India del nord in mezzi pubblici

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27.07.2005 – Mercoledì – 1° giorno

Italia – Frankfurt – Delhi

L’incontro è all’aeroporto di Frankfurt, dove apprendiamo la notizia che Mumbai è allagata causa piogge. Il volo prima del nostro, quello delle 14, è stato annullato ed una lunga fila di persone cerca un posto nel nostro aereo, per questo, a mala pena riesco ad imbarcare i quattro partecipanti arrivati da Roma con solo un’ora di anticipo (se vogliamo, meglio così, visto che due viaggeranno in business).

Ovviamente partiamo in ritardo, l’aereo è stipatissimo. C’è chi viene in India per cercare “l’illuminazione”, chi l’ha scelta perché ci voleva andare già da bambino, chi vorrebbe andare da Sai Baba e anche chi l’ha scelta perché costa poco… Del resto il mondo è bello perché è vario! Definiamo l’itinerario ipotetico, tutti (tranne una coppia in viaggio di nozze) orientati per i mezzi pubblici, poi ci godiamo l’aperitivo, la cena e la colazione, intrattenuti incuriositi dai film di Bollywood.

 

28.07.2005 – Giovedì – 2° giorno

Delhi

Atterriamo la mattina presto direttamente a Delhi, anziché fare scalo a Mumbai, in quanto il monsone ha devastato la città e l’aeroporto è stato chiuso.

Espletiamo le formalità del controllo passaporto e della compilazione della imbarcation card e ci mettiamo ad aspettare fiduciosi il nostro bagaglio scaricato “a mano” sui nastri trasportatori.

Ovviamente, con il casino dell’overbooking, dell’aereo dirottato e delle persone del volo precedente cancellato, tre dei nostri bagagli non arrivano.

Compilate la denuncia di smarrimento, fatevi aiutare dal corrispondente locale e non disperate, prima o poi arrivano e almeno avete una scusa per esservi rifatti un guardaroba molto freak!

Usciamo davvero tardi dall’aeroporto, il pulmino del corrispondente ci porta in albergo.

Quando siamo scesi dal pulmino, ho avuto seriamente paura che qualche partecipante si volesse far rispedire in Italia. Siamo arrivati nella via più trafficata di New Delhi all’ora di punta con un caldo infernale, in un tourbillon di odori e frastuono; il primo impatto con l’India non poteva che essere un’alterazione mentale.

Ci laviamo e subito io vengo accompagnata dal corrispondente, mentre il gruppo inizia il giro di Delhi. Io vedrò solo la stazione e Mr. Chandra con suo fratello, il gruppo vedrà il Qutb Minar, i Lodi Gardens, la tomba di Humayun, il Forte Rosso e un Connaugh Place, purtroppo chiuso.

Delhi è molto bella, incarna l’essenza dell’India, non si può vedere così di fretta e con pochissime ore di sonno. Forse conviene andare in albero, riposarsi un poco e poi uscire verso sera vedendo quel poco che si riesce… Almeno ve lo godete!

Cena in un ristorantino nei pressi dell’albergo

 

29.07.2005 – Venerdì – 3° giorno

Delhi – Amritsar – Wagah – Amritsar

La mattina presto entriamo in stazione. Anche qui l’impatto è forte, oserei dire devastante. Anche se non mi è stato detto, le loro facce si sono rilassate solo una volta arrivati in treno. Pranziamo in treno, gustando un’ignota polpettina e nel pomeriggio siamo ad Amritsar. Mi organizzo per raggiungere il confine in taxi (300 Rs) e verso il tramonto siamo a Wagah, ci immergiamo nella folla che si dirige verso la frontiera. Aspettiamo che aprano i cancelli per correre a prendere i posti migliori, e dopo pochi istanti diventiamo il più interessante intrattenimento. La maggior parte delle persone in India parla inglese e vi inonderà di domande!

Corriamo a prendere i posti migliori ed inizia lo spettacolo. Gente che canta, musica assordante che investe le nostre orecchie, persone che ballano, ragazzi di tutte le età che corrono con la bandiera dell’India sventolandola energicamente in faccia al cancello del confine pakistano, tutto questo condito da una voce al microfono che incita gli animi “Industan Indaman, Paras Pataki” e che viene chiassosamente coperta dal tifo urlante degli spettatori. Il numero totale degli spettatori è incredibile, si aggirerà attorno alle 3000 persone, tutte stipate in un palco di cemento appositamente costruito. La manifestazione del cambio della guardia, che consiste in parate da entrambi i confini di guardie in divisa è davvero divertente, ma ciò che condisce il tutto rendendolo uno spettacolo unico nel suo genere e davvero impedibile è l’entusiasmo e la partecipazione della gente.

Le emozioni in India non finiscono mai, e la sera ci rechiamo al tempio d’oro per assistere alla cerimonia che viene fatta ogni sera verso le 22:30 per portare su un baldacchino il Guru Granth Sahib, il libro sacro custodito in un panno rosa, dall’Hari Mandir, il tempio d’oro al centro della vasca del nettare dell’immortalità, all’Akal Takht, il parlamento dei sikh, dove vi riposerà tutta la notte. La cerimonia è accompagnata da canti e preghiere, da migliaia di sikh con molto trasporto, tutto davvero molto emozionante.

Accompagnati da un gentilissimo signore, dopo aver lasciato un’offerta, ceniamo alla mensa del tempio, chapati e dhal (ricordatevi di non toccare mai il cibo con la mano sinistra!). L’atmosfera è davvero unica e anche se il pasto è umile, i sewa, volontari del tempio, ve ne offriranno fino a volontà.

 

30.07.2005 – Sabato – 4° giorno

Amritsar – Delhi

Ci ritroviamo al tempio d’oro. Il fascino di questo edificio risiede nella pace che si avverte non appena varcata la soglia. Ci si dimentica dell’assordante traffico, quasi come se non fosse mai esistito e ci si immerge in un’atmosfera magica, dove molte persone saranno incuriosite dalla vostra presenza e, facendovi mille domande, sempre con la massima discrezione, per ultimo, vi chiederanno di potersi fare una fotografia ricordo di questa unico e straordinario incontro. L’Hari Mandir, che si raggiunge percorrendo un ponte chiamato Pakarma, è costituito da due piani e fu costruito alla fine del XVI secolo, distrutto nel 1761 e ricostruito nel 1764. La sua cupola fu rivestita di lamine d’oro a partire dal 1803. Il mandir presenta caratteristiche dell’arte indù e musulmana e la sua cupola rappresenta un fiore di loto rovesciato, simboleggiando il coinvolgimento dei Sikh nei problemi del mondo. Dopo aver percorso il ponte, prima di entrare nel tempio, i pellegrini offrono agli inservienti del soffice e dolce prasad, che poi essi ridistribuiscono a tutti i visitatori che escono.

Usciti dal tempio, entriamo in un negozio di abiti e ci facciamo fare un punjabi, con le perline, da usare nelle serate di “gala”!!!

Visitiamo il parco Jallianwala Bagh, pieno di fiori e alberi in commemorazione dei 2000 indiani uccisi e feriti indiscriminatamente dal fuoco inglese in uno degli avvenimenti principali per la lotta per l’indipendenza. Il 13 aprile del 1919 il generale Dyer si presentò in Jallianwala Bagh insieme a 150 soldati durante una manifestazione politica a cui partecipavano 25000 indiani; il generale ordinò alla folla di disperdersi, cosa impossibile visto che il luogo, circondato da mura, aveva come unica uscita il luogo dove si erano schierati i soldati. Senza altri preavvisi, venne aperto il fuoco; in pochi minuti ci furono 337 morti e 1500 feriti, alcuni dei quali vennero freddati mentre cercavano di scappare scavalcando il muro. Gli inglesi non solo non giudicarono colpevole il generale, ma lo acclamarono eroe. Sono tutt’oggi conservati un tratto di muro con i fori dei proiettili e il pozzo nel quale si gettarono alcune persone per sfuggire alla carneficina.

In questo parco abbiamo trovato un giovane “cantante” come amava definirsi lui e un gruppo di suoi amici. Abbiamo chiacchierato, scherzato e parlato allegramente, iniziando a mischiare un poco delle due nostre culture così incredibilmente diverse.

Verso sera abbiamo preso il treno notturno per Delhi.

 

31.07.2005 – Domenica – 5° giorno

Delhi – Jaipur

Arriviamo la mattina presto a Delhi. Accompagnata da due energici partecipanti, vado a portare i primi due “ingombranti” acquisti del viaggio, un sitar e un tabla, a Mr. Chandra. Dopodiché cerchiamo di perderci per gustare Delhi. Andiamo alla tomba di Ghandi, vedendo di sfuggita, per il tragitto, il Jantar Mantar di Delhi e Connaught Place. Qui troviamo le persone che pregano il Mahtma, con serio trasporto. Vederli mi ha emozionato davvero. Prendiamo il classico tuk tuk e ci facciamo portare alla Jama Masjid, la “moschea del Venerdì”. Questa moschea, costruita a partire dal 1645 da Shan Jahan, sorge al centro del vecchio quartiere musulmano di Chandni Chowk. La moschea si erge su una altura, a cui si accede tramite delle gradinate in arenaria rossa, ha tre grandi portali, tre cupole a cipolla, come del resto tutte le moschee consacrate al culto, quattro torri angolari e di minareti alti ben 40 metri. Degli 11 archi caratterizzanti la moschea, quello centrale occupa una grande volta a forma di mihrab in corrispondenza della direzione della Mecca. Dalla vetta del minareto sud si gode una magnifica vista di Old Delhi.

Purtroppo non c’è tempo per goderci una frenetica passeggiata per i vicoli del quartiere della Luna, Chandni Chowk e già con la voglia di ritornare in India per potersi godere un poco di più l’eterna capitale, saliamo sul treno, rivivendo tutte le nostre contrastanti emozioni nella breve mezz’ora passata alla stazione di Delhi.

Arriviamo a notte fonda alla stazione di Jaipur, il nostro treno ha fatto un’ora e mezza di ritardo; tre Ambassador ci accompagnano al nostro albergo, dove ci hanno preparato una calorosa accoglienza nel bellissimo giardino. Come sempre doccia, una gustosissima e luculliana cena e poi il meritato riposo.

 

01.08.2005 – Lunedì – 6° giorno

Jaipur – Fort Amber – Agra

Vista la crisi esistenziale avuta da un partecipante sul treno, mentre io mi stavo godendo indisturbata una sana partita a scala quaranta con i miei nuovi amici indiani, tutto il gruppo ha preferito appoggiarsi al turisticissimo trasporto delle tre auto private di Alì, che ci farà anche da guida, ma che vi sconsiglio vivamente. Abbiamo passato una giornata alla “Gita delle Padelle”, solo che invece del pentolame, abbiamo comprato tappeti…

La fondazione di Jaipur, detta città del Maharaja Jai, risale ai primi anni del secolo XVII, anno del crescente potere di Jai Singh II. Iniziamo con una visita della dimora del Maharaja, il City Palace, vasto complesso suddiviso in una serie di cortili, giardini ed edifici. Il palazzo è una fusione di stile moghul ed elementi tipici del Rajasthan, è costituito dal Mubarak Maha, il palazzo del benvenuto, il Maharaja Sawai Masingh, al cui interno è esposta una sfarzosissima collezione di costumi reali e splendidi scialli, il Diwam-i-Am, la sala delle udienze pubbliche, dove oggi sono esposti manoscritti in sanscrito e in persiano, il Diwam-i-Khas, sala delle udienze private ed infine la splendida porta del pavone, Peacock Gate, nel cortile del Chandra Mahal.

Da appassionato astronomo quale era, Jai Singh fece costruire ben cinque osservatori, di cui il più completo di tutti i più sofisticati strumenti astronomici è proprio il Jantar Mantar di Jaipur. Sempre ammesso che non abbiate nel vostro gruppo un appassionato di astronomia o che non prendiate una guida, questo splendido parco vi sembrerà solo un curioso museo di arte contemporanea meravigliosamente conservato.

Per evitare di farci sentire poco “turisti”, non appena terminata la visita, Alì regala a tutti i partecipanti una collana di fiori, dopodiché partiamo per Royal Gaitor, dove si trovano i cenotafi della famiglia reale. Una veloce visita e poi il “Gruppo Vacanze Piemonte” continua la sua “gita” verso Fort Amber, l’altra capitale dello stato di Jaipur. Ciò che vediamo oggi, costruito in una meravigliosa altura dominate la valle circostante, fu costruita a partire dal 1591 dal Man Singh I. Per raggiungere il forte, tutti i partecipanti utilizzano una schiera di coloratissimi elefanti, spinti dai loro guidatori mahaut. Il palazzo è splendido e vale davvero la pena di perdersi nella sua visita, in solitaria, per poter ammirare lo splendido palazzo del piacere, lo Shish Mahal, rivestito di specchi e pregevoli stucchi e il labirintico complesso di stanze, cortili e vicoli.

Dopo un risposante (pure troppo) pranzo, vediamo velocemente la facciata del palazzo dei venti, l’Hawa Mahal, perché Alì ci costringe ad andare al negozio di tappeti. Alcuni partecipanti compreranno, ma alla fine ci staccheremo stremati da questo incessante e pedante autista, per poter perderci, con tutta tranquillità nelle affollatissime vie del bazar.

Jaipur è una città davvero turistica, dove faranno di tutto per “impapocchiarvi”, tanto per usare il termine del compratore del gruppo. Vale davvero la pena di essere visitata, ma in libertà, con i mezzi pubblici, magari sacrificando qualcosa, tanto per cercare di gustare quell’India che tanto ci attira al nostro ritorno, ma che purtroppo viene sacrificata al turismo di massa.

Dopo aver cenato andiamo in stazione per il treno più notturno di tutto il viaggio: partenza alle 2:00!

 

02.08.2005 – Martedì – 7° giorno

Agra – Mathura – Vrindavan – Mathura – Agra

Arriviamo la mattina presto alla stazione di Agra Cantt. Per evitare di farmi affibbiare il nome di Fuhrer, abbandono l’idea , sostenuta fortissimamente prima che anche il più instancabile partecipante mi tradisse per il sacro cuscino, di ripartire subito alla volta di Mathura. Quindi ci facciamo portare all’albergo. Verso mezzogiorno visitiamo l’imponente Lal Qila, una delle meraviglie dell’arte Moghul. La cittadella fu edificata da Akbar a partire dal 1565 sulle fondamenta del vecchio forte della dinastia Lodi e fu ampliata e modificata dai suoi successori. La maggior parte degli edifici che vediamo oggi furono costruiti nel XVII secolo durante il regno di Shan Jahan. L’atmosfera è davvero magica, al suo interno ci sono meravigliosi giardini nei quali perdersi all’ombra delle piante o godersi la rinfrancante ombra dei freschi interni del palazzo. All’interno di questo maestoso e magico complesso si intravede la Moti Masjid, la moschea della perla, considerata la più bella moschea dell’India, ma purtroppo chiusa al pubblico.

Nel pomeriggio prendiamo un simpaticissimo treno senza classe dove incontriamo una singolare ragazza tedesca, che vive da 12 anni in India. I suoi occhi hanno una luce particolare, magica, si intravede una pace mistica, ma anche la tristezza dell’India, la tristezza di chi compartecipa alle difficoltà di questa meravigliosa terra, di chi continua ad incontrare i bambini paria sul treno, di chi ha avuto il coraggio di affrontare una scelta dura, e di cercare di comprendere davvero lo spirito e l’anima di questa terra. L’incontro con Dasi è una delle esperienze migliori che mi siano capitate in tutta la mia vita, mi ha regalato un poco del suo vissuto, cercando di spiegarmi questa poliedrica cultura, difficile da comprendere, perché si può capire solo vivendola, assaggiandola, soffrendo assieme a loro.

