India del nord in mezzi pubblici

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27.07.2005 – Mercoledì – 1° giorno

Italia – Frankfurt – Delhi

L’incontro è all’aeroporto di Frankfurt, dove apprendiamo la notizia che Mumbai è allagata causa piogge. Il volo prima del nostro, quello delle 14, è stato annullato ed una lunga fila di persone cerca un posto nel nostro aereo, per questo, a mala pena riesco ad imbarcare i quattro partecipanti arrivati da Roma con solo un’ora di anticipo (se vogliamo, meglio così, visto che due viaggeranno in business).

Ovviamente partiamo in ritardo, l’aereo è stipatissimo. C’è chi viene in India per cercare “l’illuminazione”, chi l’ha scelta perché ci voleva andare già da bambino, chi vorrebbe andare da Sai Baba e anche chi l’ha scelta perché costa poco… Del resto il mondo è bello perché è vario! Definiamo l’itinerario ipotetico, tutti (tranne una coppia in viaggio di nozze) orientati per i mezzi pubblici, poi ci godiamo l’aperitivo, la cena e la colazione, intrattenuti incuriositi dai film di Bollywood.

 

28.07.2005 – Giovedì – 2° giorno

Delhi

Atterriamo la mattina presto direttamente a Delhi, anziché fare scalo a Mumbai, in quanto il monsone ha devastato la città e l’aeroporto è stato chiuso.

Espletiamo le formalità del controllo passaporto e della compilazione della imbarcation card e ci mettiamo ad aspettare fiduciosi il nostro bagaglio scaricato “a mano” sui nastri trasportatori.

Ovviamente, con il casino dell’overbooking, dell’aereo dirottato e delle persone del volo precedente cancellato, tre dei nostri bagagli non arrivano.

Compilate la denuncia di smarrimento, fatevi aiutare dal corrispondente locale e non disperate, prima o poi arrivano e almeno avete una scusa per esservi rifatti un guardaroba molto freak!

Usciamo davvero tardi dall’aeroporto, il pulmino del corrispondente ci porta in albergo.

Quando siamo scesi dal pulmino, ho avuto seriamente paura che qualche partecipante si volesse far rispedire in Italia. Siamo arrivati nella via più trafficata di New Delhi all’ora di punta con un caldo infernale, in un tourbillon di odori e frastuono; il primo impatto con l’India non poteva che essere un’alterazione mentale.

Ci laviamo e subito io vengo accompagnata dal corrispondente, mentre il gruppo inizia il giro di Delhi. Io vedrò solo la stazione e Mr. Chandra con suo fratello, il gruppo vedrà il Qutb Minar, i Lodi Gardens, la tomba di Humayun, il Forte Rosso e un Connaugh Place, purtroppo chiuso.

Delhi è molto bella, incarna l’essenza dell’India, non si può vedere così di fretta e con pochissime ore di sonno. Forse conviene andare in albero, riposarsi un poco e poi uscire verso sera vedendo quel poco che si riesce… Almeno ve lo godete!

Cena in un ristorantino nei pressi dell’albergo

 

29.07.2005 – Venerdì – 3° giorno

Delhi – Amritsar – Wagah – Amritsar

La mattina presto entriamo in stazione. Anche qui l’impatto è forte, oserei dire devastante. Anche se non mi è stato detto, le loro facce si sono rilassate solo una volta arrivati in treno. Pranziamo in treno, gustando un’ignota polpettina e nel pomeriggio siamo ad Amritsar. Mi organizzo per raggiungere il confine in taxi (300 Rs) e verso il tramonto siamo a Wagah, ci immergiamo nella folla che si dirige verso la frontiera. Aspettiamo che aprano i cancelli per correre a prendere i posti migliori, e dopo pochi istanti diventiamo il più interessante intrattenimento. La maggior parte delle persone in India parla inglese e vi inonderà di domande!

Corriamo a prendere i posti migliori ed inizia lo spettacolo. Gente che canta, musica assordante che investe le nostre orecchie, persone che ballano, ragazzi di tutte le età che corrono con la bandiera dell’India sventolandola energicamente in faccia al cancello del confine pakistano, tutto questo condito da una voce al microfono che incita gli animi “Industan Indaman, Paras Pataki” e che viene chiassosamente coperta dal tifo urlante degli spettatori. Il numero totale degli spettatori è incredibile, si aggirerà attorno alle 3000 persone, tutte stipate in un palco di cemento appositamente costruito. La manifestazione del cambio della guardia, che consiste in parate da entrambi i confini di guardie in divisa è davvero divertente, ma ciò che condisce il tutto rendendolo uno spettacolo unico nel suo genere e davvero impedibile è l’entusiasmo e la partecipazione della gente.

Le emozioni in India non finiscono mai, e la sera ci rechiamo al tempio d’oro per assistere alla cerimonia che viene fatta ogni sera verso le 22:30 per portare su un baldacchino il Guru Granth Sahib, il libro sacro custodito in un panno rosa, dall’Hari Mandir, il tempio d’oro al centro della vasca del nettare dell’immortalità, all’Akal Takht, il parlamento dei sikh, dove vi riposerà tutta la notte. La cerimonia è accompagnata da canti e preghiere, da migliaia di sikh con molto trasporto, tutto davvero molto emozionante.

Accompagnati da un gentilissimo signore, dopo aver lasciato un’offerta, ceniamo alla mensa del tempio, chapati e dhal (ricordatevi di non toccare mai il cibo con la mano sinistra!). L’atmosfera è davvero unica e anche se il pasto è umile, i sewa, volontari del tempio, ve ne offriranno fino a volontà.

 

30.07.2005 – Sabato – 4° giorno

Amritsar – Delhi

Ci ritroviamo al tempio d’oro. Il fascino di questo edificio risiede nella pace che si avverte non appena varcata la soglia. Ci si dimentica dell’assordante traffico, quasi come se non fosse mai esistito e ci si immerge in un’atmosfera magica, dove molte persone saranno incuriosite dalla vostra presenza e, facendovi mille domande, sempre con la massima discrezione, per ultimo, vi chiederanno di potersi fare una fotografia ricordo di questa unico e straordinario incontro. L’Hari Mandir, che si raggiunge percorrendo un ponte chiamato Pakarma, è costituito da due piani e fu costruito alla fine del XVI secolo, distrutto nel 1761 e ricostruito nel 1764. La sua cupola fu rivestita di lamine d’oro a partire dal 1803. Il mandir presenta caratteristiche dell’arte indù e musulmana e la sua cupola rappresenta un fiore di loto rovesciato, simboleggiando il coinvolgimento dei Sikh nei problemi del mondo. Dopo aver percorso il ponte, prima di entrare nel tempio, i pellegrini offrono agli inservienti del soffice e dolce prasad, che poi essi ridistribuiscono a tutti i visitatori che escono.

