Vietnam, Laos, Cambogia

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01.08.2006 – Martedì – 1° giorno

Italia – Cairo – Bangkok

Potrei non dire molto di questa giornata passata fra un aeroporto e l’altro, ma per me il viaggio inizia non appena arrivo all’aeroporto a fare il check in.

Eccomi, alle 6:00, in perfetto orario, incontrare Federica; ha sonno quanto me, è già stravolta, anche se dobbiamo affrontare tutte quelle ore di volo!

Iniziamo a raccontarci mille esperienze di viaggio e non solo, facciamo subito amicizia, ma ogni parola, ogni frase detta, alimenta sempre più la curiosità nella conoscenza degli altri ragazzi.

Incontriamo Riccardo, Tania e Emanuela a Fiumicino, prima degli altri e alle 14 siamo già quel bel gruppetto che appassionatamente girerà per l’Indocina per ben 27 giorni!

Poi arriviamo al Cairo… Ma che aeroporto! E’ incredibile, sempre di rimanere davvero prigionieri nella terra di nessuno; cogliamo l’occasione per eleggere Claudia come nostra cassiera, per aprire la cassa e per discutere un poco l’itinerario – o meglio, esporre l’itinerario!!!

 

02.08.2006 – Mercoledì – 2° giorno

Bangkok

Arriviamo nel primo pomeriggio a Bangkok, dopo una lunga e quanto meno interminabile nottata in aereo.

Passiamo il controllo passaporti per il visto, che non si paga e subito a prendere i bagagli.

Io cerco subito un cambio, tanto il tasso è quello interbancario.

Cerco di andare a confermare i biglietti della Bangkok Airways per la tratta Luang Prabang – Bangkok, prenotati su internet sabato pomeriggio, previa accettazione di tutti i personaggi, ma non vogliono accettare i miei soldi, preferiscono estendermi la preprenotazione fino al giorno prima… Meglio! Almeno abbiamo più tempo per pensare se vogliamo davvero prendere l’aereo!

Cerco gli uffici della Egypt Air, ma sono momentaneamente chiusi, quindi effettuo la riconferma dei voli direttamente in hotel.

Usciamo dall’aeroporto già stremati (stanchi, stanchi e non abbiamo ancora fatto niente!!!) e andiamo subito a prendere il primo mezzo pubblico che ci porta in centro città, un fantastico treno di terza categoria; all’interno troviamo di tutto, galline, buste della spesa e mille sorrisi della gente che ci guarda un poco stranita.

Il nostro albergo è vicino alla stazione, in posizione strategica per la levataccia dell’indomani.

La stazione di Hualamphong è uno dei primi e più rilevanti esempi di struttura art decò thailandese, costruita da architetti e ingegneri olandesi poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale.

Ci ritiriamo in albergo e ci diamo appuntamento alle 20:00 per la prima vera cena di gruppo.

Io esco con Laura per una prima visita della splendida Bangkok, per iniziare ad assaporare l’estremo oriente.

Ci perdiamo fra i vicoletti del mercato di China Town; c’è davvero di tutto, ma ciò che attira di più la nostra curiosità è la varietà e la stravaganza del cibo che si trova appeso ovunque, bollito, fritto, cotto in qualunque maniera in mezzo alle variopinte bancarelle che vendono, almeno così sembra, generi commestibili.

Bisognerebbe provare di tutto, avere davvero il coraggio (perchè è così che si chiama!!!), di rimpinguarsi sgranocchiando chissà cosa!

China Town è una meraviglia, merita davvero una visita, anche veloce, ma ci si deve andare!

Visitiamo anche il Wat Mangkon Kamalawat, uno dei più vasti templi di Chinatown; all’interno si respira un’atmosfera di quiete spirituale e i sorrisi dei monaci sono un invito davvero unico alla visita di questo tempio.

La sera ci ristoriamo in un grande e pulitissimo ristorante di China Town, non ancora pronti, o almeno non del tutto, a divorare cibarie varie attorno ai tavolacci di una bancarella di mercato.

C’è chi ha la forza di andare a Pat Pong, ad ammirare la vita notturna, chi, come me, si ritira, sprofondando nel tanto desiderato letto!

03.08.2006 – Giovedì – 3° giorno

Bangkok – Aranya Pratet – Poipet – Siem Reap

Oggi levataccia! Alle 05.55 parte il treno per Aranya Pratet, frontiera Thailandia – Cambogia.

L’appuntamento è alle 5:30 alla stazione; io infatti ci vado prima a far la fila per prendere i biglietti.

Il treno è simile a quello preso il pomeriggio precedente, di terza categoria, senza posti preassegnati.

Il viaggio lungo e il paesaggio circostante, sebbene bello ed interessante, dopo 2 ore inizia ad essere un poco ripetitivo…

Alle 11:40 siamo ad Aranya Pratet, una stazione davvero in mezzo al nulla, o meglio in mezzo ad orde di tuk tuk pronti per darti uno strappo fino a Poipet…

Prima contrattazione e via, carchi di bagagli raggiungiamo in meno di dieci minuti la vera frontiera.

Come ogni posto di frontiera che si rispetti, c’è un mercatino, dove si vendono le cose più assurde, una banca e l’ufficio, dove la burocrazia la fa da padrone.

Attendiamo il nostro turno, ci facciamo fare il timbro di uscita dalla Thailandia e poi di nuovo una passeggiata fino all’ufficio visti cambogiani, dove ci attendono delle comodissime sedie che proveremo per una mezz’oretta.

Preso il visto, utilizziamo un meraviglioso bus gratuito, che ci porta a timbrare il passaporto (almeno altri tre quarti d’ora) e con lo stesso bus gratuito, andiamo al terminal (se così vogliamo chiamarlo) dei minivan per Siem Reap.

Piccola scorta di provviste, visto che non abbiamo ancora pranzato e visto che non sappiamo assolutamente quanto ci metteremo!

Nuova contrattazione e alle 14:45 circa siamo sul minivan, stipatissimo di uomini e bagagli, pronti per affrontare quegli incredibili 155 km di strada in terra rossa fuoco tutta butterata.

Si salta, ci si arrabbia per le testate/culate che si continuano a prendere, soprattutto nelle file arretrate, ma il tragitto è di una bellezza mozzafiato, ricco di vegetazione, di un verde così acceso da fare male agli occhi, disseminato qua e là da baracche in legno, dove ci vivono famiglie intere.

Per nulla al mondo mi sarei persa questo tragitto e per nulla al mondo lo perderei se ci dovessi mai tornare.

Anche questa è Cambogia, anche la strada piena di buche, anche i 155 km percorsi in meno di sette ore, anche la povertà che queste terre trasudano, anche il pantano che si trova durante il tragitto, anche il minivan che arranca, perchè le sospensioni hanno visto questa strada un pò troppe volte, anche il traduttore, che si è fatto tutto il tragitto in piedi, perchè quello è il suo lavoro, perchè l’inglese gli ha dato questo incredibile lavoro!

Alle 21:30 siamo finalmente a Siem Reap: dobbiamo insistere davvero tanto per farci portare al nostro albergo, perchè. Come quasi sempre ci capiterà, ci vogliono far alloggiare in una altro posto.

La Sok San guest House ci pare davvero un poco troppo spartana, ma siamo stanchi per cambiare, ci dirigiamo all’Arun restaurant, dove proviamo le prelibatezze della cucina cambogiana, fra cui un buonissimo amok e poi subito a nanna, domani ci aspetta l’alba al Bayon!

04.08.2006 – Venerdì – 4° giorno

Siem Reap – Piccolo circuito Angkor – Siem Reap

Piccola parentesi: noi ci siamo affidati all’incompetenza del nostro albergatore, che ci ha fatto attendere fino alle 5:45 per partire, sebbene avessimo concordato le 5!!! Pertanto la sveglia alle 4:00 si è resa davvero vana.

Comunque sia, partiamo e dopo aver fatto il biglietto, procedura un poco lunga, visto che ci appiccicano la fotografia e poi ci fanno la plastificazione, entriamo nel sito di Angkor, con il nostro pulmino; intravediamo con lo sguardo la potenza e la maestosità dell’Angkor Wat, ma non ci fermiamo, continuando verso l’Angkor Thom, seguendo alla lettera il Piccolo circuito.

I templi di Angkor sono una delle grandi meraviglie del mondo e assumono dimensioni davvero monumentali; essi non sono altro che lo scheletro sacro del vasto centro politico, religioso e sociale dell’impero khmer che si estendeva dalla Birmania al Vietnam.

Ricordatevi che tali templi sono il cuore e l’anima del regno di Cambogia, sono fonte di orgoglio personale e fonte di ispirazione.

Il complesso dell’Angkor Thom, o città grande, occupa un’enorme area quadrangolare, tutto circondato di mura, di cui ogni lato è lungo 3 km; si stima che al culmine della sua ricchezza e del suo potere fosse in grado di ospitare addirittura 1 milione di abitanti! Il suo fondatore ed architetto fu il re buddista Jayavarman VII (1181 – 1220).

La struttura di maggior interesse e fascino del complesso è rappresentata dal Bayon, con i suoi 216 volti che ti guardano da ogni lato, infondendo un’idea di potere e controllo, il tutto accompagnato dall’umanità degli sguardi di questi giganti di pietra e dalla pace dell’incenso dei molti monaci buddisti che vivono al suo interno.

Sul complesso dell’Angkor Thom ci sarebbe da scrivere ancora, come si potrebbe dedicare ancora più tempo, ma come sempre, bisogna proseguire, sperando che il ricordo sia forte da poter lasciare negli occhi lo splendore appena osservato.

Nei siti minori che troviamo all’uscita della città fortificata dell’Angkor Thom prima di giungere al Ta Prohm, abbiamo avuto la fortuna di vedere i restauratori all’opera, con la loro bravura e la pazienza nella precisa ricostruzione delle strutture divorate dalla natura.

Il Ta Prohm, o “antenato di Brahma”, sempre fatto costruire da Jayavarman VII come consacrazione al buddismo, è forse la struttura più affascinante che nell’immaginario comune ci si ricorda quando si pensa alle rovine di Angkor.

Ciò che rende così speciale questa struttura, è l’insolita, ma apprezzabile decisione degli archeologi di non eliminare completamente gli enormi baniani e gli alberi di kapok, lasciando che le loro pittoresche radici si attorciglino agli architravi e si insinuino nelle crepe delle volte e dei corridoi, conferendo al complesso il fascino della continua riscoperta delle rovine; tutto il complesso di Angkor doveva presentarsi così agli occhi di Henri Mouhot nel 1858, di padre Bouillevaux nel 1846, del viaggiatore portoghese Diego do Couto nel 1550, del monaco portoghese Antonio da Magdalena che scrisse della sua visita ad Angkor Wat nel 1586, del pellegrino giapponese del XVII secolo che disegnò la pianta particolareggiata dell’Angkor Wat o di chiunque “riscoprì” davvero Angkor!

La nostra giornata continua nella visita delle rovine e, fortunatamente, il sole ci ha accompagnato fino al penultimo tempio, dove abbiamo preso un potente, ma rinfrescante temporale.

Alle 16:30 usciamo esausti dal complesso e, dopo aver cambiato un pò di euro ed aver mercanteggiato per strappare un buon presso per i biglietti dell’aliscafo per Phnum Penh, ci portiamo esausti verso la nostra Guest House.

Dopo una doccia e un mezzo riposino e solo dopo la sana contrattazione della sera con quattro tuk tuk, ci dirigiamo verso l’old market per cenare al Texas, uno dei ristoranti più turistici di Siem Reap, ma del resto, bisogna accontentare tutti!!!

 

05.08.2006 – Sabato – 5° giorno

Siem Reap – Grande Circuito Angkor – Siem Reap

Oggi ce la prendiamo un poco più con calma, partiamo alle 8:30.

La giornata inizia con l’Angkor Wat; le mie sensazioni di fronte a questo maestoso tempio, diventano sempre più forti mano a mano che mi avvicino al complesso; mi sento prendere dall’agitazione e dalla voglia sempre più frenetica di arrivare, la pelle d’oca in tutto il corpo, una sensazione inconsapevole, quasi di paura di non riuscire ad arrivare in tempo per “vedere con i miei occhi” e poi, eccolo lì, assieme alla mia indescrivibile gioia, con quasi le lacrime agli occhi…

E in quel momento è come se fossi da sola di fronte al divino, per un attimo si spengono tutte le sensazioni umane, collassano spazio e tempo, e si è come fluttuante in solitudine e in completo e pacifico silenzio di fronte all’indescrivibile sacralità dell’universo.

La costruzione dell’Angkor Wat è iniziata durante il regno di Surayavarman II (1112 – 1152) per terminare poco dopo la sua morte; si dice sia stato fondato come tempio indù dedicato al dio Shiva, ma si ritiene anche che dovesse fungere da mausoleo per Surayavarman II.

Il fossato che circonda l’Angkor Wat è largo 190 m e forma un gigantesco rettangolo di 1.3 km per 1.5 km; la parte esterna della struttura è completamente ricoperta da una straordinaria serie di bassorilievi che hanno un’estensione di 800m.