Arrivati a Mathura accompagniamo Dasi a Vrindavan. Non credete alla Lonely che vi dice che ci vogliono solo 25 minuti, noi ce ne abbiamo impiegati ben 60 in un tuk tuk sul quale eravamo ben in 18, ma che andava davvero spedito. Abbiamo avuto solo un assaggio di questa sacra città dove si ritiene che Krishna si sia abbandonato ai propri passatempi di adolescente. Qui tutto si basa sul culto di Krishna, si canta, si danza, ci sono puja ovunque, 24 ore su 24. In questo irreale viaggio che è Vrindavan, sembra che il tempo e lo spazio si siano mischiati, in un caotico ordine prestabilito, ma incomprensibile ed inarrivabile, dove il pacifico ed entropico brulicare di uomini, senza una meta, ma che sanno dove stanno andando, crea un vortice tale da farti fluttuare sopra i tuoi pensieri come uno spettatore assente, ma partecipe. Come è ben descritto nella guida Polaris “visitare Vrindavan significa buttarsi alle spalle il mondo razionale e immergersi in un’esperienza spirituale che cerca dentro e trova connessioni con la divinità”. Vrindavan è un trascendente terreno, un’immanente divinità ed un infinito presente privo di tempo. E’ per tutto questo che merita davvero una giornata intera, e non poche rapide ore.

 

03.08.2005 – Mercoledì – 8° giorno

Agra – Taj Mahal – Sikandra – Fatehpur Sikri – Agra

Seguita da tre energici partecipanti, sveglia alle cinque per vedere l’alba al Taj Mahal, momento in cui questa meravigliosa perla scaturita dall’immenso dolore dell’imperatore Shan Jahan per la perdita dell’amatissima seconda moglie Mumtaz Mahal, si colora di blu. Le intenzioni che l’imperatore volle esprimere nel costruire questa incredibile tomba sono sinteticamente racchiuse dalla sura del corano intarsiata nell’arco centrale della Dawaza, l’accesso principale: “Un palazzo di perle fra i giardini e i canali/ dove i pii e i beati possano vivere per sempre”. L’edificio è stato iniziato nel 1631, anno in cui Mumtaz Mahal morì di parto e fu ultimato solo nel 1653, alla sua realizzazione parteciparono ben 20000 persone e ad alcuni vennero amputate le mani affinché non potessero ricostruire cotanta bellezza. Isa Kahn, un architetto di Shiraz, è considerato il principale artefice dell’edificio.

Dopo esserci goduti una delle sette meraviglie del mondo, ci facciamo portare da un tuk tuk a Sikandra, al mausoleo di Akbar che avviò la sua costruzione, mescolandovi motivi ornamentali ed elementi architettonici islamici, hindu, buddisti, jainisti e cristiani, sulla falsariga del modernissimo pensiero filosofico che egli aveva sviluppato.

Nel pomeriggio ci dedichiamo alla città abbandonata di Fatehpur Sikri, la città ideale fatta costruire dall’imperatore Akbar, per goderci la spettacolare policromia dell’arenaria rossa investita dal sole al tramonto. La città è completamente intatta e l’atmosfera rarefatta, alle volte quasi surreale, crea la sensazione di sentire ancora il brusio e vedere ancora le ombre della mondanità che vi regnava oltre quattro secoli fa.

All’interno della splendida Jama Masjid, risalente al 1572, che si dice costruita su un modello della Mecca, gli opprimenti venditori di chincaglierie e “turisticherie” ci fanno purtroppo ricadere in quella bruttissima sensazione di Jaipur, rovinandoci la magica atmosfera vissuta durate tutta la giornata. La moschea è davvero bella, ma non si riesce ad apprezzare appieno.

 

04.08.2005 –Giovedì – 9° giorno

Agra – Gwalior – Jhansi – Orchha

Solo quattro partecipanti, per la precisione gli unici che non avevano problemi di salute, si sono potuti godere lo spettacolare forte di Gwalior con le sue meravigliose sculture jainiste. Assieme agli altri 8 partecipanti ho raggiunto Orchha, l’antica capitale dei Bendala, nel primo pomeriggio e ci siamo ritrovati tutti assieme per un giro “in centro” verso le 16:30.

Dovete sapere che durante la stagione umida la città di Orchha ospita, soprattutto in centro città attirati dalla luce delle lampade, dei simpaticissimi insettini volanti che emanano l’odore inconfondibile dei loro cugini più prossimi, le blatte! Verso le 19 hanno organizzato un rave in ognuna delle nostre caldissime camere, pasteggiando indisturbate sulle nostre lenzuola, sui nostri vestiti e all’interno dei nostri zaini; ovunque, per farla breve… Sebbene il proprietario ci abbia assicurato che la festa non si sarebbe prolungata oltre le 22, abbiamo deciso di cambiare albergo e, abbracciando la filosofia che il nome della città evoca ad un ascoltatore italiano, abbiamo dormito nell’appartamento del Maharaja in un’ala del Jehangir Mahal in 13!!!

 

05.08.2005 – Venerdì – 10° giorno

Orchha – Khajuraho

La città di Orchha si staglia lungo il fiume sacro Betwa ed ospita meravigliosi Palazzi del XVII su di un’isola fortificata e stupendi templi risalenti al XVI secolo. Sebbene lo scopo della tappa ad Orchha è la visita di queste grandiose opere, la mia curiosità è stata più attirata dall’atmosfera semplice e pacifica che si respira in questo piccolo villaggio. La gente ha una luce particolare, distensiva e anche quando cerca di vendere, mai opprimente. Durante la visita dei palazzi, nei quali ci si perde per le strette scalinate che portano fino alla cima, abbiamo incontrato dei curiosi e simpatici indigeni. Il loro interesse si è scatenato non appena hanno visto lo schermo di una macchina fotografica digitale. Subito un mare di persone ci hanno circondato, cercando di farsi fotografare, per poi rivedersi. Sono questi i momenti magici ed indescrivibili che si vivono in India, del tutto inaspettati, mentre si visitano luoghi minuziosamente descritti dalle migliori guide oggi in commercio. Sono questi i momenti in cui bisognerebbe essere armati della classica polaroid per regalare una piccola parte di felicità a chi, con il proprio sorriso ed ingenuo stupore. ci riempie il cuore di gioia.

Lasciamo la serena bellezza di Orchha e i suoi armoniosi abitanti per raggiungere in macchina Khajuraho.

E finalmente eccolo, il monsone! Il cielo si fa scuro scuro, degli enormi nuvoloni neri ci stringono, non lasciandoci via d’uscita e istantaneamente tutta l’acqua che cade in un fortissimo temporale occidentale, lì cade in un secondo, batte sui vetri della macchina, sembra quasi che spacchi il parabrezza; il tergicristallo non riesce a pulire, la macchina, senza aria condizionata, si fa subito caldissima, quasi insopportabile ed irrespirabile per l’elevato tasso di umidità e i nostri bagagli sul tetto… fortunatamente non si bagneranno! La strada si riempie d’acqua, c’è chi si ripara, chi continua come se niente fosse, chi mistifica la linfa vitale che cade dal cielo!

Arriviamo a Khajuraho, prendiamo possesso delle camere, doccia e cena. Poi un’intensa chiacchierata a bordo piscina.

 

06.08.2005 –Sabato – 11° giorno

Khajuraho

Ieri sera abbiamo conosciuto Pappu e suo cugino, che ci perseguiteranno per tutta la nostra permanenza a Khajuraho, li troveremo ovunque, per la strada, subito all’uscita dall’albergo, per la città, sempre fastidiosamente petulanti.

Khajuraho è un piccolo villaggio del nord del Madhya Pradesh è divenuto noto nel 1838, quando alcuni archeologi inglesi scoprirono uno dei più grandi capolavori dell’architettura induista medievale, nascosto da una fitta vegetazione impenetrabile

Il soggetto delle sculture dei templi fatti costruire dalla dinastia dei Candela nel X secolo, è per lo più erotico, ma riassume al suo interno le regole della società induista che era regolata da tre diversi aspetti tra loro strutturati in modo armonico, il dharma, ovvero le regole comportamentali della religione e della filosofia induista, l’artha, collegato ai doveri verso la società e il kama, comprendente i piaceri del sesso.

Ma Khajuraho non è solo una splendida rappresentazione del Kamasutra, è anche da vivere, nel suo piccolo villaggio dove coesistono le caste, perdendosi per le sue case al ritorno dalla lunga passeggiata che porta alla Jain Enclosure. La strada che porta dalla turistica città ricca di negozietti al villaggio è ricca di tempietti dove la gente del luogo si reca a pregare. Nel villaggio abbiamo visitato una scuola che insegna indistintamente a tutte le caste e anche ai paria, e che cerca di evitare la distinzione fra studenti e studenti, mettendo a tutti la divisa. Abbiamo lasciato un’offerta.

Vi prego, non comprate nulla da Pappu o dai suoi parenti, sono davvero cari e dopo avermi accompagnato con l’ombrello in pieno monsone per discutere di “affari” nel suo negozio, una volta capito che non eravamo da spennare, mi ha fatto andare via da sola, senza accompagnatore. E’ davvero un opportunista della peggior specie.

 

07.08.2005 – Domenica – 12° giorno

Khajuraho – Satna

Abbiamo fatto un giro per la città, alcuni in cerca di qualche vantaggioso acquisto e poi via, alla vota di una nuova avventura: il bus pubblico!

L’esperienza è davvero divertente, ma comoda sicuramente no. Il bus è puntualissimo, parte dalla stazione dei bus di Khajuraho e si fa tutti i paesini, caricando tutte le persone che vogliono salire. Ci sono uomini ovunque, nel passaggio, attaccati al bus, sull’uscita, che intanto è aperta per l’estremo caldo, dato che l’aria condizionata ovviamente non c’è. Arriviamo a Satna immersi in un bagno di sudore, ma carichi della nuova eccitante esperienza e a piedi, per quanto mi riguarda dopo essere stata investita da un risciò a pedali, raggiungiamo la stazione.

Il nostro treno è stato soppresso a causa degli allagamenti ancora presenti nella zona di Mumbai, stazione di origine del treno, ma al suo posto è stato creato un treno ad hoc, con ben 5 ore e mezzo di ritardo. La stazione diventerà il nostro bivacco. Penso che nei primi giorni di viaggio nessuno si sarebbe sognato di sdraiarsi a terra per riposarsi un poco nella noia dell’attesa. Mi avventuro nella bolgia cittadina per cercare un telefono e trovo uno dei migliori roti di tutta la vacanza, croccantissimo, cotto al momento. Per ammazzare il tempo creiamo una bisca clandestina di scala quaranta alla quale si uniscono anche Shivu, Singh e Prakash, tre nostri nuovi amici indiani.

Il treno prima del nostro è diretto a Delhi, per una manifestazione politica, la stazione brulica di gente eccitata, che suona, che canta, che urla, che balla, che guarda esterrefatta i propri compaesani. E quando arriva questo treno, i passeggeri sembrano le locuste in mezzo al campo, il treno viene letteralmente assaltato, c’è chi si appende, chi tenta di aprire porte che cercano inutilmente di rimanere chiuse. Dentro gli scompartimenti un carnaio irrazionale, gente ammassata ogni dove, che ancora oggi mi chiedo come facesse a respirare…

Ma la vera avventura inizia una volta saliti sul nostro treno; le prenotazioni che abbiamo non sono più valide, o meglio, sono ancora valide, ma le ferrovie indiane hanno pensato bene di vendere una seconda volta i biglietti e quindi io, come il resto del gruppo, mi troverò a dividere il mio cuscino con dei profumatissimi piedi indiani… Il bello di un viaggio con trasporti pubblici è anche questo, il contatto con la gente…

 

08.08.2005 – Lunedì – 13° giorno

Satna – Varanasi

E finalmente alle 10 di mattina arriviamo a Varanasi, dove ci sta aspettando il pazientissimo Prakash, figlio del bramino Pandit Gopal, mitico “corrispondente” di Avventure. Finalmente faccio il mio primo giro in sella ad una moto indiana, fino a 2 km dall’albergo, che essendo in centro ed essendo lunedì, alcune strade sono chiuse al pubblico per le feste poiché agosto è il mese di Shiva. Meglio, raggiungeremo l’Alka a piedi per le viuzze della città.

Sono nuovamente a Varanasi, ho la pelle d’oca, penso che se venissi mille volte in India, mille volte vorrei passare a Varanasi. Varanasi si sente, Varanasi si vive nei suoi vicoli stretti e popolati dalla sacralità delle mucche, dai loro preziosi escrementi, dai banchi che vendono qualunque cosa. Varanasi è la sintesi religiosa dell’India, di quell’India magica e sacra, ricca di intense emozioni, difficile da spiegare a chi non c’è stato, nemmeno con le sbiadite fotografie, comunque esse siano fatte. Varanasi è forte, è triste, infinitamente triste, infinitamente povera, ma estremamente carica della felicità degli induisti. Varanasi è il luogo sacro da cui tutto ha origine e a cui tutto torna; dove i fedeli indù si ricongiungono al divino, dove è possibile espiare i peccati del karma, dove si scioglie il nodo della vita e si aprono le porte del moksha, la liberazione dal ciclo infinito delle reincarnazioni, che condanna a rinascere nel mondo dell’illusione terrena, nel mondo di maya. Dopo Varanasi nulla resta uguale; la mucca che pascola indisturbata per la banchina del binario 5 della stazione di Varanasi diventa anche la nostra mondanità, qualcosa di quel mondo entra in ciascuno di noi, lasciandogli qualcosa di speciale, qualcosa di magicamente diverso. Si vaga per la città dapprima incuriositi, poi come se fosse la propria linfa vitale, la città a cui tutti torniamo, in un costante e palpabile dualismo tra la vita e la morte (o se vogliamo tra la morte e la rinascita), tra la distruzione e la creazione. Tutto a Varanasi è nudo, anche la morte è qualcosa che si può sentire con i comuni sensi, la si può vedere, toccare, odorare, gustare nel fumo del ghat, prima che tocchi le sacre acque della Ganga per vivere nel tutto, nel nulla assoluto. Nulla è come Varanasi e nulla può descriverla meglio che viverci.

Una partecipante si perde nelle parole di un santone intento nella lettura del mantra, viviamo il Durga temple, il tempio della musica, accompagnati dal bravissimo Prakash e poi ci godiamo un meraviglioso concerto di musica di tabla e sitar, di tabla e flauto al Sur Sarita The Music School.

Splendida Varanasi

 

09.08.2005 – Martedì – 14° giorno

Varanasi – Sarnath – Varanasi

Sveglia di buon ora con partenza alle 05:30 per la “crociera” sulla madre Ganga. La luce di Varanasi è indescrivibile, ed è illuminata dalla sacralità delle abluzioni mattutine.

Magica Varanasi.

Si potrebbero spendere mille parole per cercare di descrivere tutto quello che si vede in quelle due ore, ma anche in questo caso non si riuscirebbe, perché non si usano solo gli occhi per vedere, è un tumulto vorticoso di sensazioni e distaccamento mistico dagli altri per immergersi, per piccoli ma intensi istanti, nel tutto, avvolti dalla madre Ganga, in una continua rinascita, in una continua trasformazione. In questi pochi attimi si è tutt’uno con il mondo, ma si è anche in quella solitudine armoniosa del ricongiungimento con il tutto. Sono solo pochi attimi, incommensurabili, sempre vividi, indimenticabilmente trascendenti.