Usciti dal tempio, entriamo in un negozio di abiti e ci facciamo fare un punjabi, con le perline, da usare nelle serate di “gala”!!!

Visitiamo il parco Jallianwala Bagh, pieno di fiori e alberi in commemorazione dei 2000 indiani uccisi e feriti indiscriminatamente dal fuoco inglese in uno degli avvenimenti principali per la lotta per l’indipendenza. Il 13 aprile del 1919 il generale Dyer si presentò in Jallianwala Bagh insieme a 150 soldati durante una manifestazione politica a cui partecipavano 25000 indiani; il generale ordinò alla folla di disperdersi, cosa impossibile visto che il luogo, circondato da mura, aveva come unica uscita il luogo dove si erano schierati i soldati. Senza altri preavvisi, venne aperto il fuoco; in pochi minuti ci furono 337 morti e 1500 feriti, alcuni dei quali vennero freddati mentre cercavano di scappare scavalcando il muro. Gli inglesi non solo non giudicarono colpevole il generale, ma lo acclamarono eroe. Sono tutt’oggi conservati un tratto di muro con i fori dei proiettili e il pozzo nel quale si gettarono alcune persone per sfuggire alla carneficina.

In questo parco abbiamo trovato un giovane “cantante” come amava definirsi lui e un gruppo di suoi amici. Abbiamo chiacchierato, scherzato e parlato allegramente, iniziando a mischiare un poco delle due nostre culture così incredibilmente diverse.

Verso sera abbiamo preso il treno notturno per Delhi.

 

31.07.2005 – Domenica – 5° giorno

Delhi – Jaipur

Arriviamo la mattina presto a Delhi. Accompagnata da due energici partecipanti, vado a portare i primi due “ingombranti” acquisti del viaggio, un sitar e un tabla, a Mr. Chandra. Dopodiché cerchiamo di perderci per gustare Delhi. Andiamo alla tomba di Ghandi, vedendo di sfuggita, per il tragitto, il Jantar Mantar di Delhi e Connaught Place. Qui troviamo le persone che pregano il Mahtma, con serio trasporto. Vederli mi ha emozionato davvero. Prendiamo il classico tuk tuk e ci facciamo portare alla Jama Masjid, la “moschea del Venerdì”. Questa moschea, costruita a partire dal 1645 da Shan Jahan, sorge al centro del vecchio quartiere musulmano di Chandni Chowk. La moschea si erge su una altura, a cui si accede tramite delle gradinate in arenaria rossa, ha tre grandi portali, tre cupole a cipolla, come del resto tutte le moschee consacrate al culto, quattro torri angolari e di minareti alti ben 40 metri. Degli 11 archi caratterizzanti la moschea, quello centrale occupa una grande volta a forma di mihrab in corrispondenza della direzione della Mecca. Dalla vetta del minareto sud si gode una magnifica vista di Old Delhi.

Purtroppo non c’è tempo per goderci una frenetica passeggiata per i vicoli del quartiere della Luna, Chandni Chowk e già con la voglia di ritornare in India per potersi godere un poco di più l’eterna capitale, saliamo sul treno, rivivendo tutte le nostre contrastanti emozioni nella breve mezz’ora passata alla stazione di Delhi.

Arriviamo a notte fonda alla stazione di Jaipur, il nostro treno ha fatto un’ora e mezza di ritardo; tre Ambassador ci accompagnano al nostro albergo, dove ci hanno preparato una calorosa accoglienza nel bellissimo giardino. Come sempre doccia, una gustosissima e luculliana cena e poi il meritato riposo.

 

01.08.2005 – Lunedì – 6° giorno

Jaipur – Fort Amber – Agra

Vista la crisi esistenziale avuta da un partecipante sul treno, mentre io mi stavo godendo indisturbata una sana partita a scala quaranta con i miei nuovi amici indiani, tutto il gruppo ha preferito appoggiarsi al turisticissimo trasporto delle tre auto private di Alì, che ci farà anche da guida, ma che vi sconsiglio vivamente. Abbiamo passato una giornata alla “Gita delle Padelle”, solo che invece del pentolame, abbiamo comprato tappeti…

La fondazione di Jaipur, detta città del Maharaja Jai, risale ai primi anni del secolo XVII, anno del crescente potere di Jai Singh II. Iniziamo con una visita della dimora del Maharaja, il City Palace, vasto complesso suddiviso in una serie di cortili, giardini ed edifici. Il palazzo è una fusione di stile moghul ed elementi tipici del Rajasthan, è costituito dal Mubarak Maha, il palazzo del benvenuto, il Maharaja Sawai Masingh, al cui interno è esposta una sfarzosissima collezione di costumi reali e splendidi scialli, il Diwam-i-Am, la sala delle udienze pubbliche, dove oggi sono esposti manoscritti in sanscrito e in persiano, il Diwam-i-Khas, sala delle udienze private ed infine la splendida porta del pavone, Peacock Gate, nel cortile del Chandra Mahal.

Da appassionato astronomo quale era, Jai Singh fece costruire ben cinque osservatori, di cui il più completo di tutti i più sofisticati strumenti astronomici è proprio il Jantar Mantar di Jaipur. Sempre ammesso che non abbiate nel vostro gruppo un appassionato di astronomia o che non prendiate una guida, questo splendido parco vi sembrerà solo un curioso museo di arte contemporanea meravigliosamente conservato.

Per evitare di farci sentire poco “turisti”, non appena terminata la visita, Alì regala a tutti i partecipanti una collana di fiori, dopodiché partiamo per Royal Gaitor, dove si trovano i cenotafi della famiglia reale. Una veloce visita e poi il “Gruppo Vacanze Piemonte” continua la sua “gita” verso Fort Amber, l’altra capitale dello stato di Jaipur. Ciò che vediamo oggi, costruito in una meravigliosa altura dominate la valle circostante, fu costruita a partire dal 1591 dal Man Singh I. Per raggiungere il forte, tutti i partecipanti utilizzano una schiera di coloratissimi elefanti, spinti dai loro guidatori mahaut. Il palazzo è splendido e vale davvero la pena di perdersi nella sua visita, in solitaria, per poter ammirare lo splendido palazzo del piacere, lo Shish Mahal, rivestito di specchi e pregevoli stucchi e il labirintico complesso di stanze, cortili e vicoli.

Dopo un risposante (pure troppo) pranzo, vediamo velocemente la facciata del palazzo dei venti, l’Hawa Mahal, perché Alì ci costringe ad andare al negozio di tappeti. Alcuni partecipanti compreranno, ma alla fine ci staccheremo stremati da questo incessante e pedante autista, per poter perderci, con tutta tranquillità nelle affollatissime vie del bazar.