David Chandler sostiene che le dimensioni dell’Angkor Wat siano proporzionali alle quattro ere della filosofia classica induista; il visitatore che giunge a questo straordinario tempio percorrendo la strada rialzata che conduce all’ingresso principale, attraversando i cortili fino alla torre centrale, compie metaforicamente un viaggio a ritroso nel tempo fino alla creazione dell’universo.

Anche se dedicaste un’intera vita stando seduti in cima al Santuario centrale, immersi nelle vostre indescrivibili sensazioni, in completa unione con l’Angkor Wat, continuereste ad avere quella terribile sensazione di non avere visto tutto, di dover vedere ancora molto; forse il motivo risiede proprio nel simbolismo che si cela dietro a questa incredibile struttura, rappresentazione metaforica dell’universo e di ciò da cui si arriva e a cui si torna, ciò che l’umano non potrà mai comprendere fino in fondo.

Fuori dall’Angkor Wat, nel fossato, tre bimbi stanno giocando nell’acqua con un piccione; è tempo di andare è tempo di lasciare l’Angkor Wat, sforziamoci, continuiamo il grande circuito.

Continuiamo verso il Preah Khan, il tempio della “spada sacra”, costruito da Jayavarman VII nello stile del Bayon e nel quale regna un’atmosfera quasi magica di completa comunione con la natura.

Al termine della visita di tutti i templi del Grande circuito, costeggiamo ancora l’Angkor Wat per un ultimo saluto.

Sono le 18:30, ci facciamo lasciare nella zona dell’old Market per un “massaggio orientale” di gruppo!

Concluso il massaggio ci dirigiamo verso la nostra tanto odiata Guest house e ceniamo al Soup Dragon; provate assolutamente il Volcano!

Poi, con la gioia negli occhi e la pancia piena, sano ed agognato riposo.

 

06.08.2006 – Domenica – 6° giorno

Siem Reap – Phnum Penh

Partiamo alle 5:30 con il pulmino dell’agenzia direttamente dal nostro albergo, per arrivare a 5 km dall’imbarcadero, dove l’autista, non riuscendo più a sterzare, si ferma per chiedere aiuto.

Purtroppo il tempo è poco e l’aliscafo sta per partire… Che fare? Non possiamo mica permetterci il lusso di aspettare l’altro bus e perdere il passaggio!!!

In lontananza un camioncino scoperto, completamente vuoto nel posteriore, la nostra salvezza!!!

Lo fermiamo e gentilmente si offrono di darci un passaggio; salgo, e… cos’é questa strana e fortissima puzza e quel liquido di colore rosso cosparso in tutto il camion? I ragazzi si bloccano e mi dicono “Simo, ma c’è del sangue”… Io: “si, ma è solo di pesce, tranquilli…”

Saliamo, tenendoci uno all’altro, in piedi, con gli zaini… Che figata! Che grande trasporto pubblico!!!

Ringraziamo enormemente i due ragazzi lasciandogli 4000 riel e poi via di corsa all’aliscafo dove per poco non prendiamo quello per Batdambang!

Ci posizioniamo chi dentro, chi fuori sul posteriore e ci godiamo l’alba con la splendida vista del villaggio galleggiante di Chong Kneas, un gruppo di case di legno e paglia ancorate a 10 chilometri dalla costa, che secondo l’andamento della maree si sposta e cambia sede, come gli altri sessanta

Questo, come gli altri sessanta piccoli insediamenti disseminati lungo le coste del lago sono abitati da alcune famiglie d’origine Cham, molte delle quali di religione musulmana, originarie del Vietnam del Sud.

L’insediamento risale ormai a parecchi secoli fa ed è anch’esso stato teatro delle atrocità perpetrate dall’esercito dei Khmer Rossi tra il 1975 e il 1979, che ne hanno decimato i nuclei familiari.

Fra le case, in parte sostenute da palafitte e in parte galleggianti, la vita segue i ritmi di sempre: uomini e donne si lavano, le ragazze fanno asciugare i lunghi capelli neri sulla riva, le massaie cucinano, i gatti e i cani sonnecchiano al sole, un vecchio zappetta il suo orto galleggiante e poi moschee, templi buddisti, negozi, caffé, minuscoli ristoranti e dispensari.

Vi sono anche alcuni allevamenti di pesci collegati da passerelle al retro delle case; più oltre c’è il “Freshwater Fish Exibition”, un’ampia struttura con acquari e vasche fatte di reti dove guizza un numero incredibile di pesci.

E poi compare il Tonlè Sap nella sua immensa grandezza, il “polmone” idrico da cui dipende l’andamento dell’agricoltura e della pesca.

Ciò che ha di incredibile questo lago, oltre alle sue dimensioni che passano da 2500 kmq e a 2 m di profondità nella stagione a circa 8000 kmq e a ben 14 m nella stagione delle piogge, è che nel periodo del monsone sud-occidentale il volume del Mekong costringe il Tonlè Sap a retrocedere, finche non inverte il suo corso, dirigendosi a nord e riversando nel lago grandi quantità di acqua dolce e di ricchi sedimenti; quando il corso si rinverte, i cambogiani festeggiano il Bon Om Tuk.

Il tragitto è davvero lungo e il rumore del vecchio aliscafo davvero assordante, ma il paesaggio è di un rara e incredibile bellezza.

Si passa dagli insediamenti Cham, alla sensazione di essere in mare aperto, nulla all’orizzonte e grandi onde, poi le montagne ed una fitta e verdissima vegetazione, per poi entrare a Phnum Penh attraverso la sua baraccopoli galleggiante dopo ben 7 ore di traversata!

Sbarchiamo, i nostri bagagli vengono buttati incustoditi sul molo e purtroppo, c’è chi è più veloce di noi; lo zaino di Emanuela non si trova più!

Tre tuk tuk dell’albergo che avevo prenotato telefonicamente il giorno prima ci vengono a prendere e ci portano nella meravigliosa zona del Boeng Kak, il lungolago dove quasi tutte le pensioni sono costruite in legno sopra le acque dell’omonimo lago, davvero delizioso!

Usciamo subito, lasciamo un messaggio al gruppo dell’Indocina, sperando che abbia per sbaglio preso il nostro bagaglio (ma invano…) e ci dirigiamo allo Psar Tuol Tom Pong, il mercato russo, dove Emanuela si “rifà – forzatamente – il guardaroba”.

Al ritorno, Tania e Laura mi accompagnano al mio regolare appuntamento con la “sana contrattazione”, per definire il mezzo di trasporto che l’indomani ci accompagnerà nel giro della città.

E in aiuto ci viene un italiano, davvero un personaggione, in viaggio da solo, ma sempre contornato da ragazze, birra e fumo; ha le idee molto chiare e fra un baccagliamento e l’altro, con tutte e tre, qualche birra e qualche “sigaretta speciale”, ci presenta un suo amico cambogiano, che ci offre un prezzaccio per quattro tuk tuk a nostra disposizione per l’intera giornata! Grazie!

La ventata di allegria che ci ha dato il fattone (soprannominato da Tania “lo spaccafighe”), purtroppo viene subito spazzata via dalla notizia della morte della nonna di Claudia.

Cerchiamo di consolarla, poi assieme andiamo a cena sul lago, dove le luci della sera amplificano la bellezza del luogo e dopo una sana degustazione di squisitezze cambogiane, tutti a nanna, stremati.

 

07.08.2006 – Lunedì – 7° giorno

Phnum Penh

Sveglia ovviamente presto, da vero “Alba discovery” e alle 6:30, già colazionati, siamo pronti per gustarci Phnum Penh, assieme alla sua storia, architettura e vivacità dei mercati.

Dopo un poco più di un’ora di buche in una strada sterrata davvero bella con scorci sulla quotidianità del popolo cambogiano, arriviamo ai Killing Fields; abbiamo percorso la stessa strada che le vittime dei khmer rossi facevano bendati, nei camion guidati dai khmer rossi, prima di essere atrocemente giustiziati e sepolti nelle fosse comuni oggi ben visibili.

Il luogo è pieno di segni di ciò che è stato e all’ingresso è stato eretto un mausoleo a forma di stupa, dove sono state sepolte molte salme riesumate dalle numerosissime fosse, a perenne memoria delle vittime. In mezzo al mausoleo, in una teca di plexiglas, file e file di teschi martoriati, spezzati e bucati da qualunque strumento di tortura; nel terreno circostante ancora pezzi si ossa e di indumenti appartenenti ai resti di quelle 8995 persone, molte delle quali legate e bendate; in ogni fossa la nostra guida ci spiega le atrocità perpetrate dagli khmer rossi.

Sconvolti, alcuni con le lacrime agli occhi, ripercorriamo quella strada, la stessa che è stata a senso unico per quasi 9000 cambogiani.

Arriviamo al Palazzo reale, dove si deve essere coperti (gambe e braccia) e cerchiamo subito la Pagoda d’argento, chiamata così per il pavimento ricoperto da oltre 5000 piastrelle d’argento del peso di 1 kg l’una, nota anche come Wat Preah Keo, o Pagoda del Budda d’Argento; i khmer rossi la risparmiarono come dimostrazione al mondo del loro interessamento alle ricchezze culturali della Cambogia.

Usciamo e ci dirigiamo ad una veloce, ma d’uopo, visita al Museo Nazionale; non c’è traccia dei tanto citati pipistrelli della lonely planet (c’è chi è entrato solo per questo!!!); poi allo Psar Thmei, a pranzo e a perderci (conviene davvero non girare in gruppo) nei meandri delle stranezze dell’estremo oriente. Ragni, scarafaggi, cavallette ed ogni insetto che vi viene alla mente può essere comprato per poi essere cucinato con maestria; carne e qualunque tipo di frattaglie ed interiora colorano l’affollatissimo mercato alimentare, gelatine dolci, fatte con semi e delle forme e dei colori più strani. Mi sembra di essere tornata bambina, appena uscita dalla pancia della mamma, dove ogni cosa per me è nuova!

Incredibile la Cambogia; sono davvero contenta che il gruppo abbia deciso di dedicare un giorno a questa incredibile città, dove i segni del passato recente sono davvero forti, indelebili, ma dove è fortissima anche la voglia di ricominciare, di rimettersi in piedi, di continuare a vivere, sebbene la memoria di ciò che è stato sia stata completamente spazzata via; eh si, in Cambogia manca una generazione, l’età media, almeno da quanto ci è sembrato per quei pochi giorni che ci siamo stati è davvero bassa; sembra che ci sia un salto generazionale, la maggior parte della popolazione arriverà al massimo attorno alla 30, poi il salto e pochissimi con più di 50 anni, probabilmente chi le atrocità le ha vissute dalla parte del più forte e solo per quello si è riuscito a salvare.

Dopo un lauto piatto di noodle, ci dirigiamo al Museo dei crimini di guerra, il Tuol Sleng: qui, durante gli anni in cui fu al potere Pol Pot, furono interrogate sotto tortura e in seguito assassinate circa 20000 persone.

Alle pareti e sul pavimento ci sono ancora i segni delle atrocità; alcune stanze sono rimaste “arredate” come all’epoca delle torture e fotografie alle pareti ritraggono come l’esercito vietnamita che liberò Phnum Penh vennero trovò i corpi delle ultime persone torturate su questi giacigli metallici, morti, in decomposizione.

Nelle altre stanze, alle pareti, le fotografie in bianco e nero di molti degli uomini, donne e bambini trucidati ci fissano, quasi a chiedere aiuto, come se fossero intrappolate fra i vetri; e poi strumenti di tortura, ceppi di manette di rozza fattura, strumenti primitivi di tortura e di morte.

Tutto a ricordarci a quanto si può spingere il genere “umano”.

Sconvolti da questa visita, andiamo al Wat Phnom, a chiedere fortuna e successo… Forse il budda ha capito che non saremmo potuti tornare a ringraziare con una ghirlanda di gelsomino, quindi la fortuna è subito andata da un’altra parte… Federica, scendendo dalle gradinate viene morsicata da una scimmia; la ferita purtroppo è sanguinante!

Cerchiamo in qualunque maniera di farci fare il vaccino antirabbico all’ospedale Pasteur, che a quell’ora è già chiuso, parliamo anche con il direttore, ma niente da fare, dobbiamo tornare la mattina dopo.

Stremati ed esausti, torniamo in albergo, io mi trattengo per la “sana contrattazione” della sera e presi i biglietti per Chau Doc, dopo una cenetta alla guest house #10, bevendo un buon vino di palma, tutti a nanna, sperando di aver più fortuna domani!

 

08.08.2006 – Martedì – 8° giorno

Phnum Penh – Chau Doc – Can Tho

Io, Fede e Tania andiamo all’istituto Pasteur per il vaccino in moto, una sola, compreso l’autista!!!

Anche nella sfiga bisogna trovare divertimento!!!

Comunque sia poi andiamo al molo a prendere il battello delle 12, partendo dalla nostra guest house alle 11; pranziamo con chapati e uova!!!

Al molo dobbiamo compilare un modulo ed esibire il passaporto con il visto vietnamita, per velocizzare le pratiche in frontiera; sul battello solo noi e una coppia di inglesi.