Varanasi, la città senza tempo.

Ci perdiamo per i ghat, per le viuzze, ci godiamo una distensiva e rinfrancante lezione di yoga, per poi raggiungere Sarnath, signore dei cervi.

La leggenda narra che in una vita precedente il Budda fosse un cervo e vivesse in questa foresta; a Sarnath pronunciò il suo primo sermone esponendo ai suoi cinque discepoli il dharma, la dottrina delle quattro nobili verità e dell’ottuplice sentiero che porta al dissolvimento della sofferenza e conduce al Nirvana, all’illuminazione.

Il posto evoca sacralità e misticismo, come se il vento, sfiorando gli alberi tutt’attorno, cantasse in un perpetuo e silenzioso soffio, la dottrina del dharma.

Verso le sette di sera ritorniamo a Varanasi per assistere alla Puja, la preghiera della sera, al Dasaswamedh Ghat, le cui scalinate brulicano di gente, che con pacifica sacralità prendono parte alla preghiera. Alla fine e durante tutto il corso della preghiera vengono accesi dei lumini di buon auspicio e posati nelle spesse acque della Madre. Il tutto è avvolto dal mistero del soprasensibile nulla assoluto, in sospeso fra la terrena fragilità dell’uomo, fatto di carne e la porta verso l’assoluto.

Dopo questa fortissima emozione, compriamo 2 kg di dolci, che non assaggeremo mai e che vorrei avere qui in questo momento, e, armati di una bottiglia di acqua ciascuno, andiamo a cena a casa di Pandit. Mi ha davvero riempito il cuore di emozione e felicità, la tenerezza con cui Niwas ha coccolato la sua mucca sacra Ganga.

 

10.08.2005 – Mercoledì – 15° giorno

Varanasi – Kolkata

Con il tempo che ci resta, visitiamo il Nepali temple e il tempio d’oro, perdendoci ancora nel dedalo di vicoli e stradine, cercando di godere la città fino all’ultimo, non ancora pronti per il distacco, ma è ora di andare, il nostro tempo, per il momento, è finito.

Vorrei rimanere ancora, ma so che se anche restassi per anni, non appena dovessi ripartire, Varanasi sarebbe lì, a chiamarmi, con la sua voce impercettibile, ma sempre presente, con il suo eterno fascino e con il brusio della Madre Ganga, la porta verso il paradiso.

Siamo alla stazione di Varanasi, inspiegabile nel suo genere, aspettiamo il treno che ci porterà a Kolkata, e la malinconia ci avvolge, come se lasciassimo una parte di noi nella città eterna.

Inspiegabile Varanasi.

 

11.08.2005 – Giovedì – 16° giorno

Kolkata – Bhubaneswar

Arriviamo a Kolkata al mattino verso le 9:00, lasciamo i bagagli al deposito della stazione, dove si possono lasciare solo con un biglietto di transito, e mi reco alla Swosti Travel per cercare di organizzare il pernottamento nelle famiglie ed un’escursione al Sunerbans Wildlife Sanctuary, ma inutilmente, purtroppo non mi rimane tanto tempo e corro velocemente alla stazione.

Nel primo pomeriggio prendiamo il treno che ci porterà in Orissa, dove arriveremo verso le 21, attesi da un interessante e fascinoso uomo di mezza età, l’antropologo Shrikant Mishra, che ci ha prenotato l’albergo e la cena.

 

12.08.2005 – Venerdì – 17° giorno

Bhubaneswar – Chilka Lake – Ragayada

Partiamo alle 6:30, dopo aver conosciuto Malaica, una coordinatrice di Avventure, in India per mettere a punto un nuovo itinerario etno – socio-culturale a stretto contatto con le tribù locali. Il suo viaggio propone la conoscenza di queste popolazioni e delle ONG che le aiutano, per poter dipingere un quadro completo della situazione socio-politica di questa realtà all’interno dello stato Indiano.

Sulla strada ci fermiamo ad apprezzare il Durga Temple, anche aiutati dalle esaustive spiegazioni di Mr. Shrikant. La vegetazione è rigogliosa e dopo qualche ora raggiungiamo la laguna, il Chilka Lake, dove faremo un’abbondante colazione, perdendo il nostro sguardo nel più grande lago salmastro dell’Asia.

La vegetazione si fa sempre più intricata, in una miscellanea incredibile di piante sconosciute, come le verdure che ci vengono servite per pranzo, di insetti nuovi, che si uniscono alle instancabili mosche e agli animali purtroppo solo percepibili.

Visitiamo il nostro primo villaggio della tribù dei Kondhs, di sfuggita, senza ancora comprendere davvero l’intensità del contatto, forse senza riuscire a viverlo. Le parole di Shrikant ci raccontano di un mondo fiabesco, immaginato solo nella nostra infanzia, dove ci sono popolazioni che praticano ancora sacrifici di sangue di bufalo, lontano ricordo di quelli umani. In lontananza scorgiamo una pala molto particolare, da cui si estrae l’alcool, è la pianta della tribù, nessuno deve toccarla.

Fra le tribù, l’etnia dei Kondhs è quella più numerosa; essi fanno parte del ceppo dei Proto Australoidi; la vicinanza con centri urbani sviluppati ha purtroppo già contaminato la cultura di queste etnie, che un tempo utilizzavano ancora il baratto. Per una descrizione più accurata delle tribù e delle loro particolarità inserisco al fondo l’articolo di Gian Carlo Banfi scritto in collaborazione con l’antropologo Shrikant Mishra.

Arriviamo a Ragayada solo in tarda serata, giusto il tempo per una doccia veloce ed una cena sempre troppo copiosa.

 

13.08.2005 – Sabato – 18° giorno

Ragayada – Tribù – Jeypore

Oggi e la giornata seguente sono quelle ricche di forti emozioni, di mille domande sulla correttezza della nostra visita, sulla paura della contaminazione, sulle riflessioni in riguardo alle scelte discutibili dello stato indiano nel confronto di queste popolazioni. Senza Srikant, questa visita sarebbe stata un inconcepibile “safari”, che non ci avrebbe lasciato così tante domande.

Sveglia alle 5:30 e partenza alle 6:00, per raggiungere i Dongria Kondhs, che vivono nei pressi di Bisamkatak sulla catena delle colline Niyamgiri. Scendendo dal pullman raggiungiamo subito il primo villaggio nel quale quest’anno si è tenuto il sacrificio principale di sangue alla madre terra rappresentata da un totem con due seni e poli decorati. Qui tutti i clan si sono riuniti, attorno al recinto di canne di bambù creato per l’evento, così come per l’evento è stata costruita la casa dove si è tenuto il sacrificio, quella tutta decorata con triangoli colorati. Esiste un concilio di clan che si riunisce ogni anno per decidere in quale villaggio si farà il sacrificio.

Proseguiamo a piedi in mezzo alla fitta vegetazione della campagna circostante per raggiungere il secondo grande villaggio. Prima di giungere al confine ideale, troviamo una lingua di cemento; Srikant ci spiega che in occasione del grande censimento che ha coinvolto tutta l’India, il governo, per far vedere che teneva alle etnie locali, ha cercato di portare alcuni aspetti della “civilizzazione” a queste popolazioni. Il governo però non vuole comprenderle fino in fondo, vuole solo scaricarsi la coscienza e ha fornito loro il telefono, quantomeno inutile, visto che non lo sanno nemmeno usare, i pannelli solari, sempre più inutili ed infine questa strada cementata, che oltre a non servire, in quanto queste popolazioni utilizzano strade secondarie in mezzo alla foresta per andare da un posto ad un altro, creano danni in quando non danno la possibilità al terreno di assorbire il monsone. Ciò che servirebbe a queste popolazioni sono delle cure mediche, aiutandoli con medicinali e non lasciandoli morire di malaria o di meningite o solo per una gamba spezzata. In questo villaggio non avrei mai voluto vedere gli occhi di una madre rassegnati, in attesa della morte di lei e del suo bambino, una morte evitabile, un decesso che sarebbe arrivato entro la settimana, per la malaria. Tutti i fiumi di parole che vengono sprecati dalle associazioni governative in libri sui diritti di queste etnie, non sono riusciti a raccogliere nemmeno un soldo per dar loro un poco di clorochina. Arriveremo a Jeypore e compreremo i farmaci per questa donna, ma ne abbiamo salvata solo una, gli altri?

Scendendo, grazie alla presenza di Malaica, ci fermiamo in visita ad una scuola, sovvenzionata dal governo, ma gestita da personale non governativo. I bambini sono di tutte le età e provengono delle tribù. Tutti indossano una divisa per evitare che ci siano distinzioni di casta. Torniamo piccoli, ci divertiamo a cercare di comunicare con loro, a rispecchiare i loro visini incuriositi, a giocare con loro.

Procediamo nella lunga strada verso Jeypore e ci fermiamo lungo la strada in un villaggio di Desia Kondhs. La denutrizione è visibile nella ventre gonfio dei bambini, certi impauriti, altri straniti, altri davvero incuriositi e felici; giochiamo con loro, in un sottile stato di felicità misto a sconforto.

 

14.08.2005 –Domenica – 19° giorno

Jeypore – Bondas’ Market – Jeypore – Ragayada

Oggi partiamo alle 6:30, per raggiungere il mercato. Qui troviamo le donne delle tribù Bondas, probabilmente le più primitive, che scendono dalle remote colline in cui vivono per vendere il frutto del loro sudore. Queste donne sono splendide, minute, hanno gambe sottili e ben tornite e il corpo è ben visibile dai loro abiti succinti costituiti da semplici collane di perline, da bracciali ed ornamenti vari e dai ringa, minuscoli gonnellini di stoffa tessuti da loro stesse al telaio; al collo portano larghi e grossi collari in bronzo e alluminio e per raggiungere il mercato indossano anche una corta mantellina. La testa rasata fa risaltare gli stupendi lineamenti del loro incisivo viso e viene anch’essa ornata di coloratissime perline.

I frutti che vendono sono solo un vivace sfondo a questo splendido mondo, dove si gusta la quotidianità; cerchiamo di dialogare, con semplici gesti, intensi sguardi ricchi di curiosità e stupore; è l’India tribale che si mischia con il grigio occidente, per lasciare ancora una volta il segno indelebile del suo passaggio.

Ed eccolo di nuovo, il monsone, ci sorprende, mentre estasiati guardiamo quel brulicare incessante di trattative; mi lascio inondare il corpo di quella rinfrescante parentesi, alzo la testa al cielo e copiosamente bevo, come se fossi tornata alle origini, sento il mio corpo inzupparsi farsi un tutt’uno con la Natura, la sensazione è quella di quando ero bambina.

Verso pomeriggio, sulla strada per tornare a Ragayada, visitiamo un villaggio pieno zeppo di bambini, ed ecco nuovamente la magia dell’India. Siamo di colpo assaliti da un’orda di meravigliosi bimbi curiosissimi e simpaticissimi che si continuano a far fare fotografie, ridendo, scherzando, incuriositi per lo strano marchingegno. Passiamo delle ore stupende, davvero magiche, respiriamo la loro ingenua curiosità, giocando e dialogando, con pochi gesti, con la rara magia de loro genitori.

 

15.08.2005 – Lunedì – 20° giorno

Ragayada – Konark

Ed ecco che dobbiamo ripartire, lasciando questo mondo magico, per tornare all’India “civile”, per ritornare al nostro amatissimo treno.

Le 12 ore di bus sono davvero tante, davvero pesanti, anche perché le strade sono incredibilmente dissestate, ma nel tragitto abbiamo modo di ripercorrere con la mente, perdendo il nostro sguardo nel verdeggiante orizzonte, quelle magiche emozioni che ci ha regalato quel fugace contatto con persone così differenti.

Arriviamo a Konark a notte fonda, accompagnati da Shivu, il gentilissimo aiutante di Srikant.

Una cena di compleanno ci ricorda che fra pochi giorni il viaggio sarà terminato.

 

16.08.2005 – Martedì – 21° giorno

Konark – Puri – Kolkata

Oggi ci svegliamo con più calma, per andare al mare.

Ed eccolo, l’oceano indiano del golfo del Bengala, con le sue enormi onde bianche e spumeggianti, con il suo intenso sapore, con una spiaggia che si perde fino a sbiadire nell’infinito e i cammelli, attorniati da gente che beve il rinfrescante nettare del cocco ancora verde.

Ci immergiamo e subito una folla prettamente maschile si avvicina; l’esperienza di tutte le ragazze del gruppo può riassumersi in “modella per un giorno”!!!

Dopo questa simpatica parentesi ed una doccia, visitiamo il tempio del sole di Konark… sotto un rinfrescante monsone!

Il magnifico tempio del sole, fatto costruire dal re Narasimhadeva nel tredicesimo secolo, è il culmine dell’architettura dei templi dell’Orissa ed uno dei più sbalorditivi monumenti religiosi al mondo. L’intero tempio è stato disegnato sotto la forma di un colossale carro, che porta il dio del sole, Surya, attraverso i cieli. Il poeta Rabindranath Tagore scrisse di Konark “qui il linguaggio della pietra supera il linguaggio umano”, ed è vero, come tutte le sensazioni in India, anche questo incredibile capolavoro non è descrivibile con le semplici parole umane.

Lasciamo Konark e raggiungiamo Puri, costeggiando l’oceano e le bianche spiagge.

Puri è uno dei quattro dham, i luoghi di pellegrinaggio hindu più sacri dell’India. Secondo i buddisti, Puti è il luogo in cui fu nascosto il dente di Budda trafugato a Kandy, Sri Lanka.

Il luogo principale è il grande Jagannath Mandir, al cui interno non si fa nessuna distinzione di casta, ma al quale si accede solo se si è hindu. All’interno, nel jagomohan, o sala riunione, centrale vi sono le statue di Jagannath, Signore dell’universo ed incarnazione di Vishnu di suo fratello Balbhandra e della sorella Subhadra, All’esterno del tempio vi sono numerosissime bancarelle che ne vendono le ricostruzioni. Più che dei sembrano una rivisitazione indiana dei personaggi di South Park, tutti e tre inghirlandati e con i grossi occhioni. Per poter ammirare almeno dall’alto il tempio siamo entrati in una splendida biblioteca e abbiamo lasciato una donazione obbligatoria.

Il buio della sera ci dice che è venuta l’ora di salire sul nostro ultimo treno…

 

17.08.2005 – Mercoledì – 22° giorno

Kolkata

Arriviamo alla stazione di mattina presto, scendiamo dal nostro ultimo treno, con tutti le sue “comodità”, indimenticabile compagno di viaggio. Proprio ora lo dobbiamo salutare, quando iniziavamo a goderne la vitalità.

All’esterno grandi file di taxi gialli e sullo sfondo, l’imponente modernità dell’Howra Bridge.

Entriamo in Kolkata ed una volta in albergo iniziamo a perderci in questa modernissima città indiana, che lega la sua storia all’arrivo degli inglesi.

Non una mucca, pochi tuk tuk, tanti taxi gialli; forse è l’anticamera dell’occidente…

Prendiamo la metropolitana per raggiungere Kalighat, da cui deriva il nome della città; la sua atmosfera è pesante, cupa, si respira ancora l’anima degli animali sacrificati la mattina alla dea Kali. E’ uno dei luoghi sacri più importanti dell’India per i seguaci della dea Kali, ma non evoca certamente sacralità.