Jaipur è una città davvero turistica, dove faranno di tutto per “impapocchiarvi”, tanto per usare il termine del compratore del gruppo. Vale davvero la pena di essere visitata, ma in libertà, con i mezzi pubblici, magari sacrificando qualcosa, tanto per cercare di gustare quell’India che tanto ci attira al nostro ritorno, ma che purtroppo viene sacrificata al turismo di massa.

Dopo aver cenato andiamo in stazione per il treno più notturno di tutto il viaggio: partenza alle 2:00!

 

02.08.2005 – Martedì – 7° giorno

Agra – Mathura – Vrindavan – Mathura – Agra

Arriviamo la mattina presto alla stazione di Agra Cantt. Per evitare di farmi affibbiare il nome di Fuhrer, abbandono l’idea , sostenuta fortissimamente prima che anche il più instancabile partecipante mi tradisse per il sacro cuscino, di ripartire subito alla volta di Mathura. Quindi ci facciamo portare all’albergo. Verso mezzogiorno visitiamo l’imponente Lal Qila, una delle meraviglie dell’arte Moghul. La cittadella fu edificata da Akbar a partire dal 1565 sulle fondamenta del vecchio forte della dinastia Lodi e fu ampliata e modificata dai suoi successori. La maggior parte degli edifici che vediamo oggi furono costruiti nel XVII secolo durante il regno di Shan Jahan. L’atmosfera è davvero magica, al suo interno ci sono meravigliosi giardini nei quali perdersi all’ombra delle piante o godersi la rinfrancante ombra dei freschi interni del palazzo. All’interno di questo maestoso e magico complesso si intravede la Moti Masjid, la moschea della perla, considerata la più bella moschea dell’India, ma purtroppo chiusa al pubblico.

Nel pomeriggio prendiamo un simpaticissimo treno senza classe dove incontriamo una singolare ragazza tedesca, che vive da 12 anni in India. I suoi occhi hanno una luce particolare, magica, si intravede una pace mistica, ma anche la tristezza dell’India, la tristezza di chi compartecipa alle difficoltà di questa meravigliosa terra, di chi continua ad incontrare i bambini paria sul treno, di chi ha avuto il coraggio di affrontare una scelta dura, e di cercare di comprendere davvero lo spirito e l’anima di questa terra. L’incontro con Dasi è una delle esperienze migliori che mi siano capitate in tutta la mia vita, mi ha regalato un poco del suo vissuto, cercando di spiegarmi questa poliedrica cultura, difficile da comprendere, perché si può capire solo vivendola, assaggiandola, soffrendo assieme a loro.

Arrivati a Mathura accompagniamo Dasi a Vrindavan. Non credete alla Lonely che vi dice che ci vogliono solo 25 minuti, noi ce ne abbiamo impiegati ben 60 in un tuk tuk sul quale eravamo ben in 18, ma che andava davvero spedito. Abbiamo avuto solo un assaggio di questa sacra città dove si ritiene che Krishna si sia abbandonato ai propri passatempi di adolescente. Qui tutto si basa sul culto di Krishna, si canta, si danza, ci sono puja ovunque, 24 ore su 24. In questo irreale viaggio che è Vrindavan, sembra che il tempo e lo spazio si siano mischiati, in un caotico ordine prestabilito, ma incomprensibile ed inarrivabile, dove il pacifico ed entropico brulicare di uomini, senza una meta, ma che sanno dove stanno andando, crea un vortice tale da farti fluttuare sopra i tuoi pensieri come uno spettatore assente, ma partecipe. Come è ben descritto nella guida Polaris “visitare Vrindavan significa buttarsi alle spalle il mondo razionale e immergersi in un’esperienza spirituale che cerca dentro e trova connessioni con la divinità”. Vrindavan è un trascendente terreno, un’immanente divinità ed un infinito presente privo di tempo. E’ per tutto questo che merita davvero una giornata intera, e non poche rapide ore.

 

03.08.2005 – Mercoledì – 8° giorno

Agra – Taj Mahal – Sikandra – Fatehpur Sikri – Agra

Seguita da tre energici partecipanti, sveglia alle cinque per vedere l’alba al Taj Mahal, momento in cui questa meravigliosa perla scaturita dall’immenso dolore dell’imperatore Shan Jahan per la perdita dell’amatissima seconda moglie Mumtaz Mahal, si colora di blu. Le intenzioni che l’imperatore volle esprimere nel costruire questa incredibile tomba sono sinteticamente racchiuse dalla sura del corano intarsiata nell’arco centrale della Dawaza, l’accesso principale: “Un palazzo di perle fra i giardini e i canali/ dove i pii e i beati possano vivere per sempre”. L’edificio è stato iniziato nel 1631, anno in cui Mumtaz Mahal morì di parto e fu ultimato solo nel 1653, alla sua realizzazione parteciparono ben 20000 persone e ad alcuni vennero amputate le mani affinché non potessero ricostruire cotanta bellezza. Isa Kahn, un architetto di Shiraz, è considerato il principale artefice dell’edificio.

Dopo esserci goduti una delle sette meraviglie del mondo, ci facciamo portare da un tuk tuk a Sikandra, al mausoleo di Akbar che avviò la sua costruzione, mescolandovi motivi ornamentali ed elementi architettonici islamici, hindu, buddisti, jainisti e cristiani, sulla falsariga del modernissimo pensiero filosofico che egli aveva sviluppato.

Nel pomeriggio ci dedichiamo alla città abbandonata di Fatehpur Sikri, la città ideale fatta costruire dall’imperatore Akbar, per goderci la spettacolare policromia dell’arenaria rossa investita dal sole al tramonto. La città è completamente intatta e l’atmosfera rarefatta, alle volte quasi surreale, crea la sensazione di sentire ancora il brusio e vedere ancora le ombre della mondanità che vi regnava oltre quattro secoli fa.

All’interno della splendida Jama Masjid, risalente al 1572, che si dice costruita su un modello della Mecca, gli opprimenti venditori di chincaglierie e “turisticherie” ci fanno purtroppo ricadere in quella bruttissima sensazione di Jaipur, rovinandoci la magica atmosfera vissuta durate tutta la giornata. La moschea è davvero bella, ma non si riesce ad apprezzare appieno.

 

04.08.2005 –Giovedì – 9° giorno

Agra – Gwalior – Jhansi – Orchha

Solo quattro partecipanti, per la precisione gli unici che non avevano problemi di salute, si sono potuti godere lo spettacolare forte di Gwalior con le sue meravigliose sculture jainiste. Assieme agli altri 8 partecipanti ho raggiunto Orchha, l’antica capitale dei Bendala, nel primo pomeriggio e ci siamo ritrovati tutti assieme per un giro “in centro” verso le 16:30.