A Phnum Penh il Mekong si divide in due grandi braccia, quello che arriva a Chau Doc è il braccio minore, quello su cui navigheremo per arrivare in Vietnam.

I luoghi di frontiera fra Vietnam e Cambogia sono quanto di più singolare si possa vedere; ci si arriva con la barca, si scende per espletare le burocrazie di uscita e poi, sempre in barca, si prosegue alla frontiera vietnamita, dove si attraversa la “terra di nessuno” a piedi.

Detta così potrebbe sembrare normale, con la sola particolarità del battello, ma vi assicuro che tutto l’insieme, i caseggiati, la poca gente, i ragazzini che vendono gomme da masticare, il fango e l’assenza di un vero e proprio villaggio, rende questo posto una sorta di limbo sospeso nel tempo!

Finalmente arriviamo a Chau Doc, alle 17:30 dopo ben 5 ore di battello in paesaggi verdeggianti e villaggi galleggianti.

Scendiamo presso un ristorante della zona e poiché stava scendendo l’imbrunire, pago subito l’obolo alla “sana contrattazione” serale, prendendo un minivan e un trasporto bagagli un poco troppo “aperto”, subito cambiato in un altro minivan, visti i trascorsi a Phnum Penh!!!

In tre ore siamo a Can Tho, peccato che la sera sia calata e che il paesaggio del tragitto sia stato rischiarato solo dalla luce della luna.

A Can Tho avevo prenotato telefonicamente la sera prima il 31 hotel, dove abbiamo anche cenato, assaggiando anche un gommosissimo serpente di fiume (che fosse di quelli finti di gomma per bambini????)

 

09.08.2006 – Mercoledì – 9° giorno

Can Tho – Ho Chi Minh City

Ieri sera ho contrattato l’escursione al delta del Mekong, è stata dura, ma ce l’ho fatta. Per l’escursione ci siamo divisi in due gruppi, chi ha preferito un giro completo di 8 ore, avventurandosi anche nei meandri dei canali, chi ha preferito avere solo 4 ore, per poi divertirsi un poco a Saigon!

Comunque sia, qualunque giro si sia scelto, la partenza è alle 5:30 con colazione in barca… Sia mai che si riesca a dormire un poco di più per due giorni di seguito!!!

La sera prima ho anche prenotato l’albergo di Saigon, trovando davvero difficile trovarne uno libero per tutti e 16; dopo una decina di alberghi, ho comunque trovato la consigliatissima Coco Loco Guest House.

I due gruppi si separano quasi subito, dopo la visita al primo mercato galleggiante di Cai Rang; la vita si staglia sul fiume Mekong, ci sono ragazze che si lavano i capelli, c’è chi vende frutta, chi verdura, chi ci offre un’allettante piatto di noodle (anche di mattina? No, grazie!!!), chi vende un buon caffé, d’uopo per svegliarsi un poco! e chi fugge velocissimo per andare a vender non si sa bene cosa.

Continuiamo a remi, negli incredibili meandri della fitta vegetazione del delta del Mekong, e subito la mente ci ritorna alle poche e rare immagini di repertorio che abbiamo visto in qualche documentario sulla guerra del Vietnam.

La pace ed il silenzio viene a volte interrotto dallo sciacquio dei panni lavati dalle donne sulla sponda del fiume, a volte dal motore di chi, indaffarato, si sta affrettando al mercato, per vendere le sue prelibatezze.

Quando giungiamo al mercato di Phong Dien, rinomato come il più bel mercato del delta del Mekong, veniamo subito attorniati da numerosissime barche, e lì inizia l’assaggio selvaggio di ogni tipo di frutto, dal megagrume (pompelmo, si dice…) al violaceo frutto stracciatella inside, (pithayas), ai pelosissimi lici e ai loro fratelli glabri (Long Nhãn) per finire con i cachi neri, con mille altri frutti all’interno.

Che delizia! Comunque, niente noodle, almeno, non per il momento!!!

Scendiamo per continuare a piedi il mercato che prende tutto il paese: gli scorci di vita che si possono apprezzare in questa parte dell’escursione sono davvero unici, non ci si sente estranei, o forse ci si sente troppo estranei, semplicemente si osserva, si annusa, si gusta nel completo silenzio della riflessione.

Donne che vendono pesce essiccato, ogni specie, dal calamaro, al gamberetto, passando per i pescioni del Mekong, c’è chi vende carne, frattaglie, intestini, chi vende il topo, già scuoiato, pronto per la brace (!!!), chi invece sta alzando un polverone incredibile, mentre sta tagliando la strada; e poi ancora frutta e verdura.

Ma come posso descrivere il colore e la vitalità dei mercati dell’estremo oriente? Come è possibile? Senza poter descrivere a pieno gli odori, a volte talmente forti da essere anche densi!

Come è possibile? Senza descrivere l’accecante luce che appiattisce tutti i colori, ma che evidenzia ancora di più quel verde delle mangrovie e dell’intensa vegetazione, così incredibilmente forte che sembra rinfrescare il palato più di qualunque altra bibita!

Come è possibile descrivervi i suoni, anche le urla strazianti dei maiali impacchettati nei sacchi di plastica e legati nelle fronde di bambù, con solo il naso rosa visibile all’esterno?

Come?

Proseguiamo lungo i canali fino a giungere ad una specie di zoo all’aperto (mal riuscita descrizione…), dove ci sono serpenti sotto spirito, pipistrelli, serpenti, qualunque tipo di animale chiuso in gabbia.

Il nostro viaggio termina esattamente dove era iniziato, dopo aver cercato una banca e aver pagato l’albergo, corriamo alla stazione degli autobus, dove uno stipatissimo minivan ci porterà fino a Saigon.

Organizzo l’escursione per l’indomani a Cu Chi e al tempio Cao Dai e poi cena al fast food di vietnamese pho, meglio nota come zuppa di noodle e… a scelta dalla vetrina! (sia mai che si vada a letto senza un buon piatto di parenti stretti degli spaghetti!!!)

Giretto per la città, in cerca di locali e poi nanna!

 

10.08.2006 – Giovedì – 10° giorno

Ho Chi Minh City – Cu Chi – Cao Dai – Saigon – Nha Trang (bus notturno)

Il gruppo parte alle 8:30 e sarà di ritorno solo nel tardo pomeriggio, verso le 18:30, stremato e incazzato per le troppe ore di bus che hanno dovuto subire per vedere due luoghi, a detta di molti, nemmeno così incredibili.

Io rimango a Saigon, devo riconfermare i biglietti della Vietnam air, prendere i biglietti del bus notturno, visto che sul treno non ci sono più posti disponibili e… rilassarmi un poco, date le incredibili peripezie accorse fino ad ora!

Accompagno il gruppo, Alessandro vuole rimanere con me; subito assieme, in moto, andiamo in banca, riconfermiamo il biglietti e, dopo aver saltato da un’agenzia all’altra, compriamo il biglietto dell’autobus. Siamo andati alla Saigon Railways Tourist Service (836 7970, 275C D Pham Ngu Lao; 7:30 – 11:30 e 13 – 16:30), ma i biglietti erano esauriti; ci verrà spiegato in un secondo momento che solo tramite agenzie turistiche che si prendono una commissione del 15% su ogni biglietto, potremmo avere un posto in treno. Poiché un mezzo vale l’altro, optiamo per non prenderci la classica inculata del turista, visto che sarebbe anche in via consapevole e prendiamo i biglietti dell’autobus.

Verso le 11:30 abbiamo finito tutte le commissioni e iniziamo la vera giornata con un rilassante massaggio.

Mentre Alessandro si fa coccolare ancora un poco, io scendo a “cercare” il nostro mezzo di trasporto per la giornata e, fortuna delle fortune, un cartello reca la scritta “Motor for rent”; un solo pensiero: “quella moto sarà mia per oggi!”. La signora vorrebbe il passaporto, ma dopo varie contrattazioni riesco a lasciarle solo la patente e via con la nostra moto, Alessandro alla guida e io dietro con la Lonely Planet alla mano, che lo dirigo verso il nostro giro di ho Chi Minh City!

La moto è una grande cosa, da provare assolutamente, soprattutto nel traffico delle ore di punta! Inoltre abbiamo trovato delle persone deliziose che, poiché ogni tanto ci perdevamo le vie, ci aiutavano a ritrovare la via!

Saigon è forse la città con i segni più salienti lasciati dalla guerra del Vietnam, non ha una sua identità ed è semplicemente un blocco di cemento dove la gente vive e cerca di ricostruire ciò che è stato distrutto dall’assurdità dell’uomo.

Quando si sente Saigon, infatti, vengono alla mente tutte le immagini più brutte della guerra del Vietnam, prima fra tutte l’immagine di un monaco buddista avvolto dalle fiamme, Thich Quanq Duc, di 66 anni, che il 11.06.1963 partì dalla pagoda di linh Mu, sul fiume dei Profumi a Huè, con la sua Austin bianca, per immolarsi dandosi fuoco in segno di protesta contro la politica del presidente Diem, spalleggiato dagli americani.

Proprio per questo, per non dimenticare e per vedere anche sotto un’altra ottica (quella vietnamita) quella guerra così tristemente famosa, si deve visitare il museo della guerra sul Vietnam.

A parte tutti i residuati bellici e un busto in onore dello zio Ho, ci sono ricostruzioni delle celle di prigionia, delle ghigliottine, rispolverate per l’evento e alle pareti della stanza principale del museo, le fotografie più famose della guerra, come ad esempio la fotografia simbolo delle atrocità della guerra del Vietnam, che ritrae il massacro di Song My, nel paesino di My Lai dove il 16.03.1968 vennero uccisi 347 civili fra vecchi, donne, bambini ed infanti.

Verso l’uscita, fotografie dell’eredità lasciata dalla guerra e dall’orange agent, bambini con malformazioni in ogni parte del corpo, ustioni, tumori e tutto ciò per cui invece di combattere si dovrebbe cercare il dialogo.

Alle 20:30 dopo una velocissima cena, in autobus per una rilassantissima notte!

 

11.08.2006 – Venerdì – 11° giorno

Nha Trang

Arriviamo a Nha Trang alle 7:30 di mattina. Ci docciamo velocemente e poi subito visitiamo la pagoda di Lon Son, costruita nel 1886 e più volte rimaneggiata; l’ingresso principale e i tetti sono ornati da mosaici in vetro e ceramica raffiguranti draghi.

La statua del Budda fu eretta nel 1963 per commemorare la lotta della comunità buddista del Vietnam del Sud contro il regime oppressivo di Ngo Dinh Diem; sul basamento compaiono le immagini di monaci e monache buddiste che si tolsero la vita come forma di estrema protesta, seguendo le gesta di Thic Quang Dic.

Prima di buttarci ad oziare al mare, ci dedichiamo alla visita delle torri Cham di Po Nagar, all’interno della cui torre principale c’è la statua di Po Ino Nagar, la Madre del Regno, veneratissimo dai buddisti della zona. Ai suoi piedi un maialino donato da un devoto e tutt’attorno l’incenso dona all’ambiente un’incredibile sacralità.

Dopo aver prenotato la crociera per il giorno seguente presso Mama Linh’s Boat e prenotato alla stessa agenzia il bus notturno per hoi An, visto che alla stazione non c’erano, ovviamente, più posti disponibili, andiamo al mare.

Ed eccolo! Un altro mitico e folcloristico personaggio che solo in viaggio si può incontrare! E’ un ragazzo israeliano di 22 anni (32 dimostrati), con una voce rochissima, l’occhio iniettato di sangue e la fiatella talmente alcolica da ubriacare tutto il gruppo, che ci racconta di essere “scappato” in Vietnam dopo la chiamata alle armi contro il Libano; lui è una persona pacifica, ci racconta e il Libano è un poso sicuro, ci puoi anche nuotare!!! Alla domanda, “ma quanto ti fermi qui?”, risposta: “aspetto che si calmino le acque nel mio paese e poi torno”…

 

12.08.2006 – Sabato – 12° giorno

Nha Trang – Giro Isole – Nha Trang – Hoi An (bus notturno)

Oggi ce la prendiamo con calma, del resto questo è il nostro giorno di relax, prima della notte in bus!

Partiamo in bus alle 8:45, con altri sfaccendati come noi, e poi in barca; vengono caricate le provviste e subito si parte!

Arriviamo a Mun Island detta anche Salangane e primo tuffo; si dovrebbe fare snorkelling per ammirare la barriera corallina, ma la guerra si è portata via anche quella, probabilmente l’impatto e il calore delle bombe gettate nell’acqua ha distrutto quella che una volta doveva essere un fondale davvero bello…

Poi si mangia, vicino a Mot Island, un menù davvero ricco, e frutta a volontà; e poi il bar in acqua con la degustazione del vino di frutta, per cui Nha Trang e dintorni sono noti.

Proseguiamo a Tam Island e ancora frutta per finire la visita con l’acquario.