Giriamo l’angolo per visitare l’Hospital for the Dying Destituite di Madre Teresa. L’ospedale non presenta delle porte di ingresso, si accede direttamente in un salone dove i malati vengono accuditi, coccolati, nutriti, e curati, per quello che ancora si riesce a fare, da ragazzi come noi, volontari, che dedicano la loro vita ad alleviare dalle sofferenze questa povera gente. Non sono riuscita a resistere, sono scappata subito a fare un’offerta alla Madre Superiora e poi sono uscita, annegata in un disarmante silenzio, il cuore spezzato per l’inutilità della mia condizione di fronte a tutto questo, singhiozzando in silenzio, non riuscendo a comprendere perché tutto questo debba esistere, perché devono ancora esserci persone che muoiono di fame, di stenti, di miseria, di povertà, nell’assurdo sconforto di non essere capace di regalare loro anche solo un semplice sorriso, di fronte alla contraddizione fra il consumismo più bieco e la povertà più assoluta. Negli occhi di questa gente, in fin di vita, tanta serenità e la contentezza di poter essere accompagnata al paradiso da persone davvero incredibili.

 

18.08.2005 – Giovedì – 23° giorno

Kolkata

Oggi visitiamo la casa madre di Madre Teresa, a cui lasciamo offerte e poi andiamo a lasciare i vestitini, i pastelli, i giocattoli e le medicine all’Orfanotrofio.

I bimbi sono bellissimi, giochiamo con loro, anche se è difficile, alcuni sono vittime di malformazioni, altri sono denutriti, altri, come Jaja, hanno la tristezza nel cuore, una tristezza che nasce dall’amara certezza di non poter avere l’amore di un genitore, perché sei davvero troppo grande, nella fredda certezza che quei signori che adesso ti coccolano, ti fanno giocare, ti parlano incuriositi, prima o poi se ne andranno e ti lasceranno con la tua solitudine, con quella scatola di amore, con cui ogni bambino dovrebbe crescere e convivere, terribilmente vuota, di un vuoto incolmabile e insopportabile.

Mille pensieri ci annebbiano la vista, in una Kolkata così moderna, ma così contrastante, dove la ricchezza e la povertà viaggiano davvero a stretto contatto, dove la sporcizia delimita il territorio della miseria, dei paria, delle persone davvero misere.

Camminiamo per la città, ripercorrendo l’Howra Bridge, per la zona del Bara Bazar, visitiamo la Nakhoda Masjid, vediamo il Marble Palace fino a perderci nella casa di Rabindranath Tagore, oggi dedicata allo studio delle arti, della musica, del teatro e della pittura, assistendo magicamente ad una lezione di danza.

Ma le emozioni non sono finite, la sera decidiamo di andare al cinema, di vedere uno di quei colossal di Bollywood, Mandal Pandey, di ambientazione storica.

 

19.08.2005 – Venerdì – 24° giorno

Kolkata – Delhi

Abbiamo una mattinata per gustare ancora un poco d’India, prima che gli aerei ci portino a destinazione.

Ci svegliamo di buon ora e ci facciamo accompagnare da un taxi all’Howrah Bridge, sulla destra notiamo la stazione… il ponte, eretto nel 1943 con un progetto avveniristico che consiste in una sola arcata ampia circa 650 metri, è il più affollato al mondo e lo si sente vibrare sotto i propri piedi. Poco più avanti al di sotto, si staglia il meraviglioso e coloratissimo mercato dei fiori, dove l’India conosciuta nel nostro viaggio, diventa ancora più incredibile, in una commistione di avveniristica modernità e di tradizioni religiose. Lo spettacolo è magnifico e non bastano le poche ore che gli dedichiamo. Saltiamo su di un taxi per correre a vedere il Great Banjan Tree, entrato nel guinness dei primati come pianta più grande al modo, nel rilassante ed estesissimo Botanic Garden. Questo albero ha più di 240 anni, il ramo più alto misura 24,5 m, con una circonferenza di 420 m!

Purtroppo dobbiamo salutare Kolkata, per arrivare all’aeroporto di Delhi, con la sua folle burocrazia e qui salutare l’India.

20.08.2005 – Sabato – 25° giorno

Delhi – Frankfurt – Italia

A Frankfurt Matteo vaga disperato, con la tristezza nel cuore, per aver terminato un così grande viaggio. Tutti noi sappiamo che non potremmo che raccontare una piccola parte di quell’incredibile esperienza che è l’India, purtroppo sempre banalizzandola.

Ciò che sicuramente non dimenticheremo mai è la gente, con i loro sorrisi, la loro invadenza, la curiosità, la tristezza, la povertà e la ricchezza, con i loro sputi catarrosi, con il loro cibo gustato e offertoci in treno, con lo sconforto, con la rassegnazione, con la felicità, con tutto ciò che è India.

Ciò che sappiamo anche è che questa esperienza ha legato indissolubilmente delle persone che prima non si conoscevano, con il legame dell’India, con la consapevolezza che comunque noi fossimo, una parte di noi è rimasta là, ed una parte di noi, è diventata India, quella parte che rivive quell’esperienza anche qui, a Torino, in Italia, quell’esperienza che ci ha donato la possibilità di vedere un poco oltre alle cose, di sentirle, di apprezzarle.

Una piccola parte di questo paese vivrà sempre con noi, in contrasto ed armonia con la nostra anima, lasciandoci di questo viaggio un ricordo davvero unico ed indelebile.

 

 

Ferdinand de Lanoye disse: “Vi sono mille porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne”

Continue reading “India del nord in mezzi pubblici”

India del sud in mezzi pubblici

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24.12.2006 – Domenica – 1° giorno

Italia – Chennai

Sono davvero eccitata, in fibrillazione; è la prima volta che parto con un gruppo per una prima assoluta e per di più da me proposta e sognata!

Ci incontriamo all’aeroporto di Francoforte e dopo aver fatto le carte d’imbarco direttamente al gate e nominato il cassiere, iniziamo subito a scambiarci mille idee e mille pensieri di come speriamo che sia questo incredibile viaggio in India.

L’aereo parte ovviamente con ritardo, sia mai che l’Air India sia puntuale, varie ore di volo, diversi spuntini, cene e tentativi di dormire e siamo a Mumbai, catapultati in un altro mondo.

Prendiamo le nostre carte d’imbarco dall’incaricato che ci attende e ci accalchiamo nella fila per accedere ai gate nazionali.

Il nostro aereo dovrebbe partire a minuti, ma c’è troppa coda. Dopo un quarto d’ora un incaricato ci permette di passare avanti e prendiamo il nostro volo.

Non temete, dovesse mai capitare anche a voi, a terra non vi lasciano; l’Air India aspetta i suoi passeggeri, a costo di ritardare i voli come fa usualmente!

 

25.12.2006 – Lunedì – 2° giorno

CHENNAI – KANCHIPURAM – TIRUKKALUKKUM – MAMALLAPURAM

Due ore di volo e siamo a Chennai. Prendiamo i bagagli, compiliamo la carta di smarrimento per uno scatolone di aiuti che non è arrivato a destinazione, salutiamo il signore della missione ed usciamo, ad assaporare la prima impressione di India.

E’ mattina presto, sono le 6 e il cielo è ancora scuro; gli indiani sono ammassati all’uscita e attendono i loro cari; il nostro pulmino, parcheggiato più avanti ci sta aspettando.

E’ un senso di smarrimento quello che ti pervade non appena arrivi, ti trovi in questo clima idilliaco, dimenticandoti quasi dell’inverno rigido che hai lasciato da poche ore, cerchi di immergerti in quello che è il traffico, il sorriso e lo stupore della gente, tantissima, che c’è per la strada a quell’ora, ma non ci riesci; sul pulmino, come da un documentario vedi il paesaggio circostante che scorre veloce, con le palme e quelle capanne ai bordi della strada, abitate da gente davvero povera…

Poi la stanchezza ha il sopravvento, forse anche lo stordimento che si prova nel vedere così tanta povertà, ti aiuta a chiudere gli occhi, come a cercare riparo.

In un’oretta (71 km) siamo a Kanchipuram, una delle sette città sacre dell’India; essa ha la particolarità di essere dedicata a Shiva e Vishnu.

Dei 200 templi rimasti (un tempo ne vantava addirittura 1000!) sparsi in vari luoghi della città, visitiamo il tempio Kailasanatha, il tempio più antico, dedicato a Shiva, Il tempio Sri Ekambaranathar, dedicato a Shiva e uno dei templi più grandi della città, il tempio Devarajaswami, il Vaikunta Perumal e il Kamakshi Amman.

L’atmosfera è di intensa sacralità, i colonnati all’interno dei templi sono scuri e le poche sillabe di preghiera che continuano a ripetersi come una litania fanno di questi templi, luoghi di intensa spiritualità, quasi palpabile.

Ancora tre quarti d’ora di bus (51 km) e siamo alle pendici della collina delle aquile sacre, dove sorge il tempio di Vedagirishvara; purtroppo Silvana si sente male, Sergio, Dorina, Federico e Nicoletta non se la sentono di salire e a noi altri non resta che desistere e andare spediti verso Mamallapuram; ci arriviamo in un quarto d’ora (14 km).

Distrutta, arrivo alla reception del Sea Breeze e sorpresa! Le camere non ci sono… Sistemo Silvana e Nicoletta e in due orette tutti gli altri, te sulla spiaggia, giretto per la città e appuntamento alle tre per vedere le belle sculture in pietra di questa incredibile cittadina.

Iniziamo con lo Shore Temple, situato in una posizione divina e romanticamente deliziosa, rovinato dal mare, dal vento e dallo tsunami, così tragicamente noto, e proseguiamo verso Beach Road fino all’Arunia’s Penace, scalando la collina, con gli occhi pieni dalle meraviglie in pietra disseminate ogni dove.

Purtroppo il sole sta calando e non ci resta che goderci il tramonto, certi che purtroppo non potremo vedere le Five Rathas, a un quarto d’ora di cammino dall’ultimo tempio del promontorio.

Cena in un localino tipico della città, completamente vegetariano e a nanna!

CONSIGLIO: il riposo è d’obbligo, se il piano voli è simile al nostro. Vi consiglio di vedere lo Shore temple e la collina, di cenare presto e di lasciare per il giorno seguente le Five Rathas.

 

26.12.2006 – Martedì – 3° giorno

MAMALLAPURAM – PONDICHERRY – CHIDABARAM – KUMBAKONAM

Ci svegliamo presto e alle 8 siamo già all’incrocio con la strada principale dove appunto c’è la fermata, il plurimenzionato “BYBUS”.

Attendiamo 5 minuti ed eccolo, la mitica scatoletta arrugginita si sta avvicinando; sbraccio per fermarlo quasi al centro della strada, chiedo conferma e poi saliamo. Ci sistemiamo alla belle e meglio, poi trovo il controllore e faccio i biglietti.

Ci attendono 2h30 di questa meraviglia tecnologica della TATA, 134 km di strada meravigliosamente asfaltata per giungere fino a Pondicherry.

Io trovo sistemazione vicino all’autista, sulla scatola che racchiude motore/cambio, mano a mano anche gli altri trovano un posto a sedere.

Il paesaggio è splendido; poi, una volta entrati a Pondy, chiediamo al bigliettaio, che parla un’inglese perfetto, quale sia la fermata migliore per l’ashram di Aurobindo; scendiamo al BUS STAND e subito proviamo l’ebbrezza di un tuk tuk, ovviamente dopo una lauta colazione con i biscotti e i succhi tipici dell’India e dopo aver chiesto gli orari per Chidabaram.

Lasciamo il bagaglio nella cloack room (una stanzetta 1m x 1m!), per 9Rs a bagaglio

Tolte le scarpe, entriamo in questo caseggiato di un bianco quasi impalpabile; sotto un albero frangipane, delle persone in preghiera e rigorosamente in silenzio meditano sulla samadhi di Aurobindo e di The Mother. L’atmosfera è incredibile, si avverte una pace quasi irreale e dopo aver goduto di questa meravigliosa sensazione usciamo e continuiamo il nostro giro per la città (vedi lonely planet).

Ci fermiamo a fotografare la statua di Gandhi, poi proseguiamo lungo Lal Bahabhur Street, che percorriamo interamente, dopo una ristoratrice tazza di chai, per arrivare, sempre a piedi, alla stazione degli autobus.

Alle 13:00 parte il nostro autobus, ci impiegherà 2 ore per 70 km; all’interno il bigliettaio vuole farci pagare il posto che il nostro bagaglio “ruba”, ma gli resistiamo.

RICORDATEVI: si paga solo il biglietto del passeggero, mai del bagaglio; del resto ci sono persone che sembra che si portino la casa dietro e non pagano una rupia… Meglio lasciare un’offerta alla gente povera piuttosto che farsi fare fessi da un controllore troppo furbo.

Alle 15:30 siamo al BUS STAND di Chidabaram, cerchiamo la cloack room, un retrobottega difficile da scovare (11,7Rs/bagaglio) e poi ci avventuriamo verso il tempio Nataraja.

Dato che come tutti gli altri templi, anche questo chiude dalle 12 alle 16:30, cogliamo l’occasione per pranzare con Dosa e intingoli vari, in un posticino tipico, dove gli avventori ci guardano con stupore.

Nataraja è lo Shiva danzante, quella figura che viene rappresentata dentro ad un cerchio di fuoco, mentre danza con la gamba destra sollevata e la sinistra che schiaccia il demone dell’ignoranza.

Allo Shiva danzante è dedicato appunto il tempio di Chidambaran. Di primo acchito il tempio sembra quasi in ristrutturazione, pali, transenne, cancelli chiusi, poi, all’ingresso, un porticato di colonne intarsiate, fra le quali danza la luce serale, che penetra da un cortile interno. Sulla destra un porticato nel porticato, con colonne intarsiate ad imitazione degli alti Gopuram esterni.

L’aria è piena del fumo che sale dai piccoli vasi pieni di ghee, usato per accendere piccoli stoppini di cotone. Il fumo ritaglia i raggi di luce che qua e là penetrano il buio. Entro nel cortile Non so se posso, di solito è proibito ai non Hindu, ma non ci sono cartelli di divieto, e nessuno mi dice nulla. Mi siedo a guardare; davanti a me le porte d’oro del sacrario aperte e i sacerdoti preparano la cerimonia. I fedeli pregano e fanno offerte. Improvvisamente iniziano a suonare le campane. Dopo un istante campanelli e il canto dei fedeli, un mantra, una preghiera. Ha inizio la puja. Il sacerdote, in piedi davanti a Shiva, accende il fuoco con una torcia e la agita davanti alla statua. I fedeli incalzano, ritmati dal suono frenetico delle campane e dei campanelli.

Il mistero e la magia avvolgono quei gesti antichi, nel segreto, nel buio della cella di quel dio che non si mostra, che ascolta silenzioso e che chiude nel suo cerchio di fuoco l’energia della creazione e la forza della distruzione. Le foto sono proibite. Il mistero non può essere mostrato.

Usciamo dal tempio, ancora intrisi della sacralità sprigionata dalla luce e dalle preghiere, prendiamo i nostri bagagli e saliamo sull’ultimo bus della giornata, che dopo 95 km di curve intense, in 2h30 ci porta al BUS STAND di Kumbakonam. Ci spostiamo in tuk tuk verso l’albergo.

Sono ormai le 20:00, tempo di sistemarci in camera, cena in albergo e poi nanna; domani l’itinerario è intenso!

CONSIGLIO: poiché ci si sposta in mezzi pubblici, vi consiglio di utilizzare Kumbakonam come base per visitare le altre bellezze al suo intorno, dormendoci la notte come abbiamo fatto noi; gli autobus per i villaggi limitrofi partono tutti dal Bus Stand.

 

27.12.2006 – Mercoledì – 4° giorno

KUMBAKONAM – GANGAKONDACHOLAPURAM – DHARASURAM – SWAMIMALAI – THANJAVUR – TIRUCCHIRAPALLI

Ovviamente partenza la mattina presto alle 7:00, abbiamo tantissimo da vedere e il treno per Thanjavur parte alle 14:30.