Dovete sapere che durante la stagione umida la città di Orchha ospita, soprattutto in centro città attirati dalla luce delle lampade, dei simpaticissimi insettini volanti che emanano l’odore inconfondibile dei loro cugini più prossimi, le blatte! Verso le 19 hanno organizzato un rave in ognuna delle nostre caldissime camere, pasteggiando indisturbate sulle nostre lenzuola, sui nostri vestiti e all’interno dei nostri zaini; ovunque, per farla breve… Sebbene il proprietario ci abbia assicurato che la festa non si sarebbe prolungata oltre le 22, abbiamo deciso di cambiare albergo e, abbracciando la filosofia che il nome della città evoca ad un ascoltatore italiano, abbiamo dormito nell’appartamento del Maharaja in un’ala del Jehangir Mahal in 13!!!

 

05.08.2005 – Venerdì – 10° giorno

Orchha – Khajuraho

La città di Orchha si staglia lungo il fiume sacro Betwa ed ospita meravigliosi Palazzi del XVII su di un’isola fortificata e stupendi templi risalenti al XVI secolo. Sebbene lo scopo della tappa ad Orchha è la visita di queste grandiose opere, la mia curiosità è stata più attirata dall’atmosfera semplice e pacifica che si respira in questo piccolo villaggio. La gente ha una luce particolare, distensiva e anche quando cerca di vendere, mai opprimente. Durante la visita dei palazzi, nei quali ci si perde per le strette scalinate che portano fino alla cima, abbiamo incontrato dei curiosi e simpatici indigeni. Il loro interesse si è scatenato non appena hanno visto lo schermo di una macchina fotografica digitale. Subito un mare di persone ci hanno circondato, cercando di farsi fotografare, per poi rivedersi. Sono questi i momenti magici ed indescrivibili che si vivono in India, del tutto inaspettati, mentre si visitano luoghi minuziosamente descritti dalle migliori guide oggi in commercio. Sono questi i momenti in cui bisognerebbe essere armati della classica polaroid per regalare una piccola parte di felicità a chi, con il proprio sorriso ed ingenuo stupore. ci riempie il cuore di gioia.

Lasciamo la serena bellezza di Orchha e i suoi armoniosi abitanti per raggiungere in macchina Khajuraho.

E finalmente eccolo, il monsone! Il cielo si fa scuro scuro, degli enormi nuvoloni neri ci stringono, non lasciandoci via d’uscita e istantaneamente tutta l’acqua che cade in un fortissimo temporale occidentale, lì cade in un secondo, batte sui vetri della macchina, sembra quasi che spacchi il parabrezza; il tergicristallo non riesce a pulire, la macchina, senza aria condizionata, si fa subito caldissima, quasi insopportabile ed irrespirabile per l’elevato tasso di umidità e i nostri bagagli sul tetto… fortunatamente non si bagneranno! La strada si riempie d’acqua, c’è chi si ripara, chi continua come se niente fosse, chi mistifica la linfa vitale che cade dal cielo!

Arriviamo a Khajuraho, prendiamo possesso delle camere, doccia e cena. Poi un’intensa chiacchierata a bordo piscina.

 

06.08.2005 –Sabato – 11° giorno

Khajuraho

Ieri sera abbiamo conosciuto Pappu e suo cugino, che ci perseguiteranno per tutta la nostra permanenza a Khajuraho, li troveremo ovunque, per la strada, subito all’uscita dall’albergo, per la città, sempre fastidiosamente petulanti.

Khajuraho è un piccolo villaggio del nord del Madhya Pradesh è divenuto noto nel 1838, quando alcuni archeologi inglesi scoprirono uno dei più grandi capolavori dell’architettura induista medievale, nascosto da una fitta vegetazione impenetrabile

Il soggetto delle sculture dei templi fatti costruire dalla dinastia dei Candela nel X secolo, è per lo più erotico, ma riassume al suo interno le regole della società induista che era regolata da tre diversi aspetti tra loro strutturati in modo armonico, il dharma, ovvero le regole comportamentali della religione e della filosofia induista, l’artha, collegato ai doveri verso la società e il kama, comprendente i piaceri del sesso.

Ma Khajuraho non è solo una splendida rappresentazione del Kamasutra, è anche da vivere, nel suo piccolo villaggio dove coesistono le caste, perdendosi per le sue case al ritorno dalla lunga passeggiata che porta alla Jain Enclosure. La strada che porta dalla turistica città ricca di negozietti al villaggio è ricca di tempietti dove la gente del luogo si reca a pregare. Nel villaggio abbiamo visitato una scuola che insegna indistintamente a tutte le caste e anche ai paria, e che cerca di evitare la distinzione fra studenti e studenti, mettendo a tutti la divisa. Abbiamo lasciato un’offerta.

Vi prego, non comprate nulla da Pappu o dai suoi parenti, sono davvero cari e dopo avermi accompagnato con l’ombrello in pieno monsone per discutere di “affari” nel suo negozio, una volta capito che non eravamo da spennare, mi ha fatto andare via da sola, senza accompagnatore. E’ davvero un opportunista della peggior specie.

 

07.08.2005 – Domenica – 12° giorno

Khajuraho – Satna

Abbiamo fatto un giro per la città, alcuni in cerca di qualche vantaggioso acquisto e poi via, alla vota di una nuova avventura: il bus pubblico!

L’esperienza è davvero divertente, ma comoda sicuramente no. Il bus è puntualissimo, parte dalla stazione dei bus di Khajuraho e si fa tutti i paesini, caricando tutte le persone che vogliono salire. Ci sono uomini ovunque, nel passaggio, attaccati al bus, sull’uscita, che intanto è aperta per l’estremo caldo, dato che l’aria condizionata ovviamente non c’è. Arriviamo a Satna immersi in un bagno di sudore, ma carichi della nuova eccitante esperienza e a piedi, per quanto mi riguarda dopo essere stata investita da un risciò a pedali, raggiungiamo la stazione.

Il nostro treno è stato soppresso a causa degli allagamenti ancora presenti nella zona di Mumbai, stazione di origine del treno, ma al suo posto è stato creato un treno ad hoc, con ben 5 ore e mezzo di ritardo. La stazione diventerà il nostro bivacco. Penso che nei primi giorni di viaggio nessuno si sarebbe sognato di sdraiarsi a terra per riposarsi un poco nella noia dell’attesa. Mi avventuro nella bolgia cittadina per cercare un telefono e trovo uno dei migliori roti di tutta la vacanza, croccantissimo, cotto al momento. Per ammazzare il tempo creiamo una bisca clandestina di scala quaranta alla quale si uniscono anche Shivu, Singh e Prakash, tre nostri nuovi amici indiani.