Bello, da fare, da ripetere, anche per la simpatia degli animatori! Non nascondo che la cosa sia molto turistica, ma ogni tanto si può anche fare uno strappo alla regola, soprattutto se la stanchezza si fa sentire; poi è piaciuto a tutti, nessuno escluso!

Doccia in una camera affittata per l’evenienza, panino ripieno di qualunque cosa trovabile in Vietnam presso le bancarelle e poi via, alle 19:00 con il nostro bus dell’Open Tour che ci viene a prendere direttamente davanti all’hotel.

 

13.08.2006 – Domenica – 13° giorno

Hoi An

Arriviamo ad Hoi An alle 6:00 e ovviamente, come è classico, cercano di portarci nell’albergo dell’amico; dopo un poco di parole, riusciamo a farci portare all’Huy Hoang II Hotel, prenotato telefonicamente il giorno prima.

Facciamo subito colazione, una veloce lavata e poi, con la sacra lonely, ci immergiamo nella visita della città di Hoi An, seguendo il bellissimo percorso a piedi.

La pioggia conferisce un fascino d’altri tempi alla stupenda città vecchia dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Ciò che mi stupisce di questa città, è l’armonia dell’architettura e la conservazione davvero unica dei suoi palazzi; la storia si conserva splendidamente nei templi della città e il quartiere vecchio è un incantevole insieme di templi, pagode, dinh, santuari, dimore di clan, negozi ed abitazioni private.

Tuttavia, in totale sincerità, ho come la sensazione di essere riuscita ad apprezzare a pieno la bellezza di questo patrimonio, se non all’interno dei templi, in quanto ogni casetta è adibita a grande negozio e mi è sembrato più di fare un giro per un grande centro commerciale più che per una città Patrimonio dell’Unesco.

Perpendicolarmente al fiume corre la via più antica, Le Loi, risalente a quattro secoli fa, mezzo secolo più tardi venne edificato il quartiere giapponese con il suo ponte coperto; 50 anni dopo sorse, nella parte occidentale, il quartiere cantonese.

Il mercato centrale di Cho Hoi An è davvero caratteristico e suggestivo e conferisce ancora più fascino al luogo.

Uno dei tratti più interessanti di queste abitazioni è la varietà della loro struttura architettonica che si presenta assai diversa soprattutto nella distribuzione dello spazio, ma anche nella decorazione, nelle sculture e nella disposizione del cortile interno; lo spazio è utilizzato in modo creativo.

Passeggiando per le vie di questa incantevole città si possono osservare gli influssi cinesi e giapponesi evidenti nell’architettura, nella scultura e nelle decorazioni, ma soprattutto la maestria degli architetti vietnamiti che hanno saputo assimilare queste suggestioni in modo creativo e senza mai ripetersi. Uno dei migliori saggi architettonici è il Cau Nat Ban, costruito nel XVII secolo dalla comunità giapponese.

Non perdetevi la Sala riunioni della congregazione cinese del Fujian, in seguito trasformata in un tempio dedicato al culto di thien Hau, il tempio di Quan Cong, cinese, dedicato a Quang Cong, il ponte coperto giapponese, costruito verso la fine del XVI secolo ed infine la Casa di Tan Ky, residenza di un ricco mercante vietnamita e costruita due secoli fa.

In generale perdetevi e lasciate che il vostro sesto senso vi porti alla scoperta di queste meraviglie!

Appena fuori dal mercato prendo la mia sana dose di “sana contrattazione” per il pulmino privato che domani ci scarrozzerà per mezza giornata fino a Huè; nella stessa agenzia Federica compra il biglietto aereo per Hanoi.

Cena nel turisticissimo ristorante del centro storico e poi nanna, domani ulteriore levataccia!

 

14.08.2006 – Lunedì – 14° giorno

Hoi An – My Son – Marble Mountain – Danang – Huè

Partiamo davvero presto, alle 5:45, compriamo 16 baguette e 16 formaggini per la strada e siamo a My Son alle 6:20, giusto in tempo per fare i biglietti ed entrare con la luce dell’alba in completa solitudine.

My Son è il principale sito cham ed è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco; esso rappresenta per il regno Champa ciò che grandi città come Angkor, Ayu-thaya, Bagan e Borobodur hanno rappresentato per le rispettive civiltà.

Tuttavia, non aspettatevi di trovare la magnificenza e l’incredibile stato di conservazione dell’Angkor Wat; purtroppo, infatti, durante la guerra con gli Stati Uniti la regione di My Son fu completamente devastata dai combattimenti e gli americani, per colpire i vietcong, che usavano My Son come base, bombardarono anche i monumenti. I segni sono tutt’oggi visibili, nelle enormi ed immense buche lasciate sul terreno e dalle crepe presenti in tutti i decadenti monumenti.

Il governo vietnamita ha avviato un programma di restauro, ma a parte una raccolta di opere in un tempio adibito a museo, non sembra sia stato fatto altro.

Con la morte nel cuore e con la consapevolezza ancora più consolidata che “la guerra non è la risposta”, saliamo nel nostro pulmino e ci dirigiamo verso le Marble Mountain, cinque alture rocciose ognuna delle quali rappresenta un elemento naturale di cui porta il nome.

Noi saliamo a Thuy Son, simboleggiante l’elemento acqua (infatti piove a dirotto!!!), e subito, in cima alla scalinata, vediamo Ong Chon, la porta completamente crivellata di proiettili.

Ma il fascino delle Montagne di Marmo, per cui vale davvero la pena di non perdersele, è la Grotta di Huyen Khong, che si raggiunge dopo aver percorso 105 scalini (mamma che caldo a risalire!!!), illuminata dalla luce naturale e celata sotto la magia del fumo degli incensi, che ricorda una cattedrale; questa grotta fu anche adibita come ospedale da campo dai vietcong durante la guerra contro gli Stati Uniti.

Tutta la zona è disseminata da grotte e grotticine tutte da scoprire, con l’aiuto delle torce elettriche e dall’astuzia dei bimbi! Ma come sempre il nostro tempo è contato e dopo aver dato uno sguardo a China Beach lambita dal Mar Cinese Meridionale dal belvedere di Vong Hai Da, proseguiamo fino a Danang (solo 10 minuti di bus!)

Il museo di arte cham è forse l’attrattiva principale della regione, ma come sempre, in mezz’ora noi abbiamo visto tutto!!!

Quindi, dopo un lautissimo pranzo a base di pho, ovviamente, proseguiamo fino a Huè, dove sotto un diluvio da arca di Noè cerchiamo di vedere la cittadella, ovviamente dopo aver avuto il mio momento di gloriosa e sana contrattazione per l’escursione sul fiume dei profumi e il bus del giorno seguente!

Direi che la cittadella l’ho solo scorta, ma mi sono divertita davvero tanto a sguazzare con i sandali immersa nelle pozzanghere fino a mezzo polpaccio! Che incredibile senso di libertà! E’ un poco come essere tornati piccini!

 

15.08.2006 – Martedì – 15° giorno

Huè – Fiume dei Profumi – Hanoi (bus notturno)

A che ora siamo partiti? Ma alle 6:00, siamo mica venuti in vacanza per riposarci, no? La nostra barca ci sta aspettando al porto, per portarci lungo il Fiume degli Od… ops, scusate, dei profumi!

Il sole ha deciso di fare gruppo con noi e ci accompagna nella nostra visita, facendoci godere la giornata fino in fondo.

Huè è un posto incantevole, durante la traversata scorgiamo i pescatori intenti nella pesca con le loro strane reti, per poi giungere ad uno dei focolai della protesta contro il governo all’inizio degli anni ’60, la Pagoda di Thien Mu.

Questa pagoda è un vero e proprio simbolo del Vietnam; la torre ottagonale, Thap Phuoc Duyen, sette piani per 21 m di altezza, edificata nel 1844 durante il regno dell’imperatore Thieu Tri è diventata il simbolo della città di Huè; dietro il santuario principale della pagoda si può vedere l’automobile Austin con la quale Thic Quang Duc si recò a Saigon per darsi fuoco contro il regime di Diem.

Lasciato questo pezzo di storia, proseguiamo verso il tempio di Hon Chen, dedicato alla dea Po Nagar, protettrice del regno di Champa; sebbene sia molto venerato, a noi profani non affascina più di tanto; torniamo pertanto in battello per fare pranzo… alle 10!!!

La tomba di Minh Mang, quarto figlio di Gia long e secondo imperatore della dinastia Nguyen, è forse la più maestosa delle sepolture imperiali; con i giardini che circondano i monumenti ricoperti di pini, fior di loto rossi e alberi frangipane.

Sebbene ci sia una calura davvero insopportabile e i turisti affollino ogni dove, l’architettura così armoniosa di questo posto mi fa assaporare un senso di pace e tranquillità davvero unico.

Purtroppo, ma forse il bello sta proprio qui, si deve proseguire, stavolta in bus, verso altri posti incantati.

Sebbene la tomba di Khai Dinh evidenzi il declino della cultura vietnamita durante l’epoca coloniale, presentando un’evidente sintesi di elementi vietnamiti ed europei, non fosse altro per i volti dei mandarini civili e militari schierati di fronte al cortile d’onore insieme a schiere di elefanti, essa ha il fascino proprio della decadenza, chiaro anche nei muschi che adornano la costruzione e dalla monocromia della sua porta di ingresso.

La tomba di Tu Duc, completata in soli tre anni nel 1867, con l’impiego di 3000 uomini, appare come un palazzo in miniatura in perfetta armonia con lo scenario naturale.

La tomba, a cui la tradizione vieta di accedere, è coperta da una fitta pineta.

Il complesso è enorme, ma si potrebbe davvero vivere una vita intera immersi nello scenario incantevole del lago che avvolge in perfetta armonia e incantevole pace la tomba della moglie e del figlio adottivo dell’imperatore.

La tomba di Tu Hieu, avvolta nella semioscurità del verde, sembra più un luogo di preghiera, con i suoi numerosi incensi e la dimora dei monaci.

Davvero stravolti, arriviamo alla cittadella, la cui costruzione fu avviata dall’imperatore Gia long, il primo che fece di Huè la capitale del paese.

Il sole non c’è più, ma la pioggia conferisce al luogo un fascino d’altri tempi; la città imperiale racchiude al suo interno la Città Purpurea Proibita, residenza privata dell’Imperatore.

Gli unici servitori che vi avevano accesso erano gli eunuchi, i soli a non costituire una minaccia sessuale per le concubine del sovrano. La Città Purpurea Proibita venne quasi completamente distrutta durante l’offensiva del Tet nel 1968 e oggi si presenta come un grande campo coltivato o semi abbandonato nel quale solamente alcuni edifici sono ancora visibili come la Biblioteca Imperiale, che conserva sopra il tetto elaborate statue in ceramica di mandarini ed altri personaggi, ed i resti del Teatro Reale che ora ospita il Conservatorio Nazionale di musica.

Gli stessi americani riconoscono oggi che i maggiori danni inflitti furono causati dalla loro stessa aviazione ed in Francia, sul finire degli anni ’80, un noto giornalista affermò, con non poche polemiche, che sarebbe stato meglio uccidere un numero maggiore di vietnamiti piuttosto che distruggere i palazzi e le vestigia dell’antica città imperiale.

Il Vietnam, quel Vietnam che tutti tristemente ricordano, affiora sempre, in ogni luogo, in ogni dove, sia nel ragazzo con tumori evidenti sulla pelle, sia nella distruzione del terreno, sia nelle opere d’arte, che come il carattere dei vietnamiti, reca i segni più evidenti di quel passato doloroso e difficile da dimenticare.

Stremati, saliamo sull’ultimo bus notturno, che ci porterà all’ultima città del nostro viaggio in Vietnam, Hanoi.

 

16.08.2006 – Mercoledì – 16° giorno

Hanoi

Hanoi ha il fascino della vera città vietnamita, quel fascino di chi, come lei, forse non ha mai perso l’identità socio culturale, di chi ha saputo passare la guerra e il colonialismo, sempre a testa alta con la spiccata ed ingenua forza della sua millenaria personalità.

Le influenze che ha apportato il colonialismo si sono fuse con incredibile armonia dentro le strade e i mercatini della città, conferendole quel fascino della grazia parigina, con il giusto pizzico della tranquillità asiatica.

Il suo centro storico, pur essendo un mercato a cielo aperto, riesce comunque a trasmettere un poco di quella quotidianità che solo un vietnamita può vivere, ma che un viaggiatore dovrebbe riuscire ad apprezzare, quasi amandola.

Mi perdo, mi stupisco, odoro, assaggio, passeggio sotto la pioggia, lasciando che quest’incredibile realtà vietnamita mi investa i sensi in un completo turbinio di stupori e sensazioni uniche, tutte in continua evoluzione e scoperta.

Hanoi è da assaporare da soli, lasciandosi cullare dalla sua tranquilla frenesia, dal suo orientale “savoir faire”, dalle voci cantilenanti dei vietnamiti e dal rumore del traffico.

Incredibile una giornata ad Hanoi, davvero unica ed imperdibile, sicuramente ciò che mi ha affascinato di più del Vietnam oltre alle classiche e magnifiche opere che tutto il mondo gli annovera.