Il primo bus per Gangakondacholapuram parte alle 7:20 e ci impiega 1h per 35 km. Il tragitto è bellissimo, in mezzo ai campi e davvero poco battuto dai turisti, tanto che sia i signori sopra il bus, sia gli abitanti del minuscolo centro, sono stupiti alla nostra vista. Mi sembra quasi di essere all’interno del film “non ci resta che piangere” e di essere capitati a Frittole!!!

Il Tempio di Brihadishwara è ciò che rimane della capitale del regno della dinastia Chola. Ci godiamo la pace che si avverte in questo minuscolo centro abitato e quasi con la stessa curiosità chiediamo dove sia la fermata… Ovviamente è lungo la strada, basta alzare la mano! Dopo 15 minuti, di chiacchiere a gesti, risaliamo sul bus che ci riporterà a Kumbakonam, dalla quale prenderemo un altro autobus, che in 15 minuti (6 km), ci porterà a Dharasuram.

Qui ci aspetta lo spettacolare tempio di Airavateshvara, eretto dal re chola Rajaraja. Il tempio è completamente dipinto e l’atmosfera di sacralità s’infonde in ogni dove. Ci rimaniamo 1 ora. Questo tempio è dedicato a Shiva; la leggenda narra che Airavata, l’elefante bianco di Indra, il dio dei cieli, adorò qui Shiva, dopo aver recuperato il suo colore perduto.

Torniamo a Kumbakonam, ci ristoriamo in un ristorantino tipico della città questa volta accompagnando il riso con un poco di pollo e poi, con l’aiuto dell’autobus, andiamo alla stazione, per 30 minuti di treno, 35 km, fino a Thanjavur, dove arriviamo alle 15:10.

Lasciamo il bagaglio nella cloack room della stazione e non appena usciti prendiamo il bus fino al magnifico Brihadishvara temple, in granito, il più bell’esempio di architettura chola, dichiarato patrimonio dell’Unesco. Ci rimaniamo un’oretta, camminando in lungo e in largo per il tempio, godendoci le ore di sole più belle, quando la luce indora le sculture del grande gopuram.

Purtroppo dobbiamo affrettarci a prendere un tuk tuk per andare a visitare il Royal Palace, carino, ma nulla di incredibile; degne di nota solo il dipinto murale all’ingresso di Saraswati Mahal.

CONSIGLIO: se avete poco tempo come noi, forse conviene di più rilassarsi e godersi la sacralità e la bellezza dei giochi di luce del colonnato, vagando qua e là nel tempio Brihadishvara temple piuttosto che andare a vedere il Royal Palace.

Vaghiamo nei pressi della stazione, cercando di ammazzare l’ultima mezz’oretta mangiandoci un poco di dolciumi indiani, strepitosi quelli con l’argento sopra e sulla banchina del treno banchettiamo, sempre accompagnati dagli sguardi attoniti dei passanti.

Il treno arriva in perfetto orario, alle 19:10. Arriveremo alle 20:30 a Trichy, dove, dopo un chilometro di strada a piedi, ci aspetterà la tanto agognata cenetta nel dehor dell’albergo e il meritato riposo.

 

28.12.2006 –Giovedì – 5° giorno

TIRUCCHIRAPALLI – AMMANDAPAN – SRIRANGAM – MADURAI

Alle 7:30 siamo già al Bus Stand per prendere il mitico numero uno e andare a visitare il meraviglioso tempio dell’Ammandapan. A soli 6 km dalla stazione degli autobus, ad un solo quarto d’ora sorge il meraviglioso tempio di Sri Ranganathaswamy.

L’atmosfera è ancora una volta piena di sacralità, l’odore dei fiori, dati agli dei come offerte, pervade l’aria, intrisa di incensi e profumi di oli bruciati. Tutt’attorno un brulicare di pellegrini che pregano, con gli occhi pieni di pace e noi, increduli, di fronte alla manifestazione del divino.

Usciamo solo dopo due ore dal tempio, ancora increduli, e sotto il sole cocente ci avventuriamo verso la via di fronte al tempio, lunga circa 1.5 km, al termine della quale ci sono le vasche dove si fanno le abluzioni e ci si rinfresca un poco; tutto il resto è una coloratissima quotidianità che si staglia sotto i nostri occhi.

Prendiamo il mitico bus numero 1, quello che già ci ha portato fino a qui, proprio al di fuori delle vasche e dopo il quarto d’ora canonico siamo ai piedi del Rock Fort.

Prendiamo un chai ristoratore prima di avventurarci su per i 434 gradini che ci condurranno fino alla sommità, poi, dopo esserci dati appuntamento a questo ristorantino, iniziamo ad immergerci nella vitalità del mercatino che dipinge tutta la via fino all’entrata del Rock fort.

La salita avviene completamente scalzi, come normalmente succede in ogni luogo di culto; l’ascesa è faticosa, ma ne vale davvero la pena.

Una volta in cima, a parte l’antenna che deturpa un poco la sacralità del luogo, entrati nel tempietto, con una meravigliosa brezza che rinfresca l’aria, si può avere un’idea di Trichy e della grandezza dell’ammandapan, visibile anche da qui, in tutto il suo splendore e la sua grandezza.

Alle 14:15 siamo alla stazione, il nostro treno parte alla volta di Madurai, dove arriverà alle 17:30.

Prendiamo un tuk tuk, che da Madurai JN ci porterà fino al centro, dove prenderemo possesso delle nostre fantastiche camere all’ostello della gioventù.

Cena ovviamente vegetariana e poi nanna, dopo aver posato lo sguardo sul tempio di Sri Meenakshi illuminato dalla luna.

 

29.12.2006 – Venerdì – 6° giorno

MADURAI – THIRUVANANTHAPURAM

Dopo una notte pressoché insonne, causa la mia insistente tosse e la paura di svegliare qualcuno, dopo esserci concessi una lauta colazione, iniziamo la visita della città.

Alle 8:00 siamo già sotto lo spettacolare tempio Sri Meenakshi, accompagnati da una guida che ci spiegherà moltissimo degli usi e costumi religiosi dell’India del Sud e dei suoi coloratissimi templi.

Dal 1967 il tempio di Sri Meenakshi viene ridipinto ogni 5 anni grazie alle offerte per la ristrutturazione lasciate delle persone abbienti.

Come in ogni tempio del Tamil Nadu, ciò che ci colpisce di più e ciò che rende questi templi diversi uno dall’altro è la vitalità che si avverte all’interno; ogni tempio è vivo, è brulicante di pellegrini che compiono offerte, si pentono o chiedono al dio di dar loro figli, denaro, un lavoro…

Il tempio trasuda la vita delle persone dell’India e si potrebbe davvero stare una giornata intera a guardare fissi un punto, una statua votiva di Ganesh, non annoiandosi mai, assaporando di volta in volta una storia diversa.

E sebbene sia frequentatissimo, sebbene all’esterno ci sia il frastuono dei clacson della frenetica vita cittadina, all’interno è l’oasi di pace.

Ci vorremmo stare di più, forse meriterebbe davvero l’intera giornata anziché le sole due ore e mezza che gli abbiamo dedicato…

Ci spostiamo a piedi poco oltre, verso il palazzo di Tirumalai Nayak, un palazzo indo-saraceno costruito nel 1636. Oggi rimane ben poco, solo l’ingresso, la sala principale e la sala da ballo; merita di essere visitato, ma non ci siamo rimasti più di 30 minuti.

Continuiamo per il museo di Gandhi; all’interno vengono raccontati con dei dipinti i momenti salienti del mahatma; alla fine del percorso, il sari insanguinato del maestro, con il sangue, memoria indelebile di ciò che è stato.

Pomeriggio libero per riposi/acquisti e verso le 17 ci ritroviamo per visitare l’ospedale di S.Mary Leuca. Saremmo dovuti andare prima, ci avrebbero accompagnato a visitare il lebbrosario e le scuole dei bimbi orfani di cui si prendono cura.

Sono molto gentili e ci offrono tutto ciò che hanno, i dolci, le caramelline.

Ritornati ceniamo e poi andiamo in stazione ad attendere il nostro primo treno notturno, in partenza alle 23:15.

CONSIGLIO: La notte in treno fa davvero freddo, portatevi il sacco a pelo

 

30.12.2006 –Sabato – 7° giorno

THIRUVANANTHAPURAM – VARKALA – KOLLAM

Verso le 7:30 siamo a Trivandrum, usciamo dal treno abbastanza sfatti, cerchiamo subito un bagno e poi usciamo, in cerca della meritata colazione.

All’uscita, proprio all’angolo con la stazione degli autobus, c’è una strana struttura rossa che sembra un’autorimessa,c on la scritta in alto “Indian Coffee House”

Diciamo che entrando, avrete già la netta sensazione di aver cambiato stato, di essere passati dal Tamil Nadu, terra di miti e leggende al verdissimo e più ricco Kerala, ma vi assicuro che la viuzza all’interno che va su a chiocciola merita davvero di essere visitata; inoltre potrete fare un’ottima colazione.

Lascio i mie fidi compagni di viaggio a gustarsi la colazione e vado a cercare un poco di informazioni alla stazione dell’autobus e del treno; qui decideremo di proseguire fino a Mangalore con treno notturno, puntando poi con il bus verso Hassan, anziché fare tappa a Trissur e poi da qui andare in bus verso Mysore.

Dopo aver fatto colazione ci incamminiamo lungo MG Road, verso i templi della città.

Le strade sono più grandi e davvero ben tenute, le macchine che si vedono circolare sono di gran lunga di lusso se paragonate a quelle che anche solo ieri sera vedevamo sfrecciare per le strade.

Il primo tempio che troviamo è quello di Ganapathy, dove lo schiacciamento rituale delle noci di cocco, cattura la nostra curiosità, in questo luogo magico, dove il profumo dell’incenso inebria le nostre radici, in una strada quasi priva di traffico; vi consiglio di visitarlo la mattina presto.

Proseguiamo sino al tempio di Sri Padmanabhaswamy, con il suo interessante gopuram; sinceramente, arrivando dal Tamil Nadu, ciò che mi ha colpito di più di questo tempio, sono gli incedibili venditori di fiori e il mercato attraversato lungo MG Road, inoltre i bus di fedeli che ci continuavano a sorridere e tendere la mano.

Poco più avanti c’è la tanto citata CVN Kalari Sangham; siamo arrivati troppo tardi, quindi nona abbiamo potuto assistere agli allenamenti; da fuori la scuola è abbastanza bruttina. Vedete se riuscirete ad essere più fortunati!

Il Puthe Maliga Palace Museum merita davvero di essere visitato; con il biglietto d’ingresso e poco meno di un’ora di visita, sarete accompagnati da una guida che vi spiegherà abbastanza velocemente ciò che state vedendo; ma mi raccomando, non dimenticate di perdervi nella pace della natura dei suoi giardini.

Verso le 12 siamo in stazione, io vado a fare i biglietti, mentre il gruppo si ristora nel ristorantino non vegetariano della stazione.

Partiamo alle 12:55 e poco dopo mezzora siamo a Varkala. Il paesaggio che si gode dal finestrino lungo il breve tragitto è meraviglioso, palme, verdure e lagune a perdita d’occhio, davvero un toccasana per le nostre membra stanche!

Arrivati a destinazione, una brutta sorpresa: questa è l’unica stazione (sarà perché è in manutenzione???) a non avere una cloack room… E noi mica possiamo scendere in spiaggia con il bagaglio???

Chiedo al primo passante dove posso trovare un alberghetto dove posare i bagagli e dopo aver sondato i primi due visibili, ne trovo uno sul retro che cortesemente ci affitta una stanza per qualche ora.

Carichi, saliamo sul bus che ci porterà alla spiaggia.

L’India è particolare anche in spiaggia; noi subito ci mettiamo in costume, c’è chi prende il sole, chi fa subito un bagno e chi si lava sotto il fresco rigagnolo che arriva dalla montagna.

Le donne indiana sono rigorosamente in sari.

Poco dopo andiamo alla ricerca di un massaggio ayurvedico, ma solo Ida ed Enrico riusciranno a farlo, noi altri siamo rapiti dall’insegna “king prawn” che spadroneggia al Mamma Chompo’s.

Peccato non aver trovato da dormire a Varkala… Alle 18:50 parte il nostro treno verso Kollam, dove arriveremo e troveremo due brutte sorprese… In città p tutto chiuso: hanno ucciso Saddam Hussein e gli indiani per protesta hanno chiuso tutti gli esercizi per andare a manifestare; il nostro albergatore ci consiglia di cenare velocemente e poi rientrare subito in albergo.

Ok, ok… Ma l’albergo??? Quello vogliamo chiamarlo albergo? Le stanze sono a 3000°C , per non parlare degli amici insetti che dividono la stanza con noi! Federico ha un materasso aggiuntivo in una camera che già in tre sarebbe proibitiva, ma visto che non c’è posto da nessun altra parte ci si arrangia… Tuttavia, anche se solitamente utilizziamo tutta la gentilezza, non possiamo fare a meno di sottolineare all’albergatore che, ok dormire a terra, ma che almeno il cellofan dal materasso lo vorremmo togliere!

Per evitare suicidi collettivi, mi vedo costretta a cercare un buon ristorante e dopo una lauta e deliziosa cena, al gelo dell’aria condizionata, andiamo in camera mia per vedere cosa ci può proporre un uomo della Aries (??? Riusciamo a vederli!!!) per capodanno.

Non so per chi ci abbia presi, sicuramente non per quegli scannati di Avventure, visto che ci offre il pernottamento in House Boat per la modica cifra di 6000Rs a testa… Ovviamente TLF… Lo congediamo sottolineandogli gentilmente che 6000Rs sono quanto più o meno abbiamo stimato di spendere in metà viaggio e poi ci addormentiamo assieme a tanti amici con le ali e numerose zampe.

Domani è un altro giorno, il dio dei coordinatori mi assisterà!

 

31.12.2006 – Domenica – 8° giorno

KOLLAM – ALAPPUZHA

E’ l’ultimo giorno dell’anno; sono le 7:30 e sono al molo a vedere se riesco a trovare ancora a buon prezzo una kettuvallam (house boat)… Ma è impossibile!

Per evitare di farsi spennare come i classici turisti e visto che anche il gruppo non ci tiene poi così tanto, desisto; andremo a dormire in un bell’alberghetto a 300 Rs sul lungo molo di Alapuzzha, ripiegando in una sontuosa cena, spiaggia e festa del paese, come continuano a dirci tutti!

Saliamo sulla barca e ci godiamo la crociera nelle backwaters, ben dieci ore di dolce far nulla, dalle 8:30 alle 18:30, mentre l’acqua ci culla piano piano e il verde delle palme e dei gigli marini la fanno da padrone.

Il paesaggio è davvero meraviglioso, mozzafiato; è un’India lenta e lontana dai clamori, fra i villaggi dove la vita scorre lenta come le acque delle backwaters su cui si affacciano; passiamo vicino all’ashram di Amrithapuri, un grattacielo di cemento che stona in maniera davvero incredibile con l’armonia della natura tutt’attorno.

Ci fermiamo a pranzo, solo vegetariano e poi di nuovo a farsi cullare dalla quiete di questo pezzo di paradiso, accompagnati dalle mille paperelle che costeggiano i canali in perfetta fila indiana.

Vi consiglio vivamente la crociera nelle backwaters, è un modo come un altro per spezzare il viaggio e renderlo più leggero e rilassante; … prima della botta finale!