Il treno prima del nostro è diretto a Delhi, per una manifestazione politica, la stazione brulica di gente eccitata, che suona, che canta, che urla, che balla, che guarda esterrefatta i propri compaesani. E quando arriva questo treno, i passeggeri sembrano le locuste in mezzo al campo, il treno viene letteralmente assaltato, c’è chi si appende, chi tenta di aprire porte che cercano inutilmente di rimanere chiuse. Dentro gli scompartimenti un carnaio irrazionale, gente ammassata ogni dove, che ancora oggi mi chiedo come facesse a respirare…

Ma la vera avventura inizia una volta saliti sul nostro treno; le prenotazioni che abbiamo non sono più valide, o meglio, sono ancora valide, ma le ferrovie indiane hanno pensato bene di vendere una seconda volta i biglietti e quindi io, come il resto del gruppo, mi troverò a dividere il mio cuscino con dei profumatissimi piedi indiani… Il bello di un viaggio con trasporti pubblici è anche questo, il contatto con la gente…

 

08.08.2005 – Lunedì – 13° giorno

Satna – Varanasi

E finalmente alle 10 di mattina arriviamo a Varanasi, dove ci sta aspettando il pazientissimo Prakash, figlio del bramino Pandit Gopal, mitico “corrispondente” di Avventure. Finalmente faccio il mio primo giro in sella ad una moto indiana, fino a 2 km dall’albergo, che essendo in centro ed essendo lunedì, alcune strade sono chiuse al pubblico per le feste poiché agosto è il mese di Shiva. Meglio, raggiungeremo l’Alka a piedi per le viuzze della città.

Sono nuovamente a Varanasi, ho la pelle d’oca, penso che se venissi mille volte in India, mille volte vorrei passare a Varanasi. Varanasi si sente, Varanasi si vive nei suoi vicoli stretti e popolati dalla sacralità delle mucche, dai loro preziosi escrementi, dai banchi che vendono qualunque cosa. Varanasi è la sintesi religiosa dell’India, di quell’India magica e sacra, ricca di intense emozioni, difficile da spiegare a chi non c’è stato, nemmeno con le sbiadite fotografie, comunque esse siano fatte. Varanasi è forte, è triste, infinitamente triste, infinitamente povera, ma estremamente carica della felicità degli induisti. Varanasi è il luogo sacro da cui tutto ha origine e a cui tutto torna; dove i fedeli indù si ricongiungono al divino, dove è possibile espiare i peccati del karma, dove si scioglie il nodo della vita e si aprono le porte del moksha, la liberazione dal ciclo infinito delle reincarnazioni, che condanna a rinascere nel mondo dell’illusione terrena, nel mondo di maya. Dopo Varanasi nulla resta uguale; la mucca che pascola indisturbata per la banchina del binario 5 della stazione di Varanasi diventa anche la nostra mondanità, qualcosa di quel mondo entra in ciascuno di noi, lasciandogli qualcosa di speciale, qualcosa di magicamente diverso. Si vaga per la città dapprima incuriositi, poi come se fosse la propria linfa vitale, la città a cui tutti torniamo, in un costante e palpabile dualismo tra la vita e la morte (o se vogliamo tra la morte e la rinascita), tra la distruzione e la creazione. Tutto a Varanasi è nudo, anche la morte è qualcosa che si può sentire con i comuni sensi, la si può vedere, toccare, odorare, gustare nel fumo del ghat, prima che tocchi le sacre acque della Ganga per vivere nel tutto, nel nulla assoluto. Nulla è come Varanasi e nulla può descriverla meglio che viverci.

Una partecipante si perde nelle parole di un santone intento nella lettura del mantra, viviamo il Durga temple, il tempio della musica, accompagnati dal bravissimo Prakash e poi ci godiamo un meraviglioso concerto di musica di tabla e sitar, di tabla e flauto al Sur Sarita The Music School.

Splendida Varanasi

 

09.08.2005 – Martedì – 14° giorno

Varanasi – Sarnath – Varanasi

Sveglia di buon ora con partenza alle 05:30 per la “crociera” sulla madre Ganga. La luce di Varanasi è indescrivibile, ed è illuminata dalla sacralità delle abluzioni mattutine.

Magica Varanasi.

Si potrebbero spendere mille parole per cercare di descrivere tutto quello che si vede in quelle due ore, ma anche in questo caso non si riuscirebbe, perché non si usano solo gli occhi per vedere, è un tumulto vorticoso di sensazioni e distaccamento mistico dagli altri per immergersi, per piccoli ma intensi istanti, nel tutto, avvolti dalla madre Ganga, in una continua rinascita, in una continua trasformazione. In questi pochi attimi si è tutt’uno con il mondo, ma si è anche in quella solitudine armoniosa del ricongiungimento con il tutto. Sono solo pochi attimi, incommensurabili, sempre vividi, indimenticabilmente trascendenti.

Varanasi, la città senza tempo.

Ci perdiamo per i ghat, per le viuzze, ci godiamo una distensiva e rinfrancante lezione di yoga, per poi raggiungere Sarnath, signore dei cervi.

La leggenda narra che in una vita precedente il Budda fosse un cervo e vivesse in questa foresta; a Sarnath pronunciò il suo primo sermone esponendo ai suoi cinque discepoli il dharma, la dottrina delle quattro nobili verità e dell’ottuplice sentiero che porta al dissolvimento della sofferenza e conduce al Nirvana, all’illuminazione.

Il posto evoca sacralità e misticismo, come se il vento, sfiorando gli alberi tutt’attorno, cantasse in un perpetuo e silenzioso soffio, la dottrina del dharma.

Verso le sette di sera ritorniamo a Varanasi per assistere alla Puja, la preghiera della sera, al Dasaswamedh Ghat, le cui scalinate brulicano di gente, che con pacifica sacralità prendono parte alla preghiera. Alla fine e durante tutto il corso della preghiera vengono accesi dei lumini di buon auspicio e posati nelle spesse acque della Madre. Il tutto è avvolto dal mistero del soprasensibile nulla assoluto, in sospeso fra la terrena fragilità dell’uomo, fatto di carne e la porta verso l’assoluto.

Dopo questa fortissima emozione, compriamo 2 kg di dolci, che non assaggeremo mai e che vorrei avere qui in questo momento, e, armati di una bottiglia di acqua ciascuno, andiamo a cena a casa di Pandit. Mi ha davvero riempito il cuore di emozione e felicità, la tenerezza con cui Niwas ha coccolato la sua mucca sacra Ganga.