Sebbene distrutta in parte dai bombardamenti durante la guerra del Vietnam, Hanoi è quasi stata completamente sanata; primo obiettivo della ricostruzione, il Long Bien, il ponte lungo 1682 m costruito tra il 1888 e il 1902 sotto la direzione di Gustave Eiffel.

Certo che non si può venire in Vietnam, ad Hanoi e non andare al Lang Chu Tich Ho Chi Minh a portare omaggio al grande zio Ho, quindi mi devo davvero sbrigare, visto che il mausoleo chiude alle 11!

La salma è esposta in un ambiente davvero siberiale (probabilmente la temperatura ideale per mantenere lo zio Ho tonico) e la fila di turisti, ma soprattutto di vietnamiti è davvero interminabile.

Solo ora mi rendo davvero conto di quanta adorazione ci sia da parte dei vietnamiti nei confronti di chi li guidò verso la libertà contro le potenze del mondo occidentale.

Tutto nell’interno del parco parla di ho Chi Minh, la sua casa, completamente arredata con i suoi affetti personali, dal classico cappello, ai suoi libri, le fotografie, esposte in ogni dove assieme ai busti e la meravigliosa esposizione fotografica, ricca di frasi davvero ricche di intelligenza ed umanità del rivoluzionario del XX secolo che si distinse per avere condotto la più lunga lotta contro le potenze del mondo.

Mi siedo in riva all’Ho Hoan Kiem, il lago della spada restituita, attendendo che la Divina Tartaruga mi dia la spada portentosa restituitagli dal re Le Thai To dopo la resistenza di ben 10 anni contro l’invasione dei Ming e mi lascio cullare dall’incessante traffico della grande via urbana Le Thai To, poi proseguo pedissequamente i consigli della Lonely Planet, fino a sera.

Prima però porto Emanuela all’ospedale, ha la febbre alta, da ben tre giorni e le tre tachipirine giornaliere sembrano solo acqua fresca; la Europe Assistance mi consiglia di farle fare gli esami per scongiurare dengue e malaria e dopo un andirivieni e esami del sangue, scopriamo che si tratta di un’infezione virale; la dottoressa ci da subito la cura ed Emanuela passerà un pò di giorni a letto!

 

17.08.2006 – Giovedì – 17° giorno

Hanoi – Pagoda dei Profumi – Hanoi

Ieri ho davvero contrattato tanto, oggi merito di godermi lo straordinario paesaggio per la Pagoda dei Profumi o Chua Huong in lingua vietnamita!

Partiamo alle 8:00, dopo aver rimpinzato la nostra pancia con deliziose varietà di dolci in pasticceria e guardiamo increduli la città; è tutto allagato, piove a dirotto e la pioggia arriva alle ginocchia; i motorini continuano imperterriti la loro frenetica corsa verso il lavoro, i pedoni fanno i salti fra le alture a ridosso dei marciapiedi e le gomme delle auto producono onde alte quanto le auto stesse!

Alle 10:50 siamo al molo (?) per prendere le nostre chiatte metalliche dipinte sommariamente di bordeaux.

Ed allora inizia il fantastico tragitto, che durerà ben 1 ora e mezza, in mezzo al silenzio della natura rotto solo dal vellutato infrangere delle onde sulla barca; le montagne sorgono dal nulla, ingoiate completamente dalla fitta vegetazione, la stessa che la fa da padrona nel fiume; il verde, accecante e rinfrescante è tutto ciò che ci sta attorno, assieme a noi altre barche, ma sempre in religioso silenzio.

Vorrei davvero che questo tragitto non finisse mai, non voglio abbandonare quell’incredibile senso di pace ed armonia con la natura che solo qui sono riuscita a provare, quella dolce e lieve nebbiolina mi potrebbe inghiottire e celare ancora un poco…

Iniziamo il trek, immergendoci in quel verde che tutto inghiotte, su per la montagna, in 50 minuti di facile, ma scivolosissimo trek.

Giungiamo in cima esausti per il caldo e per l’incredibile sudata, giungiamo infine a destinazione. Immersi nella natura e avvolti dai fumi degli incensi, all’interno di una enorme grotta, dall’aria estremamente suggestiva, troviamo all’interno la Pagoda dei Profumi, luogo di grande culto per tutti i religiosi di fede buddista del Vietnam.

La pagoda più importante è la Thien Chu, o ascensione al Cielo, risale al XVII secolo, di fronte sorge una torre campanaria a 3 piani; la pagoda sorge all’interno di una vasta grotta ed è considerata la culla del buddismo in Vietnam. Se avete la fortuna in una delle sette settimane della festa tradizionale della pagoda che vanno da marzo ad aprile, vi troverete immersi in migliaia di fedeli che dalle barche esclamano “A di da phat” – “Lode ad Amitabha Buddha!”

Ritorniamo al nostro bus, immersi nuovamente in quegli scenari naturalistici di grande suggestione, dove i profili tormentati dei monti Hoang Son, formazioni carsiche poco elevate dalle sagome aguzze e dalla fitta vegetazione, ricordano insistentemente che Madre Natura ci osserva e ci offre sempre estrema gioia e pace.

Ieri abbiamo comprato biglietti per il teatro delle Marionette sull’acqua; siamo tutti e ci mettiamo nel nostro posticino in terza fila.

La scenografia vanta una pagoda immersa in uno stagno, sulla nostra sinistra gli artisti intonano melodie e canti, dall’acqua affiora lo spettacolo, riccamente animato da fumi, scintille e il tutto saggiamente condito dalla musica.

Non aspettatevi di trovare i bimbi incuriositi citati dalla Lonely, quelli probabilmente sono già cresciuti e stanno dietro le quinte ad azionare i draghi d’orati; lo spettacolo ha una densità di turisti che rasenta il 99.9% periodico di turisti, ma rappresenta comunque un’espressione artistica molto antica.

Le storie rappresentate sono molto semplici e rappresentano per di più scene rurali, visto che furono inventate dai contadini del delta del fiume rosso che trascorrevano gran parte del loro tempo nelle risaie allagate; nello spettacolo, la piantagione del riso, la lotta dei bufali, l’oca cacciata dalla volpe e così via.

 

18.08.2006 – Venerdì – 18° giorno

Hanoi – Halong Bay

Partiamo alle 7:30 per quello che è il culmine del nostro viaggio in Vietnam, per arrivare finalmente alle 11:00 ad Halong city.

Il paesaggio è davvero mutato e le formazioni rocciose di origine calcarea tutte variopinte dalla verde vegetazione ci iniziano a far riaffiorare le sbiadite fotografie della baia di Halong

Prima di partire, dobbiamo purtroppo litigare con la nostra guida, che vorrebbe attendere fino a qualunque ora altri passeggeri, facendo forza sul fatto che abbiamo pagato per un tour privato, dopo una mezz’oretta di concitate parole, salpiamo.

Il nome Ha Long significa “drago discendente” e deriva da una leggenda locale; un drago celeste e la sua prole ricevettero dall’Imperatore di Giada l’ordine di fermare un’invasione dal mare; sputarono allora frammenti di giada che, trasformatisi in meravigliose isole e formazioni carsiche, aprirono falle nelle navi nemiche. Un’altra versione della leggenda vuole che le gemme fossero perle e che la baia si formò quando il grande drago si tuffò a mare e con la coda ondeggiante aprì sulla terraferma valli e crepacci che si colmarono d’acqua.

A qualunque leggenda decidiate di credere, sappiate che entrambe concludono narrando che il drago, incantato dalla propria creazione decise di stabilircisi e ancora oggi abita le acque della baia, quindi occhio a quando vi gettate in acqua per fare un sano e rilassante bagno o quando kayakkate qua e là in quelle acque verdi smeraldo!

Una visita ad almeno una delle sue grotte deve essere fatta per forza.

Secondo una leggenda, la grotta di Trinh Nu (Vergine) prende il nome da una fanciulla i cui genitori, molto poveri, erano costretti a noleggiare una barca da un ricco signore del luogo. Un giorno, quando la coppia non poté pagare la somma dovuta, a saldo del debito lui pretese la loro bella figlia. Celebrato il matrimonio, lei si rifiutò di cedergli; l’uomo la fece percuotere e infine la recluse in una grotta, dove la fanciulla morì di fame, ma rimase sempre immortalata nelle forme di uno sperone roccioso che emerse nel punto in cui fu sepolta.

Sebbene la leggenda sia davvero affascinante, la grotta più spettacolare rimane quella di hang Dau Go, ricca di stalattiti e stalagmiti che ricordano sagome umane, di animali ed uccelli; i primi turisti francesi che la visitarono a fine ottocento la soprannominarono la Grotta delle meraviglie.

Ogni luogo della baia di Halong è di una bellezza senza paragoni da sembrare quasi impossibile che esista.

Le sue acque smeraldo riflettono le verdi formazioni rocciose che emergono dall’acqua, la pace e la serenità che infonde questo posto ha dell’incredibile; sembra davvero di essere sospesi in un’altra dimensione, a volte nella preistoria, nell’epoca del “grande brodo”, altre volte sembra di essere in un futuro lontanissimo, come unica traccia del genere umano.

In qualunque era pensiate comunque di essere, godetevi il silenzio e il suono delle vostre mani e delle vostre gambe che vi spingono nella completa immersione con la magia del posto, con quelle vellutate acque che vi massaggiano con delicatezza il corpo e con gli occhi pieni di luce e di pace.

La baia di Halong è indescrivibile, forse è davvero solo una leggenda, della quale ci si può portare solo il suo indelebile ricordo, ricco solo di sensazioni, che non si riescono a descrivere solo con occhi.

Ogni momento del giorno, ogni condizione climatica conferisce alla baia un fascino che solo poco prima era nascosto, quasi a scoprire una dimensione diversa, con i suoi suoni, odori, colori, gusti.

Godetevela più che potete e cercate di impressionare più che la pellicola della macchina fotografica, i vostri sensi, cercate di gustare quest’incredibile meraviglia di Madre Natura.

 

 

 

 

19.08.2006 – Sabato – 19° giorno

Halong Bay – Hanoi

Ieri sera ci siamo dati alla pazza gioia, bevendo alcolici e chi più ne ha più ne metta; sul tetto della barca quasi un inizio di orgia!

La baia è così, forse amplifica le nostre sensazioni, sciogliendo le inibizioni e facendoci divertire più complici, uniti da quelle sensazioni che solo noi, con uno sguardo, possiamo trasmetterci.

Un ultimo tuffo e poi di nuovo la pioggia, infine il porto alle 11:30, il pranzo e il bus per tornare ad Hanoi, la mitica capitale del Vietnam, chi per ennesimi acquisti, chi per rigustare un pò di vero Vietnam, aiutato ancor di più dall’esplosione di sensi avvenuta ad Hanoi.

Forse l’immersione in Hanoi si è spinta un poco troppo in là, anche nel tipicissimo ristorante scelto per la cena; nemmeno io, che mangio, vi assicuro di tutto, in qualunque condizione igienica, sono riuscita a mangiare molto!

Beh, però almeno posso dire di aver mangiato il topo, che ne dite? Troppo poco? Beh, bisogna pur accontentarsi nella vita!

Non ancora esausti, ci buttiamo in discoteca; ci siamo divertiti tantissimo, un nuvolo di vietnamiti ci ha subito circondato, dandosi il cambio, ridendo, scherzando; noi come loro, ballavano coinvolgendo tutti i presenti, fino a notte fonda, fra una birra ed un cocktail vietnamita.

Ragazzi, che cos’è la vita notturna della capitale!

 

20.08.2006 – Domenica – 20° giorno

Hanoi – Hoa Lu – Tam Coc – Ninh Binh – Hanoi

Partiamo alle 8:30, aspettando per ben 2 ore il nostro pulmino, continuando a discutere col ragazzo dell’agenzia.

Forse è stata una mia leggerezza, del resto ormai avrei dovuto capirli i vietnamiti, disponibilissimi, ma davvero troppo rigidi per poter comprendere ed accettare un cambiamento al programma da loro proposto!

Comunque sia, sebbene già stremati dalla levataccia, dopo due ore e mezza siamo alle porte della Bich Dong Pagoda.

All’interno un ragazzo sta suonando uno strumento monocorda improvvisato; il suo naso, completamente cosparso di bolle, ci fa ricordare nuovamente che qui, pochi anni fa c’è stata una guerra; non so quanto si protrarranno i segni evidenti di ciò che è stato, visibilissimo anche nell’orgoglio e alle volte nella diffidenza e negli sguardi, celati sotto all’incredibile e stupendo sorriso delle persone, certo è, che è difficile non provare un senso di rabbia e disgusto per chi è convinto che pace e democrazia si possano esportare con le bombe e con le riprese cinematografiche degli effetti del Napalm.