Ci godiamo le luci del tramonto che colorano tutto di rosa, le palme di cui ormai si intravede solo la siluette, alcuni pescatori in lontananza che raccolgono le reti e l’acqua, che come uno specchio riflette la meraviglia della natura.

Sono ormai le 19:00 quando prendiamo possesso delle nostre camere; usciamo subito per comprarci qualche abito tipico indiano per poter essere “presentabili” in questa ultima notte dell’anno.

Io ho comprato un meraviglioso sari in seta che mi ha anche permesso di conoscere la vicina di casa del nostro alberghetto, forse il migliore della vacanza.

La signora mi ha accolto a casa sua come un’amica di sempre e mi ha vestita, coprendomi di mille complimenti, per gli occhi, il colore dei capelli e lo splendido sari.

Foto di gruppo e poi via, a cena, con i ragazzi in doti, che ad ogni angolo della strada rischiano di trovarsi in mutande (… e va bene che Federico ha deciso poi all’ultimo di mettersele!!!)

Insomma, abbiamo fatto ridere tutti con i doti! E chiunque ci ha aiutato a riaggiustarli…

Corriamo in camera, brindisi con rhum e poi via in spiaggia.

Aldo decide che deve farsi il bagno nudo e quasi non fa in tempo a ritornare che siamo avvicinati da una guardia; gli chiediamo della festa, ma ahimè, la festa è stata bloccata a causa dei subbugli per la mote di Saddam Hussein, e anche a noi conviene tornare indietro, ci dice il poliziotto.

CONSIGLIO: Abbiamo visto ormeggiate delle kettuvallam ai bordi dei canali di Alappuzha; anche se vi consiglio vivamente di passare il capodanno in spiaggia, attorniati da mille indiani come abbiamo fatto noi, nel qual caso affittaste una house boat, contrattate prima dove verrete ormeggiati per la notte, evitando il canale di Alaphuzza, che puzza ed è la cosa meno romantica che vi possa capitare!

 

01.01.2007 – Lunedì – 9° giorno

ALAPPUZHA – KOTTAYAM – ERNAKULAM – KOCHI

Alle 9:30 parte la nostra barca pubblica; il molo dista solo pochi passi dall’albergo e dopo aver fatto una lauta colazione siamo di nuovo sul dolce dondolare delle onde che ci accompagna in tutto il tragitto. Il trasporto pubblico ha il fascino delle fermate intermedie, davvero tante, ma dove si riesce davvero a carpire la vita di queste popolazioni.

Alle 10:30 ci si ferma per uno spuntino e poi si continua; nei canali più grandi i pescatori continuano a pescare pesce abbondante, le donne fanno il bucato e la quotidianità si staglia di fronte ai vostri occhi.

Poi il canale si fa via via più stretto, vi sembra quasi di essere all’interno delle case a bordo canale, le fronte si aprono, spostate dall’imbarcazione e poi si arriva a Kottayam, alle 12:15.

Abbiamo dovuto fare un poco di parole con un signore che si era appiccicato a noi e voleva a tutti i costi che prendessimo dei tuk tuk per andare alla stazione; dopo un quarto d’ora di parole e due bus mandati via dal figuro, siamo riusciti a prendere l’autobus che ci ha portati in stazione.

Da dove vi lascia il bus alla stazione i sarà 1,5 km, e una strada da attraversare; non desistete, chiedete e guardate i binari, la stazione, anche se sembra dimessa, è proprio lì!

Vado a fare i biglietti e poi non ci resta che aspettare le 14:20, pranzando al ristorantino della stazione… Almeno per il gruppo è così, visto che io mi dovrò fare una coda interminabile di un’ora, mangiando un panino che gentilmente mi è stato portato da Nicoletta; e va bene che non mi è successo come al signore dopo di me che gli hanno chiuso lo sportello non appena era il suo turno!!!

Alle 15:30 siamo a Ernakulam; ci dobbiamo fare ben 2 km a piedi prima di arrivare alla strada principale dove attendere il bus che ci porterà a Fort Cochin.

Il percorso è molto e solo dopo un buon venti minuti scenderemo di fronte alle reti da pesca giapponesi, in un’improvvisata Bus Stand.

Ci ristoriamo subito con un caffè e con Sergio e Marco vado a cercare alloggio, aiutata da un ragazzo davvero gentile, che vuole solo avere delle informazioni sull’Italia.

Troveremo in tre luoghi differenti, ma tutti davvero puliti e degli di nota.

Appuntamento alle 20, per andare sul lungo mare a scegliere il pesce da farsi cucinare.

La cosa è davvero divertente, oltre che molto conveniente; inoltre ci da modo di gustare del pesce davvero buono e fresco.

CONSIGLIO: Il pesce va preso quando si mangia, non come un altro gruppo che lo ha comprato la mattina per mangiarlo la sera in albergo! E lo sfizio è farselo cucinare in uno dei tanti ristorantino che c’è sul lungo mare, seguendo la preparazione, cercando di evitare quanto più le spezie che annullerebbero il gusto del pesce.

Dopo cena prendiamo il bus ed andiamo a veder un film di Bollywood. Il film sarebbe anche simpatico e divertente, se ad Ida non avessero rubato lo zaino.

Panico! Dentro lo zaino non ci sono soldi, ma i biglietti aerei, il passaporto e le sue fotocopie! Chiamiamo la polizia che subito arriva e dopo poche domande e qualche giro strano dei proprietari del cinema, che hanno capito che non c’è nulla per cui valga la pena rischiare, lo zaino salta fuori!

Pericolo scampato e ritorno in camionetta!!!

 

02.01.2007 – Martedì – 10° giorno

KOCHI – ERNAKULAM – MANGALORE

Sveglia alle 8:30 e inizio con il giro della città di Kochi; vediamo le reti da pesca giapponese e gli infaticabili lavoratori che sudano per attivarle, la chiesa di San Francesco, nota come la più antica chiesa che hanno fondato gli Europei in India, la basilica di Santa Cruz, con il tabernacolo illuminato da mille colori mutanti verso l’esterno, che sembra quasi la ruota della fortuna di Mike Buongiorno e per finire con il lungo mare, il cimitero olandese.

Se devo essere sincera, vi devo dire che fino a quando non abbiamo deciso di prendere il bus e di andare a visitare il palazzo di Mattancherry, mi sono davvero chiesta perché ci si ferma a Kochi, rispondendomi che i gamberoni gustati la sera prima erano già un buon motivo…

Il palazzo di Mattancherry (chiedete alla stazione degli autobus quale sia quello diretto, poi vi dovrete fare due passi a piedi) è stato costruito dai Portoghesi nel 1555 e fu donato al raja di Cochin, Veera Kerala Varma in segno di amicizia.

Ciò che colpisce di questo meraviglioso palazzo sono i suoi stupefacenti dipinti murali effettuati con la tecnica detta “affresco a secco”, dove il colore viene applicato direttamente sull’intonaco già asciutto e non su quello fresco come vorrebbe la tecnica tradizionale.

Tali dipinti trattano scene del Ramayana e del Mahabharata e leggende dei Purana legate a Shiva, Vishnu, Krishna, Kumara e Durga; di incredibile bellezza il parto di Rama e la scena al pianterreno dove viene ritratto il simpatico Krishna che con le sei mani e i due piedi avvia i preliminari dell’atto sessuale con otto gioconde pastorelle.

Vediamo di sfuggita la sinagoga e poi ci diamo appuntamento alle 18:00 per il Kathakali; il resto della giornata è libero.

Io colgo l’occasione per divorare altro pesce prima di un massaggio ayurvedico.

Durante la rappresentazione del Kathakali incontriamo il gruppo di Luciana Messina con il quale facciamo subito amicizia; poi di nuovo bus, dopo esserci rinfrescati, cena alla stazione e treno.

Mezz’ora prima della partenza mi reco all’ufficio informazioni di Ernakulam per vedere se la mia WL ha avuto fortuna… PANICO!!! Abbiamo solo un posto confermato, gli altri sono sguarniti.

Anche se non si ha nemmeno diritto a viaggiare in queste condizioni rimarrebbe solo infatti la richiesta di rimborso biglietto, decidiamo di tentare la sorte e di salire lo stesso; tanto anche il ragazzo dell’ufficio informazioni ci ha fatto intendere che il controllore sarà magnanimo…

Sarà che non è la nostra giornata fortunata, ma passeremo la notte a dormire a terra alla belle meglio, tranne Aldo che opterà per la sua amaca fra due latrine!

Poi, piano piano, verso mattina, i posti si liberano e riusciamo a fare qualche ora di sonno!

CONSIGLIO: Decidete a priori se fare questa tratta; in tal caso, vi consiglio di prenotare con almeno una settimana di anticipo; purtroppo tale periodo è vacanza anche per gli indiani che si spostano in lungo e largo per il loro incredibile paese.

 

03.01.2007 – Mercoledì – 11° giorno

MANGALORE – HASSAN – CHANNARAYAPATNA – SRAVABENAGOLA

Arriviamo distrutti dopo una notte che non auguro a nessuno in un posto che tutto ha tranne il fascino dei paesaggi e della sacralità dei luoghi.

Siamo subito bersagliati dai tuk tuk. Distrutti decidiamo di utilizzare questa comodità e in pochi minuti siamo alla stazione della KSRTC, distante un 5 km dalla stazione dei treni.

Siamo fortunati, anche se il bus che sta partendo non ha posto per noi, entro 10 minuti ne parte un altro; abbiamo giusto il tempo di fare colazione, prendendo dei biscotti, succhi di frutta e acqua.

Ed inizia l’avventura, è proprio il caso di dirlo!!! Il manto stradale è inesistente, ai bordi ci sono delle donne che con uno scalpellino sbriciolano degli enormi sassi fino a renderli ghiaia per poter poi ricostruire alla bell’e meglio la strada.

I bus fanno a gara per sorpassarsi e la polvere che si alza ci rende completamente marroni a fine giornata.

Le buche sono voragini e dove c’è una parvenza di asfalto, esso è costruito da ghiaia sbriciolata a mano e una specie di collante che dopo 10 passate non c’è più…

Per il resto, il paesaggio è meraviglioso, passando per i ghati in una verdeggiante foresta montana.

Il viaggio, o meno, la tortura, con noi che cerchiamo di dormire anche quando battiamo la testa in ogni dove, cioè sempre, dura ben 8 ore e alle 16:00 siamo ad Hassan.

Poiché Hassan non offre nulla di particolare, anche se distrutti, decidiamo di prendere altri due bus che ci porteranno a Sravabenagola.

Lascio il gruppo a ristorarsi nell’unico bar della strada principale e con Sergio vado a cercare alloggio per la notte, tentando prima nella vasta scelta che ci offre lo stato… Penso di non aver visto nulla di così sporco, poco accogliente e così dismesso come queste… Non ci resta che andare all’hotel raghu, sperando in bene!

L’alberghetto è in classico stile avventure, piacevole, soprattutto perchè il ristorantino, oltre ad essere l’unico della città a poter essere chiamato in questo modo, è davvero buono.

Prima di andare a nanna, cerchiamo di fare un giro della città, ma già dopo 5 minuti abbiamo finito!

 

04.01.2007 – Giovedì – 12° giorno

SRAVABENAGOLA – CHANNARAYAPATNA – HASSAN – HALEBID – BELUR – MYSORE

Alle 6:00 del mattino stimo già salendo la Vindhyagiri Hill, con la felpa, ma rigorosamente scalzi. Vicino a noi i jainisti, completamente nudi salgono accompagnati solo da un ventaglio di piume di pavone.

Dopo pochi minuti siamo al cospetto della gigantesca statua di Gomateshvara; c’è appena stato la cerimonia del Maham Mastakabhisheka e dietro alla statua troneggiano le impalcature per aiutare i fedeli a ungere completamente la statua con latte di cocco, yogurt, ghee, banane, jaggery ed essenza di sandalo.

Dedicate almeno due ore e perdetevi seguendo il vostro istinto in questo meraviglioso posto così pieno di pace e di silenzio.

Scendiamo e saliamo il Chandragiri Hill, per visitare i templi rimanenti; l’atmosfera è più da sito archeologico, visto che non ci sono pellegrini che vengono a portare offerte a questo monte, ma la vista è tuttavia piacevole.

Vi consiglio di dedicare almeno 4 ore alla visita del complesso di Sravabenagola nella sua completezza, non dimenticando di fare anche una semplice passeggiata nel paese.

Riprendiamo il bus al bus stand e con tappa Hassan, prendiamo subito un altro mezzo fino ad Halebid.

La stazione degli autobus di Halebid è proprio di fronte al parco del sito. All’interno un bar vi terrà il bagaglio per poche rupie.

Halebid fu capitale del regno degli Hoysala nel XII secolo e il suo tempio più grande, il tempio di Hoysaleswara è di quel periodo, del 1121. Ciò che impressiona di questa meraviglia architettonica è la ricchezza di particolari e la precisione con cui sono stati realizzati.

Belur è simile , se non più bella, con il suo Tempio di Channekeshava.

Dedicate almeno un’ora ad ognuno dei siti, e vi consiglio inoltre vivamente di utilizzare il preziosissimo aiuto delle guide del Survey Archeology of India.

Prima di ripartire alla volta di Mysore, avendo ben 45 minuti di attesa, decidiamo di fare uno spuntino nella “doseria” forse più buona di tutta l’India del Sud.

Con la pancia piena, affrontiamo il lungo tragitto fino a Mysore, dove ceneremo all’interno del nostro bell’albergo prima di andare a dormire, sognando ancora la magnificenza e lo splendore delle costruzioni degli Hoysala.

 

05.01.2007 – Venerdì – 13° giorno

SRAVABENAGOLA – CHANNARAYAPATNA – HASSAN – HALEBID – BELUR – MYSORE

Oggi ce la prendiamo con calma, abbiamo la giornata libera; Mysore si riesce a vedere molto bene anche con i mezzi locali, in solitaria.

Tutti d’accordo, io, Marco, Federico Nicoletta, Aldo e Silvana decidiamo di utilizzare un tuk tuk per andare fino a Somnathpur.

Vi assicuro, è un’esperienza indimenticabile, da non perdere assolutamente che consiglio vivamente a tutti.

La strada è per buona parte sconnessa, e anche se si salta un poco, si ha modo di rilassarsi dai ritmi alle volte un poco frenetici, gustandosi il susseguirsi della vita quotidiana che si scorge ai bordi delle strade.

Potrete ammirare paesini che non avreste nemmeno visto, incrociare gli sguardi stupiti dei passanti, la mamma che pettina la figlia, il ragazzo che vi saluta sorridendo, chi trasporta fieno grazie al carretto tirato dai buoi; davvero un viaggio nel viaggio, che all’interno di un itinerario così intendo deve assolutamente essere previsto.

Somnathpur, con il magnifico tempio di Keshava merita davvero una visita; anch’esso è eredità degli Hoysala, ma oltre ad essere ancor più ricco dei suoi cucini Halebid e Belur, esso è l’unico che sia stato terminato.

Il tempio sorge all’interno di un cortile circondato da mura e si potrebbe davvero perdere l’intera giornata, ma Mysore è meravigliosa e vale la pena di essere visitata; dopo un’oretta, sempre con calma, ritorniamo ai nostri tuk tuk, per l’ora e un quarto di ritorno… e pensate che non solo 35 km!!!

A mysore non dovete assolutamente perdere il mercato ortofrutticolo, vicino all’hotel Vishak, il palazzo, almeno da fuori e una visita alle Chamundi hill nelle ore del tramonto.

