi e lasciandosi rapire dalle parole delle persone che in quel momento erano con me e che volevano essere con me e io con loro. Ho capito davvero cosa volesse dire Tolstoj, scrivendo che la persona più importante é quella che é con te in quel momento… ho capito in quei momenti quanto la tecnologia ci abbia in realtà rubato in termini di contatto umano, di condivisione, di empatia.

Grazie ai Saharawi ho ritrovato quella Simona che avevo perduto, la Simona dell’hic et nunc, con il loro aiuto ho abbattuto il mio muro e sto correndo verso il mare, come spero possano fare loro a breve.

Non dimentichiamo i Saharawi, abbattiamo quel muro, aiutiamoli  a riprendersi la loro terra!

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