Però, purtroppo, mi fa male essere inerme di fronte a tanto dolore, camminare su luoghi che sono stati teatro di indicibili ingiustizie, guardare i volti di persone che hanno perso cari o che hanno dovuto reinventarsi perchè i loro campi sono stati bruciati; è facile fare la guerra ed andarsene, difficile rimanere, doverlo, volerlo fare, difficile cercare di risollevare quella terra martoriata non solo dalle bombe, ma sciolta anche dagli agenti chimici e dalle brutture dell’animo umano, difficile, ma quella è la loro terra e oggi, come mai nella mia vita, comprendo quanto possa essere forte l’amore per il proprio loro paese, quanto questo popolo voglia farlo rinascere, voglia che si risollevi e che cammini con le proprie gambe, verso un futuro di pace, figlio di quelle tradizioni antiche che hanno fatto di questo paese quello che oggi chiamiamo Vietnam.

Continuiamo per Hoa Lu e poi, dopo pranzo, subito sulle chiatte metalliche dipinte di bordeaux, nostre inseparabili amiche, verso Tam Coc, definita la “Baia di Halong delle Risaie”.

L’incantevole mondo acquatico che si può ammirare dalla barca è simile a quello scorto in Halong Bay, ma il tutto è scandito dal ritmo della quotidianità della popolazione rurale.

Nel tratto iniziale del percorso il pigro fiume Ngo Dong si confonde con le risaie allagate, poi si dirige lentamente verso tre grotte scavate nella roccia calcarea; la prima è davvero divertente, bisogna accovacciarsi per non toccare il soffitto, nelle altre affascinanti stalattiti e stalagmiti.

Fra l’una e l’altra si aprono lagune dalle acque basse e limpide, cinte da scogliere adorne di verde; la tranquillità è turbata unicamente dalle donne che vi si avvicinano ed incessantemente cercano di farvi comprare i meravigliosi pizzi lavorati a mano (… che comunque non siamo riusciti a comprare… da buon discovery!)

Stanchi, ma davvero contenti, ritorniamo in albergo per rifare il bagaglio, domani ci attende il Laos!

 

21.08.2006 – Lunedì – 21° giorno

Hanoi – Vientiane

Partiamo alle 7:00 dall’albergo e dopo 45 minuti, passati in uno stipatissimo minivan, con il mio sedere all’aria fuori dal finestrino, arriviamo all’aeroporto.

Poco tempo per fare i biglietti, chiudiamo la cassa in dong e poi la lunga attesa per il volo.

L’ansietà di arrivare dilata il tempo, l’attesa è sempre lunghissima quando non si vede l’ora di partire per giungere nel posto tanto agognato!

E poi saliamo sull’aereo, un bielica talmente rumoroso da non far sentire che cosa sta dicendo il vicino!

Sorvoliamo il Vietnam e parte del Laos e quando ci appare di nuovo una lingua marrone in mezzo al verde, il mitico Mekong, sappiamo di essere arrivati.

Vientiane è una città molto strana, sembra di essere soli, o almeno davvero in pochi; del resto è davvero poco densamente popolata, avendo solo 500000 abitanti, sette volte e mezzo in meno di Roma! L’aeroporto dista poco più di 20 minuti dal centro, anche se sinceramente ho dovuto leggere più e più sulla lonely che quello fosse davvero il centro…

Abbiamo posato subito i bagagli all’albergo che avevo prenotato la sera prima telefonicamente e poi, con dei tuk tuk, ci siamo fatti portare al Pha That Luang, meglio noto dal mio gruppo come “pagodone d’oro”.

Situato su un’altura il Grande Stupa Sacro è uno dei tesori storici del Laos; il tempio buddista, che raggiunge un’altezza di 45 metri, venne edificato nel XVI secolo, sotto il regno Lao di Lan Xang, per volere del re Xetthathirat, sul sito di un preesistente tempio khmer, esso rappresenta il simbolo del Laos e merita davvero una visita.

Sebbene la lonely citasse che il tempio è chiuso il lunedì, noi siamo riusciti ad accedervi e ad arrivare fino al secondo livello; tutt’attorno, sui muri del porticato di fronte al tempio, una mostra, spero temporanea, espone dei quadri dipinti grezzamente (delle croste, insomma…)

Lauto pranzo, a base di noodle, in riva al Mekong con vista Thailandia e poi il gruppo si divide; c’è chi pensa di aver già visto tutto del Laos, chi invece mi segue, nella scoperta della capitale, attraverso la visita guidata proposta dalla Lonely Planet.

Mi piace questo posto, è strano, è di frontiera, ma è una frontiera davvero pacifica, le persone incredibilmente disponibili e calme vengono sempre in aiuto, la contrattazione prende sempre le forme di un divertentissimo gioco e la pioggia sembra quasi essere più dolce ed anch’essa in completa armonia.

Il Laos, davvero, non è un posto, ma uno stato d’animo, una sensazione, o più sensazioni, ma tutte incredibilmente positive, aiutate anche dalla leggerezza della curiosità dei monaci incontrati al Haw Pha Kaew, che ci accolgono con un meraviglioso sorriso e un “welcome to Laos”, prima di farci mille armoniose e dolcissime domande.

Il nostro giretto di due orette al massimo, se si segue senza perdersi in ogni angolo di questa città quasi fantasma, ci ha davvero ristabilito da tutte le fatiche del viaggio; ora, meglio che dopo un massaggio, mi sento ristabilita e ristorata e potrei affrontare ancora mille notti in pullman.

Il Laos è così, o almeno è quello che mi ha trasmesso, ti infonde un totale senso di pace e armonia con l’altro e con l’universo, da far scivolare via qualunque forma di stanchezza e di preoccupazione.

Ci ristoriamo per cena in un localino trovato sulla strada e poi, dopo qualche parola nel dehor del nostro albergo, decidiamo di ritiraci; domani 8 ore di bus fino a Luang Prabang!

 

22.08.2006 – Martedì – 22° giorno

Vientiane – Luang Prabang

Oggi più che mai mi rispecchio in questa frase: “il vero viaggio è come ci si arriva, non solo il luogo stesso…”

Alle 7:30 un tuk tuk fa la spola dal nostro albergo fino alla stazione dei bus; pregata da praticamente tutto il gruppo sono stata costretta a prenotare un trasporto turisticissimo, anziché lo sgualfissimo e sfigatissimo, ma sicuramente molto più “vero” mezzo pubblico… Del resto è arrivata quasi la fine e ho davvero chiesto tanto a questo gruppo, che si è davvero lamentato poche volte! Del resto, cosa da non dimenticare, il bus pubblico pubblico, parte alla stessa ora e non si sa quando si ferma… E Tania quindi come farebbe a fare le mille pipì che in una giornata deve fare?

Comunque sia, il nostro bus color pantera rosa parte alle 8:30; io vado a prendere i biglietti con i posti numerati che servono anche per avere il pranzo incluso nel biglietto (quello per cui Marco venderebbe anche la madre!!!) e via che si parte.

Il paesaggio è di un’incredibile ed indescrivibile bellezza; sempre diverso, per la luce che cambia, che viene soffusa dalle nuvole, alle volte celata, per poi riapparire con prepotenza, quasi ferendo il nostro sguardo.

Che bellezza, che grande sensazione di libertà e gioia!

Le mille curve del tragitto fanno avanzare quasi tutte le ragazze del gruppo, io non mi muovo, sono come pietrificata dall’immensa bellezza del paesaggio circostante, ho quasi timore che alzandomi, distogliendo lo sguardo per anche solo un secondo, esso sparisca.

Rimango tutto il tragitto a guardare fuori dal finestrino, ridendo, scherzando, cantando con i ragazzi e cambiando molto spesso posizione, ma i miei pensieri e i miei occhi sono sempre all’esterno di quel vetro.

Riccardo mi sottolinea come se avessimo affittato un mezzo nostro avremmo potuto fermarci a fare qualche fotografia, io gli rispondo che anche a me spiace non fare fotografie, ma forse è meglio così, del resto, cosa riusciremmo a far carpire, cosa riusciremmo a impressionare su quella pellicola, se non un piatto e poco espressivo paesaggio montagnoso che i nostri amici, una volta a casa, potrebbero solo commentare con “che bel posto!”

Ma quello che vediamo, non è solo un bel posto, è appunto uno stato d’animo umanamente indescrivibile; come potrei cercare di spiegarvi l’armonie delle note e negli strumenti di Stairway to heaven senza farvi sentire la canzone?

Forse è per questo che si viene in Laos, per comprendere che esiste davvero; e forse è per questo che voglio tornarci, per comprendere che non è stato solo un sogno meraviglioso!

Arriviamo alla turistica, per come può esserlo il Laos, Luang Prabang.

Non abbiamo nulla di prenotato, proprio perchè, sebbene abbia cercato di contattare svariati alberghi con il cellulare prestato gentilmente e gratuitamente di due ragazzi di Vientiane, non sono riuscita a trovare nulla.

Ma non preoccupatevi, le guest house abbondano, magari come noi sarete smistati in due diversi posti, trovando davvero arduo farvi concedere la gratuità, come infatti non ho avuto, ma un tetto e un letto ve lo trovano, statene certi!

Luang prabang è la seconda città del Laos, ed ha solo 22000 abitanti, in effetti più che la nostra Milano o Napoli, sembra più un paesello rurale con dei meravigliosi templi che spuntano nei posti più impensati in mezzo alla città.

Anche qui il tempo è scandito dalla pace e dalla tranquillità del sorriso dei laotiani, davvero degli incredibili maestri nell’arte del contrattare e nel vendere.

Nel mercatino serale, nei pressi del cuore commerciale della città, il brulicante mercato Talat Dala, potete trovare davvero di tutto, è un buon modo per passare qualche ora all’aria aperta, scambiando qualche sorriso e facendo buoni affari, comprando dei pensierini da portare a casa a parenti ed amici.

Il ritmo della città è scandito dai suoi due fiumi, il Mekong e il Nam Khan, fra i templi, i monaci bruciano incensi avvolti nelle loro tuniche color arancione.

Ogni laotiano che incontriamo ci accoglie con un sorriso e ci invita a partecipare al Boat Race di domani, grande festa in tutta la città, oggi e domani si celebra il Boun Haw Khao Padabin in tutto il Laos!

La festa è largamente sentita dal popolo laotiano e soprattutto a Luang Prabang in questi due giorni si tiene anche il Boun Suang Heua, la corsa in barca sul fiume Nam Khan e una fiera commerciale nel centro città; vista la gioia con cui ogni laotiano la sponsorizza, non ce la perderemmo per nulla al mondo!

Prenoto pertanto per dopodomani l’escursione alle grotte di Pak Ou e alla cascata Tat Kuang Si.

 

23.08.2006 – Mercoledì – 23° giorno

Luang Prabang

Oggi alle 13:00 parte la competizione in barca, l’apice della meravigliosa festa di Luang Prabang! Ci svegliamo abbastanza presto e alle 8:30 iniziamo il nostro giro dopo aver pagato la preprenotazione che avevo fatto su internet del volo Luang Prabang – Bangkok dall’Italia.

Anche a Luang Prabang seguiamo pedissequamente i consigli della Lonely ed iniziamo il nostro giro di questa meraviglia; solo che al gruppo si unisce l’acqua… davvero tanta!

Giocando fra e là tra le pozzanghere, con la magia delle offerte dei monaci, vediamo il Wat Chum Khong, Wat Xieng Muan, Wat Pa Phai, Wat Pha Phutthabath, Wat Xieng Thong.

Poi, dopo aver ammirato la confluenza con il mekong, decidiamo di scendere sul lungo fiume per goderci una sana passeggiata per le bancarelle!

Sembra una festa di paese di altri tempi, ci sono le freccette con i palloncini da scoppiare e mille altri divertimenti, un sacco di gente che cammina lungo la via e delle meravigliose bancarelle di cibo…

Assaggiamo di tutto, ma le mie preferite continueranno ad essere delle misteriose, ma buonissime polpettine!!!

Continuiamo il nostro giro fra i mille meravigliosi templi, visitando il Wat Nong Sikhunmeuang, Wat Saen, Wat Sop, Wat Sirimungun, museo del palazzo reale da fuori poi Wat Mai Suwannaphumaham… ma è già l’ora della gara!

Ci affrettiamo sul lungo fiume, prendiamo posto vicino ad una graziosissima ed attenta bambina e assistiamo questo spettacolo!

Le barche e gli atleti hanno dei colori sgargiantissimi, le barche si continueranno a sfidare in una competizione ad eliminatoria, a due a due fino a sera.

Rimarrei ore a vedere questo spettacolo, ma Luang Prabang chiama, e noi abbiamo davvero poco tempo…

Nel pomeriggio proseguiamo per il Wat Visunalat, uno dei templi più antichi della città, alla cui estremità orientale scorgiamo lo stupa cocomero, il Wat Aham, attorniato da due grossi baniani.

Un sano massaggio, poi grande abbuffata al mercato serale, tra un piatto stracolmo del buffet e una squisitissima coscia di pollo.

Giretto per il mercato e poi ci appartiamo nel dehor dell’albergo, di fronte a noi la musica imperversa, dei ragazzi stanno tenendo una festicciola alla quale veniamo invitati.

Dopo balli, un paio di birre e quattro chiacchiere, stanchi, andiamo a dormire.