 

10.08.2005 – Mercoledì – 15° giorno

Varanasi – Kolkata

Con il tempo che ci resta, visitiamo il Nepali temple e il tempio d’oro, perdendoci ancora nel dedalo di vicoli e stradine, cercando di godere la città fino all’ultimo, non ancora pronti per il distacco, ma è ora di andare, il nostro tempo, per il momento, è finito.

Vorrei rimanere ancora, ma so che se anche restassi per anni, non appena dovessi ripartire, Varanasi sarebbe lì, a chiamarmi, con la sua voce impercettibile, ma sempre presente, con il suo eterno fascino e con il brusio della Madre Ganga, la porta verso il paradiso.

Siamo alla stazione di Varanasi, inspiegabile nel suo genere, aspettiamo il treno che ci porterà a Kolkata, e la malinconia ci avvolge, come se lasciassimo una parte di noi nella città eterna.

Inspiegabile Varanasi.

 

11.08.2005 – Giovedì – 16° giorno

Kolkata – Bhubaneswar

Arriviamo a Kolkata al mattino verso le 9:00, lasciamo i bagagli al deposito della stazione, dove si possono lasciare solo con un biglietto di transito, e mi reco alla Swosti Travel per cercare di organizzare il pernottamento nelle famiglie ed un’escursione al Sunerbans Wildlife Sanctuary, ma inutilmente, purtroppo non mi rimane tanto tempo e corro velocemente alla stazione.

Nel primo pomeriggio prendiamo il treno che ci porterà in Orissa, dove arriveremo verso le 21, attesi da un interessante e fascinoso uomo di mezza età, l’antropologo Shrikant Mishra, che ci ha prenotato l’albergo e la cena.

 

12.08.2005 – Venerdì – 17° giorno

Bhubaneswar – Chilka Lake – Ragayada

Partiamo alle 6:30, dopo aver conosciuto Malaica, una coordinatrice di Avventure, in India per mettere a punto un nuovo itinerario etno – socio-culturale a stretto contatto con le tribù locali. Il suo viaggio propone la conoscenza di queste popolazioni e delle ONG che le aiutano, per poter dipingere un quadro completo della situazione socio-politica di questa realtà all’interno dello stato Indiano.

Sulla strada ci fermiamo ad apprezzare il Durga Temple, anche aiutati dalle esaustive spiegazioni di Mr. Shrikant. La vegetazione è rigogliosa e dopo qualche ora raggiungiamo la laguna, il Chilka Lake, dove faremo un’abbondante colazione, perdendo il nostro sguardo nel più grande lago salmastro dell’Asia.

La vegetazione si fa sempre più intricata, in una miscellanea incredibile di piante sconosciute, come le verdure che ci vengono servite per pranzo, di insetti nuovi, che si uniscono alle instancabili mosche e agli animali purtroppo solo percepibili.

Visitiamo il nostro primo villaggio della tribù dei Kondhs, di sfuggita, senza ancora comprendere davvero l’intensità del contatto, forse senza riuscire a viverlo. Le parole di Shrikant ci raccontano di un mondo fiabesco, immaginato solo nella nostra infanzia, dove ci sono popolazioni che praticano ancora sacrifici di sangue di bufalo, lontano ricordo di quelli umani. In lontananza scorgiamo una pala molto particolare, da cui si estrae l’alcool, è la pianta della tribù, nessuno deve toccarla.

Fra le tribù, l’etnia dei Kondhs è quella più numerosa; essi fanno parte del ceppo dei Proto Australoidi; la vicinanza con centri urbani sviluppati ha purtroppo già contaminato la cultura di queste etnie, che un tempo utilizzavano ancora il baratto. Per una descrizione più accurata delle tribù e delle loro particolarità inserisco al fondo l’articolo di Gian Carlo Banfi scritto in collaborazione con l’antropologo Shrikant Mishra.

Arriviamo a Ragayada solo in tarda serata, giusto il tempo per una doccia veloce ed una cena sempre troppo copiosa.

 

13.08.2005 – Sabato – 18° giorno

Ragayada – Tribù – Jeypore

Oggi e la giornata seguente sono quelle ricche di forti emozioni, di mille domande sulla correttezza della nostra visita, sulla paura della contaminazione, sulle riflessioni in riguardo alle scelte discutibili dello stato indiano nel confronto di queste popolazioni. Senza Srikant, questa visita sarebbe stata un inconcepibile “safari”, che non ci avrebbe lasciato così tante domande.

Sveglia alle 5:30 e partenza alle 6:00, per raggiungere i Dongria Kondhs, che vivono nei pressi di Bisamkatak sulla catena delle colline Niyamgiri. Scendendo dal pullman raggiungiamo subito il primo villaggio nel quale quest’anno si è tenuto il sacrificio principale di sangue alla madre terra rappresentata da un totem con due seni e poli decorati. Qui tutti i clan si sono riuniti, attorno al recinto di canne di bambù creato per l’evento, così come per l’evento è stata costruita la casa dove si è tenuto il sacrificio, quella tutta decorata con triangoli colorati. Esiste un concilio di clan che si riunisce ogni anno per decidere in quale villaggio si farà il sacrificio.

Proseguiamo a piedi in mezzo alla fitta vegetazione della campagna circostante per raggiungere il secondo grande villaggio. Prima di giungere al confine ideale, troviamo una lingua di cemento; Srikant ci spiega che in occasione del grande censimento che ha coinvolto tutta l’India, il governo, per far vedere che teneva alle etnie locali, ha cercato di portare alcuni aspetti della “civilizzazione” a queste popolazioni. Il governo però non vuole comprenderle fino in fondo, vuole solo scaricarsi la coscienza e ha fornito loro il telefono, quantomeno inutile, visto che non lo sanno nemmeno usare, i pannelli solari, sempre più inutili ed infine questa strada cementata, che oltre a non servire, in quanto queste popolazioni utilizzano strade secondarie in mezzo alla foresta per andare da un posto ad un altro, creano danni in quando non danno la possibilità al terreno di assorbire il monsone. Ciò che servirebbe a queste popolazioni sono delle cure mediche, aiutandoli con medicinali e non lasciandoli morire di malaria o di meningite o solo per una gamba spezzata. In questo villaggio non avrei mai voluto vedere gli occhi di una madre rassegnati, in attesa della morte di lei e del suo bambino, una morte evitabile, un decesso che sarebbe arrivato entro la settimana, per la malaria. Tutti i fiumi di parole che vengono sprecati dalle associazioni governative in libri sui diritti di queste etnie, non sono riusciti a raccogliere nemmeno un soldo per dar loro un poco di clorochina. Arriveremo a Jeypore e compreremo i farmaci per questa donna, ma ne abbiamo salvata solo una, gli altri?