Io e Nicoletta siamo arrivate in tuk tuk e siamo state inserite nella marea di folla che stava entrano al tempio per la preghiera. Non so cosa sia successo realmente, è stato tutto così veloce e non so nemmeno se potessimo o meno stare lì, ma il trasporto è stato davvero incredibile e per la prima volta forse ho realmente compreso che cosa significasse per un indiano la preghiera, la devozione, le offerte e tutto ciò che ruota attorno ai loro vivacissimi templi.

Ieri sera era il mio compleanno, ma visto la stanchezza dei ragazzi, abbiamo preferito festeggiarlo oggi; decido di offrire una cena al Lalita Mahal Palace Hotel.

Ragazzi che posto! E’ addirittura più bello del palazzo di Mysore! Se non ci andate a cenare, davvero squisito il buffet pieno di leccornie, merita almeno la pena di essere visitato.

Dopo questo gran cenone, satolli, torniamo a letto.

 

06.01.2007 – Sabato – 14° giorno

MYSORE – SRIRANGAPATNAM – BANGALORE – HOSPET

Alla stazione degli autobus salutiamo Enrico, Ida e Marco, che prendono il bus diretto per Bangalore; la sera prenderanno l’aereo alla volta di Mumbai, dove il loro viaggio terminerà l’8 con il volo di rientro verso l’Italia.

Con un poco di tristezza prendiamo il nostro sgangherato bus fino a Srirangapatnam, che vi consiglio solo per il particolare paesino, ma che non vale davvero la pena come sito archeologico, a detta di tutti i partecipanti rimasti. Nel villaggeto troviamo l’incantatore di serpenti, il venditore di amuleti, la scolaresca che animatamente dimostra, la signora con il covone di fieno che si improvvisa guida e gli scalpellini che hanno fatto della loro arte un lavoro.

Questo paesino è davvero variegato, ma se non avete tempo, potete tranquillamente saltarne la visita, tranquilli, non perderete molto!

Torniamo al bus stand e attendiamo, solo 15 minuti, il bus che ci porterà fino a B’lore.

Troviamo subito posto un poco sparsi e io faccio la conoscenza di Prabha, una signora davvero gentile che mi coccolerà per tutto il tragitto, tenendomi la mano, raccontandomi della sua famiglia, della sua vita e dell’India nella sua quotidianità, imboccandomi addirittura con il cibo che mi ha gentilmente comprato ad una delle tante fermate!

A B’lore la saluto e poi la vedo svanire nella folla… Meravigliosa India!

Bangalore, meglio conosciuta dai suoi abitanti come B’lore, è una grande metropoli indiana che riassume tutto il contrasto di una società che ha avuto il boom economico troppo precocemente, senza passare per le varie fasi dello sviluppo. In poche parole, vicino alle macchine di lusso, che sfrecciano velocemente per le strade della metropoli, ci sono i ragazzi che cercano di vendere qualunque cosa, per poter sfamarsi. C’è tutto ciò che di brutto abbiamo nelle società occidentali, l’indifferenza per il prossimo, la frenesia di arrivare (ma dove?) ma qui portata agli eccessi, lo sguardo spento, grigio, non curioso… Forse qui il “progresso” sembra peggiore che a casa, non perché lo sia davvero, ma perché rappresenta una parentesi, come una finestra spazio temporale, uno squarcio, in una società così differente da quanto visto e vissuto fino a quel momento.

Bangalore, se vogliamo descriverla con un solo aggettivo, è sconvolgente.

Non vedo l’ora di salire infatti in quel treno notturno, chiudere gli occhi e sperare di risvegliarmi nell’India di ieri.

 

07.01.2007 –Domenica – 15° giorno

HOSPET – HAMPI

Arriviamo con un piccolo ritardo di due ore, che ci ha permesso di svegliarci con tranquillità, prendere un chai garam e mangiare qualche biscotto avanzato dalla sera prima, godendoci lo spettacolo naturale che si staglia di fronte a noi.

Il paesaggio è completamente diverso da quanto abbiamo visto finora; tutt’attorno ci sono enormi massi rotondi dai quali spuntano i verdi fasci di foglie dei bananeti.

Appena arrivati, ci spostiamo all’albergo, posiamo le valigie, mentre io sono già fuori a contrattare due tuk tuk per l’intera giornata

Si rivelerà la scelta giusta, la migliore, che ci fa davvero gustare la meraviglia di questo incredibile sito.

Alla fine strappiamo 500 Rs per tuk tuk e partiamo.

Vijanagar, “la città della vittoria”, è l’ex capitale di uno dei più importanti imperi hindu, è uno dei più affascinanti siti storici del sud dell’India. Anche il contesto paesaggistico è di notevole impatto, colline cosparse di grossi macigni e formazioni rocciose. Un viaggiatore portoghese dell’epoca l’ha definita vasta quanto l’antica Roma. L’area archeologica è molto vasta quindi richiede 1 o 2 giorni per la visita; e li merita davvero. Visitandola, ho avuto come l’impressione che anche standoci una vita, non sarei mai riuscita a vederla tutta.

Ci dirigiamo subito nel Centro Regio visitando in sequenza: Tempio sotterraneo di Virupaksha, quindi il Recinto di Renana con il Lotus Mahal e le stalle degli elefanti, Il tempio di Hazara, Hundred columned hall audience, Mahavanami Platform, cisterna con gradini e grande cisterna, Queen’s bath.

Da qui lasciamo il Centro Regio e ritorniamo ad Hampi passando per il Centro Sacro: Krishna, statua di Ganesh, la collina di Hemakuta Hill (templi giainisti) da questa collina si gode una bella vista sul sottostante Hampi Bazar e sul tempio di Virupaksha.

Si scende quindi nella parte bassa fino a Hampi Bazar per la visita del tempio Virupaksha con il suo grande gopuram alto 50 m superato il quale entrando nel cortile si raggiunge il secondo gopuram e quindi si raggiunge il tempio dedicato a Virupaksha. Nel cortile oltre a diverse famiglie di scimmie, anche un elefante legato ad una colonna.

Lasciato il tempio percorriamo tutto il lungo viale di Hampi Bazar per raggiungere il lato opposto dove in un tempio c’è una grande statua di Nandi il toro di Shiva e volendo continuare il sentiero conduce fino al tempio di Achyutaraya ai piedi della collina di Ma tanga, anche se il tempio è in uno stato di abbandono.

Ci fermiamo in un ristorantino tipico che Dadapeer ci consiglia: davvero buono, anche se forse “un poco troppo tipico”…

Con la pancia piena, ci spostiamo poi verso Anegondi, che rappresenta il primo insediamento da cui prese vita Vijayanagar.

I templi rimasti sono in cattive condizioni e non sono molto vicini da raggiungere.

In tuk tuk si arriva fino alle rive del fiume Tungabhadra, qui si attraversa il fiume utilizzando le caratteristiche barchette tonde in vimini (corale) (10 Rs pax ogni traversata), arrivati all’altra sponda, a piedi visitiamo i piccoli templi circostanti e quindi proseguendo su strada sterrata in ’20 a piedi (o noleggiando delle bici) si raggiunge il tempio di Durga che è posto su una collina, il tempio non è per nulla interessante, ma è bello il paesaggio per raggiungere il tempio e la vista sul fiume con le rovine di Hampi in lontananza. Quest’escursione si potrebbe anche saltare, dedicando più tempo ad Hampi

Verso l’ora del tramonto, sebbene sicuri di aver dimenticato qualcosa, ci dirigiamo verso il tempio di Vittala, il complesso più bello di tutta Hampi. All’interno del cortile il bel Carro del Sole.

La luce è perfetta e le sculture che dipingono il tempio, risplendono di quella meravigliosa luce arancione.

Questa giornata coi rimarrà nel cuore, forse ricordando Hampi come il più bel posto dell’India del Sud.

 

08.01.2007 – Lunedì – 16° giorno

HAMPI – HOSPET – GADAG – BADAMI

Dopo una lauta colazione, andiamo in stazione e alle 8:00 sono già a fare la fila per il biglietto.

Volevamo prendere il treno delle 8:45, il 7227, ma visto che il 6592 ha ben 1h45 di ritardo, alle 8:30 decidiamo di prender questo…

Poco male, arriveremo prima a Gadag.

Il treno è pieno di ragazzi che vanno a finire la propria vacanza a Goa. Come sono puliti loro…

Arrivati a Gadag, lascio i ragazzi sulla banchina e vado in biglietteria a chiedere a che ora arriva il treno per Badami, per capire se mi conviene prendere il treno o il bus.

Dopo un’interminabile fila, decido di fare il biglietto e alle 10:30 ecco il nostro treno.

Poche carrozze per molta gente (tutta l’India forse?). Anche in questo casino, Aldo riesce a tirare fuori il suo pannello solare per caricarsi i cellulare. Ovviamente, da quel momento penso che tutto il treno si sia spostato vicino a noi; i ragazzi ci facevano le fotografie e ci facevano sentire le loro musiche melodiche, un poliziotto aiutava Aldo nella sua impresa, Nicoletta impressionava su pellicola i momenti; insomma, in un viaggio in India in treno, non vi sentirete mai soli e soprattutto non vi annoierete mai!

Arriviamo a Badami alle 12:30, prendiamo un tuk tuk solo per arrivare fino in centro città (ci saranno circa 5-6 km), andiamo subito in albergo, dove lasciamo i bagagli in albergo e subito decidiamo di andare a vedere le grotte.

Ci avventuriamo a piedi in questo strano paese, dove sembra che stiano allevando i maialini selvatici, visto che si trovano ovunque e tantissimi… Ovviamente, ce ne sono di più nelle fogne che si nutrono e sguazzano. Federico dopo questo finirà la vacanza da vegetariano!

Badami, famosa per i suoi templi costruiti all’interno delle grotte, da sola merita almeno mezza giornata di visita a piedi.

Iniziamo con le 4 splendide grotte costruite in Ranamandala Hill, dedicate a varie divinità (VI-VII°), la n° 1 è la più antica. Le grotte sono vicine e si raggiungono salendo per un sentiero con gradini che conducono in sequenza alle 4 grotte. L’area è abitata da diverse famiglie di scimmie.

Dall’alto delle grotte si gode un paesaggio a tutto tondo molto suggestivo su tutta Badami e sulla grande bacino artificiale.

Diverse scolaresche diventano i nostri migliori estimatori, facendosi immortalare più e più volte, quasi più attratti da noi che dalla meravigli che l’uomo ha saputo scavare in questo incredibile sito.

Tornando alla base, si passa per la Moschea, e quindi il tempio Yellama per raggiungere il bacino artificiale della cisterna di Agastyatirtha, in cui le donne lavano i panni.

Costeggiando la cisterna e raggiungiamo il Museo, che rigorosamente saltiamo, non sentendoci nemmeno in colpa, visto che Ida è partita.

Da qui i templi di Bhutanatha (1 e 2) il tempio che giace proprio sulle rive della cisterna ha un aspetto molto suggestivo. Proseguendo lungo il sentiero alle sue spalle si raggiunge la grotta naturale.

Ritornati verso il Museo si prende il sentiero che sale sulla falesia passando fra una stretta gola molto bella, passando per il tempio di Shivalaya inferiore e ancora più su fino al tempio di Shivalaya superiore, da qui il paesaggio circostante è davvero mozzafiato, soprattutto se ci andate al tramonto.

Scendendo si attraversa il villaggio di Badami, con le sue tipiche case bianche e belle decorazioni agresti, la gente è ospitale e vi invita nelle case, i bimbi che sono a scuola escono e ci circondano, facendosi fotografare per vedersi poi negli schermi delle nostre digitali.

Ed è proprio in questi momenti, quando vedo lo stupore e la felicità di questi bimbi di fronte alla fotografia digitale, che mi viene in mente che a soli 800 km, un solo giorno di viaggio in treno, c’è B’lore, con la sua tecnologia, con la sua frenetica vita, dove il digitale è di casa e questi bimbi non avrebbero di che stupirsi… Cosa ha in comune questa India con quella che oggi sto vivendo e che mi trasmette tutta questa positività? Quale di queste due realtà è quella vera, se mai una delle sue non lo sia? Quale è giusta?

Con mille pensieri che ospitano la mia mente, contrastanti come del resto lo è tutta l’India, ci avventuriamo nei colori del caratteristico mercato, davvero suggestivo, da non perdere.

Poi, per finire in bellezza, ci facciamo accompagnare alla festa del paese, dove continuo a stupirmi e a stupire, e dove vorrei davvero perdermi per sempre

Badami per me è il più bel villaggio dell’India del Sud, un paesino davvero sporco, ma dove mi sono davvero emozionata e dal quale mi è dispiaciuto davvero andarmene… Un giorno ci vorrei tornare, ma forse non lo farò, perché la paura che la distanza da B’lore non sia rimasta sempre la stessa, prenderà il sopravvento

 

09.01.2007 – Martedì – 17° giorno

BADAMI – PATTADAKAL – AIHOLE – MAHAKUTA – BADAMI – BAGALKOT – BIJAPUR

Alle 8:00 siamo già alla stazione degli autobus, con la pancia bella piena di una sana colazione in albergo. Sembra strano, ma nel meraviglioso triangolo d’oro, non troveremo nemmeno un turista e potremmo godere appieno nuovamente di quella pace che ci accompagna spesso facendoci godere appieno le meraviglie scultoree dell’India del Sud.

Partiamo alle 8:30 per Pattadakal (almeno un’ora di visita), e in poco più di 45 minuti arriviamo a destinazione. Il sito, dichiarato patrimonio dell’Unesco nel 1987 costituisce il nucleo più importante per l’evoluzione del tempio indiano nel Deccan. Divenuta capitale politica e religiosa dei Chalukya nel sec. VII, Pattadakal sviluppò nei suoi monumenti lo stile affermatosi e definitosi a Badami, precedente capitale Chalukya. Tuttavia, pur svolgendosi qui le incoronazioni e i riti religiosi ed ufficiali, non si ebbe mai un vero e proprio sviluppo cittadino, che rimase confinato a Badami. Pattadakal fu dunque esclusivamente un vero e proprio centro di culto dinastico.

Il sito è in manutenzione, gli operai stanno curando il giardino e la passerella di cemento fra un tempio e l’altro.

Uscendo, attendiamo il bus che ci porterà ad Aihole (almeno un’ora di visita). Spostatevi verso la strada principale ed aspettate, sennò sappiate che per lo stesso prezzo dell’autobus, cioè 105 Rs (15Rs x 7 pax), vi porterà fino a sotto il complesso di Aihole in poco meno di tre quarti d’ora.

Noi decidiamo di andare con il mega tuk tuk e decideremo anche di tenerlo per il ritorno.

Aihole e’ la prima delle capitali del regno Chalukya; qui l’architettura dei suoi templi indù e’ alle origini , evolvendosi dall’embrionale tempio di Lad Khan, al tempio di Durga (VII Secolo) ornato di splendide sculture specialmente quelle che adornano i pilastri con raffigurazioni di Shiva, Vishnu, Durga e Narasimha, per concludere fino al più recente tempio Jainista di Meguti.

In un’ora abbondante siamo a Mahakuta; a differenza dei precedenti templi che non sono più in uso, è invece ancora utilizzato per il culto nonostante la sua antichità (risale al VI° secolo).

Il tempio è molto suggestivo, all’interno c’è una cisterna dove alcuni fedeli si concedono un bagno rinfrescante, mentre intorno diversi guru e asceti sono intenti nelle loro preghiere. Merita davvero una visita.

Da Mahakuta si potrebbe rientrare a piedi a Badami seguendo un sentiero che scavalca una collina e arriva ai templi di Bhutanatha (sono 4-5 km); occorrono 1h30’/2h: non lo abbiamo fatto perché erano già le 13:00 e dovevamo prendere ancora il bus per Bijapur.