 

24.08.2006 – Giovedì – 24° giorno

Luang –Prabang – Pak Ou – Tat Kuang Si

E’ già arrivato il penultimo giorno in Laos…

Partiamo presto, alle 7:30, per poter riuscire a vedere tutto ciò che ci siamo prefissi di vedere, le grotte di pak Ou e le cascate di Tat Kuang Si.

Saliamo sulla barca che ho prenotato la sera prima; iniziamo la risalita del Mekong; attorno a noi sfrecciano numerosissime lance veloci, rumorosissime, ma davvero avventurose!

Non ho voluto chiedere troppo al mio gruppo, ma sappiate che si può raggiungere Vientiane anche lungo il Mekong, in sole 8 ore con queste lance rumorosissime; a parte il lato avventuroso, ci sono alcuni inconvenienti che dovrete mettere in conto: per otto ore non potete muovervi molto, avrete questo rumore assordante, potreste capottarvi…

Continuiamo a percorrere il Mekong, avvolti dalla meravigliosa vegetazione del Laos, scorgendo qua e là le casette in paglia dei locali, in due ore arriviamo a Pak Ou; Tam Ting è una bocca scavata all’interno della montagna, con all’interno numerosissime statue votive dei Budda.

Una bambina sta lavorando indisturbata con il suo coltellaccio, per fabbricare le coloratissime e floreali offerte; all’interno un’atmosfera magica e davvero incredibile.

Saliamo una lunga scalinata per accedere all’altra grotta e qui il buio avvolge la magia delle statue votive; sulla parete la luce di una candela illumina una scritta.

La sacralità di questi luoghi è data dal silenzio e dalla pace, nonché dalla natura che la fa da padrona.

Come sempre, è già tempo di andare, mi godo per un ultima volta lo spettacolare paesaggio, riproponendomi che non sarà l’ultima, che il mekong mi ha emozionato davvero tanto, che prima o poi ci tornerò…

Visitiamo un piccolo villaggio vicino a Luang Prabang di costruttori di carta di riso e poi, dopo un velocissimo pranzo a Luang Prabang, sulle rive del mekong, ripartiamo, stavolta in bus, per Tat Kuang Si.

Il Laos non smetterà mai di stupirmi e di emozionarmi, nei 45 minuti di strada, i miei occhi si sono di nuovo persi nella freschezza di quel verde accecante delle campagne, delle montagne e delle piantagioni di riso.

La grande cascata a balzi di tat Kuang Si precipita su formazioni di roccia calcarea, formando una serie di fresche pozzanghere turchesi, nelle quali ci bagniamo e continuiamo a tuffarci, sebbene faccia freddo e continui a piovere!

Continuiamo lungo il tratto più scivoloso del sentiero (Laura cadendo si porterà a casa una frattura scomposta del coccige…), arriviamo in cima alla cascata, da dove possiamo ammirare la potenza della cascata e il fiume che precipita verso valle.

Prima di salutare questo incredibile e selvaggio Laos, diamo un ultimo saluto alla tigre, la tristissima tigre sottratta ad un bracconiere quando era ancora cucciolo.

Assieme ad una parte del gruppo, saliamo sul Phu Si, per ammirare il tramonto sulla meravigliosa Luang Prabang e visitare il Wat Pa Huak, il Wat Chomsi, il Wat Tham Phu Si ed infine Wat Thammothayalan.

Ultimi acquisti al mercato, cena lungo il Mekong e meritato riposo.

 

25.08.2006 – Venerdì – 25° giorno

Luang Prabang – Bangkok

Ci diamo appuntamento alle 11:30, partenza per l’aeroporto e poi mezza giornata libera. C’è chi va a spendere gli ultimi kip, chi ne cambia di nuovi per gli ultimi acquisti, chi preferisce stare a dormire e chi mi segue nella visita al Museo del palazzo reale; il palazzo è stato eretto nel 1904 come residenza del re Sisavang Vong e fonde in maniera originale gli stili classici lao e francese.

In una sala dell’edificio, il pezzo forte del museo, la famosa efficge del Buddha di Pha Bang, la statua in oro puro che ritrae il Buddha nell’atteggiamento dell’Abhayamudra, o “scacciare la paura”, alta 83 cm e del peso di 42 – 54 kg (le fonti sono dicordi su questo punto).

Prima di uscire dal museo, diamo un’occhiata al Wat Mai Suwannaphumahan, risalente all’inizio del XIX secolo, in passato residenza del supremo patriarca buddista del laos, il Sangkhalat, oggi sostenuta da una forte impalcatura, date le sue condizioni precarie.

Dopo il rito della chiusura della valigia, per alcuni di noi, davvero un’impresa, con due tuk tuk ci dirigiamo all’aeroporto.

Facciamo il check, posando i nostri bagagli su pese improvvisate, ma il Laos è bello per questo e poi aspettiamo di partire nel ristorantino dell’aeroporto.

Mi spiace lasciare il laos, mi sembra di avergli dedicato davvero troppo poco tempo, del resto ho visto solo di sfuggita alcuni fra i più bei ed interessanti monumenti ed ho solo chiacchierato per poco con la gente del luogo; purtroppo è già tempo di salire sull’aereo, e mentre sorvoliamo questo stupendo paese, mi ripropongo di tornarci al più presto!

Siamo tornati all’inizio, dove tutto ebbe origine!!!

Ripresi i nostri bagagli, ci diamo appuntamento alle 20:00 all’albergo dell’andata.

Io e Claudia andiamo a fare un giro a Thanon Kao San Road, dove la vitalità è di casa; non vi volgio celare che sia uno fra i posti più turistici di bangkok, ma è davvero fantastico!

Così tanto che convinciamo tutto il gruppo a tornarci per cena!

Quindi affittiamo due quattro taxi e, come al solito, noodle per tutti!

Poi c’è chi si perde nuovamente in questa via, chi preferisce andare a Pat Pong, come Alessandro, che comprerà un meraviglioso Rolex, per … 12 euro!, regalandomi l’espressione più circospetta che io abbia mai visto ad un ambulante!!!

 

26.08.2006 – Sabato – 26° giorno

Bangkok

Oggi è davvero l’ultimo giorno, e voglio davvero sfruttarlo fino in fondo a costo di massacrarmi e di dormire ogni tratta aerea!

Ci ritroviamo alle 6:30 per la colazione, poi prendiamo subito un taxi per il Lumphini Park, così chiamato per ricordare il luogo natale del Buddha in nepal.

Questo è il parco più esteso e più conosciuto di Bangkok, la gente viene al mattino per praticare sport, le arti tradizionali, o anche solo una classica e salubre passeggita; dentro al parco potrete vedere di tutto, dai medici che provano la pressione e fanno l’estrazione del sangue, ai bimbi in abito nero con il dragone gialloricamato sulla schiena che si allenano alla Thai Box, o, se avrete fortuna come noi, un incontro di allenamento, allievo – maestro.

Passata quell’oretta al parco, iniziamo il nostro giretto dei templi, vicino al lungo fiume.

Visitiamo il Lak Meuang, il pilastro della città, un santuario dedicato allo spirito protettore della città di Bangkok, il famosissimo Wat Pho, il più antico tempio di bangkok, famoso per l’enorme Buddha disteso e per la sua scuola di massaggio.

Diamo una veloce occhiata ai rari negozi – abitazioni di epoca Ratanakosin e poi ci portiamo sul lungo fiume per attendere il battello che fa la spola ogni cinque minuti da una riva ll’altra del mae Nam Chao Phraya, per visitare il Wat Arun, una delle più straordinarie prang di Bangkok, in stile hindu con influenze khmer; forse il tempio più conosciuto di Bangkok, visto che è ritratto in ogni depliant di viaggio…

Ci portiamo al Grand Palace e al Wat Phra Kaew, dove Riccardo e Marco cercano di coprire le gambe in qualunque maniera, addirittura con il pile, per poter accedervi!!!

Il Wat Phra Kaew è uno splendido ed elaborato esempio di architettura religiosa della capirale.

Velocemente passiamo di fronte all’università e galleroa d’arte Silpakorn, alla Siam City Bak per correre al mercato degli amuleti, cheresterarà solo un miraggio letto nella Lonely, visto che abbiamo visto solo polli, zampe di gallina e noodle, ma di amuleti nemmeno a parlarne!

Visitiamo velocemente il Wat Mahatat e diamo un’occhiata fugace alla Thammasat University, per poi portarci con dei freschissimi tuk tuk, al Golden Mount, dove possiamo scorgere Bangkok in tutta la sua straordinaria e confusa bellezza.

Scendiamo e ci portiamo al Marble Wat, ma dopo questa delusione, decidiamo che è venuta l’ora del mercato, il Chatuchak Weekend Market!

Conosciuto in lingua thai come Talat Jatujak, è davvero la Disneyland dei mercati thailandesi; pensatec he il sabato e la domanica ci sono circa 8672 bancarelle, con più di 200000 visitatori; qui si può davvero torvare di tutto, dai capi di abbigliamento thai, agli strumenti musicali, agli amuleti religiosi, alle banconeote contraffatte di ogni nazione che vi possa venire in mente, anche già scomparsa, piatti, padelle, posate, spuntini gustosi e improvvisti come le locuste e le falene, massaggiatori davvero a buon prezzo, sportelli banvcimat, frutta e verdura, una specie di trenino che fa la spola nelle viuzze al suo interno, completamente gratis, musica, balli e danze e per finire, ma sicuramente mi sono dimenticata tutto il mondo, ogni tipo di animale e cucciolo che vogliate comprare o anche solo vedere, lì c’è!

Dopo aver assaggiato di tutto, e dopo un sano massaggio ai piedi, io e Claudia raggiungiamo gli altri al centro commerciale, iniziando così il processo di occidentalizzazione; … forse ci siamo fatte prendere un pò troppo la mano, ci facciamo addirittura fare i capelli!!!

Poi è ora di tornare; una sana doccia e poi l’aeroporto, con i nostri zaini e un sacco di meravigliosi ed insoliti ricordi, un pò cambiati e con la tristezza del ritorno.

 

27.08.2006 – Domenica – 27° giorno

Bangkok – Cairo – Hurgada – Italia

Partiamo in orario, con la confusione dei ricordi che ci affolla la mente, ricchi di nuove sensazioni e di nuove cose da raccontare, arricchiti di una nuova esperienza, stanchi, provati, ma carichi.

Non ci resta che salutarci e darci appuntamento al raduno, a fine mese.

Appassionatamente!

 

Il vero viaggio è nel gustare l’attesa del momento, nelle sensazioni che ti accompagnano nel tragitto, il mezzo di trasporto, la gente, i luoghi e gli odori che solamente si transitano.

Il vero viaggio è lì…E poi si arriva!cambogia1.JPGCopia di IMG_5621.JPGDSCN0292.JPG

Cross Borneo trek – luggage

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Some more information about the things to take:

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  • I do prefer to have the inner layer of the tent or a structured mosquito. It would weight more, for sure, but at least you will not lose every night minimum 30 minutes to place it and 30 minutes to remove it and you would be protect 100%
  • Yoga mat and self-inflate mat are in my opinion essential:
  • In the boat the yoga mat will help you to seat in a comfortable way everywhere
  • In the jungle, the yoga mat will help you not to thorn the self-inflate mat because of roots, stones and whatever
  • In the jungle with both you could sleep. Please remember that the terrain will never be flat and there would always be stones, root and fragmented part of trees

 

First aid and co

Here the medicine that I consider essential:

683g  Arzeimittelliste Use
5 Ketorolac trometamina (Toradol) Strong painkiller
16 Merbromin (Mercuro cromo) Healing difinfectant
33 Povidone-iodine (PVP-I) (Betadine creme) Strong difinfectant
50 Toothbrush
40 Toothpaste
16 Betamethasone pills (Bentelan) Against anaphylactic shock
23 Antibiotic
40 Dressing material
40 Plaster
92 Solar cream
2 Butylscopolamine (Buscopan) Strong painkiller for stomachache
16 single-use syringe
5 Metoclopramide (Plasil) Against nausea
100 Micropur Forte Katadyn© Water purificator
65 Mineral salt
22 Bacitracin+Neomicin (bimixin) Intestinal antibiotic
15 Hemostatic cotton
10 Ledum Palustre Homeopathic pills against mosquito
92 Wet wipe
1 Karité butter

Kamchatka Trek – di Elena Grobberio

E’ dai tempi di Risiko sapevo che prima o poi avrei messo piede in questa terra remota.

Ne parlo così bene a Valeria e Roberta che anche loro non vedono l’ora di prender parte a questo viaggio.

Il coordinatore manca ma, esprimo la mie intenzione al carissimo e valoroso Massimo che non si lascia scappare l’occasione di accompagnarci così il viaggio prende forma e si crea in un batter d’occhio.

9 baldi giovani alla scoperta di questo luogo dal nome quasi impronunciabile

Kamchatka, una penisola selvaggia e sconfinata nell’estremo Est della Siberia, un luogo affascinante e scarsamente popolato dall’uomo, una terra di orsi e di vulcani.

Le montagne della Kamchatka si affacciano all’Oceano Pacifico con più di cento vulcani “attivi”. E’ una penisola grande come l’Italia ma abitata da appena 300 mila persone.