Scendendo, grazie alla presenza di Malaica, ci fermiamo in visita ad una scuola, sovvenzionata dal governo, ma gestita da personale non governativo. I bambini sono di tutte le età e provengono delle tribù. Tutti indossano una divisa per evitare che ci siano distinzioni di casta. Torniamo piccoli, ci divertiamo a cercare di comunicare con loro, a rispecchiare i loro visini incuriositi, a giocare con loro.

Procediamo nella lunga strada verso Jeypore e ci fermiamo lungo la strada in un villaggio di Desia Kondhs. La denutrizione è visibile nella ventre gonfio dei bambini, certi impauriti, altri straniti, altri davvero incuriositi e felici; giochiamo con loro, in un sottile stato di felicità misto a sconforto.

 

14.08.2005 –Domenica – 19° giorno

Jeypore – Bondas’ Market – Jeypore – Ragayada

Oggi partiamo alle 6:30, per raggiungere il mercato. Qui troviamo le donne delle tribù Bondas, probabilmente le più primitive, che scendono dalle remote colline in cui vivono per vendere il frutto del loro sudore. Queste donne sono splendide, minute, hanno gambe sottili e ben tornite e il corpo è ben visibile dai loro abiti succinti costituiti da semplici collane di perline, da bracciali ed ornamenti vari e dai ringa, minuscoli gonnellini di stoffa tessuti da loro stesse al telaio; al collo portano larghi e grossi collari in bronzo e alluminio e per raggiungere il mercato indossano anche una corta mantellina. La testa rasata fa risaltare gli stupendi lineamenti del loro incisivo viso e viene anch’essa ornata di coloratissime perline.

I frutti che vendono sono solo un vivace sfondo a questo splendido mondo, dove si gusta la quotidianità; cerchiamo di dialogare, con semplici gesti, intensi sguardi ricchi di curiosità e stupore; è l’India tribale che si mischia con il grigio occidente, per lasciare ancora una volta il segno indelebile del suo passaggio.

Ed eccolo di nuovo, il monsone, ci sorprende, mentre estasiati guardiamo quel brulicare incessante di trattative; mi lascio inondare il corpo di quella rinfrescante parentesi, alzo la testa al cielo e copiosamente bevo, come se fossi tornata alle origini, sento il mio corpo inzupparsi farsi un tutt’uno con la Natura, la sensazione è quella di quando ero bambina.

Verso pomeriggio, sulla strada per tornare a Ragayada, visitiamo un villaggio pieno zeppo di bambini, ed ecco nuovamente la magia dell’India. Siamo di colpo assaliti da un’orda di meravigliosi bimbi curiosissimi e simpaticissimi che si continuano a far fare fotografie, ridendo, scherzando, incuriositi per lo strano marchingegno. Passiamo delle ore stupende, davvero magiche, respiriamo la loro ingenua curiosità, giocando e dialogando, con pochi gesti, con la rara magia de loro genitori.

 

15.08.2005 – Lunedì – 20° giorno

Ragayada – Konark

Ed ecco che dobbiamo ripartire, lasciando questo mondo magico, per tornare all’India “civile”, per ritornare al nostro amatissimo treno.

Le 12 ore di bus sono davvero tante, davvero pesanti, anche perché le strade sono incredibilmente dissestate, ma nel tragitto abbiamo modo di ripercorrere con la mente, perdendo il nostro sguardo nel verdeggiante orizzonte, quelle magiche emozioni che ci ha regalato quel fugace contatto con persone così differenti.

Arriviamo a Konark a notte fonda, accompagnati da Shivu, il gentilissimo aiutante di Srikant.

Una cena di compleanno ci ricorda che fra pochi giorni il viaggio sarà terminato.

 

16.08.2005 – Martedì – 21° giorno

Konark – Puri – Kolkata

Oggi ci svegliamo con più calma, per andare al mare.

Ed eccolo, l’oceano indiano del golfo del Bengala, con le sue enormi onde bianche e spumeggianti, con il suo intenso sapore, con una spiaggia che si perde fino a sbiadire nell’infinito e i cammelli, attorniati da gente che beve il rinfrescante nettare del cocco ancora verde.

Ci immergiamo e subito una folla prettamente maschile si avvicina; l’esperienza di tutte le ragazze del gruppo può riassumersi in “modella per un giorno”!!!

Dopo questa simpatica parentesi ed una doccia, visitiamo il tempio del sole di Konark… sotto un rinfrescante monsone!

Il magnifico tempio del sole, fatto costruire dal re Narasimhadeva nel tredicesimo secolo, è il culmine dell’architettura dei templi dell’Orissa ed uno dei più sbalorditivi monumenti religiosi al mondo. L’intero tempio è stato disegnato sotto la forma di un colossale carro, che porta il dio del sole, Surya, attraverso i cieli. Il poeta Rabindranath Tagore scrisse di Konark “qui il linguaggio della pietra supera il linguaggio umano”, ed è vero, come tutte le sensazioni in India, anche questo incredibile capolavoro non è descrivibile con le semplici parole umane.

Lasciamo Konark e raggiungiamo Puri, costeggiando l’oceano e le bianche spiagge.

Puri è uno dei quattro dham, i luoghi di pellegrinaggio hindu più sacri dell’India. Secondo i buddisti, Puti è il luogo in cui fu nascosto il dente di Budda trafugato a Kandy, Sri Lanka.

Il luogo principale è il grande Jagannath Mandir, al cui interno non si fa nessuna distinzione di casta, ma al quale si accede solo se si è hindu. All’interno, nel jagomohan, o sala riunione, centrale vi sono le statue di Jagannath, Signore dell’universo ed incarnazione di Vishnu di suo fratello Balbhandra e della sorella Subhadra, All’esterno del tempio vi sono numerosissime bancarelle che ne vendono le ricostruzioni. Più che dei sembrano una rivisitazione indiana dei personaggi di South Park, tutti e tre inghirlandati e con i grossi occhioni. Per poter ammirare almeno dall’alto il tempio siamo entrati in una splendida biblioteca e abbiamo lasciato una donazione obbligatoria.

Il buio della sera ci dice che è venuta l’ora di salire sul nostro ultimo treno…

 

17.08.2005 – Mercoledì – 22° giorno

Kolkata

Arriviamo alla stazione di mattina presto, scendiamo dal nostro ultimo treno, con tutti le sue “comodità”, indimenticabile compagno di viaggio. Proprio ora lo dobbiamo salutare, quando iniziavamo a goderne la vitalità.

All’esterno grandi file di taxi gialli e sullo sfondo, l’imponente modernità dell’Howra Bridge.