In 15 minuti siamo a Badami, al nostro albergo che sta proprio di fronte alla stazione degli autobus.

Subito una brutta sorpresa: quanto mi avevano detto ieri sera non era del tutto vero. Sappiate che l’unico bus diretto per Bijapur parte alle 16:00, tutti gli altri cambiano a Bagalkot; poco male, visto che non appena entrati al bus stand, nemmeno il tempo di scendere dal bus, siamo già su quello che va a Bijapur via Kolkar, il più veloce.

In totale quindi ci metteremo solo 3h15, 1h fino a Bagalkot e le rimanenti fino a destinazione.

Il bus stand di Bijapur è modernissimo e sembra più la stazione di Bangalore che una semplice stazione degli autobus che abbiamo imparato a conoscere fino ad oggi.

Chiedo gli orari degli autobus per Aurangabad e subito decidiamo di utilizzare un mezzo privato. Lo so, avremmo potuto anche prendere un bus fino a Sholapur, tanto un passaggio fino ad Aurangabad lo avremmo trovato sicuramente, ma sinceramente ho già chiesto tanto al mio gruppo e ieri sera li ho visti davvero stanchi e non convinti dell’ultima avventura che sfiorava le 12-13 ore, quindi ho preferito proporre il mezzo privato, per poter gustare meglio la meraviglia che ci siamo lasciati per la fine: le grotte di Ellora.

 

10.01.2007 – Mercoledì – 18° giorno

BIJAPUR – ELLORA

Bijapur è una cittadina moderna senza nessun interesse, se non fosse per il Golgumbaz, il Mausoleo e i resti della Cittadella.

Alle 8:00 stiamo già camminando per la strada e poiché il nostro albergo è a due passi dal mausoleo Golgumbaz, decidiamo che questa sarà la nostra prima meta.

Il Golgumbaz è stato costruito ne 1659, ed è famosa per la sua cupola enorme, la 3° al mondo; intorno alla base della cupola, sopra il salone corre una galleria conosciuta come la “galleria dei sussurri”, al cui interno l’acustica si ripete ben 10 volte; orde di pazzi continuano a gridare e fischiare facendo pensare più ad un manicomio che ad una tomba reale…

Il Mausoleo Ibrahim Roza è considerato uno dei più belli edifici musulmani dell’India; qui è tutto ricerca di eleganza e delicatezza e l’arte mussulmana di questa cittadina ha la sua massima espressione.

Proseguiamo a piedi per la Cittadella, con i suoi bei palazzi antichi anche se ormai in rovina fra cui spicca il Gagan Mahal che sembra un palcoscenico teatrale e poco distante il Sat Manzil, un edificio antico alto sette piani, al primo piano c’è la sede degli uffici governativi.

Finiamo con il vedere la Jumma Masjid, costruita nel 1580, armoniosa moschea.

La zona del centro con i mercati, è un tugurio di bancarelle, di verdure, spezie, vacche e maiali che razzolano fra la gente. E’ interessante farci un giro, ma non perdete molto tempo.

Prendiamo un dosa a testa e una bottiglia d’acqua e saliamo nella nostra Qualis, guidata da Mohamed, il nostro bravissimo autista, che ci condurrà brillantemente fino a Ellora, dopo ben 9h30 di viaggio ed un solo caffè come pausa.

La strada è abbastanza monotona, il paesaggio piatto, interrotto a tratti da centri industriali e villaggetti. Ai bordi della strada continui cartelli di avvisi di prestare attenzione vista l’elevata pericolosità della strada e l’elevato numero di incidenti.

Arriveremo stanchi, al bellissimo hotel Kailash, lasceremo 300 Rs si mancia al nostro bravissimo autista, che non si fermerà con noi a cena, visto che deve tornare indietro subito e poi, dopo una buonissima cena, ci ritireremo nei nostri cottage in mezzo al verde, per un meritato risposo.

Avremmo potuto anche prendere un bus fino a Sholapur, tanto un bus per Aurangabad lo avremmo trovato sicuramente, ma sinceramente ho già chiesto tanto al mio gruppo, ieri sera li ho visti davvero stanchi e non convinti dell’ultima avventura, quindi ho preferito proporre il mezzo privato, per poter gustare meglio la meraviglia che ci siamo lasciati per la fine: le grotte di Ellora.

 

11.01.2007 – Giovedì – 19° giorno

ELLORA – AURANGABAD – MUMBAI

Ad Ellora merita davvero la pena di visitare le grotte con una guida esperta, che vi racconterà molto dell’India, della sua storia e dell’architettura di questo meraviglioso posto.

Potete decidere di fare mezza o una giornata intera con la guida, ma per quest’ultima opzione vi conviene contattarli prima; io vi consiglio l’intera giornata.

La nostra guida (vedi paragrafo corrispondenti e guide) è stata la migliore che io abbia mai trovato in giro per il mondo, parla un inglese ottimo e comprensibile, è di una gentilezza e tranquillità disarmante, scherzando alle volte, ma sempre con molta discrezione.

Ellora dovrebbe essere sempre visitata assieme ad Ajanta, e questo è anche il mio consiglio.

Ellora ospita le cave buddiste più celebri dell’India, madri di tutte le cave buddiste dell’Asia.

In realtà soltanto dodici delle cave di Ellora sono buddiste: diciassette sono brahma e cinque sono jain. Quelle buddiste (le più meridionali del gruppo, quelle numerate da 1 a 12) datano dal 350 al 750 dopo Cristo. Quelle brahma dal 600 al 700 e quelle jain (le più settentrionali, ovvero la numero 31 e successive) dal 700 al 1200. Ellora é sempre stata un po’ la cugina povera di Ajanta. La fama di Ajanta é in realtà dovuta agli affreschi (per la verità molto sbiaditi) che abbelliscono le mura delle sue cave.

Architetturalmente, le cave di Ellora sono molto più graziose e ariose.

Normalmente la visita inizia dal Kailasa, la struttura imponente che si staglia dietro la biglietteria. Il colore scuro della roccia vulcanica conferisce al tempio un aspetto truce Risalente al 750, più che di una cava si tratta di una buca, di un colossale pozzo dentro la montagna, alto più di trenta metri, lungo più di novanta e largo più di cinquanta. Gli montano la guardia due giganteschi elefanti di pietra, dietro i quali si apre il santuario del bue (otto metri quadrati, due piani) che porta al tempio vero e proprio, un parallelepipedo di cinquanta metri per trentacinque che si eleva per 32 metri. La decorazione più interessante é rappresentata dai mostri e dagli elefanti scolpiti sulle pareti esterne del tempio. Il tempio é collocato nel mezzo del “pozzo”. Il “cortile” che lo circonda é a sua volta chiuso da una galleria, scavata nella roccia e sorretta da due file di colonne. Lungo l’intera galleria sono disposti bassirilievo di figure mitologiche indù. Il piano superiore ospita un altro corridoio con diverse sale, alcune delle quali contengono sculture rappresentanti altre leggende religiose. Le cave buddiste hanno un aspetto molto modesto, ma coprono l’intero spettro delle antiche cerimonie buddiste. La quinta, e più grande, é una sala comune, con lunghe panche di pietra. La decima (28m x 14m x 11m) é una cappella dal tetto a forma di costole al centro della quale siede un Buddha colossale . Tanto le colonne portanti quanto le cappelle laterali sono scolpite in maniera armoniosa. La dodicesima ha tre piani, collegati da scalinate e verande, e ospita diverse statue di Buddha e di divinità indù. Nell’oscurità le figure di pietra sembrano fantasmi rimasti a vagare nella polvere millenarie. L’armonia semplice e pura delle cave buddiste cede il posto alla complessa e intricata geometria induista nella cava 14, una delle più ricche di raffigurazioni mitologiche. Il piano della cava é completamente diverso da quello delle prime dodici. La numero 29 assomiglia alla celebre cava di Elephanta, nella Baia di Bombay. A chi ha davvero poco tempo, conviene concentrare la visita sulle cave numero 10, 12, 14, 15 e 32, oltre naturalmente al Kailasa.

La visita è stata interrotta solo da un buonissimo pranzo al Milan con tanto di gelato all’hotel.

Prima di prendere l’autobus per Aurangabad, ci distendiamo una mezz’oretta sul prato, io chiudo la cassa trasporti. Poi prendiamo l’ultimo bus di trasporto pubblico, che ci porterà all’ultimo treno notturno.

L’avventura sta per volgere al termine.

Il bus stand di Aurangabad dista circa 5 km dalla stazione, circa 25 Rs a tuk tuk; arriviamo di sera, forse la stanchezza, ma per la prima volta non mi sento sicura e a mio agio, con tutti questi strani occhi puntati. Lasciamo il bagaglio nella cloack room e andiamo a cena.

Prenderemo il bagaglio con la paura che il signore non torni e il treno arrivi, poi saliremo in uno dei peggiori treni della vacanza, patendo il freddo tutta la notte e svegliandoci a Mumbai.

 

12.01.2007 – Venerdì – 20° giorno

MUMBAI – ELEPHANTA – MUMBAI

Il treno arriva alla stazione di Victoria Terminus, oggi chiamata Chatrapati Shivaji Terminus, dategli almeno un’occhiata, è uno splendido edificio di fattura neogotica; all’esterno orde di taxi sono pronti a portarvi da qualunque parte della città. Richiedete con insistenza il tassametro e poi guardate la tabellina di conversione. I tassisti tendono a fare i furbi con i turisti ed è meglio lasciare qualcosa in beneficenza, piuttosto che farsi prendere per il naso da personaggi che già guadagnano molto on questi sotterfugi.

Oggi e domani lascerò giornata libera, affinché tutti possano riprendere i propri ritmi e si possano riposare.

Assieme a Nicoletta si decide di posare subito il bagaglio e di andare subito a visitare le grotte di Elephanta.

Ci dirigiamo quindi al molo sotto Gate of India e saliamo sulla barchetta che costa meno; arrivare sarà un’avventura, visto che per un ora, durante quindi tutto il tragitto, ci sarà un ragazzo che con una pompa manuale cercherà di portar fuori l’acqua che continua ad entrare in questo piccolo Titanic.

Nel 1987, le grotte di Elephanta sono state dichiarate patrimonio dell’Unesco; peso più o meno da quel tempo, orde di turisti hanno iniziato ad investire l’isola, che poco a poco si è trasformata in un centro commerciale a cielo aperto. Le gradinate che portano in cima alla montagna, dove si ha accesso al sito sono sotto le fresche fronde degli alberi, un toccasana per la vista e per il caldo assurdo, se non fosse per la continuità dei tendoni in plastica che salgono non lasciando un centimetro libero.

Peccato, davvero un grande peccato.

Dedicate almeno un’ora e mezza alla visita dell’isola, prendendovela con calma, gustando la bellezza di queste grotte e lo splendido paesaggio circostante.

L’attrazione principale di Elephanta è il tempio – caverna dedicato a Shiva, ricavato in un blocco di basalto sporgente da un alto promontorio (VII secolo). Si crede che a costruirlo siano stati i signori appartenenti alla dinastia Rashtrakuta, che dominava il Deccan, ma è probabile che si trattasse in origine di un sito buddista. Oltre l’entrata centrale a Nord vi troverete una semplice sala buia, ma imponente, con le colonne alte dai 5 ai 6 m, poi eccola, la meraviglia, un’enorme, 6 m, spettacolare figura di Shiva Mahesvara, Signore dell’universo, rappresentazione della trimurti scolpita nella pietra al centro della parete di fondo, domina sulle diverse opere, veri capolavori, che illustrano i vari aspetti del dio.

Torniamo verso Mumbai, e ci diamo allo shopping ed a un poco di riposo.

 

13.01.2007 – Sabato – 21° giorno

MUMBAI

Mumbai è una città completamente occidentale, dovrei dire britannica, forse, per descriverla a pieno. Ad un primo fugace sguardo sembra che dell’India sia rimasto ben poco, ma un poco come a B’lore, anche qui convivono quei contrasti di cui abbiamo fatto tesoro.

Questa città ha molte opere importanti, ma un poco deturpate da quell’atmosfera che qui non si riesce a respirare, o meglio è davvero difficile trovare.

Se volete, potete contrattare circa 400 – 500 Rs per un giro di 4-6 ore attorno alla città, con un autista privato, macchina con aria condizionata, che vi farà anche da guida, molto superficiale e che vi farà vedere le principali bellezze di Mumbai.

Sappiate comunque che ciò che merita almeno una fugace visita, a parte la casa di Gandhi, sono il Gateway of India, una specie di arco di trionfo costruito nel 1869, in onore di Sir Henry Bartle e Edward Frere. Si trova nel cuore di Mumbai, nella zona di Colaba, all’incrocio di cinque strade. In cima alla fontana viene raffigurata “Flora”, la dea romana dei fiori.

Ad uno sguardo da lì, il Taj Mahal Hotel, grandioso albergo da osservare sia da fuori che all’interno; sempre in zona, il Fishing Colony, quartiere dei pescatori nella penisola di Colaba)

Spostandosi nella zona di Fort, non potete dare almeno un’occhiata alla Flora fountain; poi spostatevi in Zona fra la Chowpatty Beach e la Beach Candy, dove troverete il Mani Bhavan: Casa – museo di Mahatma Ghandi. Nella zona di Beach Candy, merita sicuramente la Moschea di Haji Alì, moschea bianca costruita al termine di una passerella sul Mar Arabico, il tempio indu di Mahalaxmi.

Ed infine perdetevi nella zona dei mercati: Crawford Market (Mahatma Phule Market), mercato della frutta e verdura, molto bello l’edificio e i bassorilievi, Kalbadevi e Bhuleshwar Market (Jyotiba Phule Market) , interessante da non perdere Chor Bazaar, vicino a Bhendi Bazaar, antiquariato e poi il mercato delle spezie di Mirchi Galli, strette viuzze pullulanti di gente.

Fra i mercati anche una piccola Moschea Jama Masjid e il Tempio di Madhavbaug con vacche sacre.

E alla fine della giornata, godetevi il tramonto sulla baia, sul lungomare di Chowpatty Beach

Stanotte non dormiremo, ma aspetteremo le 2 per andare in aeroporto (circa 45 minuti in taxi).

 

14.01.2007 – Domenica – 22° giorno

MUMBAI – ITALIA

Arriviamo con ampio margine, ma lo consiglio a tutti, visto che questi voli sono sempre in overbooking e quasi sempre addirittura appena aperto il check in.

L’aeroporto non ha molto da offrire, oltre ad un punto internet e un bar. Chiudiamo la cassa, spendiamo le ultime rupie e dopo una partenza in ritardo di 2h30, un’altra ora di ritardo accumulata nello scalo ad Ahmedabad, alle 16:45 ora inglese, riusciamo a scendere dall’aereo: siamo a Londra.

Ovviamente i nostri voli per Roma e Milano sono già partiti, quindi non ci resta che andare all’help desk dell’Air India e farci spostare il volo.

CONSIGLIO: Non prendete i bagagli, passate i controlli e state sempre al terminal 3. Fatevi rilasciare il nuovo biglietto (applicano uno sticker adesivo sul vostro); nell’eventualità di altri voli di connessione, fatevi rilasciare una ricevuta come conferma della prenotazione e fatevi dare il nominativo della persona con cui avete trattato.

Alle 23:00 la nostra avventura finisce, ma i ricordi di questo magnifico viaggio rimarranno sempre con noi, trasformandoci di giorno in giorno, ed una parte di India vivrà sempre con noi.

 

 

 

Il viaggio non è la meta, ma il percorso.

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