Si trova nell’estremo oriente della Russia, è lunga più di 1.200 chilometri e larga 500 nel suo punto di massima estensione.

E’ una regione bellissima: è formata da una grande vallata, intersecata da decine di fiumi, piena di geyser e circondata da una corona di più di 300 vulcani di cui 25 sono ancora attivi.


I suoi fiumi sono così ricchi di salmone, che «camminare sull’acqua non sembra così impossibile».

Le sue foreste sono piene di orsi giganti, pecore delle Montagne Rocciose e falchi, e sulle coste ci sono moltissimi granchi giganti.

Parte della sua bellezza deriva anche dal suo isolamento.

Per arrivare a Mosca dalla Kamchatka serve un volo aereo di nove ore.

I trecentomila abitanti sono tutti concentrati in tre città nel sud della penisola, mentre il resto dei paesi sono sparsi per la regione, spesso a giorni di viaggio l’uno dall’altro.

Un’unica strada di circa 500 km taglia in due questo lembo di terra dunque per esplorarla è necessario il camion 6×6 messo a disposizione dall’agenzia.

Già dal primo giorno di viaggio intuisco che qui ci lascerò il cuore.

BAIA DI AVACHA

Usciamo con un cabinato dalla Baia di Avacha (situata davanti alla capitale Petropavlovsk) per raggiungere il mare aperto.

Lungo il percorso immaginiamo di vedere dal mare i vulcani che dominano il paesaggio perché ahimè, il tempo è pessimo oggi.

In breve cominciamo a respirare l’atmosfera e la natura dell’Oceano, circondati da migliaia di uccelli marini tra cui pulcinelle di mare, urie, cormorani.

Ora però ci attende un potente e gigante camion 6×6 che, con l’autista Andrej ci condurrà alla scoperta del Paese.

VULCANO MUTNOVSKY
(2323 mt)

Il primo campo lo piantiamo ai piedi del Vulcano Mutnovsky dove arriviamo passando enormi cumuli di neve.

Stupenda la scenografia che mi trovo davanti, questo luogo è da fine del mondo!

Sotto di noi il ghiacciaio e davanti la vetta del Vulcano il quale fumo incornicia uno sconfinato cielo azzurro. Poesia pura.

L’ascesa al vulcano sarà lenta per ammirare appieno ogni scorcio.

Una volta arrivati in vetta mi lascio riscaldare dalle tante fumarole che si alzano al cielo e vengo inebriata da soffioni e forte odore di zolfo che si espande tutt’intorno.

Durante la discesa guardo sconcertata i tipici Giapponesi pieni di soldi, arrivati fino al punto “ics” con la motoslitta ed ora giacciono comodamente seduti su poltroncine, intenti a comandare i droni che vengono sapientemente diretti verso la cima del Vulcano così da poter poi guardare con i loro occhi ciò che le loro game non gli hanno permesso di andare a vedere. Mah….

Distolgo subito sguardo e pensiero da questi moderni viaggiatori, la cascata che scende a valle e si infrange sul ghiacciaio sottostante richiama la mia attenzione ed io mi lascio stupire da tanta grandiosità.

VULCANO GORELY (1.829 mt)

L’ascesa al Vulcano Gorely avverrà con il classico “Kamchatka weather” ovvero, nebbiolina e pioggerella tanto che una volta arrivati in vetta dovremo “lavorare di fantasia” per vedere il turchino lago che ricopre il vasto cratere.

Non ci resta che scendere giù di corsa in valle per poi procedere con il camion attraverso cumuli di neve e sterpaglia fino a trovare il posto giusto per allestire il prossimo campo.

Io e la Vale ci siamo incantate un attimo ed ora i nostri amici hanno già montato le tende mentre noi vaghiamo in mezzo ai bagnati arbusti per cercare il posto perfetto per sistemare la nostra bella “casetta” ma qui è tutta una gobba, mi sa che stasera si dormirà male. Noi però ci facciamo una risata, tanto riusciamo a dormire anche sui sassi.

VULCANO AVACHINSKY
(2.741 mt)

Sistemati in un comodo alloggio, alle pendici del Vulcano Avachinsky ci godiamo l’atmosfera nel giorno che precede la festa più importante del Paese dove si festeggiano i tanti vulcani presenti in questa penisola.

Gli abitanti accorrono da tanti angoli del Paese per bere, in primis, mangiare e poi risalire il mitico Vulcano.

Noi non vediamo l’ora ed il giorno precedente ci scaldiamo le gambe risalendo una vetta nelle vicinanze.

All’alba siamo pronti per l’ascensione più spettacolare del viaggio, che ci porterà sulla vetta del Vulcano Avachinsky.

Alle 7 parte la corsa di skyrunning, il parterre pullula di sportivi più o meno in forma.

Sasha, la nostra guida ci procura i pettorali con i numeri dunque, una volta indossati non ci resta che partire.

Gli atleti che puntano alla vittoria volano verso la cima e noi procediamo talmente spediti (?) che Sasha di tanto in tanto ci esorta ad uno stop.

Io sono quella che maggiormente vengo redarguita in quanto detesto le soste forzate. Io non mi fermerei mai mentre lui ha evidentemente necessità di fermarsi. Vecchio lupo… eh eh eh

Dice di non aver mai trovato un gruppo così veloce. Io mi adeguo agli ordini impartiti.

Scalpito ad ogni sosta e non freno il mio andare se non dopo aver sentito l’eco della sua voce che grida: Elena, stoop!

Di fianco a noi appare l’imponente Vulcano Korijakskij. E’ così bello che mi par di esser davanti all’Everest.

Risaliamo il sentiero sassoso in mezzo ad una moltitudine di ragazzi, signori e bambini che avanzano più o meno allegramente.

Ci sono superdonne truccatissime con jeans attillati e scarpette alquanto inadeguate, uomini con mimetiche ed anfibi. C’è di tutto e di più.

Alcune signorine vengono letteralmente trascinate per mano da uomini alcuni moolto carini ed io e la Vale ci “facciamo gli occhi”.

Taluni salgono a suon di musica portando in spalla grandi radio.

In mezzo a questo pour pot-pourri di gente saliamo allegri consapevoli della maestosità del paesaggio che ci circonda.

Ultimo tratto ripido da percorre tenendosi stretti ad una corda ed eccoci arrivati, in men che non si dica.

La gioia di esser quassù è immensa e ci abbracciamo felici. Sul pettorale viene scritto il tempo impiegato.

Guardo il viso di Sasha percepisco che è fiero di noi, meno male, se solo non fosse che ci obbligava a degli stop forzati, vedevi tu come li sistemavamo sti Russi, ah ah ah.

Il cratere sommitale di lave color rosso fuoco, tappato da ossidiana nera e fumante ci rapisce e noi ci perdiamo dentro a questi fumi, circondati da una moltitudine di gente che onora nei modi più disparati questo bellissimo momento.

LAGO KURIL

Un volo in elicottero di 300 km ci permette di sorvolare questo incantato paese per raggiungere all’estremo sud a circa un migliaio di chilometri dal Giappone il Lago Kuril, un lago caldera.

Ogni anno, da Luglio a Settembre, è teatro della risalita dei salmoni “red” rigonfi di uova che dall’oceano nuotano fino alle sorgenti dei piccoli torrenti affluenti al lago dove essi sono nati.

Qui decine di Orsi Bruni popolano le foreste adiacenti le rive del lago e dei torrenti richiamati da un’enorme quantità di pesce.
Cibo in abbondanza ricchissimo di grasso, utile riserva calorica per il prossimo rigido letargo invernale.

Va in scena così uno dei più affascinanti spettacoli che la Natura ci regala. Kobalan (così si chiama l’orso nel linguaggio locale) è l’attore protagonista di questa storia ambientata in un mondo perduto ed irraggiungibile dove il tempo è scandito soltanto dai ritmi costanti e ripetitivi di quel meraviglioso ecosistema Patrimonio dell’Umanita

Prendiamo la barca e costeggiamo le spiagge di questo lago caldera e mi commuovo alla vista di questi grossi orsi a caccia di pesce.

Spesso e volentieri sono costretta a fotografare la faccia demoralizzata di questi enormi orsi dovuta alla mancata presa del salmone ma, rimbomba ancora nelle mie orecchie il forte crack che rompe il silenzio ogniqualvolta l’orso riesce a sbranare il povero pesce che comunque è grande e coloratissimo.

Saranno dolori poi quando l’elicottero, durante il volo di rientro ci fa fermare in un lago dove avrò modo di indossare il mitico costumino rosso brillante per immergermi nelle ustionanti acque di almeno 45°.

Ma, siamo impazziti? Fuori subito da qui, altrimenti mi sciolgo.

A bordo del potente camion, nostro intrepido autista Andrej ci condurrà ora al Nord in un lunghissimo viaggio lungo l’unica strada in terra battuta e ghiaia che attraversa la Kamchatka da sud a nord per oltre 600 chilometri.

E’ una strada che non ha congiunzioni con altre strade verso la Siberia (la Kamchatka è di fatto isolata dal reso della Russia e non è raggiungibile via terra).

Andrej ci guida con maestria attraversando ruscelli e zone paludose con estrema facilità e disinvoltura. Ed il viaggio prosegue tra un rigenerante bagno in una sorgente calda ed un lauto pranzo a Milkhovo (un villaggio di 8900 abitanti a 300 chilometri a nord di Petropavlovsk).

La strada attraversa una fitta foresta di betulle nel centro della Kamchatka, tagliando in due la valle formata tra la catena di vulcani presente ad est ed i monti presenti ad ovest.

Dopo aver attraversato l’immensa foresta talvolta schiacciata da fiumi di lava a seguito di massicce eruzioni di Vulcani e, non prima di esserci fermati a tagliar legna per il fuoco della sera, il camion inizia ad avanzare su un suolo lavico dove la vegetazione sparisce gradualmente.

Raggiungiamo infine il luogo dove verrà eretto il campo base, luogo di partenza per i prossimi trekking.

La zona è chiamata “foresta morta”.
Qui svettano esili fusti di migliaia di alberi che sono stati uccisi all’istante dalla nube ardente, ad oltre 1000 gradi centigradi, lasciando solo scheletrici tronchi

In molti casi, quel che emerge al suolo è soltanto la parte superiore dell’albero morto in quanto, a seguito dell’eruzione, si sono depositati al suolo ceneri e detriti, dello spessore che può raggiungere i sei metri.

Risaliamo oggi fin sulla bocca di un cratere, camminando su materiale vulcanico contenente varie sostanze che trasformano il suolo in un mosaico coloratissimo.

Arrivati sulla sommità, al suolo sono presenti piccole fessure da dove fuoriesce un leggero flusso di aria calda. Qui, si rischia di fondere gli scarponi, attenzione.

VULCANO TOKBACHIK (3.682 m)

Finalmente, dopo un giorno di mega trekking su un fiume di lava ancora fumante, è arrivato il giorno del Vulcano Tolbachik.

Partiamo che il tempo è pessimo ma io sono molto fiduciosa ed infondo sicurezza al gruppo che si lascia entusiasmare nonostante la pioggerella ed il cielo interamente coperto.

Camminiamo silenziosi tutti in fila, intorno a noi il bianco assoluto ma dopo alcune ore fortunatamente il cielo si pulisce e la vista spazia tra il ghiaccio misto e detriti vulcanici di varia natura.

Davanti a noi svetta l’imponente cima del Vulcano che noi ammiriamo a bocca aperta ma, meglio procedere, ne abbiamo ancora di strada da fare.

Dopo alcune ore raggiungiamo finalmente quota 2.850 mt da dove si apre davanti ai miei occhi una vista spettacolare, il cratere del vulcano Tolbachik con un diametro medio di oltre un chilometro e mezzo ed una profondità di 500 metri.
Al suo interno “cola” il ghiacciaio Shmidt.

Saliamo ancora un centinaio di metri fino ai bordi del cratere, il cielo è azzurrissimo e davanti a me la vista sul coloratissimo cratere è mozzafiato

Il panorama dal Vulcano è grandioso e spazia su diversi grandi vulcani presenti intorno.

Scende ora il sipario di questo sorprendente viaggio che mi ha permesso di apprezzare questo stupendo angolo di paradiso ancora selvaggio, lontano da tutto e da tutti.

Gruppo top il nostro che non si è affatto lasciare scoraggiare in nessun momento, nemmeno quando in mezzo alla foresta siamo stati assaliti da miliardi di zanzare che, se rimanevamo ancora un po’ là ci avrebbero mangiati vivi, ah ah ah.

Torno in Italia con gli scarponi consumati ma le mie gambe non si sarebbero fermate davanti a nessun Vulcano.

Con la fantasia che mi contraddice danzo da una vetta all’altra e non mi importa del meteo, ogni condizione è buona per il mio animo avventuroso e corro libera e senza meta in questa lussureggiante e selvaggia terra.

Forse l’orso riuscirebbe a fermarmi ma io credo che se lo incontrassi gli farei l’occhiolino e diventeremo amici, eh sì!

Grazie mitico gruppo di Avventure e grazie Kamchatka per tutto ciò che è stato!

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