Entriamo in Kolkata ed una volta in albergo iniziamo a perderci in questa modernissima città indiana, che lega la sua storia all’arrivo degli inglesi.

Non una mucca, pochi tuk tuk, tanti taxi gialli; forse è l’anticamera dell’occidente…

Prendiamo la metropolitana per raggiungere Kalighat, da cui deriva il nome della città; la sua atmosfera è pesante, cupa, si respira ancora l’anima degli animali sacrificati la mattina alla dea Kali. E’ uno dei luoghi sacri più importanti dell’India per i seguaci della dea Kali, ma non evoca certamente sacralità.

Giriamo l’angolo per visitare l’Hospital for the Dying Destituite di Madre Teresa. L’ospedale non presenta delle porte di ingresso, si accede direttamente in un salone dove i malati vengono accuditi, coccolati, nutriti, e curati, per quello che ancora si riesce a fare, da ragazzi come noi, volontari, che dedicano la loro vita ad alleviare dalle sofferenze questa povera gente. Non sono riuscita a resistere, sono scappata subito a fare un’offerta alla Madre Superiora e poi sono uscita, annegata in un disarmante silenzio, il cuore spezzato per l’inutilità della mia condizione di fronte a tutto questo, singhiozzando in silenzio, non riuscendo a comprendere perché tutto questo debba esistere, perché devono ancora esserci persone che muoiono di fame, di stenti, di miseria, di povertà, nell’assurdo sconforto di non essere capace di regalare loro anche solo un semplice sorriso, di fronte alla contraddizione fra il consumismo più bieco e la povertà più assoluta. Negli occhi di questa gente, in fin di vita, tanta serenità e la contentezza di poter essere accompagnata al paradiso da persone davvero incredibili.

 

18.08.2005 – Giovedì – 23° giorno

Kolkata

Oggi visitiamo la casa madre di Madre Teresa, a cui lasciamo offerte e poi andiamo a lasciare i vestitini, i pastelli, i giocattoli e le medicine all’Orfanotrofio.

I bimbi sono bellissimi, giochiamo con loro, anche se è difficile, alcuni sono vittime di malformazioni, altri sono denutriti, altri, come Jaja, hanno la tristezza nel cuore, una tristezza che nasce dall’amara certezza di non poter avere l’amore di un genitore, perché sei davvero troppo grande, nella fredda certezza che quei signori che adesso ti coccolano, ti fanno giocare, ti parlano incuriositi, prima o poi se ne andranno e ti lasceranno con la tua solitudine, con quella scatola di amore, con cui ogni bambino dovrebbe crescere e convivere, terribilmente vuota, di un vuoto incolmabile e insopportabile.

Mille pensieri ci annebbiano la vista, in una Kolkata così moderna, ma così contrastante, dove la ricchezza e la povertà viaggiano davvero a stretto contatto, dove la sporcizia delimita il territorio della miseria, dei paria, delle persone davvero misere.

Camminiamo per la città, ripercorrendo l’Howra Bridge, per la zona del Bara Bazar, visitiamo la Nakhoda Masjid, vediamo il Marble Palace fino a perderci nella casa di Rabindranath Tagore, oggi dedicata allo studio delle arti, della musica, del teatro e della pittura, assistendo magicamente ad una lezione di danza.

Ma le emozioni non sono finite, la sera decidiamo di andare al cinema, di vedere uno di quei colossal di Bollywood, Mandal Pandey, di ambientazione storica.

 

19.08.2005 – Venerdì – 24° giorno

Kolkata – Delhi

Abbiamo una mattinata per gustare ancora un poco d’India, prima che gli aerei ci portino a destinazione.

Ci svegliamo di buon ora e ci facciamo accompagnare da un taxi all’Howrah Bridge, sulla destra notiamo la stazione… il ponte, eretto nel 1943 con un progetto avveniristico che consiste in una sola arcata ampia circa 650 metri, è il più affollato al mondo e lo si sente vibrare sotto i propri piedi. Poco più avanti al di sotto, si staglia il meraviglioso e coloratissimo mercato dei fiori, dove l’India conosciuta nel nostro viaggio, diventa ancora più incredibile, in una commistione di avveniristica modernità e di tradizioni religiose. Lo spettacolo è magnifico e non bastano le poche ore che gli dedichiamo. Saltiamo su di un taxi per correre a vedere il Great Banjan Tree, entrato nel guinness dei primati come pianta più grande al modo, nel rilassante ed estesissimo Botanic Garden. Questo albero ha più di 240 anni, il ramo più alto misura 24,5 m, con una circonferenza di 420 m!

Purtroppo dobbiamo salutare Kolkata, per arrivare all’aeroporto di Delhi, con la sua folle burocrazia e qui salutare l’India.

20.08.2005 – Sabato – 25° giorno

Delhi – Frankfurt – Italia

A Frankfurt Matteo vaga disperato, con la tristezza nel cuore, per aver terminato un così grande viaggio. Tutti noi sappiamo che non potremmo che raccontare una piccola parte di quell’incredibile esperienza che è l’India, purtroppo sempre banalizzandola.

Ciò che sicuramente non dimenticheremo mai è la gente, con i loro sorrisi, la loro invadenza, la curiosità, la tristezza, la povertà e la ricchezza, con i loro sputi catarrosi, con il loro cibo gustato e offertoci in treno, con lo sconforto, con la rassegnazione, con la felicità, con tutto ciò che è India.

Ciò che sappiamo anche è che questa esperienza ha legato indissolubilmente delle persone che prima non si conoscevano, con il legame dell’India, con la consapevolezza che comunque noi fossimo, una parte di noi è rimasta là, ed una parte di noi, è diventata India, quella parte che rivive quell’esperienza anche qui, a Torino, in Italia, quell’esperienza che ci ha donato la possibilità di vedere un poco oltre alle cose, di sentirle, di apprezzarle.

Una piccola parte di questo paese vivrà sempre con noi, in contrasto ed armonia con la nostra anima, lasciandoci di questo viaggio un ricordo davvero unico ed indelebile.

 

 

Ferdinand de Lanoye disse: “Vi sono mille porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne”

4 thoughts on “India del nord in mezzi pubblici

  1. Dodici anni dopo, quell’esperienza è ancora indelebile nella mia mente. Ricordo i sorrisi della gente, il treno che ha accompagnato il nostro viaggio, i colori e gli odori….impossibile spiegare l’India in tutte le sue sfaccettature, ma il tuo racconto le ha rese ancor più vivide nei miei occhi.

    Benedetta

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  2. Ci siamo dovuti tornare altre sette volte … le ultime due pure con figlio e amici ma niente … di ‘sta India proprio non se ne viene a capo

    Tommaso e Maria

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